Introduzione 
 
Nel primo capitolo viene analizzata la trama della short story ed 
evidenziato lo stretto legame tra l’autore ed i suoi protagonisti. Molta critica ha 
infatti considerato Amy Foster, una delle opere conradiane meno conosciute, come 
l’elaborato più autobiografico dello scrittore.   
Il racconto di un naufrago approdato in Inghilterra, a seguito di una bufera 
che ha scaraventato una nave partita dal porto di Amburgo alla volta dell’America 
sulle coste del Kent, è stato più volte definito dalla critica una narrazione 
autobiografica, non solo a causa delle affinità tra le difficoltà d’inserimento 
incontrate sia dall’autore che dal suo personaggio sulla terra britannica, ma anche 
per delle reali coincidenze topografiche e cronologiche. Il villaggio in cui il 
racconto è ambientato, Colebrook, vicino a Brenzett, è situato proprio dove viveva 
Conrad nel momento in cui scrisse la storia: in quel periodo abitava infatti a 
Winchelsea, nel Kent, a poche miglia da Colebrook. Inoltre il personaggio 
maschile, individuato dalla maggior parte della critica come un alter ego dello 
scrittore, proviene dall’Est dei Carpazi, che includono una parte dell’odierna 
Polonia e dell’Ucraina, regione in cui nacque lo scrittore. Nel 1906, poi, a soli tre 
anni dalla pubblicazione del volume Typhoon and Other Stories, nacque il 
secondogenito dell’autore chiamato John, proprio come il figlio del suo 
protagonista.  
 Oltre a queste coincidenze di carattere puramente biografico, ne ritroviamo 
altre di diversa natura se analizziamo le fonti del racconto. Al tempo in cui visse 
Conrad, i naufragi erano abbastanza frequenti. Le cronache del 1875 narrano 
dell’affondamento della Deutchland, una nave di emigranti, schiantatasi sulle 
coste del Kent, che causò la morte di circa un terzo dei passeggeri; da questo 
 II
Introduzione 
 
                                                
episodio Ford Madox Ford avrebbe tratto la fonte per il suo racconto  The 
Cinque Ports (al quale, secondo lo scrittore, Conrad si sarebbe ispirato per Amy 
Foster). Altri importanti naufragi tuttavia erano noti all’autore: nel 1878 ad 
esempio, sulla Princess Alice (una nave passeggeri), morirono circa seicento 
persone a causa di una collisione e, qualche tempo dopo, nel 1896, l’Elbe, in rotta 
verso New York da Brema, naufragò vicino a Norfolk, causando la morte di 
trecentotrentaquattro persone. Probabilmente anche questi due episodi di cronaca 
dovevano aver colpito Conrad che li tenne ben a mente quando si accinse a 
scrivere Amy Foster. Nel racconto, la nave Herzogin Sophia Dorothea (Herzogin 
in tedesco significa “duchessa”) partita da Amburgo, naufraga sulle coste del 
Kent, lasciando un solo sopravvissuto.
3
 
 La stesura dell’opera non impegnò a lungo Conrad, e fu accompagnata da 
alcune contraddizioni. Se infatti da un lato l’autore, in una lettera alla signora 
Wells, rimproverò se stesso per aver voluto esagerare scrivendo “I can’t help 
thinking that I have tried to make too much of a simple anedocte”, dall’altro era 
contento del risultato per cui scrisse al suo agente Pinker: “It is accomplished! I 
am afraid it is just over 9000 [words]. But the subject is big too.”
4
Poche ma drammatiche pagine, dunque a rappresentare i grandi temi che 
hanno accompagnato tutta la carriera artistica del nostro scrittore: solitudine, 
alterità, la ricerca di un ambiente familiare, la perdita e la conseguente ricerca 
delle proprie radici, il matrimonio, il suo rapporto con le donne, un legame forte 
 
3
 Nico Israel, Outlandish. Writing between Exile and Diaspora, Stanford, California, Stanford 
University Press, 2000, pp. 29-30. 
4
 Frederick R. Karl and Laurence Davies (eds.), The Collected Letters of Joseph Conrad, Vol. 2, 
Cambridge, Cambridge University Press, 1983-2002, pp. 391-392. 
III
Introduzione 
 
ed ambiguo col narratore e con il suo protagonista – rigorosamente maschi 
sebbene il titolo si riferisca ad un personaggio femminile. 
 
 Nonostante la presenza di fattori che legano la storia breve a fatti di 
cronaca e biografici, il racconto appare interessante anche perché presenta un 
“mondo familiare” (quello del villaggio di Colebrook con le sue strutture ben 
chiuse e definite, ma anche, in generale, quello degli inglesi) attraverso gli occhi 
dello straniero. Sebbene la critica di Rose Marangoly George in The Politics of 
Home pubblicato nel 1996, parlando di altre opere dello scrittore, affermi che le 
sue storie “are familiar domestic tales set in alien territories”, qui mi sembra 
invece avvalorata la tesi sostenuta da un altro critico nello stesso anno, Richard 
Ruppel: egli sostiene che siamo in presenza di un racconto dell’estraneità 
ambientato sul suolo domestico, quello britannico.
5
 L’assetto tipico del racconto 
coloniale è ribaltato all’interno dell’opera, e il colonizzatore straniero viene a 
conquistare l’Inghilterra alla ricerca dell’ “oro vero”. Tuttavia, anche se la 
problematica imperialista – affrontata solo in maniera implicita – sembra 
rovesciata, il fatto stesso che in Amy Foster  gli indigeni siano rappresentati come 
esseri meschini, crudeli ed ignoranti, conferma gli stereotipi della narrativa 
coloniale in cui quelli che vengono generalmente definiti natives, sono considerati 
selvaggi e crudeli (come ad esempio in Heart of Darkness che è valsa all’autore 
l’appellativo di bloody racist da parte di Chinua Achebe).
6
  
                                                 
5
 Ruppel, R.; “Yanko Goorall in the Hearth of Darkness: “Amy Foster” as Colonialist Text”, in 
Conradiana 28.2 (summer 1996), pp. 126-32. 
6
 Chinua Achebe, “An Image of Africa: Racism in Conrad’s Heart of Darkness” in Robert 
Kimbrough (ed.), Joseph Conrad, Heart of Darkness: An Authoritative Text, Backgrounds and 
Sources, Criticism, New York and London, W. W. Norton & Company; 3rd edition, October 1987, 
pp. 251-261. 
 IV
Introduzione 
 
                                                
 
 Agli inizi del diciannovesimo secolo si assisteva a grandi ed irreversibili 
cambiamenti della società che condussero all’idealizzazione del concetto di “casa” 
e della sua estensione nazionale, non a caso espressa in inglese con lo stesso 
termine, home. Così come suggerito anche da Frances Armstrong in Dickens and 
the Concept of Home, questo  sentimentalismo derivava dal rifiuto di esaminare 
troppo da vicino quello che la “casa”, e cioè l’Impero, stava diventando.
7
 
Espandendosi, portando i suoi “figli” lontano da casa, l’impresa coloniale li 
metteva di fronte all’Altro, e nell’incontro essi cessavano di sentirsi al sicuro. 
Inoltre il quadro domestico veniva rappresentato in quasi tutti i romanzi vittoriani 
con l’esclusione o la repressione dei fattori distruttivi. Documento più rilevante 
dell’idealizzazione del concetto di casa, dell’amore e della donna, lo ritroviamo in 
“Of Queen’s Gardens” di Ruskin. In questo testo, che fa parte della raccolta 
Sesame and Lilies, egli elabora il concetto dell’ideologia vittoriana di casa come:  
 
the place of Peace; the shelter not only from all injury, but from all 
terror, doubt and division. In so far as it is not this, it is not home; so far 
as the anxieties of the outer world penetrate into it, and the 
inconsistently-minded, unknown, unloved, or hostile society of the 
outer world is allowed by either husband or wife to cross the threshold, 
it ceases to be home; it then becomes only a part of the outer world 
which you have roofed over, and lighted fire in. But so far as it is a 
sacred place, a vestal temple, a temple of the hearth watched over by 
Household Gods… so far as it is this… so far it vindicates the name, 
and fulfils the praise, of Home.
8
 
Non solo 
 
7
 Frances Armstrong, Dickens and the Concept of Home, Ann Arbor, Michigan: University of 
Michigan Research Press, 1990. 
8
 John Ruskin, “Of Queen’s Garden”, Sesame and Lilies, New York, Silver Burdett and Co., 1900, 
p. 84, cit. in Rose Marangoly George, Politics of Home, Berkley, Los Angeles and London, 
University of California Press, 1996, p.71. 
V
Introduzione 
 
Sia fatti storici che una realtà sociale in fieri mettevano dunque in discussione 
tutta la cultura domestica: centrale – nella narrativa conradiana e non – diviene 
l’incontro tra il familiare ed il domestico, che avrebbe più tardi analizzato Freud 
nel Das Unheimlich del 1919.
9
Con la conferenza di Berlino del 1884, che divise l’intero continente 
africano tra le varie potenze europee, il mondo ricevette un assetto diverso e 
l’uomo bianco si “caricò” di nuove responsabilità. Il viaggio verso la colonia 
divenne l’alternativa alla madrepatria. Conrad visse la sua carriera di scrittore 
esattamente in questo periodo, e la sua opera è emblematica. D’altronde,  
 
taking him to the farthest corners of the earth, Conrad’s nautical career 
introduced him to countless others who, like himself, were uprooted or 
unrooted; he was repeatedly forced to discover within himself 
resources and capacities that would have lain dormant if he had 
remained at home, or what passed for home.
10
 
 
Polacco, esiliato in Russia con il padre e la madre, plurilingue, gentiluomo, 
marinaio, capitano, scrittore, Altro; la sua vita in giro per il mondo fu influenzata 
da due grandi imperi, quello russo e quello britannico. “Soggetto coloniale” 
dell’impero russo, egli divenne parte attiva dell’imperialismo britannico quando 
nel 1889 condusse la Roi des Belges su per il fiume Congo.
11
Straniero, senza casa (nonostante egli vivesse stabilmente in Inghilterra 
negli ultimi trent’anni della sua vita, non ne acquistò mai una) orfano di padre e di 
madre, di patria e di lingua, egli scelse come sua dimora il mare e la scrittura.  
                                                 
9
 Freud, S.; Il perturbante, Roma, Teoria, 1990. 
10
 Geoffrey Galt Harpham “Beyond Mastery” in Carola M. Kaplan, Peter Lancelot Mallios, 
Andrea White (eds.), Conrad in the Twenty-First century. Contemporary Approaches and 
Perspectives, New York and London, Routledge, 2005, p. 18. 
11
 Probabilmente le sensazioni provate da Yanko all’interno del racconto sono proprio ispirate ai 
sentimenti che l’autore dovette provare allorché approdò in Congo, e non tanto in Inghilterra o in 
Francia. E forse anche il racconto del viaggio del protagonista è ispirato al viaggio che compì lo 
stesso autore quando prese il treno che lo avrebbe portato a Marsiglia e poi in nave. 
 VI
Introduzione 
 
                                                
Nel primo, poteva considerarsi al di fuori di qualsiasi confine nazionale e 
nella seconda, in un mondo astratto e libero, “he was both compulsively 
replicating his initial experience of dispossession and loss, and seeking  to turn 
that experience to good account, to turn it into a profession, an identity, a life”.
12
 
Egli fu tuttavia sempre straniero anche a bordo delle navi che tanto amava: i suoi 
compagni lo chiamavano scherzosamente “il conte russo” a causa del suo modo di 
vestire ed anche perché era effettivamente un aristocratico. E forse egli stesso, che 
tanto ammirava l’Inghilterra, avendola probabilmente idealizzata attraverso la 
letteratura, sembrava rendersi perfettamente conto di non essere “uno di loro”. Ad 
un amico polacco espatriato egli scrisse infatti: 
Both at sea and on land my point of view is English, from which the 
conclusion should not be drawn that I have become an Englishman. 
That is not the case. Homo duplex has in my case more than one 
meaning. You will understand me. I shall not dwell upon that subject.
13
 
 
La sua dichiarazione sembra qui richiamare quanto ha dichiarato Bhabha in Of 
Mimicry and Man: “He is the effect of a flawed colonial mimesis, in which to be 
Anglicized, is emphatically not to be English” […] “almost the same but not 
quite, almost the same but not white”.
14
 Sebbene egli abbia vissuto con gli inglesi 
almeno negli ultimi anni della sua vita, non sarà mai uno di loro fino in fondo e 
somiglierà piuttosto ad uno dei mimic men di Naipaul.
15
 Letta in questi termini 
anche la storia di Yanko ripete quella dello scrittore: in cerca di ospitalità e di casa 
sulla terra inglese, è percepito come nemico e come minaccia; outsider come il 
suo creatore, cerca di “conquistare” il suo spazio, la sua casa e tenta 
 
12
 Geoffrey Galt Harpham, “Beyond Mastery” in Carola M. Kaplan, Peter Lancelot Mallios, 
Andrea White (eds.), Op. Cit., p. 18. 
13
 Cit. in Ian Watt, Conrad in the Nineteenth Century, Berkeley, Los Angeles, University of 
California Press, 1979,  p. 24. 
14
 Homi Bhabha, The Location of Culture, London & New York, Routledge, 1994, pp. 87 e 89. 
15
 Vidiadhar S. Naipaul, The Mimic Men, London Penguin, 1997. 
VII
Introduzione 
 
disperatamente di farsi accettare. Apprenderà la lingua – grazie anche agli sforzi 
del suo amico medico – e le donne del villaggio tenteranno di convertirlo alla loro 
religione. Ma questo non sarà sufficiente; i suoi tratti altri, il suo accento altro, la 
sua agilità, ricorderanno sempre al resto degli abitanti del villaggio che è un 
estraneo, e la sua alterità sarà ancora più inquietante quanto più egli tenterà di 
imitarli provando ad inserirsi nella società, lavorando, e contaminandola con la 
nascita di un figlio.  
 
Alterità ed estraneità dello straniero saranno i temi affrontati nel secondo 
capitolo di questo lavoro. 
 
Lo straniero ancora una volta diventa una presenza inquietante da 
combattere. È senz’altro una figura ambigua, rappresentante della propria e della 
nostra estraneità, come teorizzato non solo da Julia Kristeva in anni recenti, ma 
come era già ben chiaro nell’epoca classica a greci e latini.  
In quanto ospite e straniero della nazione e della lingua inglese, Joseph 
Conrad si inserisce non solo come uno dei più grandi autori della “Great English 
Tradition” con il quale è doveroso confrontarsi, ma diventa anche il pioniere di 
quella che viene chiamata “letteratura globale” in lingua inglese.  La narrativa 
conradiana infatti ha fornito “a non-western understanding of the west”, come 
afferma Rose Marangoly George e, “in this arena, literary precedents and 
successors do not necessarily “borrow” only from those earlier practitioners 
whose political stance they mean to mimic or keep alive”.
16
  
                                                 
16
 Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 89. 
 VIII
Introduzione 
 
                                                
Per questo motivo l’opera conradiana è straordinariamente attuale 
e Conrad  
 
does serve as a «strategic fault line» – but a fault line that has since 
served for the outsiders as an entrance into the literary institution of the 
«English Literature». There is also the issue of Conrad’s bilingualism 
that makes his work of special interest to non-western writers.
17
  
 
 
Nel suo maneggiare la lingua inglese con maestria, il nostro autore mostra sempre 
le tracce sottili della sua “estraneità” che risulta essere un pregio e non un difetto. 
Egli si è fatto interprete di tutti i grandi temi dell’ideologia inglese – genere, 
razza, impero, efficienza ed ordine sociale, e questa partecipazione attiva alla 
letteratura “occidentale” ci permette di inserirlo a pieno titolo tra i grandi nomi 
della tradizione inglese. Ma, sebbene egli sia stato introdotto nella categoria 
letteraria del modernismo, e Perry Anderson parli di lui come di uno dei tanti 
“white emigrés” che agli inizi del Novecento arrivarono in Inghilterra, Conrad 
rifugge da qualsiasi categorizzazione.
18
 Egli può essere allora definito come “the 
first of many colonial subjects – irrespective of color – who, rather than perform 
as “foreign practitioners” in English culture, will instead make English culture, 
and especially its literature, seem foreign”.
19
  
Ad ogni modo se in Amy Foster sono presenti tutti gli elementi che 
permettono di definire il racconto come postcoloniale – dislocazione linguistica, 
esilio, pregiudizi e marginalità nell’incontro interculturale
20
 – esso non può essere 
considerato tale né per provenienza geografica né per collocazione storica.  
 
17
 Idem, p. 90. 
18
 Perry Anderson, “Components of the National Culture”, New Left Review 50 (luglio/agosto 
1968), pp. 3-58, cit. in Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 223, nota 3. 
19
 Rose Marangoly George, Op. Cit., p. 90. 
20
 Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, and Helen Tiffin, The Empire Writes Back. Theory and Practice 
in Postcolonial Literatures, (New Accents), 2° ed., USA e Canada, Routledge 2002.  
IX
Introduzione 
 
 
Lo spazio di oscurità occupato nel nostro racconto dal villaggio di 
Colebrook, è occupato comunque anche da Amy.  
Al silenzio dei numerosi personaggi maschili della narrativa conradiana 
sottolineato da Terry Eagleton va infatti aggiunto anche quello dei personaggi 
femminili tra i quali la nostra “co-protagonista”
21
 Il suo silenzio opposto alla 
narrazione del dottor Kennedy è 
 
… ‘a stronger force than the flickers of Kennedy’s understanding… a 
silence of devouring inertness and a region of darkness that swallows 
up all impression’. The ‘black hole’ of Amy’s silence is thus one pole 
of the story’s absorption with language, and with the interrelations 
between acquisition of language and the acquisition of social and 
cultural identity. The absorption is understandable, given Conrad’s own 
‘journey through many tongues’ and his final adoption of, if not 
adaptation into, an English home.
22
 
 
Questione imperialista quindi, ma anche questione di genere. Amy sebbene non 
sia la protagonista, è colei che innescherà l’amore (di Yanko), l’odio (in Kennedy) 
e la tragedia finale, ed anche colei che porterà in grembo il frutto della 
contaminazione. 
 
Centrale nell’opera di Conrad resta comunque l’estraneità. Come ricorda 
Rose Marangoly George, “the overwhelming problematic that this fiction 
constantly returns to is that of finding home and of being hailed as «one of us»”
23
, 
e questo appare chiaro sia per Conrad che per Yanko: approdati su di una terra 
straniera, l’uno e l’altro scaraventati lontano dalla loro terra nativa per motivi 
                                                 
21
 Rose Marangoly George, Op. cit, p. 68-69. 
22
 Myrtle Hooper, “‘Oh, I Hope He Won’t Talk’: Narrative and Silence in ‘Amy Foster.’” in The 
Conradian, 21.2, 1996, p. 52. 
23
 Rose Marangoly George, Op.Cit., p. 67. 
 X
Introduzione 
 
                                                
sociali (seppur di diversa natura), perseguono lo scopo di trovare una 
«casa» ed essere accettati dalla comunità ospitante o, più precisamente, di divenire 
parte di questa.  
Intrappolato in questo modo tra la sua natura e la volontà di essere parte di una 
casa “altrui”, Yanko “has no way out, no means to free himself from the 
suffocating cage of exile. Conrad is not in a hurry to help his protagonist; instead 
he is placing the problem of his own exile onto the shoulders of his 
countryman”.
24
  
 
Veicolo supremo per l’accettazione, uno strumento scordato – la lingua. Il 
terzo capitolo tratterà appunto del rapporto dello scrittore con l’idioma, illustrando  
il tema centrale della tesi: la lingua “matrigna”. L’inglese si presenta nei confronti 
dell’autore  come la madre adottiva nei confronti di un orfano sia di “casa” che di 
madrelingua. Lingua ibrida per eccellenza, l’inglese ha adottato lo scrittore. 
Orfano infatti per ben tre volte, ed altrettante volte adottato, Conrad è divenuto 
suo figlio prediletto. “L’adozione” (termine usato dallo scrittore) fu un mezzo per 
esprimere sia la sua lotta per domare la lingua aliena sia per trovare la sua identità. 
E questo perché sia l’adozione che l’identificazione seguono gli stessi principi: 
assumere, imitare l’identità altrui; l’assunzione di un modo diverso di essere.  
 
Tuttavia Yanko, semplice montanaro, non riesce a domare l’idioma ed è 
destinato a morire.  
 
24
 A.Z. Milbauer, “Trascending Exile. Conrad, Nabokov, I.B. Singer”, Miami, University Press of 
Florida, 1985, p. 16, cit. in Maria Teresa Chialant ““Amy Foster” di Joseph Conrad. Variazioni sul 
tema dello straniero”, Anglistica AION, XXXIX, 3 (1996), p. 31. 
XI
Introduzione 
 
Tale destino non è comune a quello del suo autore, il quale sfugge a questa 
sorte trovando ad un equilibrio tra l’assimilazione e la fedeltà alle origini.  
Grazie alla letteratura, Conrad  “learns how to resist the claims of the past 
and remain free from the temptation to become «one of them»”
25
. Attraverso i 
suoi personaggi egli si salva. 
 
Nonostante l’adozione, Conrad non riuscirà mai ad appropriarsi in maniera 
definitiva e completa della lingua. Pur accogliendo gli “orfani” come lui, essa, 
come ricorda un filosofo contemporaneo scomparso solo poco tempo fa, Derrida, 
non può appartenere, e nessuno può dominarla e conquistarla completamente.  
 
 D’altronde la scrittura stessa, che vive nella e della solitudine di cui 
Conrad parla in A Personal Record, è già una lingua “altra” perché diversa da 
quella “naturale”. E la situazione in cui Yanko vive, l’incomprensione della 
lingua, la sua esclusione, rimandano alla condizione dello scrittore pur sempre 
estraneo alla lingua inglese, che pur plasma con tanta abilità. 
 
 L’ultima parte della tesi è dedicata ad un’altra forma di scrittura e cioè 
quella cinematografica. Il testo conradiano ripreso e riscritto dalla penna di Tim 
Willocks, appare a tratti una rivendicazione al femminile della regista Beeban 
Kidron sul ruolo riservato dall’autore del racconto alla protagonista femminile. 
Dopo aver illustrato la trama del film nella sinossi, vengono analizzate le 
differenze tra la storia raccontata da Conrad e la sua versione filmica. In 
appendice invece, verranno presentate le schede tecniche del film, della regista e 
degli attori principali. 
                                                 
25
 Idem, p. 61. 
 XII
  
 
Figura 1 - Torre di Babele 
 
 
“Allora tutta la terra aveva un medesimo linguaggio e usava le stesse parole. Or, 
avvenne che, emigrando dall’oriente, trovarono una pianura nella regione del 
Sennaar e vi abitarono. E dissero gli uni agli altri: «Su, fabbrichiamo dei mattoni e 
cociamoli al fuoco». E si servirono di mattoni invece che di pietre e di bitume in 
luogo di calce. E dissero: «Orsù, edifichiamoci una città e una torre con la cima al 
cielo. Fabbrichiamoci così un segno di unione, altrimenti saremo dispersi sulla 
faccia della terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre, che i figli degli 
uomini costruivano e disse: «Ecco, essi sono un popolo solo e hanno tutti un 
medesimo linguaggio: questo è il principio delle loro imprese. Niente ormai 
impedirà di condurre a termine tutto quello che verrà loro in mente di fare. Orsù 
dunque, scendiamo e proprio lì confondiamo il loro linguaggio, in modo che non 
s’intendano più gli uni con gli altri». Così il Signore di là disperse sulla faccia di 
tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città, alla quale fu dato perciò il 
nome di Babele, perché ivi il Signore aveva confuso il linguaggio di tutta la terra e 
di là aveva dispersi pel mondo intero.” 
 
       
   - Genesi, 11, 1-9 
 1
Amy Foster 
 
1 Amy Foster di Joseph Conrad 
 
 
1.1 Amy Foster 
 
 Loneliness, darkness, the necessity of writing, imprisonment: these are 
the pressures upon the writer as he writes. 
 
                                              -       Edward W. Said, The World, the Text and the Critic 
 
 
Amy Foster, scritto da Conrad tra il 25 maggio ed il 16 giugno del 1901 – 
periodo in cui frequentava spesso l’amico Ford Madox Ford – apparve a puntate 
in Illustrated London News tra il 14 e il 28 dicembre di quell’anno, e venne 
pubblicato da Heinemann nel 1903 nella raccolta in volume Typhoon and Other 
Stories.
26
L’idea originale del racconto fu rivendicata da Ford Madox Ford il quale 
sostenne che fosse una rivisitazione di un suo lavoro che faceva parte di The 
Cinque Ports: a Historical and Descriptive Record (Blackwood 1900), nel quale 
narrava le vicende di un tedesco naufrago sulle coste del Kent.
27
 Tale ipotesi è 
però contestata dalla moglie dello scrittore, Jessie: l’episodio, qui di seguito 
riportato, e da lei narrato nei Personal Recollections of Joseph Conrad e ripreso in 
Joseph Conrad as I Knew Him, sarebbe stato appunto l’ispirazione per Amy 
                                                 
26
 Come possiamo leggere nel saggio di Gail Fraser, “Conrad’s Revisions to “Amy Foster””, 
apparso in Conradiana, 20.3 del 1988, l’autore scrisse il racconto “entirely out of doors”. Conrad 
apportò numerose correzioni al testo passando dal manoscritto alla versione che fu portata alla 
stampa in volume nel 1903. Gail Fraser ci dice che furono ben 1100 i sostantivi sostituiti, la 
maggior parte dei quali riguardavano le sensazioni di Yanko Goorall. Le revisioni che portarono il 
manoscritto alla versione apparsa in Illustrated London News furono ben 700, senza contare quelle 
che riguardavano le correzioni grafiche e di punteggiatura. 
27
 Owen Knowles & Gene M. Moore, Oxford Reader’s Companion to Conrad, USA, Oxford 
University Press, 2000, p. 11. 
 2
1. amy foster di joseph conrad 
Foster. Durante il loro viaggio di nozze – ricorda la donna – Joseph, in preda ad 
un attacco di febbre, iniziò a delirare in polacco, spaventandola moltissimo.
28
  
 
For a whole long week the fever run high, and for most of the time 
Conrad was delirious. To see him lying in the white canopied bed, 
dark-faced, with gleaming teeth and shining eyes, was sufficiently 
alarming, but to hear him muttering to himself in a strange tongue (he 
must have been speaking Polish), to be unable to penetrate the clouded 
mind or catch one intelligible word, was for a young inexperienced 
girl truly awful.
29
 
La moglie dello scrittore rivendicò più volte l’originalità del racconto del marito, 
ed anzi, come appare chiaro in un articolo un po’ datato ma molto interessante di 
Richard Herndon, probabilmente la vicenda del personaggio principale, rispecchia 
le reali condizioni dello scrittore al tempo in cui si trovava sulle rive del Congo: 
quando si ammalò di malaria egli fu infatti evitato sia dai bianchi sia dagli 
indigeni.
30
 Tale esperienza aveva talmente colpito Conrad che comunicò ad 
Edward Garnett, uno dei suoi più cari amici, il suo dispiacere per non aver inserito 
l’episodio in Heart of Darkness.  
 
The effect of the written narrative was no less bomber than the spoken, 
and the end was more consummate; but I regretted the omission of 
various scenes, one of which described the hero lying sick to death in a 
native hut, tended by an old negress who brought him water from day 
to day, when he had been abandoned by all the Belgians. ‘She saved 
my life’, Conrad said, ‘the white men never came near me’.
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Al contrario di quello che si potrebbe pensare, protagonista del racconto non è 
l’eroina eponima, Amy Foster, bensì il naufrago Yanko Goorall ed in effetti lo 
                                                 
28
 Jessie Conrad; “Personal Recollections of Joseph Conrad”, London, privately printed, 1924, pp. 
25-26 cit. in Maria Teresa Chialant, Op. Cit., pag. 3, nota 7. 
29
 Jessie Conrad, “Joseph Conrad as I Knew Him”,  Garden City, NY, Doubleday, London, 
Heinemann, 1926, p. 35 in H. J. Stape, The Cambridge Companion to Joseph Conrad, Cambridge, 
Cambridge University Press, (1996), 2004, p.2. 
30
 Richard Herndon, “The Genesis of Conrad’s Amy Foster”, in Studies in Philology, 57.3, (1960), 
pp. 549-566. 
31
 Edward Garnett (ed.), “Introduction” alle “Letters from Joseph Conrad”, 1895-1924, 
Indianapolis, Bobbs-Merrill, 1928, p. 14 cit. in Richard Herndon, Op. cit., p. 558. 
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