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Postmodernismo e neoletteratura. Il "morso" dei cannibali

È difficile trovare una definizione precisa che spieghi cosa sia la cultura postmoderna, essendo quest’ultima un fenomeno estremamente eterogeneo.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, si è percepito negli Stati Uniti un mutamento storico e culturale, a discapito del sapere moderno, generato dall’esplosione di fenomeni quali la pop art, la letteratura cult, la poesia beat, fino alla rivoluzione studentesca e al movimento hippie.
L’uscita del saggio "The language of postmodern architecture" (1977) dello storico dell’architettura Charles Jencks, pone l’accento, per la prima volta in modo significativo, sulla corrente di pensiero postmoderna e sul suo ruolo di controparte al movimento moderno.
Si iniziò a delineare un atteggiamento culturale meno rigido, a favore di una rivalutazione del passato e del superfluo come elemento necessario. “Less is more”, frase-manifesto del movimento moderno, veniva capovolta dall’architetto Robert Venturi in “less is a bore”, puntare sul meno è una noia.
I caratteri postmoderni, come la rivisitazione di forme depositate nella storia, sono estendibili a svariati ambiti artistici. Infatti, all’inizio degli anni ’90 si è cominciato a parlare di avvento del postmoderno, oltre che nell’architettura, nell’arte e nella letteratura, nel cinema.
Il cinema postmoderno è un cinema citazionistico e iperrealistico. Il caso cinematografico della prima metà degli anni Novanta, tipico esempio di stile postmoderno, è stato senza dubbio Pulp Fiction, scritto e diretto dal regista statunitense Quentin Tarantino in collaborazione con Roger R. Avary.
Gli anni Novanta hanno assistito anche alla nascita di un rilevante numero di giovani scrittori italiani accompagnati da molteplici etichette come “narrative invaders”, “scrittori dell’eccesso”, “neo-neoavanguardisti”, “cannibali”, “modello Pulp Fiction o Forrest Gump”. I maggiori rappresentanti di questa nuova corrente letteraria sono Niccolò Ammaniti, Aldo Nove e Tiziano Scarpa.

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1 Introduzione È difficile trovare una definizione precisa che spieghi cosa sia la cultura postmoderna, essendo quest’ultima un fenomeno estremamente eterogeneo. A partire dalla metà degli anni Sessanta, si è percepito negli Stati Uniti un mutamento storico e culturale, a discapito del sapere moderno, generato dall’esplosione di fenomeni quali la pop art, la letteratura cult, la poesia beat, fino alla rivoluzione studentesca e al movimento hippie. Il termine postmodernismo, però, inizia a circolare sin dalla fine degli anni Cinquanta, quando due critici, Irwing Howe e Harry Levin, lo utilizzano con accezione negativa; solo un decennio più tardi la sua valenza diventerà positiva. Leslie Aaron Fiedler, uno dei maggiori critici letterari statunitensi del Novecento, ne è talmente entusiasta da dichiarare l’inizio di una “postcultura” e segnala, in Cross the borders. Close the gap (1969), la caduta di ogni differenza tra cultura “elevata” e “popolare”, una complessa giustapposizione di arte d’elite e consumo di massa. L’uscita del saggio The language of postmodern architecture (1977) dello storico dell’architettura Charles Jencks, pone l’accento, per la prima volta in modo significativo, sulla corrente di pensiero postmoderna e sul suo ruolo di controparte al movimento moderno. Il ventesimo secolo vide il concretizzarsi di un’intesa tra i migliori architetti dell’Occidente, ispirata dalle poetiche del funzionalismo-razionalismo. Gropius, Le Corbusier, Mies der Rohe sostenevano soluzioni basate su una tipologia di edifici nudi e schematici, in nome dell’economia costruttiva e delle condizioni igieniche dell’abitare, con il divieto assoluto di motivi ornamentali e di accondiscendenza verso la tradizione. Privilegiavano il cemento a vista rispetto al colore ed escludevano riferimenti alle tipologie del passato quali colonne, archi e timpani; così da avvalorare la tesi dell’architetto austriaco Adolf Loos secondo cui l’ornamento era un delitto. Il movimento moderno in architettura era strettamente connesso ad avanguardie quali il cubismo, il costruttivismo sovietico, il neoplasticismo tedesco di Mondrian e Ritveld; altri fenomeni artistici del periodo , però, si differenziavano notevolmente da questi appena citati. Il futurismo elogiava l’energia e l’elettricità come sue fonti d’ispirazione, il dadaismo celebrava l’intervento del caso e il surrealismo focalizzava l’attenzione sugli aspetti

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Informazioni tesi

  Autore: Matteo Piras
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Massimo Arcangeli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 43

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Parole chiave

aldo nove
letteratura pulp
niccolò ammaniti
postmodernismo
pulp fiction
tiziano scarpa

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