3
Richiamato alle armi con il grado di tenente di complemento 
d’artiglieria, partecipò attivamente alla guerra di liberazione. 
Nel secondo conflitto mondiale fu insignito di una croce al valore 
militare, con decreto del Ministro della Difesa, con la seguente 
motivazione: «Volontario per missione di guerra, nel territorio 
occupato dal nemico, compiva numerose e rischiose operazioni 
durante le quali svolgeva attività intensa, spregiudicata e ardita, 
affrontando pericoli e responsabilità notevoli» (Zona operazioni, 
febbraio 1944- Aprile 1945). 
Nel febbraio del 1944, attraversò le linee del fronte e raggiunse regioni 
d’Italia ancora occupate dai Tedeschi, per compiere numerose 
missioni in collaborazione con le forze di liberazione. 
In particolar modo operò nelle Marche, in Liguria e in Piemonte  
contribuendo fattivamente all’organizzazione delle azioni di 
salvataggio di centinaia di militari alleati. 
Nel novembre del 1950, insieme con altri partecipanti alla guerra di 
liberazione, fu invitato dalla Anglo-Italian Society a Londra, dove gli 
venne donato un orologio d’oro recante questa scritta “To Bruno 
Leoni for Gallant Service to the Allies, 1945”. 
Leoni poté iniziare l’attività accademica presso l’università di Pavia 
alla fine del conflitto, nel 1945, quando fu nominato anche professore 
incaricato di filosofia del diritto nella Facoltà di giurisprudenza della 
stessa Università. 
Nello stesso anno egli iniziò anche ad esercitare la professione di 
avvocato. 
Ebbe ininterrottamente, dal primo novembre 1948 al 30 ottobre del 
1960, la Presidenza della facoltà di Scienze Politiche, fu Direttore del 
suo Istituto dal 1948 sino all’anno della sua morte. 
 4
Fondò la rivista “Il Politico” nel maggio del 1950, quale continuazione 
della gloriosa pubblicazione della Facoltà, gli «Annali di  Scienze 
Politiche», creati nel 1928 e cessati durante la guerra nel 1941. 
Questa rivista si impose rapidamente all’attenzione del mondo 
scientifico italiano ed internazionale come una tra le più prestigiose e 
autorevoli del panorama contemporaneo. 
Leoni, nel 1954, fondò anche la collana di studi dell’Istituto di Scienze 
Politiche. 
Eccezionale organizzatore promosse presso la Facoltà di scienze 
politiche di Pavia, importanti iniziative fra cui due convegni di studi 
metodologici (nel maggio 1951 e 1955), il primo seminario di studi 
americani su «Aspetti storici e strutturali del federalismo negli Stati 
Uniti» (marzo 1958), il quarto congresso nazionale di Filosofia del 
Diritto (ottobre 1959), il seminario di studi sui problemi della 
pianificazione sovietica (aprile 1965), la tavola rotonda sul 
positivismo giuridico (maggio 1966). 
Promosse inoltre, attraverso l’Associazione laureati e studenti di 
Scienze Politiche dell’Università di Pavia, da lui fondata nel 1959 e 
presieduta fino alla morte, numerose iniziative per i laureati e studenti 
della Facoltà, tra cui viaggi di studio a Londra, Parigi (1961), alle 
Comunità Europee (1963), in Grecia, Turchia e Asia Minore (1966), 
Portogallo e Spagna (1967). 
Partecipò intensamente alla vita culturale italiana ed internazionale. 
Riuscì a creare una fitta rete di rapporti con il mondo scientifico 
anglo-americano, grazie anche all’attività di una importante 
Associazione internazionale, la Mont Pelerin Society, fondata da F. A. 
Hayek nel 1947 e della quale Leoni fu membro autorevole, 
ricoprendovi la carica di segretario e di presidente (quest’ultima solo 
per due mesi perché fu eletto a Vichy nel settembre del 1967). 
 5
Compì numerosi soggiorni di studio all’estero per partecipare a 
congressi, tenere conferenze, svolgere cicli di lezioni. 
Nel 1953 si recò negli Stati Uniti dove visitò le Università di 
Cambridge, New York, Chicago, Berkeley, Stanford, Los Angeles. In 
anni successivi vi ritornò sovente; nel 1958 due volte, per tenere un 
corso di lezioni al Claremont Men’s College in California e 
partecipare al congresso della Mont Pelerin, a Princeton; altrettante nel 
1960, per una serie di lezioni su “Freedom and Law” in North 
Carolina, e in Virginia in qualità di distinguished visiting scholar 
(nella stessa occasione fu ospite anche di Yale); tre volte nel 1962, a 
San Mateo,  California, di nuovo al Claremont Men’s College, e al 
Irvington on Hudson (N. Y.); due volte nel 1963, a Burlington 
(Wisconsin) presso l’Università di Milwaukee e all’Università del 
Colorado. 
In Inghilterra si recò nel 1957, ospite delle Università di Oxford e 
Manchester, dove tenne serie di lezioni, due nel 1959, la prima a 
Swansea, la seconda a Oxford per il congresso della Mont Pelerin. 
Nel 1950 partecipò a Zurigo al secondo congresso mondiale di scienze 
politiche. Vi tornò l’anno seguente per il convegno internazionale di 
studi metodologici promosso da quel Politecnico. Lo stesso anno 
partecipò a Stoccolma al terzo congresso mondiale di scienze 
politiche. 
Nel 1957 partecipò in Svizzera all’annuale congresso della Mont 
Pelerin, mentre si recò anche in Belgio ad un colloquio internazionale 
sul liberalismo economico. 
Nel 1960, all’annuale congresso della Mont Pelerin in Germania, fu 
eletto segretario dell’Associazione. 
Due anni dopo, in occasione di uno special meeting della Mont 
Pelerin, si recò nelle maggiori città del Giappone, per tenervi un ciclo 
di conferenze. 
 6
Sempre nel 1962 si recò in Belgio all’annuale congresso della Mont 
Pelerin. 
Nel 1963 a Lione (Francia) partecipò ai lavori del Congresso della 
Association des Libres Enterprises, tenendovi una conferenza. 
L’anno seguente si recò in Austria, a Semmering per l’annuale 
congresso della Mont Pelerin. 
Nel 1965 fu a Formosa in una missione di studio assieme a F. A. 
Hayek. 
Nel 1967, tenne a Parigi, su invito della Société d’Economie Politique 
una conferenza sul tema “Il problema del calcolo economico in 
un’economia pianificata”. 
Infine nel settembre del 1967, prese parte al congresso della Mont 
Pelerin a Vichy, dove venne eletto all’unanimità presidente della 
Società. 
Nel 1957, fu insignito della commenda dell’ordine al merito della  
Repubblica Italiana, nel 1964 del diploma di prima classe con 
medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. 
Fece parte di diversi sodalizi scientifici: in particolare, oltre che della 
già citata Mont Pelerin Society, fu membro effettivo del Centro di 
studi metodologici e dell’Unione italiana di metodologia logica e 
filosofia della scienza (delle stesse istituzioni fu anche presidente), 
membro fondatore dell’Insitut international de philosophie politique, 
membro effettivo dell’International political science association, 
membro effettivo dell’Associazione italiana scienze politiche e sociali, 
socio corrispondente dell’Istituto lombardo, accademia di scienze e 
lettere, socio dell’Unione italiana per il progresso della cultura. 
La sera del 21 novembre del 1967, Bruno Leoni veniva brutalmente 
ucciso ad Alpignano, presso Torino, per motivi di denaro. 
 7
Abitava dal 1960 con la moglie Dina e la figlia Silvana di soli sette 
anni a Torino, dove esercitava anche la professione di avvocato nello 
studio legale di via XX Settembre 51. 
L’assassino, subito scoperto, fu un certo  Osvaldo Quero, che proprio 
per lo studio legale Leoni svolgeva le mansioni di amministratore 
presso alcune palazzine ad Alpignano. 
Il Quero si era reso responsabile di una serie di ammanchi cospicui, tra 
cui anche l’appropriazione indebita delle quote di affitto; scoperto dal 
Leoni che minacciava di agire per vie legali, reagì in modo brutale e 
violento, infierendo selvaggiamente sul corpo dell’insigne studioso. 
Commesso l’omicidio, nascose il cadavere in un garage di sua 
proprietà, scrisse una falsa lettera alla signora Leoni fingendo un 
rapimento e chiedendo un riscatto, si lavò e cambiò, dopo aver 
confessato alla moglie il delitto ed essersi riposato per alcune ore, 
fuggì a bordo dell’auto della vittima. 
Bruno Leoni trovò così  la morte per mano di un avido truffatore che 
aveva rubato pochi milioni di allora. 
La sua scomparsa ebbe una profonda eco in tutto il mondo scientifico 
e culturale che aveva imparato, con gli anni, ad apprezzare ed 
ammirare il lavoro di Leoni, ma purtroppo, in Italia, la sua fama non 
eguagliò mai la notorietà raggiunta all’estero.  
 8
 
       Introduzione 
 
 
Per svolgere degnamente il problema che ci siamo prefissi, è 
necessario fare una doverosa premessa su quale, pressoché, totale e 
rimarchevole ignoranza vi sia stata in Italia, per molti anni, intorno al 
pensiero di Bruno Leoni. 
Unica figura di rilievo di quel pensiero liberale austriaco, che ha un 
parallelo nella scuola di Chicago negli Stati Uniti e che afferma di 
voler riprendere il liberalismo classico, Leoni si trovò nel nostro paese 
ad elaborare e diffondere tesi allora misconosciute al contemporaneo 
dibattito giuridico, filosofico, economico e politico.
2
 
Nel momento di massima espansione del diritto pubblico, del concetto, 
di chiara derivazione kelseniana, che con la legge si potesse risolvere 
ogni ordine di problemi, egli si trovò sul fronte opposto, privilegiando 
in ogni modo il diritto privato. 
Ciò lo portò ad una solitudine intellettuale che ruppe quando il suo 
liberalismo integrale venne pienamente alla luce, quindi dopo il 1950, 
portandolo ad allacciare intensi rapporti di collaborazione con Milton 
Friedman, ma soprattutto Friedrich von Hayek. 
                                                           
2
  L’unico momento di vero confronto, in Italia, con altre tesi Bruno Leoni l’ebbe attraverso la rivista 
Il Politico, da lui, fondata e diretta dal 1950 al 1967, anno della sua prematura scomparsa. Proprio 
de Il Politico ci serviremo in questa tesi per ricostruire quel poco di fermento che vi sia stato 
attorno alle istanze liberali in Italia.  
 9
Prima di quella data infatti, come ben hanno illustrato Raimondo 
Cubeddu e Mario Stoppino, il liberalismo di Leoni si può definire in 
pectore, ma dopo d'allora grazie anche agli incontri e le collaborazioni 
di tutti gli anni sessanta, fino alla prematura morte nel 1967, Bruno 
Leoni diverrà una voce influente ed ascoltata di quel processo che 
riporterà l’idea liberale al centro del dibattito filosofico, culturale e 
politico contemporaneo. 
Tornando in ogni modo al tema della sua solitudine intellettuale, salvo 
rare eccezioni, essa è da imputare ad una spiccata predilezione del 
Leoni verso gli sviluppi del pensiero liberale inglese rielaborato dalla 
scuola austriaca e da quella di Chicago.  
A ciò  deve essere forse aggiunto che mai, nella storia culturale del 
nostro paese, si è avuta, come per esempio è accaduto in Gran 
Bretagna, una continua ed abbastanza coerente riflessione sui temi cari 
a questo tipo di  liberalismo. 
3
 
Avremo in ogni caso modo, nel corso di questa tesi, di scontrarci 
anche con il tema delle diversità tra i vari pensieri “liberali” e le 
distinzioni, più o meno fittizie, tra “liberali”, “liberal” e “liberisti”. 
«Negli ultimi decenni, inoltre, il termine liberalismo ha assunto una 
tale varietà di significati da indurre alla disperazione chi sia interessato 
                                                           
3
  A questo proposito faremo spesso riferimento alla Storia del liberalismo europeo del De Ruggiero 
(Laterza, Bari, 1984), ma in senso anche critico, in quanto questo relatore ha avuto l’impressione 
che il De Ruggiero abbia tentato, pur in buona fede e con gli enormi meriti della sua opera, 
universalmente stimata e citata, di collocare nella tradizione liberale correnti, persone ed idee che 
con essa avessero solo rapporti occasionali o marginali. 
 10
a una definizione esaustiva ma non settaria. Accanto alla tradizione di 
quello che nel mondo anglosassone viene ormai definito classical 
liberism e che corrisponde più o meno alla tradizione che dai pensatori 
prima citati
4
 giunge fino ad Friedrich A. von Hayek  (1899- 1992) e a 
James M. Buchanan (1919-), esiste infatti anche la tradizione liberal, 
il libertarianism e, in Italia, il “liberismo”. 
Sovente, poi, si parla di un liberalismo economico e di un liberalismo 
etico-politico, di un liberalismo statalista e di un liberalismo 
antistatalista di impronta anarchico-libertaria, di un liberalismo 
“costruttivista” e di un liberalismo “evoluzionista”, di un liberalismo 
conservatore e di un liberalismo rivoluzionario, di un liberalismo di 
“destra” e di un liberalismo di “sinistra”. Infine, esiste anche tutta una 
serie di composti, ad esempio, liberal-democrazia, liberal-socialismo, 
cattolicesimo liberale, socialismo liberale, liberal-liberista, liberal-
comunismo, e di specificazione della parola libertà, ad esempio, 
“libertà positiva” e “libertà negativa”, “libertà per” e “libertà da”, 
eccetera, che danno la misura di quanto sia complesso farsi un’idea di 
che cosa sia veramente il liberalismo e che possono indurre a chiedersi 
se esiste qualcosa che possa essere definita tale, o se mai sia esistita.»
5
 
Non mancheremo nemmeno d'intravedere, purtroppo senza 
approfondire (altrimenti rischieremmo seriamente di perdere di vista 
                                                           
4
  Si tratta di John Locke, Charles de Montesquieu, Bernard de Mandeville, David Hume, Adam 
Smith, Immanuel Kant, Wilhelm v. Humboldt. 
5
  Raimondo Cubeddu Atlante del liberalismo pp. 11-12, edito da Ideazione, Roma, 1997. 
 11
l’obiettivo di questa tesi), quali sono le sostanziali distinzioni che vi 
sono tra il pensiero liberale austriaco e della scuola di Chicago ed il 
pensiero liberale tedesco.
6
 
In Germania  il pensiero liberale infatti, come notava il Troeltsch 
7
, ha 
sempre percorso una via autonoma, dando origine a teorie etiche e 
giuridiche in parte diverse da quelle poste alla base di altre costituzioni 
liberali in Europa.  
Leoni si sentì, nel panorama culturale del suo tempo, forse molto 
isolato, critico anche delle tesi liberali di Benedetto Croce e Luigi 
Einaudi (che tra loro erano, per altro, molto diverse), convinto che le 
uniche vere tracce di un liberalismo autentico, anche se solo ante 
litteram, nella tradizione italiana fossero rintracciabili solo nel diritto 
greco, ma soprattutto romano,
8
 trovò amicizie nella fondazione 
internazionale Mont Pelerin. 
                                                           
6
  Non mancheremo certo nel corso di questo lavoro di scontrarci con il tema del “vero liberalismo”, 
quale oggi si sta sviluppando in tutto il mondo ed ha preso corpo anche in Italia. Un dibattito che è 
molto acceso e coinvolge oltre che “Liberali”, “Liberali revisionisti”, “Liberisti”  anche gli 
“Utilitaristi”. Tutti questi momenti del pensiero umano, oggi concorrenti, hanno sicuramente una 
radice comune, ma per non sottovalutare l’ampiezza e la schiettezza delle controversie basti 
ricordare come F.V.Hayek, M. Friedman ed altri non si peritino a definire “non liberale” il 
pensiero, per esempio, di John Rawls, mentre quest’ultimo si limita a definire  chi gli muove questa 
“accusa”,  soltanto un “liberista” e non un “liberale”. Necessariamente, in quanto tema di una 
vastità illimitata, che poi condurrebbe la tesi fuori dai propri canoni, su tali questioni non potremo 
che dare cenni informativi di carattere generale. Per chi volesse, in ogni modo approfondirne le 
tematiche si tengano presenti molte delle opere citate nella bibliografia di questa tesi, ma in special 
modo l’ultima fatica di Raimondo Cubeddu Atlante del liberalismo, Ideazione, Roma, 1997. 
7
  Si veda a questo proposito Lo storicismo e i suoi problemi, in particolare modo il volume terzo in 
cui l’autore illustra con grande efficacia le distinzioni tra l’accezione dei concetti di “diritto”, 
“mercato”, “morale”, “storia”, “etica”, in Germania e nel resto dell’Europa. 
8
  Per capire quali fossero i diritti degli Ateniesi rispetto ai loro tribunali, quali le loro libertà, 
argomento per niente estraneo al dibattito liberale, si può leggere Il processo a Socrate di I.F. 
Stone (Rizzoli, Milano, 1990) oppure A. Albini Atene l’udienza è aperta (Garzanti, Milano, 1994), 
ma anche D. Kagan  Pericle d’Atene e la nascita della democrazia (Mondadori, Milano, 1991). 
Per quel che riguarda i diritti del cittadino romano, si farà riferimento a G. Cervenca Il processo 
privato romano (le fonti) (Patron, Bologna, 1983) e G. Longo e G.Scherrillo Storia del diritto 
romano (Giuffrè, Milano, 1970). Si tenga inoltre presente che la preferenza di Leoni per il diritto 
 12
In questo ambito s'imposta tutta la sua battaglia per il sistema della 
Common Law
9
anglosassone, unica erede di quel diritto romano e di 
quella consuetudine ateniese che garantiva grandissima libertà del 
cittadino nei confronti delle ingerenze dello stato nella vita privata. 
Il suo concetto di diritto è chiaro: l’abuso della legislazione, egli ne è 
profondamente convinto, taglia le ali alla libertà, è uno strumento solo 
di coercizione, trasforma la legge nell’esatto contrario di quello che 
dovrebbe essere. 
La formula “Non governati da Re, ma da Leggi” Leoni l’avrebbe forse 
letta come “ Non governati da Re, né da Leggi, ma da se stessi, con le 
leggi e i giudici a nostra ed altrui garanzia”. 
In quel "estraneo a lui” (il prossimo in senso lato) egli vedeva anche lo 
stato, per il quale  riconosceva un incessante pericolo di 
assolutizzazione attraverso la legge di maggioranze variabili ed 
incontrollabili.  
                                                                                                                                                                                                 
romano, inteso come diritto da “scoprire” e non da “inventare”, è forse il contributo più 
genuinamente attinente alla tradizione del pensiero italiano della sua filosofia. 
9
  Common Law «nell’accezione più ampia, contrapposta a codificazione, sistema giuridico proprio 
dei paesi anglosassoni e particolarmente della Gran Bretagna (con esclusione della Scozia), degli 
Stati Uniti d’America e dei paesi facenti parte del Commonwalth britannico. In un significato più 
ristretto,  Common law indica il diritto elaborato dalle corti centrali di Londra, a base 
giurisprudenziale, esente da influssi romanistici e fondato sull’autorità dei precedenti, cioè sul 
vincolo che una determinata pronuncia giudiziale rappresenta per le pronunce successive. In tale 
secondo senso essa si contrappone a Equity. L’origine della Common Law risale alla conquista 
normanna dell’Inghilterra operata da Guglielmo il Conquistatore (1066) quando fu sviluppato un 
diritto centralizzato contrapposto alle consuetudini locali, mediante la creazione a Westminster di 
un insieme di corti regie permanenti. Alla unitarietà del King’s Council o Curia Regis presieduto 
dal sovrano, si sostituirono ben presto la corte dello scacchiere (Exchequer ), la corte delle udienze 
comuni (Common Pleas ) e la corte del consiglio reale (King’ Bench ), così chiamata sulla 
presunzione che alle udienze tenute da essa partecipasse il sovrano personalmente.» ( In La nuova 
enciclopedia del diritto e dell'economia, ad vocem pag. 304, Garzanti, Milano, 1990) 
 13
Temeva non da solo la trasformazione dello stato, anche mediante 
l’uso della legislazione, in un organismo mastodontico capace 
d'interferire in ogni ambito della vita. 
Leoni individua il suo nemico in uno stato che tornava ad essere un 
mostro di hobbesiana memoria, travestito da governo di una parte, che 
ha tutto il diritto di decidere su ogni materia, sottovalutando le 
opinioni  dissenzienti e senza concedere loro alcuna garanzia di 
rispetto delle loro istanze. 
Un altro tema caro al filosofo è quello della tutela delle minoranze, 
delle garanzie da porre contro la legislazione “selvaggia”, contro 
l’onnipotenza dei parlamenti e la loro smania d'intervenire, 
indiscriminatamente, su tutto. 
Perché il tema centrale è la libertà: «In effetti, la libertà non è solo un 
concetto economico o politico, ma anche e forse soprattutto, un 
concetto giuridico, in quanto comprende necessariamente un intero 
complesso di conseguenze giuridiche. Mentre l’impostazione politica, 
nel senso che ho cercato di delineare, è complementare a quella 
economica in ogni tentativo di ridefinire la libertà, l’impostazione 
giuridica è complementare ad entrambe.»
10
 
                                                           
10
  Tratto da La libertà e la legge pag. 4, editore Liberilibri, Macerata, 1995. 
 14
In ciò sta la novità del suo contributo anche rispetto agli stessi Hayek, 
Mises, Friedman, Popper e Berlin, nel rilevare che non vi può essere 
vera libertà, se non c’è la libertà giuridica.
11
 
Parliamo della libertà dell’individuo, del singolo, perché 
l’individualismo per lui è sia un orientamento metodologico sia una 
teoria scientifica, cosa che  rende la sua analisi sempre  attenta e 
coerente. 
La consideriamo una teoria scientifica dal momento che proprio sulla 
base dell’individualismo si è scoperto come «molte istituzioni non 
sono riconducibili ad alcun singolo piano individuale, sebbene 
sussistano per il concorso spontaneo, attivo e costante d'innumerevoli 
individui» e che questa « spontanea collaborazione d'uomini liberi 
crea spesso, nel decorso del tempo, cose più vaste e durature di quanto 
i loro pensieri individuali possano mai pienamente comprendere.» 
12
  
La libera scelta di singoli uomini a collaborare non è altro che il 
presupposto per “i processi sociali spontanei”, teoria elaborata 
dall’individualismo di tipo irrazionalistico, questa è la definizione di 
Mario Stoppino
13
, o di tipo “anglosassone” fin dal secolo XVII, che è 
anche al centro del concetto di mercato. 
                                                           
11
  Peculiarità che è stata riconosciuta molto più all’estero che in patria, in quanto anche la Libertà e 
la legge dovette aspettare oltre un trentennio per essere pubblicato, dopo che lo era stato negli Stati 
Uniti ed in Spagna, anche in Italia. Altra nota che non fa certo onore ai nostri studiosi di Scienza 
della politica è il loro aver oltremodo ignorato il contributo di Bruno Leoni, anche solo nel 
diffondere ed elaborare tesi in “contro tendenza”. 
12
 Il pensiero politico e sociale dell'Ottocento e Novecento pag. 1125 in Questioni di storia 
contemporanea, Milano, Marzorati, 1953. 
13
 Si veda a tal proposito l'introduzione di Scritti di scienza politica e filosofia del diritto. 
 15
«Il punto di partenza del liberalismo è infatti, l’individualismo 
metodologico, vale a dire un’interpretazione individualistica delle 
istituzioni sociali. Queste sono considerate il risultato, in buona misura 
involontario e imprevisto, del modo in cui i singoli agenti cercano 
soggettivamente di migliorare la propria condizione con gli strumenti 
di una conoscenza limitata e fallibile. In questa prospettiva, la libertà 
umana non è tanto un postulato quanto la necessaria conseguenza del 
fatto che gli uomini sono diversi. Poiché non è immaginabile che vi sia 
un unico modo per migliorare la condizione umana, ogni individuo 
deve essere libero di migliorarla come crede. Il solo limite a questi 
tentativi è costituito dal rispetto dei diritti e delle possibilità di scelta 
degli altri individui. Per il liberalismo, quindi, ogni individuo deve 
essere messo in grado di scambiare con altri individui beni, servizi e 
informazioni - vale a dire sostanzialmente tempo - per ottenere quelli 
che ritiene idonei a migliorare la propria condizione. La 
generalizzazione di tali modalità di scambio, a sua volta, è indice di un 
vantaggio che l’insieme dei cittadini trae dall’adottarle.» 
14
  
Vedremo nel corso della tesi che i processi sociali spontanei, con 
maggiore evidenza quando tracceremo la linea che collega Friedrich 
A. Hayek a Bruno Leoni, sono serviti al nostro filosofo a teorizzare 
che il diritto sia il dominio delle pretese degli individui. 
                                                           
14
  Raimondo Cubeddu pp. 13-14 Atlante del liberalismo. 
 16
L'oggetto dell'analisi del Leoni è individuabile nello stato che opera 
coercizioni, che costringe il cittadino a fare o essere qualcosa di 
diverso da quelli che sono i suoi desideri e le sue legittime aspirazioni.  
Quali forme di costrizione, invasione "non necessaria o 
sufficientemente giustificata" della propria sfera di responsabilità 
privata siano poi individuate dalle sue ricerche e studi, lo vedremo 
nello svolgimento di questa tesi. 
Bisogna tenere presente, tuttavia, che egli stesso ha più volte 
affermato come già sia discutibile l’uso che oggi si fa dei termini 
democrazia e governo di rappresentanti del popolo, per poi scoprire, 
che i mezzi che tali sistemi di stato usano per costringere sono proprio 
le leggi. 
Uno stato privo di coercizioni quindi, per Bruno Leoni e per i liberali 
della sua corrente, non è altro che quello in cui il singolo possieda la 
più ampia “zona” possibile, nella quale nessuno lo può costringere ad 
essere o fare qualcosa di diverso da quello che desidera. 
«Il singolo individuo deve avere una sfera di responsabilità sua 
propria non già assegnatagli da una autorità sotto forma di fini speciali 
da raggiungere, o di mezzi specifici da impiegare, ma semplicemente 
riconosciutagli da norme e principi generali e formali, in base a cui 
l’individuo possa esercitare la sua spontanea attività e mettere a 
profitto le sue conoscenze.» 
15
 
                                                           
15
  Il pensiero politico tra Ottocento e Novecento pag. 1126