3	
  
Introduzione 
 
 
DÉJANIRE. Alors ma décision est prise: s’il vient à succomber, je mourrai moi 
aussi, en même temps que lui. Vivre en femme décriée est intolérable pour qui 
met un point d’honneur à rester irréprochable
1
. 
 
ANTIGONE. Moi je l’enterrerai. Qu’il sera beau, dès lors, pour moi de mourir, 
de reposer près de lui, chère à qui m’est cher, en criminelle par piété. Ne me 
faut-il plaire plus longtemps à ceux d’en bas qu’à ceux d’ici, puisque c’est à 
tout jamais là-bas que je dois reposer
2
? 
 
ÉLECTRE. Et si quelqu’un dans ce palais s’en trouve incommodé, eh bien 
alors, qu’il me tue! Ce sera pour moi un bienfait que l’on me tue, quand vivre 
ne serait pour moi que chagrin. De soif de vivre, je n’ai plus
3
. 
 
Con questo lavoro si è cercato di fornire un’analisi completa dello spettacolo «Des 
Femmes» del regista libanese Wajdi Mouawad, rappresentato all’interno della 
sessantacinquesima edizione del Festival d’Avignon, nel luglio 2011. 
Lo spettacolo comprende la messa di scena di tre tragedie di Sofocle aventi per 
protagonista tre personaggi femminili, tre donne dal carattere forte ed emblematico, 
molto diverse tra loro ma capaci di assumersi totalmente la responsabilità delle 
proprie azioni, fino ad essere pronte ad accettare la morte come unica soluzione 
decisiva: Déjanire ne Les Trachiniennes, Antigone ed Électre. 
Questo spettacolo è il primo di un ciclo, composto di tre parti, il cui obiettivo è 
quello di rappresentare tutte le tragedie sofoclee giunte fino a noi, sulla base di una 
distinzione tematica: il primo è appunto dedicato alle donne, Des Femmes, mentre il 
secondo sarà incentrato sugli eroi, Des Héros, ed il terzo infine sui morenti, Des 
Mourants. 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
1
 Sophocle, Les Trachiniennes, traduction de Robert Davreu, Actes Sud – Papiers, 2011, p. 
26. 
2
 Sophocle, Antigone, traduction de Robert Davreu, Actes Sud – Papiers, 2011, p. 7. 
3
 Sophocle, Électre, traduction de Robert Davreu, Actes Sud – Papiers, 2011, p. 25.
  4	
  
Nel primo capitolo di questo lavoro è stato fornito uno schema per l’analisi 
approfondita di uno spettacolo teatrale, una sorta di introduzione sugli elementi 
costitutivi della rappresentazione: a partire dal testo preso in considerazione, del 
quale vengono sottolineati in particolare gli aspetti spaziali e temporali, per poi 
concentrare l’attenzione sulle dinamiche attorali, concludendo infine sul ruolo 
fondamentale dello spettatore. 
Nel secondo capitolo invece sono state introdotte delle precisazioni per quanto 
riguarda il «Projet Sophocle», ossia il grande progetto di mettere in scena tutte le 
tragedie di Sofocle portato avanti dal regista Mouawad. Sono state quindi fornite 
maggiori informazioni per quanto riguarda il genere tragico e in particolare per la 
produzione di Sofocle; è stata poi esplicitata la biografia del regista, con tutta la sua 
attività artistica, e quella del traduttore delle tragedie, Robert Davreu. Una sezione 
ulteriore è stata dedicata all’esplicitazione del progetto artistico del Festival 
d’Avignon, cornice suggestiva all’interno della quale lo spettacolo è stato 
rappresentato. Infine sono stati comunicati tutti i dati tecnici riguardanti la messa in 
scena, dai nomi degli interpreti alle date e ai luoghi di rappresentazione, per 
concludere con alcuni accenni alla polemica che ha circondato lo spettacolo a 
proposito della presenza del cantante-attore Bertrand Cantat sul palco del Festival. 
Nei successivi capitoli – terzo, quarto e quinto – sono state dunque analizzate 
le tre tragedie appartenenti a questo ciclo: Les Trachiniennes, Antigone e Électre , 
partendo da una loro analisi drammaturgica che ne ha analizzato la struttura e le 
componenti spaziali, temporali, uditive e visive, e che poi è proseguita con 
l’individuazione dei temi portanti del dramma e delle dinamiche esistenti tra i 
personaggi, attraverso l’analisi la loro interiorità ed evidenziando i rapporti che 
intercorrono tra di essi. 
Inoltre si possono trovare allegati in appendice una serie di documenti che 
testimoniano da una parte il processo di creazione dello spettacolo, attraverso alcune 
interviste rivolte al regista Mouawad, dall’altra invece le reazioni della critica, 
rilevate in diversi articoli pubblicati sulle maggiori testate giornalistiche francesi.
  5	
  
I 
 
L’analisi dello spettacolo teatrale 
 
 
1. Introduzione – Il teatro 
Il teatro è una attività artistica che esiste da migliaia di anni: il termine deriva dal 
greco theatron ed indica lo spazio destinato alla rappresentazione. In origine il 
momento dedicato allo spettacolo teatrale era strettamente connesso al rito
4
: un rito 
religioso, connesso alle divinità mitologiche e ai riti propiziatori dell’antichità; ma 
anche un rito politico, strettamente connesso allo sviluppo della democrazia ateniese 
del V secolo avanti Cristo; diverso il discorso del teatro moderno, dove invece si 
parla di rito sociale, legato alle istanze della borghesia, nato a partire dal 
Cinquecento e sviluppatosi sino ai giorni nostri. 
 Da qui risulta evidente la dipendenza che sussiste tra la pratica teatrale e la 
ritualità: è proprio grazie a questa connessione che il teatro si trova a rappresentare 
una vera e propria «azione sacra formalizzata e ripetitiva, costruita sulla stretta 
congiunzione di azione/gestualità e parola/mito, ossia una performance totale volta 
alla realizzazione del mito»
5
. In questo senso l’azione rituale è in grado di 
coinvolgere l’uomo nella sua interezza, andando a toccare le corde più profonde del 
suo cuore. 
 Lo spettatore dunque deve avere la consapevolezza di assistere ad una 
finzione, anche se nello stesso tempo deve essere pronto ad accettarla e a giocare con 
essa: il solo modo che egli ha per cogliere la verità profonda sottesa alla 
rappresentazione è proprio quello di accettare il patto comunicativo che l’attore, con 
la sua interpretazione, gli propone: 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
4
 C. Bernardi – C. Susa, Storia essenziale del teatro, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 11-
36. 
5
 C. Bernardi – C. Susa, Storia essenziale del teatro, p. 13.
  6	
  
 
La finzione teatrale si distingue radicalmente da qualsiasi altro atto di creazione 
estetica, in quanto solo essa, per realizzarsi, sceglie di percorrere la stessa strada 
su cui s’ingegna di camminare la menzogna più banale: sostituire, alla pesante e 
complessa oggettività del reale, una pseudo-realtà che abbia tutto il peso e tutta 
la complessità di un vero apparente
6
. 
 
Da qui si possono facilmente intuire le motivazioni che hanno da sempre portato il 
teatro ha rappresentare una delle modalità privilegiate dall’uomo per avvicinarsi alla 
scoperta della sua interiorità e per approfondire il suo rapporto con il mondo 
circostante. 
 
2. Gli elementi costitutivi dello spettacolo teatrale
7
 
Uno spettacolo teatrale è una costruzione complessa: esso è difatti composto da 
numerosi elementi, che pur essendo tutti differenti tra loro, concorrono nell’insieme 
a dare unità alla rappresentazione. Solo attraverso la scomposizione di tutti i fattori 
che lo formano è possibile giungere ad una sua analisi completa: a partire dalle 
dinamiche del testo, alle quali sono intrecciate le componenti spaziale e temporale; 
importante poi è calcolare il peso specifico proprio dell’attore chiamato a interpretare 
il testo, del quale egli è un elemento fondamentale, insieme alla figura dello 
spettatore: ed è proprio sulla relazione tra l’attore ed il pubblico che è possibile 
individuare l’essenza del teatro. 
 
2.1. Il testo  
Alla fine del Novecento l’analisi di Sisto Dalla Palma
8
 mette in evidenza l’esistenza 
di diverse culture teatrali dominanti: una drammaturgia grafocentrica, legata alla 
matrice delle scritture letterarie, nella quale il testo si costituisce autonomamente 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
6
 R. Alonge – R. Tessari, Lo spettacolo teatrale. Dal testo alla messinscena, LED, Milano 
1996, p. 12. 
7
 A. Cascetta – L. Peja, Ingresso a teatro. Guida all’analisi della drammaturgia, Le Lettere, 
Firenze 2003. 
8
 S. Dalla Palma, La scena dei mutamenti, Vita e Pensiero, Milano 2001.
  7	
  
come progetto d’azione; una drammaturgia scenocentrica, radicata più direttamente 
alle scritture della scena, che si pone come obiettivo quello di creare un testo come 
scrittura scenica a partire da un tipo di scrittura preteatrale e paraletteraria, costituita 
da un deposito di canovacci, riassunti, adattamenti e riduzioni; ed infine una 
drammaturgia eccentrica o parateatrale sorta ai confini del sistema e diversificata al 
suo interno in diverse aree: pedagogica, del disagio, rituale e legata alla 
drammaturgia festiva.  
In base al differente retroterra storico-culturale è possibile poi riconoscere 
diversi modelli di scrittura, «che si distinguono per la diversa concezione dei rapporti 
autore-attore-spettatore, degli statuti professionali e non professionali diversamente 
orientati, per le implicazioni artistiche o genericamente comunicative, per la banda di 
oscillazione tra prodotto e processo, tra forma chiusa e forma aperta entro cui si 
muovono»
9
. 
Il testo creato per la rappresentazione teatrale può essere meglio definito come 
un testo performativo, all’interno del quale confluiscono segni appartenenti al 
linguaggio verbale, costituito dall’insieme di battute e di didascalie; con la 
drammaturgia del Novecento ci si è però resi conto che «la parte verbale può essere 
l’esito di una scrittura seconda, condotta a partire da materiali drammatici ma anche 
appartenenti ad altri generi di scrittura letteraria»
10
: la voce, la musica, i rumori, la 
stessa luce, tutto concorre a creare la grande unità del testo drammaturgico. 
Il testo inoltre intreccia spazio, tempo, attore e persino spettatore: tutti elementi 
necessari e non neutrali, che contribuiscono a creare una «poesia per i sensi»
11
, come 
Antonin Artaud (1896-1948) amava definire il teatro; una poesia all’interno della 
quale tutti i sensi sono coinvolti. 
 
 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
9
 S. Dalla Palma, La scena dei mutamenti, p. 139. 
10
 A. Cascetta – L. Peja, Ingresso a teatro. Guida all’analisi della drammaturgia, p. 56. 
11
 A. Artaud, Le Théâtre et son double, in Oeuvres Complètes , t. IV, Éditions Gallimard, 
Paris 1984, pp. 11-171.
  8	
  
2.2. Lo spazio 
Lo spazio può essere inteso come luogo teatrale, fisicamente esistente, coincidente 
con uno dei luoghi tradizionali di rappresentazione, come la classica sala teatrale 
all’italiana, i cui elementi sono comuni in tutti i teatri europei a partire dal 
Settecento
12
: è cioè in genere caratterizzata da una platea allungata a U, in pendenza, 
con posti a sedere per il pubblico meno abbiente; da ordini sovrapposti di palchi 
indipendenti; da un prospetto scenico architettonico; dalla scena mutevole; dal piano 
scenico in declivio; da strutture fisse per quinte e da fondali atti alla scenografia 
prospettica; e infine dalla presenza del sipario. 
Nel Novecento invece abbiamo la nascita della cosiddetta «drammaturgia dello 
spazio», con la quale qualsiasi luogo diventa teatrale in funzione dell’evento che vi 
ha luogo. Con questa nuova concezione ogni location in cui viene rappresentato uno 
spettacolo assume una funzione e un’importanza fondamentali, in quanto esso «ne 
determina una precomprensione, recando inevitabilmente con sé una convenzione 
culturale»
13
. 
Lo spazio teatrale più prettamente inteso è lo spazio scenico, quello cioè in cui 
agiscono gli attori e da cui gli spettatori normalmente sono esclusi. Il punto di vista 
dello spettatore può mutare: possiamo avere una scena frontale, come nel classico 
teatro all’italiana o come nella scena elisabettiana, rispettivamente incorniciato da 
un arcoscenico o “aperta” e aggettante nella sala; una scena centrale, come nel 
“teatro-arena”; o infine una scena anulare, ossia con lo spettatore posto al centro e 
circondato tutt’intorno dalla scena. Ma si può addirittura assistere all’eliminazione di 
uno spazio scenico separato dallo spazio degli spettatori, come negli happening, che 
realizzano appieno la relazione attore-spettatore su cui il teatro stesso si fonda, 
portando il pubblico ad una fruizione diretta e partecipata. 
Elementi costitutivi di questo spazio sono la scenografia - ossia la scienza e 
l’arte dell’organizzazione della scena e dello spazio teatrale; e gli oggetti scenici, sia 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
12
 Evoluzione della sala rinascimentale, poi andata modificandosi con l’avvento del teatro 
barocco; C. Bernardi – C. Susa, Storia essenziale del teatro, pp. 217-226. 
13
 A. Cascetta – L. Peja, Ingresso a teatro. Guida all’analisi della drammaturgia, p. 70.
  9	
  
materiali - cioè facenti parte della scenografia; che accessori - nel senso di oggetti 
manipolati dagli attori nel corso della rappresentazione: la presenza di entrambi è 
facoltativa ed è in genere regolata da una scelta registica ben precisa. 
Infine abbiamo il cosiddetto spazio rappresentato, strettamente legato all’opera 
che si è scelto di mettere in scena: possiamo di conseguenza avere uno spazio fisico, 
mentale oppure metaforico, che attraverso la messa in scena della situazione 
personale di un personaggio rivela anche e soprattutto alcuni degli aspetti più 
profondi e universali della condizione umana. Questo tipo di spazio può fare 
riferimento ad un passato mitico, del sogno o del racconto; ma possiamo anche avere 
una vera e propria scenografia verbale, creata dalle parole e dai gesti stessi degli 
attori, che partecipa alla sua creazione. Infatti questo spazio è il risultato della 
performance, ed esiste solamente nella percezione dello spettatore. 
 
2.3. Il tempo 
Anche per quanto riguarda il tempo constatiamo all’interno del testo drammatico la 
presenza di diverse componenti: la presenza di un tempo esterno o del contesto, in 
genere legato alla categoria del festivo, che ha da sempre associato l’idea di teatralità 
a quella del rito: a partire dall’occasione delle feste di Dioniso per la tragedia antica, 
passando per quella delle feste di corte per la tragedia erudita cinquecentesca, 
arrivando alle occasioni festive del collegio per il teatro educativo della grande 
tradizione gesuitica, ed alla festa cortigiana e profana per il testo d’occasione. 
Abbiamo poi il tempo dell’enunciazione o tempo interno, che varia 
enormemente in base all’opera presa in considerazione; il tempo rappresentato, 
tradizionalmente legato alla convenzione dell’unità di tempo dettata dalla Poetica 
aristotelica
14
, oggi invece sempre più distaccato da un impianto realistico della 
rappresentazione; e il tempo delle prove e della prova di sé, che consiste in un tempo 
di formazione e di autoformazione personale rivolto alla crescita personale del 
singolo attore. Quest’ultimo è un tempo che viene spesso trascurato, soprattutto nella 
contemporaneità, per la necessità di rispondere a delle logiche di mercato basate 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
14
Aristotele, Poetica, Laterza, Roma-Bari 1998, cap. 5, vv. 10-15.
  10	
  
appunto sulla rapidità e sull’innovazione; in realtà questo tempo è fondamentale per 
poter arrivare ad avere un prodotto di qualità, all’interno del quale l’attore sia riuscito 
ad impossessarsi pienamente del suo ruolo e di ciò che deve rappresentare, e che è in 
grado di raggiungere un livello alto solo grazie al tempo personale che è riuscito a 
dedicarvi. 
 
2.4. L’attore 
Come si è potuto evincere dal discorso legato alla temporalità, l’attore si trova al 
centro della rappresentazione teatrale: esso ne è il nucleo. La sua più grande 
difficoltà, ma che è anche ciò che ne costituisce il più grande fascino, è da 
rintracciare nel “materiale” che egli utilizza per il proprio “lavoro”: difatti l’attore 
opera direttamente sull’essere umano, in tutte le sue manifestazioni mentali, fisiche, 
emotive. Un “materiale” caratterizzato dunque da costante instabilità e 
contraddizione. 
Esistono diverse tecniche di recitazione, basate su differenti concezioni 
dell’arte attoriale; i due poli principali, ma opposti, sono costituiti dalle pedagogie di 
Stanislavskij
15
 (1863-1938) e di Gordon Craig
16
 (1872-1966): da un lato abbiamo 
l’attore capace di immedesimarsi con tutto se stesso nella vita scenica di un 
personaggio, il vero e proprio interprete di una parte-personaggio; mentre dall’altro 
abbiamo l’attore super-marionetta, capace di padroneggiare e di manovrare ogni 
componente del proprio io in modo da renderla un docile strumento di apparenze, di 
dinamismi e di eventi scenici non finalizzati a fingere né personaggi convenzionali 
né verosimili rapporti tra personaggi. 
Entro questi poli estremi, ma in una sua posizione autonoma, troviamo il 
grande attore per antonomasia: «Il prodotto del grande attore è memorabile, ma non 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
15
 K.S. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore sul personaggio, a cura di F. Malcovati, Laterza, 
Roma-Bari 1999. 
16
 E.G. Craig, Il mio teatro: l’arte del teatro. Per un nuovo teatro. Scena, a cura di F. 
Marotti, Feltrinelli, Milano 1971 (ed. orig.: E.G. Craig, On the Art of the Theatre, Theatre 
Arts Books, New York 1957).
  11	
  
unicamente per l’oltranza dell’immedesimazione e per la forza dell’interpretazione 
psicologica del personaggio, sibbene anche per una “tessitura cosciente e precisa di 
fili diversi” in cui consiste appunto la poesia dell’attore ottocentesco»
17
. È un vero e 
proprio autonomo poeta, la cui poesia scenica è interamente affidata alla potenza 
delle sue interpretazioni vocali e gestuali. 
Abbiamo poi una quarta dimensione dell’attorialità, quella che Grotowski
18
 
(1933-1999) ha identificato nell’immagine dell’attore santo: colui che «compie un 
atto di autopenetrazione, di offerta di ciò che in lui è più intimo, che si vuole tenere 
celato, di ciò che procura dolore, di ciò che non è per gli occhi del mondo»
19
. E lo 
compie per realizzare un teatro inteso non a evocare maschere, ma a lacerare le 
sembianze di comodo dietro le quali l’uomo quotidianamente si nasconde. 
Un altro aspetto fondamentale è la dimensione visiva degli eventi teatrali: 
difatti il codice iconico-scenografico di una messa in scena, costituito cioè da tutti gli 
elementi scenografici, luministici, costumistici e accessori che la compongono, è 
strettamente connesso agli attori che le danno vita; e oltre a questi elementi visivi, 
l’attore si trova a dover comporre attentamente anche la struttura del suo corpo, 
attraverso quello che possiamo definire il codice prossemico, composto dalla mimica 
– movimenti ed espressioni facciali – sempre riferito in rapporto alla distanza e alla 
posizione reciproca degli attori; e il codice cinesico-gestuale, composto appunto da 
tutti quei movimenti volontari e controllati del corpo messi in atto dall’attore. 
All’interno della dinamica della gestualità possiamo quindi distinguere tra gesti 
pratici, legati alla quotidianità; gesti comunicativi, al servizio delle funzioni 
comunicative della parola; e gesti simbolici, che traducono un oggetto o un concetto 
in una sintesi simbologica. 
 
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  
17
 R. Alonge, Teatro e spettacolo nel secondo Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 31-
33. 
18
 J. Grotowski, Per un teatro povero, M. Bulzoni, Roma 1970. 
19
 E. Barba, Il teatro di Jerzy Grotowski, “Sipario”, n. 232-233, agosto-settembre 1965, p. 
51.