Nel terzo capitolo si parlerà della ricerca in internet, delle 
metodologie, dei siti disponibili e di quelli dedicati al nostro racconto. 
Infine, nel quarto capitolo ci sarà il confronto di questi risultati in 
rete con quelli della ricerca bibliografica classica, condotta nelle 
biblioteche di Verona, in particolare alla Biblioteca Universitaria A. Frinzi, 
alla Biblioteca Civica di Verona e nei suoi fondi.  
 
 
 Dalla vita di Poe: il 1839 
  
“The Devil in the Belfry” venne pubblicato sul Philadelphia Saturday 
Chronicle il 18 maggio 1839
1
, quando Poe, la moglie Virginia e sua madre 
Maria Clemm si erano appena trasferiti (nell’estate del 1838) da New York 
a Philadelphia. Prima di New York, Poe aveva lasciato il posto di redattore 
del Southern Literary Messenger di Baltimora, il giornale in cui aveva 
pubblicato alcuni racconti (“Berenice”, “Morella”) e molte recensioni. Nel 
febbraio 1837, dopo essersi dimesso, Poe si trasferì con la famiglia da 
Baltimora a New York, dove Poe pubblicò nel 1838 il suo unico romanzo, 
The Narrative of Arthur Gordon Pym. Il trasloco di Virginia e sua madre 
portò Poe a raggiungerle a Philadelphia, dove rimasero per circa cinque 
anni
2
. 
Philadelphia era allora una città di circa 220.000 abitanti
3
, con 
precise caratteristiche urbane: pulizia, puntualità, tranquillità. Le parrocchie 
avevano ottenuto di far chiudere le strade alla domenica mattina per evitare 
che le funzioni religiose venissero disturbate dal traffico. Era una città 
comunque afflitta da gravi problemi di intolleranza (rivolte a favore dello 
schiavismo, disordini con i “Native American” che distrussero due chiese) 
e l’impressione di tranquillità a volte era solo una facciata. 
                                                 
1
 Charles E. May, Edgar Allan Poe. A study of the Short Fiction, Twayne Publishers, Boston, 1991. 
2
 Fino all’aprile del 1844, quando ritornarono a New York. 
3
 Dal censimento del 1840. Da Arthur Hobson Quinn, Edgar Allan Poe,  A critical Biography, The John 
Hopkins University Press,  Baltimore – London, 1998, p. 268. 
 A Philadelphia stavano nascendo molte riviste e giornali importanti 
come The Saturday Evening Post, Godey (su cui Poe pubblicò alcune sue 
opere) o il Graham’s Magazine e il Burton’s Gentleman’s Magazine, con 
cui Poe collaborò attivamente e al cui sviluppo contribuì anche in veste di 
redattore (con un salario iniziale di $10 alla settimana). 
“The Devil in the Belfry” venne pubblicato poco dopo The Narrative 
of Arthur Gordon Pym e “Ligeia” (entrambi del 1838), perciò i biografi e i 
critici preferiscono talvolta addentrarsi maggiormente nell’analisi di queste 
opere piuttosto che del racconto in questione. Tuttavia, a “The Devil in the 
Belfry” viene quasi sempre dedicato uno spazio, un commento, una nota.  
Vincent Buranelli afferma che Poe  
“was certainly capable, as his publications show, of writing farces 
for the magazines. He had a genuine gift for being funny in print, 
and made use of his gift when he turned out […] and “The Devil in 
the Belfry”. ”
4
 
Parlando poi di Claude Debussy e dei suoi progetti di opera dai 
racconti di Poe (di cui parleremo nel prossimo capitolo), Buranelli
5
 fa 
notare che il compositore francese scelse di musicare “The Fall of the 
House of Usher” per il terrore gotico che ne animava l’intreccio e “The 
Devil in the Belfry” per la sua ironia. Debussy riuscì a scrivere una musica 
                                                 
4
 Vincent Buranelli, Edgar Allan Poe, Twayne Publisher, G.K. Hall & Co, Boston, 1977, p. 43. 
5
 ibidem, p. 135. 
 che Buranelli definisce “Poesque”: stava scrivendo opere in cui le parole e 
la musica si sarebbero potute unire in un'unica entità poesca.
 6
 
Arthur Hobson Quinn
7
 parla di “The Devil in the Belfry” nell’ambito 
della descrizione dei singoli racconti contenuti nelle Tales of the Grotesque 
and Arabesque (1840), dove “Arabesque” indica “the product of powerful 
imagination”
8
,  mentre “Grotesques have a burlesque or satirical quality”
9
.  
“The Devil in the Belfry” è decisamente un “tale of the Grotesque”. 
Quinn lo definisce una satira “alla Irving”
10
.  
Per Franz Link
11
 ciò che lega “The Devil in the Belfry” a 
Washington Irving e al suo racconto “Rip Van Winckle”
12
 è la derisione del 
mondo piccolo borghese, che non sa reagire ai cambiamenti e adattarsi ai 
tempi. Per entrambi la piccola borghesia si identifica con una ristretta 
comunità olandese che vive in un paese chiuso, i cui simboli umoristici 
sono il cavolo e la pipa.  
                                                 
6
 ibidem, p. 136 
7
 Arthur Hobson Quinn, Edgar Allan Poe,  A critical Biography, The John Hopkins University Press,  
Baltimore – London, 1998., p. 289. 
8
 ibidem. 
9
 ibidem. 
10
 ibidem. 
11
 Franz H. Link, Edgar Allan Poe. Ein Dichter zwischen Romantik und Moderne, Athenäum Verlag, 
Frankfurt am Main - Bonn, 1968, pp. 262-263. 
12
 “la storia di Rip Van Winckle (ancora, un nome olandese), che, recatosi a caccia […] fa strani incontri, 
cade in un sonno profondo e si risveglia vent’anni dopo, vedendo intorno a sé tutto cambiato.” da 
Tommaso Pisanti, Storia della letteratura americana, Newton Compton, Roma, 1994, p. 25. 
 Ma Poe si  differenzia da Irving per l’esagerazione nella descrizione 
del paese e dei suoi abitanti: invece di dare una descrizione iperrealistica 
come Irving, Poe preferisce caratterizzare i suoi personaggi con pochi 
elementi di base che vengono ripetuti ed ampliati fino a diventare simboli. 
Anche Roger Asselineau pone l’accento sulla minuziosità della 
descrizione: “He [Poe] loved small details and, like Dupin
13
, had a keen 
sense of observation.”
14
. Poe ama descrivere con precisione le scene dei 
suoi racconti; è il suo modo per ancorare la fantasia alla realtà ma, non 
appena il fantastico prende il sopravvento, la precisione è ridicolizzata, 
distrutta, annullata. In “The Devil in the Belfry” l’arrivo dell’elemento 
diabolico è il motivo scatenante di una follia collettiva che coinvolge - loro 
malgrado - perfino i gatti e i maiali. 
 “Passages of realistic description appear in his [Poe’s] tales only as 
isles of light in a dark landscape”
15
 scrive Asselineau: questa affermazione 
può essere confermata dalla maggior parte delle opere di Poe; basti pensare 
ai testi scientifici copiati da Poe per fornire veridicità al Gordon Pym, o alle 
descrizioni realistiche di alcuni racconti che servono unicamente a creare 
un quadro perfetto da poter distruggere con l’irrompere in scena 
dell’elemento soprannaturale
16
. 
                                                 
13
 Il detective protagonista di “The Murders in the Rue Morgue” (1841). 
14
 Roger Asselineau, Edgar Allan Poe, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1970, p.32. 
15
 ibidem. 
16
 In “The Fall of the House of Usher” (1939) la casa minuziosamente descritta si incrina e crolla 
all’apparizione del fantasma di Madeleine; in “The Masque of the Red Death” (1842) la festa danzante si 
trasforma in una strage  allo scoccare della mezzanotte. 
 “The Devil in the Belfry” verrà poi pubblicato nel 1840 nelle Tales 
of the Grotesque and Arabesque. 
Fin qui abbiamo visto che cosa ne pensano critici e biografi
17
 di “The 
Devil in the Belfry”. Passiamo ora a vedere l’interpretazione che ne hanno 
dato gli artisti grafici di tutto il mondo. 
 
  
                                                 
17
 Un’ottima biografia schematica si può trovare in Claude Richard, E.A. Poe: Contes, Essais, Poèmes, 
Laffont, Paris, 1989, pp. 27 - 53. In quattro colonne vengono comparati anno per anno gli avvenimenti 
della vita di Poe, le sue opere, gli avvenimenti mondiali e le opere di altri autori. Questa organizzazione 
permette di vedere facilmente che cosa può aver influenzato la scrittura di un testo, o comparare l’uscita 
di alcune opere di Poe con i contemporanei Europei o americani. 
 Le immagini 
  
Basandoci sul libro di Burton R. Pollin Images of Poe’s Works
18
, che 
cataloga tutte le illustrazioni dedicate a Poe e alle sue opere in edizioni di 
ogni parte del mondo, ordinate per Paese in ordine alfabetico, giungiamo a 
comporre un corpus di 37 artisti e 80 illustrazioni, suddivisi in 53 libri e 
dodici Paesi. 
Molto materiale è ancora coperto da copyright, perciò è molto 
difficile trovare immagini in rete o ottenere riproduzioni in fotocopia delle 
illustrazioni.  
Le uniche due immagini di cui disponiamo sono quella del trevigiano 
Alberto Martini e quella del belga James Ensor
19
. 
Le altre illustrazioni sono risultate introvabili in internet, anche 
richiedendole a bibliotecari e librai
20
, nel caso l’artista sia abbastanza 
famoso da essere citato in qualche sito o da avere un sito tutto suo. Molto 
bello per esempio è il sito del francese Gus Bofa
21
, che mette a disposizione 
molto materiale dell’artista ma purtroppo nulla su Poe. 
Inoltre, cercando con l’opzione “images” del motore di ricerca 
Google, si ottengono circa 2.290 immagini, di cui solamente 285 vengono 
visualizzate in schermate da venti immagini. Purtroppo non si trova 
                                                 
18
 B. R. Pollin, Images of Poe’s Works: a comprehensive and descriptive catalogue of illustrations, 
Greenwood Press, NewYork, 1989. 
19
 Per gentile concessione del direttore dell’Ensor Archive, Patrick Florzoone. 
20
 Come per l’illustrazione del francese Fernand Siméon, in possesso della Bibliothéque Nazionale de 
France, disponibile a pagamento solo in stampa su carta patinata. 
21
 < http://www.gusbofa.com > (18 gennaio 2002). 
 nemmeno un’illustrazione a “The Devil in the Belfry”, ma molte - anche 
satiriche o parodiche - per “The Raven” e “The Fall of the House of 
Usher”. La maggioranza delle immagini richiamate sono ritratti di Poe, il 
famoso dagherrotipo del 1845, intestazioni dei libri più famosi, fotografie 
della sua tomba, della sua casa, della stanza all’università, dei suoi sosia e 
dell’attore John Astin (che ha intepretato Poe in uno spettacolo teatrale
22
), 
fino a una macabra foto di un sosia steso in una bara, in un sito americano 
dal significativo titolo di “Celebrities morgue”
23
. 
A conclusione di questa introduzione c’è un elenco delle illustrazioni 
di “The Devil in the Belfry”. Avendone in mano solo due delle 80 esistenti, 
passiamo a vedere più da vicino come sono e chi sono i loro autori. 
Alberto Martini è un artista trevigiano (di Oderzo - TV) nato nel 
1876 e morto a Milano nel 1954. Diego Arich de Finetti
24
 lo definisce un 
“Aubrey Beardsley
25
 che la sera leggeva Poe”
26
, proprio per sottolineare la 
particolare predisposizione di Martini per il macabro, il satirico e il 
grottesco. L’illustrazione di Martini è un disegno a penna delle dimensioni 
di 250x182mm. 
                                                 
22
 Edgar Allan Poe: Once Upon a Midnight, a play by Paul Day Clemens and Ron Magid, directed by 
Alan Bergmann. Ulteriori informazioni al sito < http://www.astin-poe.com > (20 gennaio 2002). 
23
 < http://www.celebritiesmorgue.com > (20 gennaio 2002). 
24
 Diego Arich De Finetti, “Péchés de vieillesse, La grafica di Alberto Martini nella collezione Pariani”, 
in Alberto Martini, Colpo di Fulmine Edizioni, Verona, 1996 
25
 Riferendosi ad un altro grande illustratore di Poe, l’inglese Aubrey Beardsley, autore di famose tavole 
in bianco e nero per i racconti. 
26
 ibidem, p.12. 
 Eseguito nel 1908, è l’unico disegno originale di Martini finora 
inedito tra quelli conservati nel fondo Pariani della Biblioteca Civica di 
Verona. 
Martini coglie l’attimo finale del racconto, quando il campanaro 
giace morto  sotto  il  diavolo  che  suona  il  suo  grande  violino: il  
diavolo  è  vestito esattamente come ce lo descrive Poe, con la giacca nera 
a coda di rondine e il fazzoletto bianco che svolazza da una tasca. Il violino 
viene esagerato in un violoncello dal ricciolo a forma di corna, il cui 
puntale è conficcato nel pancione del campanaro. Quest’ultimo giace a 
terra con gli occhi strabuzzati, mentre il magro diavolo ghigna inquietante e 
strofina le corde dello strumento con un archetto.