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Novecento come Eduardo De Filippo? Una comicità senza confini e una mimica
straordinaria.
Non voglio dilungarmi oltre sulle mie scelte teatrali, ma inizierò col
motivare e, in seguito, presentare il mio lavoro di ricerca.
Le ragioni della mia scelta sembrano essere ormai abbastanza esplicite:
oltre ad amare il teatro, trovo appassionante ed avvincente il lavoro della
traduzione. Purtroppo nei corsi di laurea odierni si dedicano poche ore alla
traduzione e quasi mai viene affrontata quella riguardante le pièce teatrali. Con
quest’elaborato proverò, quindi, a dare una spiegazione chiara di cosa tratta e
cosa comporta una traduzione del genere, oltre che a dare degli esempi espliciti
presi dall’opera inglese oggetto della mia ricerca.
Il primo capitolo, dunque, si basa su alcune teorie di certi studiosi di
traduzione che negli anni sono state importanti per analizzare a fondo la
traduzione teatrale. Inoltre si sottolinea la differenza tra il drama translation
(traduzione del dramma) e il theatre translation (traduzione teatrale).
Lo stesso capitolo contiene anche un’analisi ed una lettura critica di tutte
quelle componenti sociologiche, storiche e letterarie che influiscono sul testo.
In seguito, il secondo capitolo presenta uno studio approfondito della
produzione drammaturgica contemporanea inglese, ponendo in luce quelli che
sono considerati i cinque drammaturghi inglesi più importanti della “new wave
teatrale inglese”: Jez Butterworth, Martin Crimp, Philip Ridley, Mark Ravenhill
e, infine, Sarah Kane, il cui testo, 4.48 Psychosis, sarà analizzato nei capitoli
successivi.
Nell’ultimo paragrafo del secondo capitolo, si vedrà nel dettaglio la
produzione e lo stile, soprattutto drammaturgici, di Samuel Beckett, che, più di
tutti, ha influenzato l’autrice da me presa in esame per la presente ricerca.
Il terzo capitolo vuole approfondire la vita e le opere di Sarah Kane,
evidenziando maggiormente il suo ultimo dramma, 4.48 Psychosis, considerato
da molti una sorta di testamento spirituale, scritto poco prima di togliersi la vita.
Dell’autrice verrà esaminato anche lo stile particolare, gli argomenti trattati nelle
4
sue pièce, primo fra tutti l’amore, e le influenze di altri scrittori, quali Samuel
Beckett e Bertold Brecht.
Del primo Kane riprende il tema della morte, dell’angoscia esistenziale
dell’uomo e alcune tecniche stilistiche, come le pause all’interno di una frase o di
un paragrafo. Queste da una parte danno valore alle parole e la fanno divenire
elementi "necessari" e, dall'altra, rendono l'attesa del lettore ancora più
spasmodica. Del secondo scrittore, invece, Kane riprende il cosiddetto
Verfremdung Effekt, l’effetto di straniamento, secondo il quale né lo spettatore né
l’attore devono identificarsi nella rappresentazione teatrale, ma rimanere
obiettivi.
Lo stesso capitolo contiene, inoltre, un paragrafo che tratta la poeticità di
4.48, vale a dire tutti quegli aspetti linguistici e stilistici che donano a questo
dramma una parvenza di poesia. L'utilizzo delle figure di stile verrà poi
esaminato più a fondo nel capitolo successivo.
Il quarto capitolo presenta un’intervista ad un traduttore di Sarah Kane,
Gian Maria Cervo, il quale ha risposto gentilmente ad alcuni miei quesiti e dubbi,
portandomi a riflettere su alcuni aspetti di 4.48 che fino a quel momento non
avevo tenuto in considerazione. Nell’Appendice 1 ho inserito un ulteriore
commento ad alcune parti del testo che mi sono parse particolarmente
interessanti dal punto di vista della traduzione.
Nella tabella metto a confronto le due traduzioni italiane, quella ufficiale
di Nativi, l’altra, di Cervo e, inoltre, inserirò una mia proposta di traduzione
qualora ritenessi quelle già esistenti poco fedeli al testo inglese. Questa non vuole
togliere nulla ai traduttori professionisti sopra citati, ma è soltanto una prova per
dimostrare quali e quante modifiche si possono apportare ad una traduzione
teatrale, che, come molti traduttori sanno, non sarà mai perfetta e unica.
Per la sua complessità ed ambiguità, infatti, considero la traduzione di un
testo teatrale molto simile alla traduzione di una poesia, sebbene la parola nel
teatro sia strettamente legata al gesto dell’attore che la interpreta, mentre nella
poesia è isolata ed ha un valore a sé stante, non collegato ad altri elementi esterni.
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In conclusione, la mia ricerca vuole analizzare, nello specifico, alcuni
aspetti delle traduzioni italiane di 4.48. Il testo di Sarah Kane non è complesso
soltanto per ciò che riguarda gli argomenti affrontati, ma anche per la forma, a
volte, poetica. Esso, infatti, è ricco di rime, anafore, allitterazioni e suoni
onomatopeici, talvolta difficili da rendere nella lingua d’arrivo, soprattutto se si
tratta di una lingua come l’italiano, che ha una musicalità molto diversa
dall’inglese.
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Capitolo 1
La traduzione teatrale
I primi esempi di “adattamenti” di testi drammatici risalgono alle traduzioni dei
drammi greci da parte dei romani. L’influenza dei classici greci era ben visibile
soprattutto nell’epica e nel dramma.
La prima traduzione drammatica risale al 240 a.C., tempo in cui il latino
letterario si diversifica dalla lingua parlata e successivamente viene utilizzato per
il linguaggio giuridico e politico.
La prima pièce latina è, con ogni probabilità, la traduzione di un testo
greco. È ad opera di scrittori quali Livio Andronico, Terenzio e Plauto, che
centinaia di testi greci sono giunti sino a noi, naturalmente importati, tradotti e
adattati dai romani.
Il testo teatrale non è certamente il tipo di testo più facile da tradurre.
Anzi, forse è quello che presenta maggiori problemi, perché il traduttore deve
aver cura non solo del testo scritto, ma anche di altri elementi extralinguistici,
come ad esempio la sua recitabilità.
I testi per il teatro, però, non sono tutti uguali: occorre fare una distinzione
tra i testi drammatici e i testi teatrali. Secondo Sirkku Aaltonen
1
, per dramma
(drama) si intende sia un testo scritto che una rappresentazione teatrale; mentre il
testo teatrale (theatre text) è la pièce stessa. Non tutti i testi drammatici, però,
sono destinati al teatro. Si parla, infatti, di closet drama quando un testo non
viene rappresentato. Il teatro, peraltro, non mette in scena soltanto i drammi, ma
include anche poesie, lettere, racconti brevi e romanzi.
Aaltonen distingue due tipi di traduzione in riferimento a questa diversa
tipologia di testi diversi: il drama translation (traduzione drammatica), che
include un processo di traduzione sia per il sistema letterario che per quello
1
Cf. Sirkku Aaltonen, Time-sharing on Stage, Multilingual Matters Ltd, Clevedon,
2000, ed in particolare il capitolo “Theorising Theatre Translation”, pp. 33-41.
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teatrale, e il theatre translation (traduzione teatrale), relativa esclusivamente
all’ambito teatrale.
All’interno di questo sistema, si distinguono solitamente altri due tipi di
traduzione: quella per la stampa e quella per la recitazione o drammatizzazione
dell’opera.
Nel primo caso il traduttore farà una traduzione che si accosta di più ad
una di tipo letterario, stando più attento all’aspetto filologico del testo e
soprattutto ai dialoghi. Mentre nel secondo caso, egli dovrà soddisfare dei criteri
diversi, come ad esempio quello della recitabilità del testo di arrivo.
Come sostiene Anne Ubersfeld
2
, è impossibile separare il testo dalla
rappresentazione, poiché i due elementi sono inscindibili l’uno dall’altro. Il
traduttore, tuttavia, può rimanere vincolato alla mise en scène del testo, perché
inevitabilmente il regista ha operato delle scelte particolari e ha letto l’opera in
modo soggettivo. Dunque bisogna trovare un equilibrio tra il testo scritto e la
performance di questo.
Legato alla rappresentazione vi è naturalmente il palcoscenico. Secondo
Mario Luzi
3
, esso rappresenta la prova del fuoco per le traduzioni, promuovendo
quelle buone e bocciando quelle infelici e inoltre “registra come un sismografo le
variazioni d’energia del linguaggio (1990:98)”
4
. Il traduttore, dunque, sapendo
già che il suo testo sarà sottoposto alla critica del pubblico, sottopone il proprio
lavoro ad un accurato processo di revisioni e riletture.
Lavorare su un testo che verrà poi rappresentato implica tenere
necessariamente conto di tutta una serie di apparati paralinguistici, esterni alla
pura dimensione letteraria, come ad esempio l’intensità, l’intonazione, la velocità
2
Lire le théâtre, citato in Susan Bassnett, La traduzione teoria e pratica, Bompiani,
Milano, 1999, p.149.
3
Cfr. M. Luzi, Sulla traduzione teatrale, in Testo a fronte, n. 3, Milano, Guerini, 1990,
p. 97-99, citato in
http://www.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.cap_4_21?lang=it (6 giugno
2006).
4
http://www.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.cap_4_21?lang=it (6 giugno
2006).