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Istituzioni del cambiamento e cambiamento delle istituzioni

Le “comunità di pratica” come setting di apprendimento collettivo

Il costrutto di comunità di pratica è stato sviluppato all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti a partire dal lavoro di ricerca degli antropologi dell’apprendimento Jean Lave e Etienne Wenger, nell’ambito di un filone di ricerca di matrice sociologica ed antropologica, che non si riconosceva più in una visione passiva e mentalistica del processo di apprendimento pensato come una semplice acquisizione meccanica di nozioni astratte e formali proposte dall’esterno. In questa prospettiva, al contrario, l’apprendimento viene riconosciuto come un processo di natura attiva, caratterizzato dalla partecipazione e dal coinvolgimento dell’individuo all’interno di un determinato contesto d’azione nel quale si trova ad operare.
L’apprendimento, dunque, da fatto esclusivamente individuale e mentale diviene un fenomeno sociale e collettivo, in cui le dinamiche cognitive sono inscindibili da quelle sociali. Questa nuova visione implica una forte correlazione tra apprendimento e identità: infatti, apprendere all’interno di una comunità significa imparare ad essere e ad agire come membro della comunità, anziché acquisire semplicemente un insieme sterile di nozioni ed informazioni. In tal modo, la dimensione sociale e quella culturale svolgono un ruolo centrale nella costruzione dell’identità e della competenza umana, dando vita ad un processo di apprendimento che trasforma la capacità dell’individuo di operare nel mondo, modificando contemporaneamente la sua identità e i suoi modelli comportamentali.
Gli ambiti di studio a cui questo approccio fa riferimento sono quelli più ampi della cosiddetta teoria dell’“apprendimento situato” e del “practice-based theorizing” che enfatizzano la dimensione tacita, narrativa e situata dei processi relazionali che danno origine all’apprendimento organizzativo, evidenziandone in tal modo le caratteristiche di processo costruttivo, sociale e contestualizzato.
Da una parte, quindi, la pratica, definibile come il fare all’interno di un determinato contesto storico e sociale che struttura e dà senso al fare stesso, modo di relazionarsi con il mondo e dare un senso all’esperienza, e dall’altra la comunità, interpretata come la dimensione sociale e relazionale che funge da contesto per l’apprendimento situato, diventano i nodi centrali di una innovativa teoria dell’apprendimento.
E. Wenger definisce le comunità di pratica come gruppi informali di persone che hanno in comune un interesse, una passione per un tema specifico, e che arricchiscono le proprie conoscenze attraverso una continua interazione, grazie a delle modalità condivise di azione e d’interpretazione della realtà.
Le caratteristiche essenziali di una comunità di pratica possono essere individuate in tre dimensioni che sono:
- l’esistenza di un impegno reciproco tra i membri, i quali si sentono legati da una comune identità e da rapporti di fiducia all’interno di una determinata struttura sociale;
- la realizzazione di un’intrapresa comune interpretata come tale dai suoi membri, assunta come responsabilità condivisa e negoziata nei suoi diversi aspetti;
- la presenza di un repertorio condiviso formato da artefatti, strumenti, routine, storie, linguaggi, credenze e valori che vanno a costituire la memoria storica della comunità.
In questo contesto la pratica dà luogo ad una produzione sociale di senso tra i membri che coincide sostanzialmente con un’attività di negoziazione del significato, cioè, un processo attraverso cui i partecipanti danno vita ad una co-produzione di senso comune che viene continuamente modificato e dal quale sono costantemente influenzati. La negoziazione avviene attraverso due processi che svolgono funzioni complementari e convergenti:
- la partecipazione: che fa riferimento ad un coinvolgimento attivo e ad una appartenenza come identificazione;
- la reificazione: che riguarda la cristallizzazione del significato negoziato in artefatti, attorno ai quali viene organizzata la ri-negoziazione di nuovi significati ed il coordinamento delle azioni future.
In tal senso, le pratiche possono essere intese come ”storie di apprendimento condivise”. Attraverso l’esecuzione, infatti, non si materializza soltanto la concreta realizzazione dell’attività legata al compito, ma, anche e soprattutto, la rimodulazione delle conoscenze codificate attraverso uno scambio ed un confronto reciproco tra i membri. L’apprendimento, perciò, è frutto della continua negoziazione del significato che ha luogo nello svolgimento e nell’acquisizione delle pratiche; esso può essere interpretato come un percorso che il nuovo partecipante compie all’interno della comunità da una posizione periferica (come nuovo arrivato) fino ad un livello di riconoscimento a pieno titolo di membro effettivo. Questa appartenenza si conquista attraverso una graduale integrazione ed una partecipazione periferica legittimata dei nuovi membri alle attività della comunità. Così, i nuovi arrivati entrano a far parte della comunità in modo attivo acquisendone le routine, i linguaggi, i simboli e i rituali che costituiscono il repertorio condiviso della stessa.
Il processo di apprendimento è fortemente connesso anche ai confini che delimitano una data comunità, poiché attraverso essi si possono stabilire contatti con altre comunità e con la complessità dell’ambiente esterno. Questi confini, solitamente, non coincidono con quelli istituzionali, perché sono definiti in base al grado di appartenenza dei membri a determinate pratiche. Una loro rigidità rappresenta un ostacolo alla crescita e all’apprendimento, invece, un loro certo grado di flessibilità e permeabilità garantisce sviluppo e condivisione in sinergia con altre comunità, sia attraverso connessioni messe in atto per mezzo di oggetti o artefatti, quali le tecnologie, i documenti, i database; sia attraverso connessioni stabilite tramite la partecipazione di persone che ricoprono il ruolo di intermediari (brokers) in grado di trasferire elementi di una pratica da una comunità ad un’altra.
L’arricchimento personale dei soggetti all’interno di una comunità di pratica deriva, dunque, non soltanto dalle nuove conoscenze acquisite, ma soprattutto dalla consapevolezza di essere parte di un reticolo attivo che permette il confronto reciproco in vista di un miglioramento delle pratiche.
La natura relazionale e sociale delle comunità, fa si che esse si sviluppino in modo spontaneo al di fuori dell’organigramma aziendale e indipendentemente dalle intenzioni e dalla volontà dell’impresa, rappresentando così una componente complementare alla struttura gerarchica e formale dell’organizzazione e contribuendo in modo rilevante al suo funzionamento.
La scoperta di questi contesti di relazioni informali tra i dipendenti, caratterizzati da dinamiche di produzione e circolazione della conoscenza, si rivela una grande opportunità di sviluppo per le organizzazioni che però debbono creare le condizioni favorevoli affinché queste comunità possano essere valorizzate. Le comunità di pratica, infatti, rappresentano un valore potenziale per le organizzazioni, specie per quelle pubbliche ancora caratterizzate da una mentalità burocratica, poiché rappresentano forme elastiche di cooperazione interstiziale che garantiscono flessibilità e capacità di far fronte alla complessità sociale in modo efficace.
Spesso comunità e organizzazione non sono universi convergenti, poiché differenti sono le logiche e le dinamiche che le attraversano, così le forme attraverso le quali si struttura il rapporto tra di esse possono essere molteplici, la comunità può:
- non essere riconosciuta dall’organizzazione formale;
- essere legittimata, se riconosciuta come importante dall’organizzazione;
- essere supportata formalmente;
- essere istituzionalizzata e diventare parte della struttura formale.
Le due forme estreme (il non riconoscimento e l’istituzionalizzazione) risultano termini di rapporto poco fruttuosi, poiché nel primo caso diventa difficile una valorizzazione del contributo che la comunità può offrire sottoforma di risorse cognitive ed esperenziali per l’efficacia dell’organizzazione nel suo complesso; nel secondo caso la comunità perderebbe, invece, la sua vera natura e diventerebbe parte integrante della struttura formale.
L’atteggiamento più idoneo da parte dell’organizzazione è quello di legittimare le comunità di pratica al suo interno, dando priorità al tipo di processi di apprendimento informale che esse sviluppano e progettando strutture organizzative che si pongano al servizio delle relazioni informali. Coltivare le comunità di pratica, come affermato da Wenger, significa promuovere contesti organizzativi favorevoli che permettano lo sviluppo ed il collegamento tra le varie comunità che operano all’interno dell’organizzazione, trasformando quest’ultima in una costellazione di comunità di pratica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Istituzioni del cambiamento e cambiamento delle istituzioni

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Informazioni tesi

  Autore: Patrizia Di Giovanni
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'Educazione
  Relatore: Orazio Licciardello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 165

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