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Quanto conta il percorso universitario quando si cerca lavoro?

Intervista a Martina Galli, HR Director di Patrizia Pepe

2 marzo 2023

Quanto conta il percorso universitario quando si cerca lavoro? Mi devo preoccupare se ho una media bassa o se ho concluso l’Università da fuori corso?
Chi controlla il mio curriculum tiene davvero in considerazione il mio percorso di studi?

Può succedere, il percorso universitario non sempre va come avresti voluto: gli esami non si superano al primo colpo, il tempo da dedicare allo studio va condiviso con le ore lavorative, ci si rende conto che la specializzazione scelta non è quella giusta.
Anche l’ingresso nel mondo del lavoro ha le sue barriere e le sue incertezze e la domanda “Ma davvero servirà questa laurea?” è quella che sentiamo più spesso.
È normale quindi che alle pressioni esterne di famiglia e parenti e all'incertezza del futuro si sommino calo di motivazione, sfiducia, ansia da prestazione.

Per spezzare questo vortice di pensieri negativi che minano il tuo entusiasmo e il tuo benessere, può esserti utile capire cosa ne pensa chi leggerà il tuo CV e dovrà valutare le tue competenze leggendo quelle poche righe.
Abbiamo rivolto alcune domande a Martina Galli, HR Director di Patrizia Pepe, brand italiano di abbigliamento con store presenti in tutto il mondo.

Al momento della lettura di un CV quale dato incluso nella sezione “Formazione” interessa di più ad un recruiter? L'università frequentata? Il voto di laurea?


"Le risponderò a questa come ad altre domande parlando di me, di cosa e di come risponderei io, quindi senza generalizzazioni né tantomeno presunzione di avere le risposte giuste al 100%.
Io, come recruiter, do una relativa importanza all’università e al voto conseguito, soprattutto laddove mi trovo di fronte ad una persona che sto colloquiando per posizioni con una seniority di qualche anno.
Se mi trovo a colloquiare un neo laureato - cosa che da qualche anno accade solo se sto cercando questa figura per la mia area - valuto l’Università ed il voto, così come valuto l’effettuazione di eventuali stage/tirocini, lo svolgimento di percorsi di studio o anche esperienze di lavoro all’estero per imparare una lingua, piuttosto che gli hobby del candidato, etc….
Faccio cioè un’analisi complessiva per capire la personalità di chi ho di fronte, la motivazione, la determinazione, l’energia.
Proprio stamani leggevo su LinkedIn un post dove era riportata una delle classiche domande che, a detta di chi lo aveva scritto, i candidati si sentono fare molto spesso in colloquio: “Come ti vedi fra 5 anni?”.
La riflessione cui sono giunta alla fine è che questo tipo di domande normalmente viene posta da recruiter “all’inizio della carriera” o comunque a loro volta freschi di studi.
È un domanda che per molti recruiter ha una risposta scontata, dalla quale dovrebbero desumere determinazione ed ambizione a ricoprire un ruolo lavorativo di “potere” e ben remunerato.
Il vero punto è che non tutti i recruiter sono ancora pronti a sentirsi rispondere un qualcosa che faccia riferimento ad una soddisfazione e autorealizzazione in ambiti diversi rispetto a quello professionale.".

Ha scritto qualche giorno fa su LinkedIn che “[...] dietro un percorso di studi si nasconde un percorso di vita ed esperienze che contribuiscono a creare attitudini e competenze”.
Il network di Tesionline è cresciuto grazie all'idea di pubblicare le tesi di laurea, perché per noi sono il risultato di un momento formativo importante.
Tanto che consigliamo l'opportunità di citare l'argomento della tesi nel CV per distinguersi, se attinente alla posizione lavorativa.
Lei cosa ne pensa? C'è qualche altro aspetto del percorso universitario che vale la pena sottolineare secondo lei?


"Condivido l’opportunità di citare l’argomento della tesi di laurea nel CV, così come quello di un eventuale master successivo.
Ovviamente ciò a mio parere è tanto più consigliabile ed opportuno quando ci si trova a muovere i primi passi nel mondo del lavoro.
Durante il colloquio può essere interessante raccontare al recruiter perché si è scelto di fare quella specifica tesi e cosa la redazione della stessa ci ha lasciato in termini di apprendimento/insegnamento.".

Spesso durante il percorso di studi si maturano delle esperienze lavorative.
Quanto pesa davvero aver fatto uno stage o tirocinio nel proprio settore rispetto ad esperienze lavorative in altri campi?


"Penso che arricchire un percorso di studi con esperienze lavorative anche diverse da uno stage/tirocinio sia importante sempre, indipendentemente dal settore e dal tipo di esperienza, perché aiuta lo studente a comprendere “per tempo” alcune dinamiche presenti nel mondo del lavoro.
Il recruiter a mio parere deve essere bravo nel capire come il candidato neolaureato abbia vissuto il percorso universitario.
Non ci sono più bravi o meno bravi: c’è chi ha completato il percorso universitario in perfetto timing conseguendo voti eccellenti e chi ha impiegato più tempo e conseguito un voto più basso perché magari ha avuto impegni familiari, piuttosto che la necessità di lavorare, oppure perché ha deciso di fare un’esperienza all’estero.
Sono tutti candidati potenzialmente selezionabili.
Anche qui consiglio ai neo-laureati che hanno avuto un percorso universitario un po' più lungo o che hanno conseguito un voto diverso dal 110 e lode di raccontare al recruiter il percorso che hanno fatto per arrivare alla laurea, soffermandosi sulle competenze che quel percorso e quelle esperienze hanno portato.".

Immaginando che ci siano degli elementi chiave che permettono al selezionatore di farsi un'idea più precisa di un candidato, quali informazioni non dovrebbero mai mancare in un CV? A quali dare risalto e quali invece evitare?


"Anche per i CV come per altre cose, ci sono le varie mode.
Dopo anni in cui il cv doveva essere lungo e dettagliato siamo passati al one-page resume per poi adesso ritornare al cv più dettagliato.
La foto non è così indispensabile ma, se c’è, occorre sia una foto idonea ad un CV.
La formazione va inserita partendo dal diploma.
Le esperienze professionali vanno elencate lasciando la corrente o comunque la più recente come ultima e articolandola maggiormente.
Non deve mancare la conoscenza delle lingue ed eventuali soggiorni all’estero, così come la conoscenza dei sistemi informatici, che customizzerei in funzione della posizione per la quale ci si candida.
Anche gli hobbies sono importanti, è una delle cose a cui io ad esempio presto molta attenzione.
Da non dimenticare l’autorizzazione ai fini del GDPR opportunamente firmata in chiusura.
Infine il CV - e prima ancora il proprio background - dovrebbe essere reso “attuale” quindi affine ai “trend” del mercato del lavoro in voga in quel preciso momento.
La società oggi punta molto sul digitale, quindi avere delle esperienze formative anche brevi in questo ambito, piuttosto che un hobby per la materia, potrebbero essere plus interessanti da condividere con il recruiter e valorizzare in un CV.
Aggiungo due consigli ulteriori: usare la piattaforma LinkedIn curando il profilo con molta attenzione e introdurre l’invio di ogni CV da una cover letter che non risulti standard, ma fatta ad hoc per la posizione per la quale ci si sta candidando.
Nella cover letter suggerirei di spiegare brevemente il perché quella determinata posizione è di nostro interesse, perché dovremmo essere presi in considerazione e quali competenze/esperienze ci rendono il/la “candidato/a perfetto”.".

Molti studenti sono convinti che il mondo del lavoro abbia delle barriere di ingresso difficilmente abbattibili: la possibilità di fare studi in università blasonate, di dedicare più tempo allo studio senza preoccupazioni economiche, le conoscenze giuste, persino il genere di appartenenza stando alle indagini più recenti.
Lei che lavora nel settore HR da più di 20 anni conferma questa idea? Quali strategie può consigliare per superare degli svantaggi iniziali?


"Non ritengo che questi siano metri di valutazione che accomunano l’intera community dei recruiter.
Certamente non mi appartengono e ritengo non appartengano neppure ad una buona parte di chi fa questo lavoro da anni e che quindi vanta un’esperienza che consente di valutare un candidato andando oltre certi “criteri” di sbarramento.
Per coloro con i quali condivido la stessa impostazione ed approccio è importante considerare anche altri fattori se dimostrativi di motivazione e determinazione come esperienze all’estero o attività extra lavorative formative.
È innegabile però che ci siano ancora alcune realtà aziendali, soprattutto nel mondo della consulenza, che usano i criteri indicati come conditio sine qua non di accesso.

La difficoltà di gestire l'ansia e le preoccupazioni per il proprio futuro creano diverse distorsioni nella vita degli studenti: difficoltà a concentrarsi e a superare gli esami, stati di panico, ansia da prestazione fino ad arrivare a simulare la laurea con i famigliari. Oppure al contrario sfiducia, disfattismo e superficialità negli studi.
Dalla sua prospettiva, come professionista delle risorse umane, sente di poter dare un consiglio?


"Il mio consiglio è di non abbattersi di fronte ad esami che non si superano al primo tentativo o che si superano con voti medio-bassi, né tantomeno di amareggiarsi se il traguardo della laurea si allontana nel tempo.
Non penso che essere bocciati ad un esame, oppure avere una media poco più che sufficiente, piuttosto che laurearsi un paio di anni fuoricorso ci definisca come persone e pregiudichi le nostre possibilità di trovare un lavoro.
L’importante è che a fianco di questi risultati riusciamo a raccontare qualcosa di noi che sia davvero dimostrativa della nostra personalità, come soggiorni all’estero, piuttosto che altre attività extra professionali e/o formative.".