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La programmazione dei Fondi strutturali 2000 - 2006: I "Progetti Integrati Territoriali"

Costruire una riflessione intorno ai PIT impone la necessità di collocarsi in una dimensione particolare, utilizzare categorie che non appartengono a specifici ambiti disciplinari, accettare l’utilizzo di strumenti che provengono da mondi diversi. E ciò proprio per la particolarità dell’oggetto.
Ciò emerge già nella definizione stessa di Progetto Integrato Territoriale. Il Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) definisce i progetti integrati come «un complesso di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra loro, che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio e giustificano un approccio attuativo unitario».
La nozione di Progetto rimanda a quella di pianificazione, programma, idee, pensieri comuni su di una linea comune. Il PIT è dunque un accordo. Un accordo tra chi? Tra attori che agiscono su di un territorio. E siamo alla terza parte della definizione: Territorio. Luogo indefinito, inteso come spazio dell’azione dei soggetti dell’alleanza per creare una nuova forma di integrazione. E siamo alla seconda parte della definizione: Integrazione.
Integrazione di funzioni: per tendere ad un’attuazione più efficace rispetto alle singole misure di settore; integrazione di risorse: per la complementarità necessaria tra fonti differenti di finanziamento; integrazione di “sistemi di attori” e di “reti decisionali”: per favorire la cooperazione intorno ad un problema comune e fra competenze e interessi generalmente separati; integrazione fra politiche: come capacità di portare a sintesi, in un contesto e un orizzonte condivisi, una pluralità di strategie, che originariamente appartengono a settori e a livelli decisionali diversi.
C’era una filosofia di sviluppo intorno a tutto questo? C’era una teoria che fosse, in qualche modo, l’equivalente delle teorie economiche che campeggiano, ad esempio, dietro le politiche monetarie dell’Unione Europea? Apparentemente, no. Intimamente, si. Perché le politiche di sviluppo tendono, in realtà alla realizzazione di un modello, anche se non lo dichiarano apertamente.
Gli elementi che abbiamo trovato ci hanno condotto ad un contesto di riferimento (il post fordismo), ad un paradigma teorico (lo sviluppo locale), ad un idealtipo (il distretto industriale). Partendo dai PIT e grazie ai PIT si potrebbe trovare l’idea e il modello di sviluppo che hanno caratterizzato le politiche dell’Unione Europea in questa nuova fase della programmazione.
L’idea è che il passaggio dal contesto fordista al contesto post-fordista ha condotto alla ricerca di nuovi paradigmi e di nuovi modelli nelle politiche di sviluppo e all’emergenza della dimensione locale.
Si potrebbero così leggere i PIT come una delle molteplici espressioni delle politiche comunitarie di sviluppo regionale. I PIT diverrebbero importanti, non già di per sé, ma in quanto rappresenterebbero una concretizzazione dell’ideale che hanno alle spalle e vale a dire: «I nuovi strumenti della programmazione negoziata, come espressione delle politiche comunitarie di sviluppo regionale, costituiscono l’idea e il modello di crescita che caratterizzano le politiche di sviluppo dell’Unione Europea».
La Tesi può essere, idealmente, divisa in due parti.
Obiettivo della prima, costituita dai capitoli I e II, è costruire la filosofia dello sviluppo che campeggia dietro le politiche dell’UE, analizzare il contesto storico-economico nel quale quelle politiche si collocano, definirne gli elementi essenziali e convogliare l’attenzione sul modello teorico di riferimento per le politiche di sviluppo dell’Unione Europea: sviluppo locale/territorio/risorse/attori.
La seconda parte che si compone dei capitoli III e IV ha come obiettivo l’analisi dei PIT, delle loro origini, degli attuali sviluppi ma purtroppo non ancora dei loro esiti.
L’obiettivo è stato inseguito attraverso la lettura dei principali documenti programmatici, che contengono la strategia e le priorità d'azione dei Fondi Strutturali, vale a dire i documenti che definiscono le azioni da realizzare e che assicurano l'attuazione delle linee di intervento programmate garantendo il coordinamento dell'insieme degli aiuti strutturali comunitari nelle Regioni interessate, prima; attraverso l’analisi del processo di costruzione di un PIT, dopo; e infine con l’analisi di uno studio di caso: quello del PIT pugliese n° 9, il “Salentino –Leccese”.

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1 INTRODUZIONE    Definizione di PIT  Costruire  una  riflessione  intorno  ai  PIT  impone  la  necessità  di  collocarsi  in  una  dimensione  particolare,  utilizzare  categorie  che  non  appartengono  a  specifici  ambiti  disciplinari,  accettare  l’utilizzo  di  strumenti  che  provengono  da  mondi  diversi.  E  ciò  proprio per la particolarità dell’oggetto.  Ciò  emerge  già  nella  definizione  stessa  di  Progetto  Integrato  Territoriale.  Il  Quadro  Comunitario  di  Sostegno 1   (QCS)  definisce  i  progetti  integrati  come  «un  complesso  di  azioni  intersettoriali,  strettamente  coerenti e  collegate  tra  loro,  che  convergono verso un  comune obiettivo di sviluppo del territorio e giustificano un approccio attuativo unitario».  La  nozione  di  Progetto  rimanda  a  quella  di  pianificazione,  programma,  idee,  pensieri  comuni su di una linea comune. Il PIT è dunque un accordo. Un accordo tra chi? Tra attori  che  agiscono  su  di  un  territorio.  E  siamo  alla  terza  parte  della  definizione:  Territorio.  Luogo  indefinito,  inteso come spazio dell’azione dei soggetti dell’alleanza per creare una  nuova forma di integrazione. E siamo alla seconda parte della definizione: Integrazione.  Integrazione  di  funzioni:  per  tendere  ad un’attuazione  più  efficace  rispetto  alle  singole  misure  di  settore;  integrazione  di  risorse:  per  la  complementarità  necessaria  tra  fonti  differenti di  finanziamento;  integrazione di “sistemi di attori” e di “reti decisionali”: per  favorire  la  cooperazione  intorno  ad  un  problema  comune  e  fra  competenze  e  interessi  generalmente separati; integrazione fra politiche: come capacità di portare a sintesi, in un  contesto  e  un  orizzonte  condivisi,  una  pluralità  di  strategie,  che  originariamente  appartengono a settori e a livelli decisionali diversi.  1  Il Quadro Comunitario di Sostegno è il documento che contiene la strategia e le priorità dʹazione dei Fondi  Strutturali in un determinato Stato membro o in una sua regione. Definisce altresì gli obiettivi specifici degli  interventi e la partecipazione finanziaria dei Fondi Strutturali e delle altre risorse finanziarie. Il QCS getta le  basi per  la  stesura dei Programmi Operativi  (PO) ‐ vale  a dire  i documenti  che definiscono  le  azioni da  realizzare e che assicurano lʹattuazione delle linee di intervento programmate ‐ garantendo il coordinamento  dellʹinsieme degli aiuti strutturali comunitari nelle Regioni  interessate dai vari PO. Nella programmazione  2007‐2013  il nuovo accordo  frutto del negoziato  fra  i Governi nazionali e  la  commissione europea avrà  il  nome di Quadro Strategico Nazionale (QSN). 

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Informazioni tesi

  Autore: Eustachio Stefano Tarulli
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Umberto Triulzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 317

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