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della singola organizzazione consente di spiegare la sostituzione d’alcune 
forme organizzative e la sopravvivenza di altre, tutte accomunate dalla 
dipendenza di un medesimo ambiente, materiale e sociale. 
Le intense pressioni inerziali a cui sono sottoposte le imprese alberghiere,  
che le vincolano ad un livello oltre che strutturale anche strategico, trovano 
la loro origine sia negli assetti interni che nell’ambiente di riferimento. 
Considerando tali fattori deve essere giustificata l’applicazione al settore 
turistico-alberghiero di un modello ecologico basato sulla teoria della 
selezione dipendente dalla densità che come anticipato,  studia i tassi vitali 
(di nascita e di fallimento) delle popolazione in dipendenza dal numero di 
organizzazioni in esse operanti, dal momento che le condizioni più 
favorevoli all’operare di meccanismi di selezione naturale sulle imprese 
sono condizioni esterne altamente competitive connesse a condizioni 
interne di inerzia strutturale (Grandori 1984). 
Nel modello sviluppato da Hannan e Freeman, le variazioni nella densità 
della popolazione producono effetti sui tassi di nascita e di fallimento delle 
organizzazioni attraverso la dinamica della competizione, i cui effetti sono 
evidenti in modo particolare in condizioni di elevata densità: in un 
contesto ambientale con limitata capacità di sostenimento, la crescita 
numerica delle organizzazioni comporta un aumento della probabilità e 
dell’intensità della competizione per il reperimento delle risorse scarse, 
laddove tale competizione può facilmente essere evitata in un sistema con 
poche organizzazioni. 
Le dinamiche competitive possono svilupparsi in modi diversi: in maniera 
diffusa, tra tutte le organizzazioni di una popolazione o tra un gran numero 
di esse, sia in maniera diretta e localizzata, tra organizzazioni con 
caratteristiche simili e che, quindi, esprimono simili fabbisogni di risorse 
organizzative. In particolare il concetto di competizione localizzata si basa 
sull’ipotesi che imprese con caratteristiche organizzative e strategiche 
simili sviluppino tra loro una competizione più intensa per la comune 
dipendenza dallo stesso ambiente materiale e sociale. Deriva, quindi una 
teoria che, partendo dalla teoria della selezione dipendente dalla densità, 
propone un ulteriore sviluppo, indagando gli effetti che le variazioni nella 
densità di sottopopolazione omogenee hanno sui tassi di nascita e di 
fallimento delle imprese attraverso le dinamiche della competizione 
localizzata. L’oggetto di analisi sarà focalizzato, nella seconda fase del 
lavoro, sul campo delle relazioni tra le dinamiche ambientali e le 
dinamiche interne alla singola organizzazione, con  specifico riferimento ai 
 6
suoi processi di crescita e di trasformazione nel tempo. In particolare, 
l’attenzione sarà rivolta alle imprese sopravvissute per l’intero periodo 
storico preso in esame, cioè compreso tra il 1950  e il 2003, le quali 
avendo più di mezzo secolo di vita, presentano il prerequisito della 
longevità (De Geus, 1997- Bruni, 1997). 
Cercherò, inoltre di paragonare quella che è la realtà turistico alberghiera 
della Val Badia con quello che è il bacino delle Terme euganee. Partendo 
da alcuni punti fermi, che ho deciso di considerare come indicatori della 
mia ricerca e di ciò che voglio dimostrare, tenterò di riportare dati che mi 
diano la possibilità di arrivare a delle conclusioni che non solo vadano 
bene per l’Alto Adige, ma che siano generalizzabili e applicabili ad ogni 
contesto alberghiero con caratteristiche similari e che, quindi, possa essere 
definito come una popolazione organizzativa.  
 
 
 
 7
 
INTRODUZIONE 
 
 
 
 
1-La selezione e l’adattamento secondo Charles Darwin. 
 
 
La visione ultradattamentista stabilisce che il mondo esterno pone certi 
problemi che gli organismo devono risolvere e che l’evoluzione mediante 
selezione naturale è il meccanismo che crea queste soluzioni via via 
sempre migliori rispetto al problema: il risultato finale è la condizione di 
essere adattato. Questo gli obiettivi del darwinismo:               
      -   dimostrare il dato di fatto dell’evoluzione; 
  -  promuovere la teoria della selezione naturale come il meccanismo    
più importante  dell’evoluzione; 
 
Per quanto riguarda il primo obiettivo, Darwin  ha trionfato sul 
creazionismo americano di estrema destra anche se già ai suoi tempi il 
darwinismo era adesione  alla teoria darwiniana dell’evoluzione. Intorno  
al 1860, darwinismo significava  soprattutto rifiuto della creazione  
speciale e ammissione della non-costanza  della specie e teoria della 
discendenza comune dalla scimmia, oltre all’inclusione dell’uomo nel 
regno animale. 
Quando a quell’ epoca qualcuno attaccava il darwinismo, quindi, lo faceva 
soprattutto per difendere il creazionismo e la teologia naturale. 
Darwin ribadì la sua decisa opposizione  alla creazione speciale come 
possibile spiegazione dei fenomeni. Difendeva, invece, un’interpretazione 
materialistica cioè naturale della diversità del mondo vivente e della sua 
storia: tutti i fenomeni per cui la spiegazione si era invocata la creazione  
speciale, potevano essere spiegati più razionalmente con la sua teoria della 
discendenza comune esposta nella: “ ORIGINE DELLA SPECIE”.  
Oggi l’evoluzione, come dato di fatto, è ampiamente accettata e nella 
scienza non esiste un’altra conclusione che offra evidenze più convincenti. 
Darwin è, quindi riuscito a raggiungere quello che è il suo secondo scopo: 
“La selezione naturale è senz’altro una causa primaria dell’evoluzione”,  
come conferma la teoria e dimostrano innumerevoli esperimenti,  ma la 
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selezione naturale oggi è radicata nella concezione di tutti come causa 
onnipresente e realmente unica ed esclusiva dell’evoluzione . 
All’interno del suo saggio, L’origine della specie Darwin scrive: “Poiché 
in tempi recenti,  le mie conclusioni sono state molto travisate e si è 
dichiarato che io attribuisco la modificazione della specie esclusivamente 
alla selezione naturale, mi sia concesso rimarcare che nella prima edizione 
di questa opera, e nelle successive, ho posto nella posizione più 
appariscente le seguenti parole: sono convinto che la selezione naturale è 
stata la causa principale ma non l’unica delle modificazioni.”   
Darwin amava la sua teoria della selezione naturale, ma ne comprendeva i 
limiti, sapeva infatti che gli ampi e complessi fenomeni evolutivi non si 
possono attribuire ad un ‘unica causa. 
Alla domanda che cos’è il darwinismo? Non si può dare una risposta 
univoca, infatti il termine ha continuato a cambiare significato dal 1859 ad 
oggi e certamente raggruppa persone con credo ideologico diverso  tra 
loro, comunque dopo il 1859, cioè durante la prima rivoluzione 
darwiniana,  darwinismo significava soprattutto la spiegazione del mondo 
vivente mediante causa naturale, mentre durante e dopo la sintesi 
evoluzionistica è diventato equivalente a cambiamento adattivo mediante 
selezione naturale. 
  
 1.1  IL DARWINISMO SOCIALE 
 
Le teorie evolutive si sono meritate una cattiva fama alla fine del secolo 
scorso. La teoria di Darwin dell’evoluzione per mezzo della selezione 
naturale veniva, infatti, evocata per giustificare la disuguaglianza e le 
opportunità ineguali che caratterizzavano il capitalismo industriale, questo 
punto di vista, chiamato per l’appunto darwinismo sociale, ricorreva 
all’immagine spenceriana, ripresa da Darwin, della sopravvivenza degli 
esseri più adatti  allo scopo, sosteneva che gli individui che si adoperavano 
per salire ai vertici della gerarchia del potere e del privilegio vi riuscivano 
in quanto erano i  più adatti. L’errore più vistoso sta nell’equiparazione 
dell’adeguatezza alla virtù sociale. Questo argomento sbaglia nel trarre le 
conseguenze. Nulla nella struttura degli argomenti evolutivi sostiene 
l’asserzione secondo la quale le forme che proliferano sono quelle meglio 
adattate in senso ingegneristico.    In nessun senso l’utilizzo di una logica 
selettiva implica che questo sia il migliore dei mondi possibili o che le 
organizzazioni che hanno avuto successo in un certo periodo meritino, in 
 9
qualche modo, il loro successo. I modelli della selezione mettono in rilievo 
l’importanza della casualità del successo.  Hannan e Freeman non 
sostengono le teorie del darwinismo sociale  e tanto meno non ritengono 
sensato concepire il cambiamento organizzativo in termini di progresso.  
 
 
 
1.2  L’IPEREFFICIENZA  
 
In economia esiste una lunga tradizione di pensiero che assume, che i 
processi di selezione riferiti alle aziende  operanti in mercati competitivi, 
danno forma al comportamento delle aziende (Friedman-1953). 
Friedman sostiene l’utilità di descrivere il comportamento delle aziende 
come  quello di ottimizzatori razionali e questo perché i processi di 
selezione favoriscono  sistematicamente le aziende  che si comportano in 
questo modo. Le imprese che non riescono a massimizzare il proprio 
profitto saranno destinate a sparire  perché incapaci di competere. Si 
asserisce, in altri termini, che i processi di selezione favoriscono 
l’efficienza e che risultano  decisivi nel creare una situazione in cui le 
popolazioni esistenti sono,  per lo più, formate da organizzazioni efficienti. 
Questa concezione, che permette agli analisti di evitare di analizzare le 
situazioni che sfuggono alle condizioni di razionalità e ottimizzazione, è 
fortemente criticata (Nelson e Winter 1982), (Hannan-Freeman). Questi 
ultimi sostengono che i processi selettivi sono multidimensionali e 
l’efficienza in ambito produttivo e commerciale  costituisce solamente una 
delle dimensioni. In molte circostanze, ai fini della sopravvivenza,i legami 
politici si rivelano più importanti dell’efficienza. Esistono testimonianze 
che ci dicono che molti imprenditori che hanno creato aziende in anni 
recenti spesso programmano di venderle in pochi anni. Le competenze e 
l’efficienza delle piccole aziende vengono perdute nel momento in cui 
vengono assorbite da aziende più grandi.  
 
 10
1.3  IL GRADUALISMO 
 
L’analisi darwiniana è stata caratterizzata, fino a tempi molto recenti, da 
una consistente tendenza verso il gradualismo. Questa tendenza ha trovato   
espressione nell’opposizione tra cambiamento evolutivo e cambiamento 
rivoluzionario: mentre il primo è concepito come graduale e continuo, il 
secondo viene visto come impetuoso ed occasionale. 
Darwin respinse tutte le concezioni  dell’evoluzione biologica basata su 
una mutazione catastrofica, radicata nella tua teoria evolutiva moderna. 
Secondo Darwin, il cambiamento evolutivo non si rileva graduale e 
continuo nemmeno stando ai casi meglio documentati. Esso si presenta 
episodico, con un carattere  di differenziazione radicale nell’arco di periodi 
geologici brevi. Gould ed Eldbridge (1977)  e altri ricercatori hanno 
asserito che il cambiamento evolutivo assume la forma di una serie di 
equilibri puntuali, in cui la maggior parte della storia evolutiva si 
caratterizza per bassi livelli di cambiamento, mentre fanno eccezione brevi 
periodi generativi, durante i quali si verificano rapidi processi di creazione 
di nuove specie e un grande aumento della varietà. Questi autori 
sostengono inoltre che i periodi generativi sono dovuti a combinazioni di 
circostanze ambientali che aprono nuove nicchie dentro le quali possono 
irradiarsi forme nuove di vita. (Esponenti della teoria dell’equilibrio 
puntuale). La nozione di equilibri puntuali appare appropriata per lo 
studio del cambiamento sociale, comprendendo in  questo il mutamento 
organizzativo. Infatti, la nota tesi di Stinchcombe (1965) , secondo la quale 
le organizzazioni conservano tracce delle condizioni sociopolitiche del 
momento della  loro fondazione è chiaramente accostabile alla visione 
basata sulla nozione di periodo generativo: “le forme organizzative 
nascono in genere rapidamente in un arco temporale relativamente breve, 
mentre crescono e mutano lentamente dopo quel periodo”.  
 
 
 11
 1.4  IL DETERMINISMO 
 
La domanda alla quale si cercherà di rispondere in questo paragrafo sarà: 
quale è  l’utilità della singola organizzazione?  Le organizzazioni sono 
costituite da relazioni sociali tra le persone, le quali hanno propri desideri, 
ambizioni e timori. L’analisi sociologica spesso omette di considerare le 
conseguenze che dipendono da tali caratteristiche e insiste nello spiegare 
come le influenze che trascendono gli individui vincolano la scelta 
individuale e come la struttura organizzativa si pone come un sistema di 
incentivi e vincoli per i membri. Si può, allora, facilmente comprendere 
che le azioni individuali hanno un loro rilievo per le organizzazioni, ma 
esse concernono più le sottounità nelle quali operano che non 
l’organizzazione nel suo complesso. Allo stesso modo le azioni individuali 
hanno più  rilievo per l’organizzazione che per la popolazione di 
organizzazioni. 
I dibattiti sulla rilevanza di individui o dirigenti particolari nel dar forma al 
mondo delle organizzazioni di solito si arenano nelle discussioni sul ruolo 
della liberà volontà e del determinismo nel comportamento sociale. 
L’errore più ricorrente sta nel fatto di confrontare il determinismo con il 
volontarismo anziché col probabilismo. Il determinismo caratterizza 
qualunque teoria sociologica  delle organizzazioni e non solo quella 
ecologica. Nella misura in cui la struttura sociale vincola la scelta, i suoi 
effetti sono deterministici. 
Tuttavia le teorie, i modelli e le analisi utilizzate e sostenute dai nostri 
autori non sono di tipo deterministico ma piuttosto di tipo probabilistico. 
L’approccio ecologico tratta i processi di cambiamento come contingenti. 
 
 
 
 
 
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CAPITOLO I° 
 
                                                                 
             
 
                          
1-  I CONFINI DI FORME E DI POPOLAZIONI ORGANIZZATIVE 
 
Nei modelli di studio utilizzati nel corso della mia ricerca le popolazioni di 
organizzazioni  vengono considerate come attori sociali. La strategia 
teorica e di ricerca dipende da una serie di assunti. 
Il primo assunto è che le popolazioni possono essere definite in maniera 
tale da avere un carattere unitario, il che significa che i membri della 
popolazione si trovano in una posizione comune rispetto ai processi che 
riguardano gli interessi. Il tipo più importante di carattere unitario è la 
dipendenza comune dall’ambiente materiale e sociale.  
Una popolazioni di organizzazioni ha un carattere unitario se i suoi 
membri sono influenzati in modo simile da cambiamenti nell’ambiente e in 
altre popolazioni. Di conseguenza le analisi riguardanti le popolazioni 
organizzative devono considerare solamente organizzazioni con 
dipendenze ambientali di fatto molto simili.  
Le popolazioni devono essere definite a priori, ricorrendo ad informazioni 
concernenti le caratteristiche delle organizzazioni o la localizzazione dei 
confini sociali e questo prima di raccogliere e valutare dati relativi a 
possibili effetti ambientali. 
Il secondo assunto sarà, quindi, che le popolazioni di organizzazioni 
possono essere identificate in modo pregnante sulla base di informazioni 
riguardanti le strutture delle organizzazioni e i confini sociali.  
Le convenzionali mappe cognitive del mondo sociale, come formulate dal 
linguaggio, producono una serie di nette distinzioni tra le forme 
organizzative. 
Il fatto che molte ricerche siano impostate su distinzioni convenzionali tra 
forme organizzative, indica che i sociologi assumono in maniera esplicita 
che queste distinzioni rispecchino differenze basilari. Ma non tutte le 
ricerche ricorrono a classificazioni convenzionali: molte si avvalgono della 
nozione più astratta di forma. 
Il fatto che gente comune e scienziati sociali utilizzino un numero esiguo 
di tipi o forme organizzative quando raffigurano il mondo organizzativo 
non significa che questo mondo è realmente discontinuo.   
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Può darsi, infatti, che queste differenze dipendano da categorizzazioni 
arbitrarie apportate alla funzione di distribuzione delle caratteristiche 
organizzative la quale, di per sé, non presenta caratteristiche di continuità.