Introduzione 
La scelta della figura del conquistador spagnolo Álvar Núñez Cabeza de Vaca come 
argomento centrale della mia  tesi è riconducibile principalmente a due motivi: 
l'unicità del personaggio storico e gli spunti di riflessione, molti dei quali riguardanti 
problematiche tuttora attuali, suggeriti dalla vita e dalle esperienze vissute da Álvar 
Núñez nel Nuovo Mondo. Ai fini della mia breve ricerca, infatti, mi sono interessato 
soprattutto agli anni che Cabeza de Vaca ha passato nelle Americhe. Sebbene i viaggi 
che lo conducono dal porto di Sanlúcar de Berrameda verso le terre che si trovavano 
dall'altra parte dell'Atlantico siano solo due, sono ben tredici gli anni che il 
conquistador-conquistado trascorre oltreoceano: dal 1528 al 1536 durante la prima 
spedizione alla conquista della Florida e dal 1540 al 1545 durante il fallimentare 
governo nel Río de la Plata. Nato circa due anni prima della scoperta di quel 
continente che assorbirà gran parte della sua vita, Álvar Núñez fin dall'infanzia vive 
in un mondo pulsante di grandi imprese ed avventure: prima il suo antenato Martín 
Alhaja, eroe “per caso” della Reconquista al quale deve il titolo di “Cabeza de 
Vaca”, poi il nonno paterno, Pedro de Vera, sanguinario conquistatore delle isole 
Canarie, animano le fantasie del giovane Álvar Núñez, desideroso di ripetere le 
imprese dei suoi illustri antenati nei territori d'oltremare. Non di secondaria 
importanza è l'ambiente in cui cresce il futuro “Peregrino de la Florida”, ovvero la 
città di Siviglia, descritta in modo molto particolareggiato da Abel Posse nel suo 
romanzo El largo atardecer del caminante, che ho scelto per l'analisi letteraria del 
protagonista, ovvero un anziano Cabeza de Vaca che scrive una terza versione delle 
proprie memorie Americane. La città andalusa è stata il centro nevralgico della 
Spagna della Conquista, presso il suo porto si accalcavano avventurieri alla ricerca 
di favolose ricchezze e di onori che li avrebbero consegnati alla Storia, ma anche 
faccendieri e disperati alla ricerca di una vita migliore nelle Indie. 
Le ristrettezze della famiglia adottiva, Álvar Núñez resta orfano di padre e di madre 
quando è ancora adolescente, e gli obblighi verso l'importante famiglia dei Medina 
Sidonia, i “Reyes de Andalucía”, lo obbligano a rimandare per molto tempo la sua 
partecipazione all'epopea della Conquista, fino alla data cruciale del 1528, anno di 
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inizio della drammatica avventura che lo consegnerà alla storia. Al seguito di Pánfilo 
de Narváez, navigato conquistador caratterizzato dai metodi crudeli e dal totale 
disprezzo per la vita degli indigeni, Álvar Núñez Cabeza de Vaca salpa  alla 
conquista della Florida, regione i cui precedenti tentativi di conquista erano tutti 
naufragati, destino che non risparmierà nemmeno Narváez e i suoi uomini. 
Naufragati presso le coste dell'attuale Texas, Cabeza de Vaca e i suoi compagni si 
ritrovano in balìa di coloro che avrebbero dovuto sottomettere. Dopo un iniziale 
periodo di schiavitù, Álvar Núñez comincia ad integrarsi all'interno del mondo 
indigeno, e nel fare il mercante, induce alla riappacificazione le popolazioni costiere 
e quelle dell'entroterra, perennemente in guerra tra loro. Questo stesso ruolo di 
tramite tra due mondi contrapposti segna il destino di Álvar Núñez, il quale, dopo 
otto anni di permanenza forzata nelle inospitali ed aride terre del Nord America, 
ritrova i propri connazionali nei pressi di Pánuco. La difficile esperienza a contatto 
con i nativi americani fa del conquistatore spagnolo il testimone implicato dello 
scontro-incontro tra i due diversi mondi, i quali per operare un’assimilazione mutua, 
hanno bisogno di conoscersi. Cabeza de Vaca decide quindi di trasformare il 
testimone in narratore e redige una cronaca per ogni esperienza americana: i 
Naufragios: relazione della sfortunata spedizione in Florida e i Comentarios in 
difesa del proprio operato in qualità di Governatore del Río de la Plata. Ciò 
nonostante, Cabeza de Vaca non fa molti riferimenti riguardo alla propria vita 
passata in contatto con i nativi (numerose invece sono le fredde e distaccate 
osservazioni sugli usi e costumi delle varie tribù). Eppure, verso la fine dei 
Naufragios egli si tradisce, poiché dichiara la propria “contaminazione” con il 
mondo indigeno, usando un “nosotros” per indicare se stesso e gli indigeni che lo 
accompagnavano, e un “cristianos” per indicare gli spagnoli, giunti in quelle terre “a 
caccia” di oro e di schiavi. Proprio per questo Álvar Núñez cercherà in tutti i modi di 
proteggere le persone con le quali aveva condiviso otto anni della propria vita.
A questo punto sorge spontanea una domanda: avrebbe fatto lo stesso nel 1528, 
quando si trovava dall'altra parte dello schieramento, ovvero dalla parte degli 
invasori? Dare una risposta certa è impossibile, ma certo è che otto anni trascorsi in 
un altro mondo, totalmente diverso da quello spagnolo, possano aver cambiato il 
tesorero Álvar Núñez. Altri soldati spagnoli durante le guerre contro gli indigeni 
sono finiti nelle mani dei nemici, riuscendo a sopravvivere allo shock dello scontro 
culturale: chi, come Juan Ortiz e Cabeza de Vaca, per poi tornare con i propri 
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connazionali, chi invece come Gonzalo Guerrero che, tatuato e all'apparenza un 
nativo in tutto e per tutto, decide di rimanere all'interno della propria tribù e anzi, 
combatterà contro gli invasori spagnoli. Álvar Núñez, non mutato esteriormente, 
viene descritto dal contemporaneo Juan de Ocampo nella sua opera La Gran Florida 
“Noble, arrogante, los cabellos rubios y los ojos azules y vivos, barba larga y 
crespa”
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, subisce invece un profondo mutamento interiore, dovuto all'incontro-
scontro con l'“altro” avvenuto durante la permanenza tra le varie tribù del Nord 
America, fattore che condizionerà fortemente anche la sua seconda esperienza nel 
Nuovo Mondo, ovvero il fallimento come governatore del Río de la Plata. Infatti, fin 
dall'inizio di questa spedizione l'Adelantado Cabeza de Vaca pretende che vengano 
rispettate le popolazioni locali e inoltre stabilisce da subito contatti con i guaraníes, 
affidandosi a guide indigene per districarsi tra le selve del Paraguay. Giunto ad 
Asunción, soprannominata “Paraíso de Mahoma”, vieta il concubinato delle donne 
indigene, pretende l'applicazione delle Leyes Nuevas e obbliga i coloni a rispettare le 
popolazioni locali. Questi suoi provvedimenti a favore degli indigeni scatenano il 
malcontento tra i coloni che, dopo varie avvisaglie, si ribellano e depongono il 
governatore, che viene rispedito in patria in catene. Questo “conquistador 
conquistato”, una sorta di “inetto” agli occhi dei propri contemporanei, risalta, in 
negativo o in positivo secondo i punti di vista, rispetto agli altri condottieri spagnoli: 
di Narváez non condivide né la crudeltà né la risolutezza e la volontà di conquista, 
mentre è all'opposto di Cortés, protagonista di imprese leggendarie, in termini di 
successo, dal momento che entrambe le sue puntate nelle Americhe, seguite tutte e 
due da relazioni scritte dei drammatici avvenimenti, i Naufragios e i Comentarios, si 
risolvono in disastri. Ma l'aspetto che rende ancora più particolare il conquistador di 
Jerez de la Frontera è la sua volontà, dopo aver conosciuto il mondo indigeno e aver 
condannato negli ultimi capitoli dei Naufragios le violenze e i metodi dei propri 
connazionali, di ritornare in America alla guida di un propria spedizione. Una volta 
tornato in Spagna sollecita in tutti i modi l'assegnazione di un incarico di primo 
piano nella Conquista delle Americhe: scrive i Naufragios, dedicandoli a Carlo V, gli 
sfugge la guida della nuova spedizione verso la Florida, assegnata ad Hernando de 
Soto (che farà la stessa fine dei suoi predecessori Ponce de León e Narváez), ma 
riesce ad aggiudicarsi la carica di Segundo Adelantado del Río de la Plata. Difensore 
1 Enrique de Gandía, De la Torre del Oro a las Indias: Aventuras desconocidas de Álvar Núñez en 
Italia y en España, Buenos Aires, Talleres Gráficos L.J. Rosso, 1945, p. 129.
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degli indigeni ma a capo di un esercito volto alla conquista e alla sottomissione degli 
stessi: cosa lo spinge a imbarcarsi di nuovo in una spedizione che rovinerà il suo 
patrimonio e la sua reputazione? Spirito di evangelizzazione, nei Naufragios e nei 
Comentarios Cabeza de Vaca fa spesso riferimento al dovere di portare il messaggio 
cristiano alle popolazioni delle Americhe, oppure, come si è già detto, volontà di 
perpetuare i fasti della propria famiglia? Da queste sintetiche considerazioni emerge 
la complessità di Cabeza de Vaca, un personaggio che sfugge a definizioni nette.
Ciò che conta comunque è che Cabeza de Vaca abbia messo per iscritto quanto 
accadutogli nei lunghi anni passati nelle Americhe, se per cercare i favori del 
sovrano o per difendersi dalle accuse del Consejo de Indias ha poca importanza: 
dopo quasi cinque secoli possiamo riflettere sulle conseguenze di quell'incontro tra il 
mondo occidentale e il mondo dei nativi americani. Solo recentemente sono emersi 
studi a proposito di quell'evento epocale che è stata la scoperta dell'America e che 
trattano il punto di vista dei vinti, dell'“altro” (il saggio di Tzvetan Todorov “La 
conquista dell'America” è appena del 1982). Ci sono voluti quasi cinquecento anni 
prima che il mondo occidentale cominciasse a fare i conti con le vittime della 
Conquista, mentre ancora non si è trovata una soluzione, come appunto recita il 
sottotitolo dell'opera di Todorov, al problema dell'“altro”. Cabeza de Vaca, suo 
malgrado, nonostante tutte le sue contraddizioni si è trovato tra due mondi in guerra 
tra di essi, ovvero quello spagnolo, controriformistico, che non riconosceva neppure 
lo status  di esseri umani ai nativi americani, e quello indigeno, sotto certi aspetti 
primordiale e diametralmente opposto al primo, senza esserne annientato. Dentro il 
conquistador di Jerez già cinquecento anni fa convivevano questi due mondi che 
ancora oggi sono lontani dall'essersi riappacificati.
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CAPITOLO I
1.1 Álvar Núñez Cabeza de Vaca
Álvar Núñez Cabeza de Vaca (1490? - 1557)
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, figlio di Francisco de Vera e di Teresa 
Cabeza de  Vaca y Zurita, eredita il proprio bizzarro cognome dalla madre, originaria 
di Siviglia. La leggenda vuole che l'origine del cognome risalga al 1212
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, quando 
durante la battaglia di Las Navas de Tolosa, 16 luglio 1212, scontro che determinerà 
l'espulsione degli Almohadi dalla penisola iberica, un pastore di nome Martín Alhaja, 
2 L'indeterminatezza relativa alla data e al luogo di nascita del conquistatore spagnolo si deve al fatto 
che, fino al 1564 non esistevano i registri parrocchiali, introdotti in quello stesso anno da papa Pio IV. 
In virtù di questo fatto non era raro che la gente ignorasse il proprio anno di nascita. Riguardo al luogo 
di nascita la maggior parte degli studiosi propende per Jerez de la Frontera: Maura (Juan Francisco, 
Maura, El gran burlador de América: Álvar Núñez Cabeza de Vaca, Valencia, Colección Parnaseo-
Lemir, 2008), Caba e Gómez-Lucena (Rubén Caba ed Eloísa Gómez-Lucena, La odisea de Cabeza de 
Vaca. Tras los pasos de Álvar Núñez por tierras americanas, Barcelona, Edhasa, 2008), Bishop 
(Morris Bishop, The Odyssey of Cabeza de Vaca, Nueva York e Londres, the Century Co., 1933) e 
infine de Sopranis (Sancho de Sopranis, “Datos para el estudio de Álvar Núñez Cabeza de Vaca”, in 
Revista de Indias, 1947, n° 27), mentre il solo Ferrando ipotizza che la nascita sia avvenuta a Siviglia 
(Álvar Núñez Cabeza de Vaca, Naufragios y Comentarios, Roberto Ferrando [a cura di], Raycar, 
Madrid, 1984). Inoltre, ci sembra interessante segnalare che all'interno della cronaca Naufragios, lo 
stesso Cabeza de Vaca non menzioni il luogo della propria nascita (riferisce solo che la madre era 
nativa di Siviglia), cosa che invece fa per i suoi compagni di sventura sopravvissuti: Alonso del 
Castillo Maldonado di Salamanca, Pablo Dorantes di Béjar, Estebanico di Azamor (cap. XXXVIII).
3 In quel momento gran parte della Spagna  si trova sotto la dominazione musulmana: era ancora 
lontano il fatidico 1492, data piena di significato per la Spagna, anno della scoperta dell'America e 
della presa di Granada, che avrebbe sancito la fine della “Reconquista” (il cui inizio si fa partire 
tradizionalmente dalla vittoria riportata nel 722 dal nobile visigoto Pelayo a Covadogna), che culmina 
il 2 gennaio 1492, quando i  Reyes Católicos, Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona, 
espellono l'ultimo dei governanti moreschi, Boabdil di Granada dalla Penisola, unificando, in questo 
modo, i territori di ciò che a partire da questo momento si configurerà come il regno spagnolo (della 
Navarra, incorporata so1o nel 1512, viene mantenuta solo l'Alta Navarra, lasciando ai francesi la 
Bassa Navarra).
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decide la vittoria del re di Castiglia Alfonso VIII e dei suoi alleati, i re di Navarra e 
di Aragona. Al trovare l'esercito musulmano trincerato in cima a un colle, posizione 
di netto vantaggio rispetto all'esercito cristiano, viene in aiuto del re di Castiglia  un 
“cierto labrador que Dios envió de repente” indicando alle truppe cristiane un passo 
dal quale avrebbero potuto sorprendere l'esercito almohadi
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; a segnalare  il punto 
attraverso il quale attaccare i nemici c'era un teschio di una vacca. In seguito alla 
vittoria il re concede al pastore uno scudo a scacchiera con sei teste di vacca e il 
titolo di “Cabeza de Vaca”.
Anche da parte di padre, Francisco de Vera, Álvar Núñez poteva vantare parentele di 
tutto rispetto: il nonno paterno, Pedro de Vera, si distingue nella conquista delle Isole 
Canarie con i gradi di capitano (la sovranità spagnola sulle isole verrà sancita dal 
trattato di Alcáçovas nel 1479), partecipa alla lotta contro i moriscos di Granada e 
per quasi trent'anni ricopre incarichi amministrativi all'interno del comune di Jerez. 
Nei primi anni del secolo XVI (ca. 1505 - 1506) il futuro conquistador rimane 
orfano di entrambi i genitori, e dal momento che né lui né i suoi fratelli (Fernando, 
María e Juan) hanno raggiunto la maggiore età
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, vengono affidati alla zia materna, 
Beatriz Cabeza de Vaca. Nel 1511, Álvar Núñez partecipa alla campagna d'Italia 
contro l'esercito francese: arruolatosi nelle truppe del capitano Alonso de Carvajal, 
nello stesso anno sbarca a Napoli. Nell'aprile del 1512, stando alla testimonianza di 
Rodrigo de Léon, il giovane Cabeza de Vaca prende parte alla battaglia di Ravenna 
tra Lega Santa –Spagna, Venezia e Stato Pontificio– e Francia agli ordini del 
capitano Bartolomé de la Sierra. Lo scontro lascia sul campo circa 20.000 morti e si 
risolve con una vittoria dei francesi. Nel 1513
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 Álvar Núñez è nuovamente a 
Siviglia, dove entra al servizio di Alonso Pérez de Guzmán
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, quinto duca di Medina 
4  García Carrafa, Enciclopedia Heráldica: Alhaja.
5 Secondo il  secondo il codice alfonsino, in vigore all'epoca, si raggiungeva la maggiore età solo a 
venticinque anni. Cfr. R. Caba ed E.Gómez-Lucena, op. cit., p. 52.
6 Anche riguardo alla permanenza presso l'importante famiglia sivigliana i diversi studiosi si dividono: 
Juan Francisco Maura ritiene che Cabeza de Vaca sia entrato a servizio del duca solo nel 1513, Cfr. 
Juan Francisco Maura, “Prólogo” in Álvar Núñez Cabeza de Vaca, Naufragios, Madrid, Cátedra, (col. 
Letras Hispánicas), 2000, p.15, mentre Juan Gil attesta i suoi rapporti con la casa ducale al 1503, Cfr. 
Juan Gil, “Notas prosopográficas”, in: Suplemento de Anuario de Estudios Americanos, (Sezione 
Historiografía y Bibliografía), 47.1, 1990, p.55.
7 Del duca Alonso Pérez non resta un gran ricordo: affetto da gravi handicap mentali e fisici, ma erede 
di una casa importante come quella dei Medina Sidonia, soprannominati appunto “Los Reyes de 
Andalucía”, una delle prime cui si era rivolto Cristoforo Colombo (Genova, 1451 – Valladolid, 1506) 
per finanziare la sua spedizione verso le Indie, aveva ricevuto in moglie la nipote di Ferdinando il 
Cattolico, Anna di Aragona. Impossibilitato a generare un erede, viene avviata una pratica per 
annullare il matrimonio tra Alonso Pérez e Anna, in modo da permettere l'unione tra quest'ultima e 
Juan Alonso, fratello minore di Alonso Pérez (dalla loro unione nascerà Juan Claro, settimo duca della 
casa di Medina Sidonia). Cfr. R. Caba ed E.Gómez-Lucena, op. cit., pp. 59-64. Negli atti riguardanti 
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