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Introduzione 
 
 
Quando si parla di migranti, spesso si fa riferimento, ad una condizione sospesa, incerta, 
ad un essere tra due storie, due società, tra diverse forme di culture, questo essere “tra” 
non preclude necessariamente la possibilità di essere “con”, di sentirsi parte di una 
storia comunitaria maggiormente allargata, anche se questo è un compito non semplice 
(Gozzoli, Reglia, 2005.) 
La migrazione è un evento stressante nella vita degli individui che richiede il massimo 
impegno di energie psicofisiche e morali. 
Al fine di comprendere in maniera adeguata i fenomeni connessi alla migrazione, è 
necessario focalizzare l’attenzione sulla dimensione familiare, in quanto non si può 
considerare l’immigrato come soggetto che gestisce in maniera indipendente il suo 
percorso migratorio. Si guarderà al familiare in quanto termine di riferimento per la 
comprensione del progetto migratorio e dell’identità del migrante.  
In particolare ci si focalizzerà sull’esperienza dell’immigrazione nella cosi detta, 
seconda generazione di immigrati, al fine di delinearne le modalità di costruzione 
dell’identità in rapporto alla famiglia. 
Nel primo capitolo si descriveranno gli aspetti generali della migrazione, in particolar 
modo verrà delineata la migrazione come un percorso familiare al fine di enfatizzare la 
necessità di trattare il tema dello straniero e dell’incontro tra culture, guardando al suo 
mondo relazionale che può costituire risorsa o vincolo per l’impresa migratoria. Nel 
secondo paragrafo si farà riferimento agli orientamenti collettivista e individualista al 
fine di presentare l’organizzazione delle famiglie sulla base delle appartenenze culturali, 
nel terzo paragrafo verranno presentate le diverse tipologie di processi migratori, nel 
quarto verranno spiegate le motivazioni che portano gli individui a prendere la decisione 
di migrare, nel quinto ci si soffermerà sulle difficoltà fondamentali con cui le famiglie 
migranti si scontrano all’arrivo nel nuovo contesto di vita: la casa, il lavoro e la lingua. 
Negli ultimi due paragrafi si delineerà un profilo degli immigrati di prima e seconda 
generazione presenti in Italia e in Sardegna analizzando le principali aree di provenienza 
e di ripartizione territoriale. 
Nel secondo capitolo ci si soffermerà maggiormente sull’esperienza dell’immigrazione 
nelle seconde generazioni.
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Si analizzerà inizialmente in termini generici, poi piø specifici il tema della costruzione 
dell’identità della famiglia, con particolare riferimento alle ripercussioni 
dell’immigrazione sulla vita familiare e dopo aver descritto chi sono i figli 
dell’immigrazione e quali sono i compiti che devono affrontare, si analizzeranno i 
modelli di integrazione e sviluppo dell’identità. L’ultimo paragrafo andrà a sottolineare 
l’importanza della scuola come nodale veicolo di diffusione dell’integrazione e 
dell’intercultura non solo per i ragazzi ma anche per il coinvolgimento riflesso delle 
famiglie. 
Nel terzo capitolo verrà presentato il lavoro di ricerca svolto su cinquantacinque 
soggetti immigrati di seconda generazione e trentanove soggetti coetanei autoctoni, 
reperiti in provincia di Cagliari, tra febbraio e marzo 2010. In particolare si analizzerà il 
complesso processo di costruzione dell’identità familiare e personale nella seconda 
generazione di immigrati in Italia e si valuteranno eventuali differenze nel campione di 
autoctoni, attraverso una serie di analisi correlative elaborate attraverso il software 
SPSS v. 13. 0.
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Capitolo 1 
Famiglie e migrazione 
 
 
1.1. La migrazione come percorso familiare 
Il concetto di “famiglia immigrata”, pur essendo di ampio utilizzo, necessita di alcune 
chiarificazioni a livello semantico e terminologico (Portera, 2004). Definire la famiglia 
migrante è un compito complesso innanzitutto perchØ l’idea di “famiglia” rimanda a 
qualcosa di molto variegato (Gozzoli &Regalia, 2005; Portera, 2004). Secondo Gozzoli 
e Regalia (p. 81) per famiglia si intende il significato e l’immagine interna che ogni 
individuo ha della propria, mentre secondo Portera (p. 66) è necessario tener conto non 
solo del passaggio dalla famiglia estesa a quella nucleare, ma anche della presenza di 
nuove forme familiari. Per questi motivi in ambito europeo si tende maggiormente a 
parlare di “costellazione di famiglie”. 
In secondo luogo, se per immigrazione dal punto di vista giuridico si intende l’ingresso 
in uno stato nazionale di cittadini appartenenti ad altri Stati (Portera, 2005), l’idea di 
famiglia in migrazione mette in gioco: la nazionalità dei suoi membri al momento della 
nascita, la nazionalità acquisita dopo la partenza, la data di partenza, il permesso di 
soggiorno. In alcune circostanze i membri della famiglia migrano insieme, in altre si 
trovano divisi in piø luoghi di residenza (Gozzoli & Regalia, 2005).  
Al di là delle possibili definizioni, ciò che risulta caratterizzare le famiglie immigrate, è 
“[…] il riferimento a storie di composizione (personali, intergenerazionali, collettive) 
entro cui gli ancoraggi al prima e al dopo danno vita ad un intreccio tra diversità e 
somiglianza, tra vecchie e nuove appartenenze; un percorso che rimodella 
continuamente l’identità e organizza via via il senso dell’esistenza” (Gozzoli & Regalia, 
2005, p. 81). 
Siamo quindi di fronte a realtà familiari articolate (Tognetti Bordogna, 2004).  
Le ricerche nazionali e internazionali di Dumon, (1993); Cesareo, (1993) e Tognetti 
Bordogna (1995, 1997) (cit. in Tognetti Bordogna, 2004, p. 19) mostrano e confermano 
che la famiglia gioca un ruolo centrale nel progetto e nella strategia migratoria del 
singolo, nella scelta di migrare, e nella scelta su quale componente della famiglia può e 
deve migrare.
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Scabini e Regalia (1993, cit. in Fondazione Silvano Andolfi, 2003, p. 25) sottolineano 
che non si possa considerare l’immigrato come soggetto che gestisce in modo 
indipendente il suo percorso migratorio. Gozzoli e Regalia (2005) affermano che è 
necessario considerare la dimensione familiare al fine di comprendere in maniera 
adeguata i fenomeni connessi alla migrazione. Gli autori sostengono che in tutte le fasi 
del progetto migratorio la famiglia è un soggetto centrale e rappresenta un punto di 
riferimento fondamentale per coloro che migrano (p. 78).Ogni membro della famiglia 
assume un ruolo specifico rispetto la scelta di migrare: c’è chi parte per creare nuove 
condizioni economiche nel paese d’origine o per porre le fondamenta per 
un’immigrazione familiare; c’è chi resta in patria a prendersi cura degli eventuali figli, a 
mantenere i legami con la rete amicale e parentale, a gestire le risorse economiche che 
sistematicamente vengono inviate da chi è partito (Tognetti Bordogna, 2004). 
Come afferma Falicov (2003, citato in Fruggeri, 2005, p. 177) la comprensione delle 
dinamiche familiari in migrazione deve tener conto di alcuni aspetti: le ragioni che 
hanno spinto alla migrazione, la prossimità e accessibilità del paese di origine, il fatto 
che la famiglia si sia costituita prima o dopo la migrazione, il sostegno della comunità al 
progetto migratorio nel paese di origine e di quello della comunità nel paese di 
immigrazione, l’età delle persone coinvolte, il sesso, il loro livello di istruzione e 
l’esperienza di discriminazioni razziali e economiche sia nel paese di origine sia in 
quello di immigrazione.  
Uno dei passaggi critici comune alla maggior parte delle esperienze migratorie è il 
senso di perdita dovuto all’allontanamento dagli affetti e dal luogo di origine (Andolfi, 
2004; Fruggeri, 2005; Fondazione Silvano Andolfi, 2003; Gozzoli & Regalia, 2005). 
“La separazione da persone, luoghi e riferimenti simbolici consolidati dà origine ad 
esperienze e sentimenti di perdita che richiedono un delicato processo di rielaborazione 
personale & relazionale” (Gozzoli & Regalia, 2005 p. 39).  
Anderson, (1994, cit. in Gozzoli e Regalia, 2005, p. 39) sostiene che se a queste 
difficoltà si aggiunge il disagio che viene a crearsi a causa dalla mancanza iniziale di 
abilità e capacità a livello sociale nel rispondere alle richieste che provengono dal nuovo 
ambiente, è semplice capire come coloro che migrano possano vivere una situazione 
complessiva di estraneità, turbamento e discontinuità che frequentemente accompagna e 
segna in maniera profonda la loro vita.
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Alvarez e Rodriguez (1995, 1992, cit. in Fruggeri 2005) hanno paragonato il senso di 
perdita con il dolore del lutto. La migrazione è un evento stressante che porta con se 
perdite di ogni tipo: non solo persone e relazioni significative, ma anche sapori, luoghi, 
valori, lingua, cultura. (Andolfi, 2004; Fondazione Silvano Andolfi, 2003). Queste 
assenze fisiche, però, si differenziano da quelle dovute alla morte, perchØ nel caso della 
migrazione è sempre possibile un eventuale ritorno o un futuro ricongiungimento con le 
persone care lasciate nel paese d’origine (Andolfi, 2004). 
Boss (1999, cit. in Andolfi, 2004; Fruggeri, 2005) sostiene che l’esperienza della perdita 
in migrazione è meglio rappresentata dal costrutto di perdita ambigua. 
L’autrice (citata in Fruggeri 2005, p. 177) ne individua due tipologie diverse:  
a) i membri della famiglia sono fisicamente assenti ma psicologicamente presenti; 
b) i membri della famiglia sono fisicamente presenti ma psicologicamente assenti. 
 
Secondo l’autrice la migrazione può comportare entrambe le tipologie di sentimenti di 
perdita. Da una parte la lontananza dei familiari rimasti nel paese d’origine può far 
vivere ai membri emigrati un sentimento di nostalgia, dall’altra può succedere che la 
nostalgia si accompagni ad un forte sentimento di solitudine, comportando una chiusura 
emotiva e relazionale nei confronti degli altri.  
La capacità di far fronte a questi sentimenti di perdita è in stretta relazione con i 
significati attribuiti al percorso migratorio: tanto piø questo percorso sarà percepito 
come il risultato di una scelta autonoma e interpretato come un’opportunità per 
migliorare le precedenti condizioni di vita, quanto piø le persone saranno in grado di 
gestire il sentimento di perdita (Boss, cit. in Fruggeri, 2005, p. 177). 
Monacelli e Emiliani (1999, cit. in Fruggeri 2005, p. 178) sostengono che i fattori che 
concorrono alla capacità di far fronte al sentimento di perdita siano:  
• il consenso espresso dalla famiglia di origine al progetto migratorio;  
• la possibilità di mantenere il contatto con questa; 
• la possibilità di potervi fare ritorno di tanto in tanto. 
 
Nel processo migratorio sono coinvolte almeno tre generazioni della famiglia. 
(Fondazione Silvano Andolfi, 2003). Molte famiglie straniere che migrano in nazioni 
occidentali provengono da culture nelle quali al centro dell’organizzazione familiare vi 
è lo scambio tra le generazioni (Gozzoli & Regalia, 2005).
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Scabini, 1993 e Dumon, 1993 (cit. in. Fondazione Silvano Andolfi, 2003, p. 27) 
concordano nell’osservare che il confronto con i modelli familiari occidentali porta gli 
immigrati a sottolineare con orgoglio la forte base solidaristica e etica che coinvolge 
non solo il nucleo familiare in senso stretto, ma anche la parentela allargata e di 
frequente i vicini di casa. 
Tognetti Bordogna (2004) sostiene che in emigrazione è abituale la costruzione di una 
sorta di parentela a base sociale, che origina protezione e solidarismo fra membri della 
stessa comunità o tra individui di una stessa zona, di una stessa regione. Si forma una 
parentela sostitutiva, non genealogica: la cosidetta nicchia etnica. 
Sono molte, secondo l’autrice, le forme che nelle diverse culture e nei diversi paesi 
assumono le reti familiari, originando tipologie molto differenziate che si aggiungono 
alla famiglia in transizione (p. 21). 
 
 
1.2. Organizzazione delle famiglie: appartenenze culturali e relazioni 
familiari 
Secondo gli studi cross culturali i processi di socializzazione familiare risentono 
dell’orientamento culturale della comunità di appartenenza degli individui (Fenaroli & 
Panari, 2006). 
La letteratura fa una suddivisione degli orientamenti culturali in due macrocategorie 
identificabili rispettivamente con le culture orientali ad orientamento collettivista e con 
quelle occidentali ad orientamento individualista (Hofstede, 1980; Kagitcibasi e Berry; 
1989; Kim et al, 1994; Triandis, 1989, 1995; Markus; Kitayama; Heiman; 1997, cit. in 
Fruggeri, 2005 p. 169). 
Da queste ricerche emerge che il sistema culturale ad orientamento collettivista si 
riscontra principalmente nelle popolazioni Asiatiche, Africane, Latino Americane, 
mentre quello ad orientamento individualista emerge soprattutto nelle popolazioni del 
Nord America, nell’Europa occidentale e nell’Australia. La differenza fondamentale tra 
i due sistemi culturali consiste nel fatto che il sistema collettivista dà maggior 
importanza alla similarità, mentre il sistema individualista dà maggior importanza alla 
differenziazione. (Fenaroli & Panari, 2006; Fruggeri, 2005). Come Hosfade, sostiene 
(1980, cit. in Fenaroli & Panari, 2006 p. 25; Fruggeri, 2005, p. 170) le culture orientate 
all’individualismo pongono l’enfasi “sull’io”, sottolineando l’importanza 
dell’autonomia e del distacco emotivo, rispetto al gruppo di appartenenza, 
dell’orientamento all’autorealizzazione e all’autosufficienza.
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Quindi si pone al centro l’individuo e l’importanza delle spinte e delle aspettative 
soggettive, cosi come le capacità e le risorse possedute nel determinare il 
comportamento delle persone (Chattat, 2007). 
Le culture orientate al collettivismo enfatizzano il “noi”, il senso di coesione e 
solidarietà nei confronti del gruppo, la condivisione delle regole che controllano i 
rapporti all’interno della comunità, la gerarchia del gruppo e l’integrità della famiglia 
(Hofstede, 1980, cit. in Fenaroli e Panari, p. 24; Fruggeri p. 170). 
Si tratta di una cultura di tipo gruppale o comunitaria dove il comportamento 
dell’individuo è eterodiretto da istanze comunitarie alle quali l’individuo è soggetto 
(Chattat, 2007). 
Markus e Katayama (1991, citati in Fruggeri 2005, p. 170) sostengono che i sistemi di 
significato condivisi all’interno dei due sistemi culturali, vengono trasmessi attraverso i 
processi di socializzazione. Tramite i processi di socializzazione, incidono in maniera 
rilevante non solo sulla strutturazione del concetto che le persone hanno di sØ (vengono 
individuati dagli autori un sØ indipendente e un sØ interdipendente, derivanti 
rispettivamente dall’appartenenza alla cultura individualistica e a quella collettivistica), 
ma anche sull’organizzazione delle relazioni familiari. 
Nelle culture a orientamento collettivistico i processi di socializzazione familiare che 
vengono messi in atto riflettono l’impostazione di forte identificazione degli individui 
con la collettività attraverso una valorizzazione dei rapporti gerarchici, della relazione 
con gli altri, dell’obbedienza, del rispetto degli anziani e della loro autorità nella 
famiglia (Fenaroli & Panari, 2006). Falicov (2003) sottolinea come i confini familiari si 
allargano frequentemente includendo cugini, zie, zii, nonni. Sin dalla tenera età e per 
tutta la vita, vengono accentuati forti legami di fratellanza e ogni membro della rete può 
essere coinvolto in un problema e diventar parte attiva nella ricerca di una soluzione. 
L’autrice afferma, quindi, che l’interdipendenza familiare implica la condivisione della 
cura e dell’educazione dei figli, la condivisione di responsabilità economiche, lo star 
vicini ai membri che si sono trovati soli e la soluzione collettiva delle difficoltà. Vi è, 
però, scarsa fiducia nelle istituzioni e negli estranei (p. 24). 
Secondo Hines Moore e collaboratori (1999, cit. in Fenaroli & Panari, 2006, p. 27) i 
membri delle comunità africane danno moltissima importanza al supporto della propria 
famiglia allargata, che comprende tre o quattro generazioni che abitano in prossimità o 
sono comunque molto presenti nella vita dell’individuo.
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Gli autori, inoltre, sottolineano come nel corso della storia, le persone di colore che 
sono emigrate, siano riuscite a far fronte alle notevoli pressioni sociali basate sul 
pregiudizio e sul razzismo grazie alla rete strutturale e affettiva della famiglia allargata. 
Quindi risulta molto forte il valore della lealtà verso la propria famiglia di origine (in 
particolare verso i piø anziani che rappresentano le origini). 
Nelle culture orientate in senso individualistico le famiglie promuovono l’autonomia 
individuale. (McGoldrick; Pearce; Giordano, 1982, cit. in Fruggeri 2005 p. 170). 
Hines More e collaboratori (1999, cit. in Fenaroli & Panari, 2006) riportano come 
esempio di individualismo le comunità irlandesi, in cui per le famiglie è fondamentale 
apparire all’esterno autosufficienti: le relazioni sono basate sulla promozione 
dell’autonomia dei singoli anche di fronte ai problemi, per paura di provare senso di 
dipendenza dagli altri, imbarazzo o vergogna. Gli autori individuano un aspetto 
fondamentale sia della cultura irlandese che di quella inglese, ovvero il fatto di 
giudicare gli altri come “migliori di” o “peggio di” sØ. (p. 28). 
Nelle culture individualistiche sono prevalentemente i genitori ad occuparsi 
dell’educazione e della cura dei figli. (Fenaroli & Panari, 2006).  
Mantovani (2004, cit. in Gozzoli & Regalia, p. 45; in Fruggeri, 2005 p. 171) sostiene 
riduttivo considerare schematicamente le differenze riscontrabili tra i diversi sistemi 
culturali come se fossero realtà statiche e impermeabili agli scambi e alle influenze 
reciproche. 
L’idea che esistano culture di tipo collettivista e culture di tipo individualista è stata 
assunta da Hofstede per mettere a confronto sistemi culturali appartenenti ad aree 
geografiche distinte, ma in realtà la differenza va assunta in termini euristici, come 
schema generale di riferimento per considerare delle tendenze prevalenti all’interno di 
uno specifico ambiente sociale (Gozzoli &Regalia, 2005). Da un punto di vista teorico, 
l’uso di queste categorie generali riduce la differenziazione culturale all’opposizione e 
rende conto di un approccio fortemente etnocentrico, a favore del sistema culturale 
occidentale ad orientamento individualista (Fruggeri, 2005).  
“Non esistono culture individualiste o collettiviste pure ed omogenee: ogni società è 
talmente complessa al suo interno che l’eterogeneità dei valori di riferimento è la norma 
e non l’eccezione” (Gozzoli e Regalia, 2005, p. 44). L’utilizzo di queste categorie 
comporta anche una forte stereotipizzazione dei soggetti coinvolti nelle ricerche, delle 
società e delle culture (Fruggeri, 2005; Gozzoli & Regalia, 2005)