accedere a tale Archivio, in quanto chiuso al pubblico per motivi di riorganizzazione 
interna. Indubbiamente questo ha costituito un oggettivo ostacolo alla realizzazione 
di un lavoro più esauriente e completo sull’argomento in esame. 
 Si è tentato di ovviare nel miglior modo possibile a tale lacuna, cercando una 
via alternativa che consentisse comunque di ricostruire, in maniera sufficientemente 
oggettiva, l’attività svolta da Alberto Tarchiani a Washington. 
 D’altra parte, non ci si è potuti avvalere nemmeno del contributo 
dell’Archivio di Tarchiani, che raccoglie solo le carte relative al periodo della 
resistenza antifascista e dell’azione all’interno del movimento “Giustizia e Libertà”, 
fondato nel 1929 da Tarchiani assieme ai fratelli Rosselli.  
 La ricerca quindi è stata condotta prevalentemente sui Documenti 
Diplomatici Italiani, sulla documentazione diplomatica americana contenuta nelle 
Foreign Relations of the United States, sulle Carte della Segreteria Politica della DC 
e sul Fondo Francesco Bartolotta, conservati nell’Archivio dell’Istituto “Luigi 
Sturzo”, sulle Carte Sforza dell’Archivio Centrale di Stato di Roma e sulle 
monografie a stampa, riguardanti in particolare i rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti 
nel periodo preso in esame e, più in generale, le grandi questioni attorno alle quali 
tali rapporti si sono potuti reinstaurare e sviluppare, quali il Trattato di pace con 
l’Italia, con le annesse questioni coloniali e di Trieste; gli aiuti economici all’Europa; 
la costruzione europea ed il tema della sicurezza, culminato nella stipulazione del 
Patto Atlantico. 
 È stato lo stesso Tarchiani a guidare la scelta dei temi da trattare. Si è deciso, 
infatti, di seguire, come filo conduttore della ricerca, le questioni oggetto del libro di 
memorie dell’Ambasciatore italiano – “Dieci anni tra Roma e Washington” – e del 
diario, pubblicato postumo, relativo agli eventi del 1954, l’ultimo di permanenza di 
Tarchiani negli Stati Uniti. 
Pur nella consapevolezza che un libro di memorie ha sempre carattere in 
qualche modo auto-celebrativo, si è ritenuto che Tarchiani avesse inteso concentrare 
la propria attenzione soprattutto sugli eventi più rilevanti del periodo preso in esame, 
ai quali aveva partecipato in prima persona, potendo in tal modo fornire una 
testimonianza diretta dei fatti stessi. 
 5
D’altra parte, la modalità della narrazione, comprendente descrizioni 
paesaggistiche e impressioni personali su avvenimenti e uomini, senza lesinare 
giudizi anche negativi sia sulla classe politica italiana che sull’amministrazione 
americana, ha permesso di approfondire la figura di Tarchiani come uomo, per 
comprendere meglio quale fosse il suo personale punto di vista in merito alle più 
diverse questioni, al di là delle “fredde” e “diplomatiche” comunicazioni 
costantemente inviate al Ministero.  
È proprio grazie a questa scelta che è stato possibile verificare con quanta 
passione Tarchiani si sia dedicato ad un’impresa assai lunga ed impegnativa ed è 
emerso il temperamento deciso, ma sempre signorile, di un Ambasciatore la cui 
opera tanto ha giovato alle sorti della sua nazione.  
 Si è tentato, ad ogni modo, di dare una visione oggettiva degli avvenimenti 
narrati dall’autore, attraverso l’integrazione con i documenti diplomatici italiani ed 
americani, nella consapevolezza che la scelta di Tarchiani sui temi da affrontare 
poteva essere stata influenzata dalla maggiore o minore risonanza presso l’opinione 
pubblica italiana di determinate questioni, rispetto ad altre. 
 Nell’impossibilità di consultare le carte conservate presso il Ministero degli 
Affari Esteri, per il periodo compreso tra il 1950 e il 1954, non è stato possibile 
avvalersi della documentazione diplomatica italiana, le cui pubblicazioni terminano 
col gennaio 1950. A tal proposito è necessario rilevare che, nel corso della stesura 
del lavoro, è stato reso anche disponibile il terzo volume dell’undicesima serie dei 
Documenti Diplomatici Italiani, pubblicato il 4 febbraio 2008, comprendente la 
documentazione relativa al periodo luglio 1949-gennaio 1950. 
Non è stato quindi possibile esaminare nel dettaglio lo scambio ufficiale tra 
Roma e Washington relativo alle questioni più importanti degli anni compresi tra il 
1950 e il 1954, quali l’evoluzione della già avviata cooperazione europea e 
dell’Alleanza Atlantica e la progressiva ricerca di una soluzione per Trieste, se non 
attraverso l’analisi delle monografie a stampa, molte delle quali basate sulla 
testimonianza diretta di coloro che avevano partecipato agli eventi descritti. 
 6
Per la questione di Trieste, ad esempio, è stato molto prezioso il contributo di 
De Castro
2
, che ha dedicato due interi volumi al problema, affrontandolo fin dalle 
sue origini. 
Per la trattazione della questione delle ex colonie italiane, per la conoscenza 
delle questioni territoriali specifiche dei Paesi del Corno d’Africa, oggetto di disputa, 
e per l’approfondimento del lavoro svolto dalla diplomazia italiana nel tentativo di 
mantenere tali aree sotto la sovranità dell’Italia per continuare l’opera di sviluppo 
avviata in tanti anni di colonizzazione, oltre ai testi specifici in materia, 
fondamentale è stato lo studio del lavoro monografico del professor Rossi, “L’Africa 
italiana verso l’indipendenza 1941-1949”. 
Naturalmente, non si è inteso realizzare uno studio compiuto ed approfondito 
sulle singole tematiche, soprattutto nel caso della questione di Trieste e degli ex 
possedimenti italiani in Africa, che da sole, avrebbero potuto costituire oggetto di 
una ricerca estremamente vasta e complessa. Il presente lavoro ha voluto sviluppare 
le diverse questioni solo dal punto di vista del carteggio tra l’Ambasciatore Tarchiani 
e De Gasperi e Sforza, e lo studio dello scambio di documenti diplomatici tra 
l’Ambasciata e Palazzo Chigi. 
Pertanto, oggetto di queste pagine sarà l’osservazione del modo in cui la 
«nuova Italia» democratica ha inteso ed è riuscita a fronteggiare delle sfide 
importanti, non solo per l’onore e la dignità del Paese, ma anche per la 
sopravvivenza stessa della democrazia, argomento più volte portato da Tarchiani 
all’attenzione degli interlocutori americani, per spronarli, da una parte, ad intervenire 
in maniera decisa a favore dell’Italia e dall’altra, per garantire al Paese il suo posto 
tra le nazioni libere in condizioni finalmente di parità. 
Attraverso il presente lavoro di ricerca si è potuta inoltre mettere a frutto la 
breve, ma importante esperienza di tirocinio svolta col programma MAE-CRUI 
presso la Direzione Generale per i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana – Ufficio II 
Africa Orientale – del Ministero degli Affari Esteri. 
È stata indubbiamente l’occasione per tradurre in pratica gli studi universitari 
in Scienze Politiche nel campo che, a mio giudizio, è loro più congeniale: quello 
                                                 
2
 DE CASTRO D., La questione di Trieste: l’azione politica e diplomatica dal 1943 al 1954, voll. I-II, 
Edizioni LINT, Trieste, 1981. 
 7
della diplomazia, e per occuparsi direttamente di temi, affrontati in ambito 
accademico, nella loro attualità e nell’evoluzione delle problematiche quotidiane. 
Tale esperienza, a contatto diretto con le procedure e la burocrazia 
ministeriale, ha costituito un ottimo momento di formazione utile anche ai fini di 
questo lavoro di ricerca, essendosi avuta la possibilità di lavorare al fianco di 
diplomatici. Si è potuta così affrontare la ricerca sulla figura dell’Ambasciatore 
Tarchiani con una maggiore consapevolezza dei meccanismi del Ministero e delle 
Ambasciate ed è stato anche possibile, analizzare in maniera critica le valutazioni di 
Tarchiani in merito ai tempi ed alle capacità di risposta di quel grande apparato 
burocratico che è il Ministero degli Esteri. 
Aver appreso le varie modalità di comunicazione intra ed extra ministeriali, la 
distinzione tra un appunto, un messaggio ed un telespresso; aver contribuito a 
redigere promemoria, schede Paese, aggiornamenti delle informazioni a disposizione 
della Direzione Generale, ha consentito anche di svolgere una ricerca più attenta tra 
gli appunti e le carte ministeriali contenute nel “Fondo Carlo Sforza”. 
Nel Fondo sono, infatti, conservate le carte relative al periodo in cui Carlo 
Sforza ha ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri. Oltre ai molti documenti non 
datati, quindi di non facile collocazione temporale, il Fondo contiene numerosi 
appunti dei vari uffici del Ministero degli Esteri, per i quali non è specificato se si 
tratti di documenti ufficiali o di semplici comunicazioni interne. Aver avuto 
un’esperienza diretta all’interno del Ministero, ha consentito di distinguere con più 
facilità un appunto di carattere semplicemente informativo, da un documento che 
avesse un riscontro storico. 
Non ci si è invece imbattuti in un problema analogo nella consultazione del 
“Fondo Bartolotta” e delle “Carte della Segreteria Politica della DC”, tutte datate e 
perfettamente catalogate. Le “Carte della Segreteria Politica della DC” sono state 
particolarmente utili per l’analisi del dibattito in merito agli aiuti economici 
americani e all’adesione al Patto Atlantico; il “Fondo Bartolotta” è il frutto del 
minuzioso e paziente lavoro di Francesco Bartolotta, segretario personale di De 
Gasperi dal 1943 al 1953, che ha trascritto tutte le lettere, le comunicazioni, i 
dibattiti, i resoconti di viaggi e incontri di De Gasperi durante quel decennio. Le 
carte contenute nel Fondo rappresentano un’importante ricchezza ed hanno 
 8
contribuito fortemente a colmare la lacuna dovuta alla chiusura dell’Archivio Storico 
del Ministero degli Affari Esteri. 
Alberto Tarchiani assunse l’incarico di Ambasciatore a Washington nel 
febbraio del 1945, quando ancora l’Italia era dilaniata dalla guerra: mentre una parte 
degli italiani combatteva con le truppe Alleate, dopo la firma dell’armistizio nel 
1943, un’altra parte combatteva ancora con l’esercito tedesco. 
Alberto Tarchiani era innanzitutto un giornalista, formatosi negli Stati Uniti, 
dove aveva maturato la propria coscienza politica “liberal”, violentemente contraria 
al nazionalismo, di cui era pur fanaticamente convinto quando giunse nella «patria 
della democrazia» nel 1907
3
. 
Patriota, intransigente antifascista, abile politico e intelligente diplomatico. 
Così può essere sintetizzata la figura di Alberto Tarchiani, un giornalista «prestato 
alla diplomazia»
4
. 
 Quando fu scelto per rappresentare l’Italia negli Stati Uniti nel 1945, dunque, 
non aveva alcuna «particolare ferratura per il normale andamento 
dell’amministrazione, del sistema, delle consuetudini del mondo diplomatico», verso 
le cui esigenze e «pompe esteriori» non provava alcuna attrazione ed alle quali – 
come disse – si sarebbe abituato a fatica
5
. 
 La sua stessa nomina fu oggetto di perplessità, soprattutto da parte di De 
Gasperi, preoccupato all’idea di dover affidare un incarico tanto delicato, quale 
quello del ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, ad un 
diplomatico «non di professione». Fu solo la consapevolezza della profonda 
conoscenza della realtà politica americana, che Tarchiani aveva acquisito nei lunghi 
anni di esilio negli Stati Uniti durante il fascismo, che riuscì a convincere De Gasperi 
dell’opportunità di affidare l’incarico proprio a lui. 
 Ma un’altra esigenza si nascondeva dietro la scelta di Tarchiani per questa 
missione: per dimostrare che l’Italia era cambiata dopo la guerra e che si avviava, o 
meglio riavviava, dopo la parentesi dittatoriale, sulla strada della democrazia, era 
necessario che il Paese fosse rappresentato all’estero da personaggi che non avevano 
                                                 
3
 GAROSCI A., Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 142-143. 
4
 TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954, 
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, p. 5. 
5
 TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, Mondadori, Milano, 1955, p. 12 
 9
avuto alcun legame con il fascismo. In alcuni casi, come per Quaroni a Mosca, 
Carandini a Londra e Saragat a Parigi, fu possibile inviare, nelle relative ambasciate, 
diplomatici di carriera o esponenti della vita politica pre-fascista; per Washington si 
decise di inviare una personalità che proprio dagli Stati Uniti aveva condotto la 
propria battaglia contro il regime, riuscendo ad intrecciare legami non solo con gli 
esuli antifascisti italiani, ma anche con i giornalisti americani con i quali ebbe modo 
di collaborare in quegli anni.  
 Un altro fattore fu determinante ai fini di questa scelta, che indubbiamente fu 
strategica e fortemente ponderata da parte di Bonomi, allora Presidente del Consiglio 
e da De Gasperi, ministro degli Esteri, e caldeggiata da Carlo Sforza: la larga stima 
di cui Tarchiani godeva negli ambienti politici americani proprio per il suo 
antifascismo, nonché la profonda conoscenza che questi aveva acquisito, nel corso 
della sua permanenza negli Stati Uniti, dei meccanismi della politica e dell’opinione 
pubblica americana, che, come aveva compreso fin da subito, era stata sempre 
fortemente in grado di influenzare le scelte dei governanti del Paese emblema della 
democrazia.  
 Lo stesso Tarchiani fu colto di sorpresa dalla proposta di Bonomi, di 
presentare le proprie credenziali al Governo degli Stati Uniti; ma, mostrando alto 
spirito di servizio nei confronti del suo Paese, accettò l’incarico con l’intento di  
 
«contribuire, anche con effetti infinitesimali, ad avvantaggiare l’Italia e renderla sempre più 
una nazione seria, forte, capace, rispettata, apprezzata, coadiuvata, quale ha diritto d’essere 
per la continuità millenaria della civiltà sua, e per l’energia vitale che sprigiona e mette in 
opera ogni qualvolta le avversità la contrastino, e quando occorra risorgere e riprendere il 
cammino»
6
. 
 
 Compito principale di Tarchiani, in qualità di Ambasciatore in America, fu 
quello della normalizzazione dei rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti, nel periodo 
compreso tra il 1945 ed il 1954, allo scopo soprattutto di ricostruire l’importante rete 
diplomatica necessaria alla ripresa di un dialogo politico tra uno Stato forte e 
vincitore ed una nazione semidistrutta dalla guerra ed in condizioni economiche 
disastrose, in grado, comunque, di vantare una seppur minima forma di 
compartecipazione alla sconfitta del nazi-fascismo. 
                                                 
6
 Ivi, p. 11. 
 10
 Le vicende interne; le incombenti preoccupazioni politiche ed economiche; la 
necessità di mostrare all’America segni inequivocabili dell’adesione italiana alla 
causa della democrazia, in cambio di un aiuto concreto per la ripresa del Paese; la 
strenua difesa del diritto su Trieste; la questione coloniale; l’ammissione dell’Italia al 
Patto Atlantico, per cui Tarchiani si prodigò in maniera particolare, sono gli 
argomenti che animano il lavoro e lo sforzo del nostro diplomatico nei suoi «nove 
anni di angoscia e di sforzi»
7
 di permanenza a Washington. 
 Prima preoccupazione dell’Ambasciatore, appena giunto negli Stati Uniti, fu 
quella di prendere contatti con le maggiori personalità americane, prime fra tutte il 
Presidente Roosevelt e l’allora Segretario di Stato, Stettinius. 
 Fin dai primi incontri, Tarchiani ricevette le più ampie assicurazioni circa le 
buone disposizioni americane verso l’Italia, anche se, in realtà, come emerge dallo 
studio delle fonti diplomatiche, inizialmente gli Stati Uniti non si interessarono in 
maniera particolare del problema italiano. 
Tarchiani, dal canto suo, con la pragmaticità che gli era propria e che 
caratterizzerà tutta la sua attività in America, appena giunto a Washington sottopose 
immediatamente ai suoi interlocutori le questioni più pressanti e scottanti per l’Italia: 
il problema alimentare; la questione della partecipazione alla Conferenza di San 
Francisco, in vista di un reinserimento dell’Italia nel consesso delle nazioni libere; 
l’eventualità di una dichiarazione di guerra al Giappone, come prova di lealtà nei 
confronti degli Alleati. 
 Desiderio profondo di Tarchiani fu, fin dall’inizio della sua missione, quello 
di promuovere l’immagine di una nuova Italia democratica: un Paese che aveva 
“subito” la dittatura fascista e appena era stato possibile se ne era liberato. 
Più volte il diplomatico dovette richiamare l’attenzione dei suoi interlocutori 
americani sulla necessità che fossero fatte le debite distinzioni e che quindi fosse 
chiaro che l’Italia, con cui gli Stati Uniti avevano deciso di riallacciare le relazioni 
diplomatiche, era profondamente diversa da quella che si era unita a Hitler nella 
Seconda guerra mondiale. Questa nuova Italia chiedeva, in nome della 
cobelligeranza sancita dalla firma dell’armistizio, di essere reinserita a pieno titolo e 
                                                 
7
 Cronaca del 5 ottobre, in TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di 
Washington. 1954, op. cit., p. 303. 
 11
a parità di condizioni nella comunità internazionale, per contribuire alla costruzione 
di un mondo pacifico e sicuro, in cui non potesse ripetersi l’esperienza nazi-fascista. 
In questo senso, Tarchiani trovò un interlocutore particolarmente attento nel 
Presidente Roosevelt e quando questi morì improvvisamente, l’Ambasciatore sentì 
che l’Italia aveva perso un importante e sincero amico, che mai avrebbe fatto 
mancare la propria assistenza al popolo italiano. 
Ma già dopo poche settimane di intensa attività, volta a sensibilizzare le alte 
sfere del Governo e dello State Department, nonché dell’opinione pubblica 
americana, Tarchiani poté cominciare ad intravedere i primi segni di schiarita nei 
rapporti italo-americani, le avvisaglie di una maggiore comprensione e disponibilità 
verso una soluzione della situazione italiana più rapida possibile. 
 Ci sono alcuni elementi di rilievo che rendono interessante l’attività di 
Tarchiani a Washington.  
Innanzitutto la sua formazione prevalentemente giornalistica: privo del tipico 
stile del diplomatico, Tarchiani si dimostrò uomo estremamente pratico e risoluto. 
Non ebbe mai paura di affrontare in maniera schietta questioni scottanti e delicate, 
suscettibili di infastidire il governo e l’opinione pubblica americana, anche con 
quello slancio emotivo, tipico di chi affronta le questioni spinto da forte passione. 
Spesso, nei colloqui allo State Department, fu portato ad evitare i convenevoli e ad 
arrivare immediatamente al vivo della questione. Questo temperamento fu 
particolarmente evidente quando si discussero la questione di Trieste e quella delle 
colonie, che maggiormente impegnarono Tarchiani in quegli anni. 
La risolutezza di Tarchiani si dovette più volte – e con suo estremo 
rammarico – scontrare contro la lentezza e l’indecisione della classe dirigente 
italiana, sempre in atteggiamento di attesa, quasi che si dovesse costantemente 
attendere un intervento esterno, invece che agire attivamente per dare soluzione ai 
problemi italiani.  
Secondo Tarchiani questo era il più grosso difetto della politica italiana, che 
perse così molte occasioni per poter acquisire vantaggi e migliorare la propria 
posizione, soprattutto agli occhi di quella che già mostrava di essere la più grande 
potenza mondiale.  
 12
Tra l’altro, nei primi anni di permanenza dell’Ambasciatore a Washington, il 
suo compito fu ancora più arduo, dal momento che gli Stati Uniti guardavano sì con 
simpatia, ma anche con una certa indifferenza alle questioni italiane. Era dunque 
necessario che l’Italia desse delle prove concrete della propria volontà di cambiare.  
È in questo senso che, ad esempio, Tarchiani insistette per affrettare la 
dichiarazione di guerra al Giappone e affinché il governo italiano desse assicurazioni 
che un tale atto non sarebbe rimasto simbolico, ma si sarebbe tradotto in un’effettiva 
partecipazione alle operazioni di guerra. Se così non fosse stato i Tre Grandi, e 
soprattutto gli Stati Uniti, non avrebbero mai preso sul serio la causa dell’Italia e non 
avrebbero soddisfatto le richieste e le aspirazioni italiane. 
In realtà, come è ben noto, nonostante l’instancabile attività di Tarchiani e le 
continue promesse statunitensi, quando si trattò di prendere posizioni decisive per le 
sorti del nostro Paese, prevalsero sempre considerazioni di politica internazionale, 
relative, prima ai rapporti tra i Tre Grandi e poi a quelli tra Stati Uniti ed Unione 
Sovietica, che si sostanziarono nella frustrazione delle aspirazioni e delle richieste 
italiane. A tal proposito non va dimenticato che, fin dall’inizio, fu negata all’Italia la 
possibilità di partecipare alla costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 
nella Conferenza di San Francisco, e, nonostante le continue dichiarazioni di buona 
volontà da parte americana, l’Italia non poté entrare a far parte dell’organo posto a 
garanzia della pace e della sicurezza mondiale fino al 1955, a causa del veto 
sovietico. 
Altro tratto caratteristico dell’attività di Tarchiani – diretta conseguenza della 
sua formazione giornalistica – fu la particolare attenzione mostrata verso l’opinione 
pubblica americana. 
Nei lunghi anni trascorsi a Washington, prima e durante la dittatura fascista, 
Tarchiani ebbe modo di comprendere quanto negli Stati Uniti il termine 
«democrazia» fosse inteso nel suo senso etimologico di «potere del popolo». 
L’Ambasciatore italiano capì presto quanta influenza l’opinione pubblica 
americana riuscisse ad esercitare sulle decisioni del governo. A sua volta, la stampa 
aveva un forte potere persuasivo nei confronti dell’opinione pubblica e proprio su 
questo fattore puntò spesso Tarchiani per promuovere la causa italiana e 
sensibilizzare l’opinione pubblica americana: 
 13
 «La mia esperienza mi insegna che nulla è perduto di quanto si fa per 
mantenere viva l’attenzione e l’amicizia di questo Paese, sempre pronto ad ascoltare 
informazioni e giudizi, a cercare di farsi un’opinione obiettiva, ad agire appena è 
convinto che può dare opera utile in favore di un Paese che meriti comprensione ed 
appoggio»
8
. 
  
Nell’ambito del dibattito sull’opportunità di una dichiarazione di guerra al 
Giappone, Tarchiani insistette molto sulla «favorevolissima accoglienza» che un tale 
gesto avrebbe ricevuto da parte dell’opinione pubblica americana. Quando Togliatti, 
nell’aprile del 1945, criticò l’Ambasciatore per l’eccessivo coinvolgimento della 
stampa americana nelle questioni italiane, Tarchiani chiese a De Gasperi di fargli 
notare che:  
 
«data la situazione dell’Italia, non si può qui fare gli scontrosi coi giornalisti che 
dominano l’opinione pubblica. Bisogna correre qualche rischio con loro, ma tenerseli 
generalmente amici. L’Italia in questo Paese della pubblicità frenetica, deve essere sempre 
presente nei giornali e alla radio, se vuol tornare ad essere simpaticamente popolare»
9
. 
 
Lo stesso De Gasperi, nel corso della visita negli Stati Uniti, ebbe modo di 
verificare questa realtà americana, tanto da coniare il termine «Fotocrazia» per i 
giornalisti, «simpatici, ma anche tirannici, dominatori della vita pubblica 
americana»
10
. 
Proprio il primo viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti nel gennaio 1947, 
descritto da Tarchiani nei più minuti particolari nel libro “America – Italia: le dieci 
giornate di De Gasperi negli Stati Uniti”, può essere considerato per l’Italia il 
momento decisivo ed iniziale verso la ricostruzione ed il progresso. 
Dalla Conferenza di Potsdam in poi, nel corso delle innumerevoli Conferenze 
dei ministri degli Esteri, che culminarono nell’elaborazione del Trattato di pace, 
l’Italia aveva visto lentamente sgretolarsi le proprie aspirazioni nazionali ed 
internazionali. Nulla di tutto quello che l’Italia aveva fatto, seppur tardivamente, fu 
                                                 
8
 TARCHIANI A., America – Italia: le dieci giornate di De Gasperi negli Stati Uniti, Rizzoli, Milano, 
1947, p. 76.  
9
 Tarchiani a De Gasperi, Washington, 12-13 aprile 1945, in Documenti Diplomatici Italiani (DDI), 
X, 2, d. 126, p. 167. 
10
 TARCHIANI A., America – Italia: le dieci giornate di De Gasperi negli Stati Uniti, op. cit., p. 85. 
 14
ufficialmente riconosciuto nelle discussioni e nella versione finale del Trattato di 
pace, nemmeno lo status di cobelligerante nell’ultima fase della guerra.  
I Tre Grandi, soprattutto Gran Bretagna ed Unione Sovietica, insistettero e 
ottennero che all’Italia venisse imposto un vero e proprio diktat, come per gli altri 
Paesi ex satelliti della Germania. Non fu nemmeno più riconosciuto il principio, 
sancito a Potsdam, della priorità della conclusione del Trattato di pace con l’Italia, la 
quale, pur essendo stata ammessa ad esporre le proprie osservazioni in merito, 
dovette arrendersi ad un Trattato di pace «ingiusto e punitivo», che, tra l’altro decise 
la formazione del Territorio Libero di Trieste – che Tarchiani non esitò a definire un 
«aborto» – e lasciò in sospeso la questione coloniale, su cui convergevano gli 
interessi di troppi Paesi. 
Il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, dunque, fu motivato da ragioni di 
carattere strettamente economico – quale il prestito della Export-Import Bank e gli 
aiuti all’Italia – e di prestigio del leader della DC. 
Sembra che sia da parte italiana che da parte americana, lo scopo principale 
che si voleva perseguire attraverso tale viaggio fosse quello di dissipare l’atmosfera 
di tensione che si era creata tra i due Paesi, lungo il corso del 1946, e che si era 
andata deteriorando per la delusione italiana sui termini del Trattato di pace. 
De Gasperi, a cui Tarchiani era legato da un forte sentimento di stima ed 
amicizia e con cui intratteneva uno scambio epistolare che esulava dalla semplice 
trasmissione di documentazione ufficiale, sottolineò allora l’importanza che attribuì 
alla visita:  
 
«Questo viaggio è per me un rischio politico, ma lo affronto perché anche se non mi 
soddisfacesse per i suoi risultati immediati, io avrei stabilito un contatto certamente utile tra 
due civiltà»
11
. 
 
 Non bisogna dimenticare il clima di profonda incertezza politica interna in cui 
lo stesso Alcide De Gasperi si trovava a dover svolgere il proprio ruolo di guida del 
Paese, prima per portarlo dignitosamente fuori da una guerra che lo aveva devastato 
e che gli era costata la perdita di fiducia da parte del resto del mondo; poi per trovare 
una maggioranza forte che consentisse di governare il Paese in modo da risollevarlo 
                                                 
11
 Ivi, p. 28; DE GASPERI M. R. (a cura di), De Gasperi scrive:corrispondenza con capi di stato, 
cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, vol. II, Morcelliana, Brescia, 1974. 
 15
dalla miseria e dalla distruzione, nonostante le numerose tendenze scissionistiche 
interne alla Democrazia Cristiana; senza contare l’eterno problema della presenza di 
un forte Partito Comunista, sempre contrario alla stretta collaborazione italo-
americana, e in grado di conquistarsi, anche pericolosamente, una grossa fetta di 
elettorato italiano. 
 Infatti, secondo le memorie di Ortona
12
, sembra che un altro motivo 
determinante per l’invito di De Gasperi negli Stati Uniti fosse stato il risultato delle 
elezioni amministrative del novembre 1946, che avevano visto un arretramento della 
DC, accompagnato da un preoccupante avanzamento del PCI, motivato da una «crisi 
di sfiducia» del popolo italiano nei confronti degli Stati Uniti
13
. 
 Dopo l’esclusione delle sinistre dalla compagine di governo nella primavera 
del 1947, si aprì un aperto contrasto tra gli Stati Uniti e il PCI, che li accusò di aver 
voluto il viaggio di De Gasperi per rafforzare la DC e farne un perno di stabilità per 
l’influenza statunitense sull’Italia
14
. 
 Ad ogni modo, a seguito di tale viaggio, De Gasperi, grazie all’instancabile 
attività di mediazione di Alberto Tarchiani, riuscì ad imporsi e ad imporre il suo 
Partito, la DC, come partner preferenziale e particolarmente affidabile per il 
ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e gli Stati Uniti nell’immediato 
dopoguerra. E fu solo a partire da quel momento che gli Stati Uniti iniziarono 
effettivamente a pensare di dare un sostegno concreto alla Democrazia Cristiana e al 
suo leader, per la ricostruzione del Paese e nella lotta contro il comunismo, che di lì 
a poco sarebbe sfociata nello “scoppio” della guerra fredda. 
 Il viaggio di De Gasperi ad ogni modo riuscì a portare l’Italia fuori da una 
situazione di isolamento internazionale e, la «scelta occidentale», in qualche modo 
obbligata, operata allora dal governo De Gasperi, valse al Paese l’inclusione nel 
programma di aiuti all’Europa, meglio noto come Piano Marshall, grazie al quale, 
l’Italia non solo poté avviare la propria ricostruzione, ma iniziò a ritagliarsi un posto 
                                                 
12
 ORTONA E., Anni d’America. La Ricostruzione, 1943-1953, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 175. 
13
 QUARTARARO R., Italia e Stati Uniti: gli anni difficili, 1945-1952, Edizioni Scientifiche Italiane, 
Napoli, 1986, p. 146. 
14
 Al riguardo si disse che la crisi di gennaio era maturata all’estero, dietro consiglio-pressione 
statunitense, e col ricatto di non concedere gli aiuti economici all’Italia su cui ancora non si aveva 
alcuna notizia certa. Si veda in proposito: GALANTE S., Il PCI e gli Stati Uniti (1945-49), in AGA 
ROSSI E. (a cura di), Italia e Stati Uniti durante l’amministrazione Truman, Angeli, Milano, 1976, 
pp. 253-269. 
 16
proprio nella comunità internazionale, in particolare attraverso la promozione del 
processo di integrazione europea, che gli americani posero come condizione per 
l’assegnazione degli aiuti ERP. 
 Fu soprattutto l’infaticabile impegno di Tarchiani, nel sollecitare sia il 
governo americano sia quello italiano, che permise all’Italia, nonostante il mancato 
ingresso nell’Unione Occidentale, di essere inclusa nel sistema di sicurezza collettiva 
e di partecipare come membro originario al Patto Atlantico, siglato il 4 aprile 1949. 
 Grazie alla mediazione di Tarchiani, in accordo con i diplomatici delle altre 
importanti ambasciate, si riuscì a superare l’iniziale, inopportuno atteggiamento 
negoziale assunto da parte italiana. Emerse dalle dichiarazioni di esponenti del 
governo, la volontà di condizionare la partecipazione al sistema di sicurezza 
collettiva alla soluzione della questione coloniale, del TLT ed alla revisione delle 
clausole militari del Trattato.  
 Naturalmente l’atteggiamento italiano fu interpretato come un vero e proprio 
ricatto e furono Tarchiani e gli altri Ambasciatori a convincere il governo di quanto 
sbagliata fosse la strada intrapresa. In tal modo, oltre a “boicottare” la via verso 
l’integrazione europea, si rischiava di perdere anche l’appoggio e la garanzia 
statunitense. L’obiettivo americano era infatti quello di incentivare i Paesi europei a 
provvedere, nei limiti delle loro possibilità, alla propria difesa, assicurando una 
ulteriore garanzia di sicurezza americana, attraverso l’inclusione dei Paesi membri 
dell’Unione Occidentale nel Patto Atlantico. 
 L’Italia, ponendo delle condizioni alla partecipazione all’Unione Occidentale 
– pur in assenza di qualsiasi potere negoziale, come sottolineò Quaroni
15
 – rischiò di 
cadere in una nuova posizione di isolazionismo, fuori dall’Europa e da ogni garanzia 
americana. 
 Fu poi il deciso intervento del governo francese – che chiese l’inclusione 
dell’Italia al Patto Atlantico per estendere il raggio della garanzia americana anche ai 
distretti algerini – e furono le pressanti preoccupazioni americane verso possibili 
attacchi sovietici all’Italia, nonché il deciso intervento di Tarchiani allo State 
Department, che modificarono la situazione. 
                                                 
15
 Quaroni a Sforza, Parigi, 29 maggio 1948, in DDI, XI, 1, d. 70, pp. 91-93. 
 17
L’Italia, effettivamente, privata dalle clausole militari del Trattato di pace 
della possibilità di organizzare autonomamente la difesa dei propri confini, era fonte 
di preoccupazione per gli americani, soprattutto in merito al confine orientale. 
Sguarnita di qualsiasi difesa ad est, l’Italia rappresentava «la porta aperta 
all’Occidente» di un’eventuale invasione sovietica, attraverso la Jugoslavia di Tito. 
 Si decise pertanto di invitarla alle discussioni per il costituendo Patto 
Atlantico, che lasciava aperta la porta all’adesione di Paesi non appartenenti 
all’Unione Occidentale, al fine di garantire l’Italia, e con essa l’Europa, dall’avanzata 
dell’Armata Rossa attraverso il confine giuliano, con la complicità jugoslava.  
 Fu proprio il tema dei rapporti con la Jugoslavia quello che maggiormente 
preoccupò Tarchiani, come emerge dalle sue memorie, in gran parte dedicate al 
problema di Trieste e dei confini orientali. 
 Tarchiani ebbe un ruolo fondamentale, nell’evoluzione della questione, fin 
dai primi momenti, quando il problema di Trieste fu sollevato nelle varie Conferenze 
dei ministri degli Esteri. Come è stato sottolineato e come ricorda nelle sue memorie, 
nel novembre 1946, egli fece parte, assieme a Quaroni e Carandini, della delegazione 
italiana alla Conferenza dei ministri degli Esteri di New York e soffrì per la 
decisione finale di costituire il Territorio Libero di Trieste (TLT): l’ennesima prova 
del fatto che, pur di raggiungere un compromesso e di chiudere il capitolo “Trattati di 
pace”, gli Stati Uniti avevano deliberatamente scelto di sacrificare gli interessi e le 
aspirazioni italiane. 
 Nonostante le varie dichiarazioni da parte americana secondo cui la 
formulazione finale del Trattato e la costituzione del TLT rappresentavano l’unica 
soluzione possibile in quel momento, Tarchiani non smise mai di protestare contro la 
decisione di amputare parte del territorio italiano a favore della Jugoslavia, creando 
grossi problemi di sicurezza ai confini orientali dell’Italia. 
 L’Ambasciatore italiano mise immediatamente in luce le difficoltà che 
sarebbero state incontrate nel tentativo di realizzare concretamente il TLT e più volte 
espresse la preoccupazione, di fronte all’aggressività jugoslava, che Tito non si 
sarebbe accontentato della sola zona B, ma avrebbe potuto anche tentare di occupare 
militarmente altre aree circostanti a danno dell’Italia che non aveva alcuna possibilità 
di difendersi. 
 18
 Dall’analisi dei documenti diplomatici americani, emerge chiaramente come, 
dopo la rottura tra Tito e Stalin, gli Stati Uniti ridimensionarono il proprio impegno a 
favore dell’Italia, di fronte alla possibilità di sottrarre la Jugoslavia al controllo 
sovietico ed inglobarla quindi nel blocco occidentale. Fu per questo motivo che si 
registrò un atteggiamento – costantemente avversato e denunciato da Tarchiani – di 
maggiore accondiscendenza verso le richieste jugoslave. 
Dopo il fallimento registrato per l’effettivo funzionamento del TLT (il 
problema maggiore fu quello della nomina di un Governatore), furono avanzate 
diverse proposte di demarcazione del confine giuliano, fino alla firma, nel 1954, del 
memorandum di Londra, che stabilì a titolo provvisorio di affidare l’amministrazione 
della zona A all’Italia – fino ad allora sotto occupazione anglo-americana – e quella 
della zona B alla Jugoslavia, con piccole rettifiche di confine e accordi per il 
trattamento delle minoranze etniche e delle materie economiche. 
 Un’altra questione che mise seriamente in dubbio i rapporti italo-americani fu 
quella degli ex possedimenti italiani in Africa. Ricorda Tarchiani: 
 
«dopo l’azione per Trieste, ed insieme coi sempre gravi ed assillanti problemi economici, la 
questione coloniale fu quella che più occupò, in una costante, e spesso sterile ed ingrata 
fatica, le forze dell’Ambasciata di Washington e quelle di valenti specialisti e di ferrati 
diplomatici […]. Tutti, nei limiti di una causa disperata a priori, compirono, con ogni 
impegno e con la massima capacità, il loro dovere»
16
. 
 
Tra le pagine delle memorie e dai documenti diplomatici emerge per la prima 
volta la disillusione di Tarchiani nei confronti degli Stati Uniti. 
 La lettura dei documenti mostra che da parte di Tarchiani ci fu sempre un 
atteggiamento di ottimismo verso le intenzioni americane di aiutare l’Italia. Ma per la 
prima volta, nelle pagine dedicate alla questione coloniale Tarchiani esprime un 
giudizio estremamente duro nei confronti del governo americano, quando mostrò 
apertamente di appoggiare la politica britannica nel continente africano: 
  
«La recente decisione americana, concernente le ex colonie italiane costituisce 
purtroppo una prova, simile ad altre di cui abbiamo avuto precedente esperienza, degli 
“scarti” cui è costantemente soggetta la politica estera di questo Paese»
17
. 
 
                                                 
16
 TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, op. cit., p. 171. 
17
 Tarchiani a Sforza, Washington, 28 novembre 1948, in DDI, XI, 1, d. 684, p. 1006. 
 19
E aggiunge: 
 
«gli americani non sono in grado di resistere alla volontà degli inglesi, quando 
questi, attribuendo ad un dato problema un’importanza capitale per la sicurezza del loro 
Impero, si mostrano risoluti a non accettare soluzioni diverse da quelle che essi 
propongono»
18
.  
 
Nonostante tali giudizi, che sembrano dettati più che altro dall’istinto e 
dall’emotività, Tarchiani continuò la propria opera di persuasione presso il 
Dipartimento di Stato e mai dubitò seriamente delle intenzioni americane di trovare 
delle soluzioni favorevoli all’Italia. 
Sembra che in realtà Tarchiani non abbia avuto un ruolo particolarmente 
attivo riguardo alla questione coloniale, dato che l’azione diplomatica italiana, in 
merito, si concentrò più su Londra che su Washington, anche per il profondo anti-
colonialismo dell’opinione pubblica americana, che spingeva il governo statunitense 
ad occuparsi poco delle ex colonie italiane, se non nella misura in cui tale interesse 
potesse risultare funzionale alla politica del containment e quindi al tema della difesa 
occidentale. 
Fu proprio con l’emergere della questione del sistema di sicurezza collettiva 
che si registrò un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella questione 
coloniale, e quindi un maggiore impegno da parte di Tarchiani, data l’importanza 
strategica che gli anglo-americani attribuivano all’area del Mediterraneo.  
L’Ambasciatore italiano, quindi, sembra aver deciso di affrontare il problema 
delle ex colonie italiane, nelle proprie memorie, più per la presa che la questione 
aveva avuto sull’opinione pubblica che non per un’azione attiva da parte 
dell’Ambasciata a Washington in merito. 
Più che altro, il ruolo di Tarchiani, in questo caso, fu quello di esercitare 
pressioni sullo State Department affinché fossero assegnati all’Italia i territori 
africani, oggetto di disputa, in amministrazione fiduciaria, in vista di una loro futura 
costituzione in Stati indipendenti. Solo l’Italia, che aveva condotto, nei lunghi anni di 
presenza in Africa, un’importante opera di sviluppo e di civilizzazione, poteva 
garantire che Libia, Eritrea e Somalia avrebbero camminato, sotto la sua guida, verso 
l’indipendenza in maniera pacifica ed ordinata, senza perdere il lavoro compiuto 
                                                 
18
 Tarchiani a Sforza, Washington, 28 novembre 1948, in DDI, XI, 1, d. 684, p. 1007. 
 20
dagli italiani durante la colonizzazione, e consentendo loro di rimanere in tali Paesi 
per tutelare gli interessi lì maturati. 
Attraverso il presente studio, si è voluto dimostrare quanto sia stata 
determinante l’attività di Tarchiani nel ristabilimento di relazioni amichevoli e di un 
clima di reciproca fiducia tra l’Italia e gli Stati Uniti. 
Afferma lo stesso Tarchiani nelle memorie: 
 
«Ho avuto l’ambita soddisfazione di partecipare, negli assai vasti limiti delle mie 
funzioni, a questa opera di avvicinamento, di coordinamento, di fiduciosa intesa tra Italia e 
America, contribuendo a ricondurle ad un’operosa collaborazione e ad una costruttiva 
amicizia»
19
. 
 
Determinante è stata la presenza di Tarchiani a Washington per sollecitare da 
una parte, l’Italia a schierarsi apertamente con l’Occidente e dall’altra, gli Stati Uniti 
ad interessarsi seriamente e concretamente della ricostruzione di un Paese 
geograficamente strategico per la logica della guerra fredda. 
Tarchiani, pur riconoscendo i limiti di incertezza e scarsa capacità di seguire 
una linea coerente dell’azione statunitense, non ebbe alcuna esitazione 
nell’individuare in una stabile alleanza tra Roma e Washington l’unica possibilità per 
l’Italia di avere un ruolo internazionale e nel mondo occidentale, primariamente 
preoccupato dal contenimento dell’influenza e dell’espansionismo sovietico. 
La profonda conoscenza della realtà americana fu un’importante risorsa per il 
governo italiano negli anni del dopoguerra: Tarchiani sapeva molto bene come 
muoversi tra la burocrazia, l’amministrazione e l’opinione pubblica americana e 
sfruttò queste conoscenze per interessare il governo americano alle problematiche 
italiane. 
Giunto a Washington, l’Ambasciatore italiano comprese fin da subito che 
nessun’altra nazione avrebbe voluto e potuto contribuire – nel settore economico, 
politico e militare – al «prodigioso celere risorgimento nostro dalle rovine della 
guerra»
20
, nemmeno l’Unione Sovietica, rimasta sola con gli Stati Uniti a gestire le 
sorti del mondo. 
 
                                                 
19
 TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, op. cit., p. 342. 
20
 Ivi, p. 339. 
 21
«Sono stato compartecipe e testimone, per dieci anni, del continuo svolgersi 
dell’azione americana nei riguardi dell’Italia, lungo le linee maestre delle nostre giuste 
aspirazioni e delle nostre necessità. Mai ho trovato porta chiusa o ironica indifferenza al 
Dipartimento di Stato, o presso le altre branche dell’amministrazione degli Stati Uniti. 
Alcune nostre vive speranze non sono state soddisfatte, né tutti i nostri voti esauditi. Non era 
possibile che lo fossero; soprattutto perché moltissime decisioni non dipendevano 
esclusivamente da Washington»
21
. 
  
Da queste affermazioni emerge il filo conduttore di tutto il presente lavoro: la 
fiducia incondizionata, nonostante una concreta capacità critica, nella buona volontà 
americana di soccorrere, sostenere e difendere l’Italia e le sue aspirazioni. 
Tale fiducia, naturalmente non ha impedito a Tarchiani di denunciare e 
mettere chiaramente in luce le responsabilità di Byrnes e del governo americano per 
avere, in troppi casi, ceduto facilmente alle pretese sovietiche, soprattutto in merito a 
Trieste; e per l’eccessivo atteggiamento di accondiscendenza verso la Gran Bretagna 
in tema coloniale. 
Mai però Tarchiani pensò di rinnegare la scelta strategica a fianco degli Stati 
Uniti, nella convinzione che, comunque, anche nei momenti più sfavorevoli per 
l’Italia, il governo americano, sostenuto dall’opinione pubblica, si pose a fianco del 
popolo italiano e lo aiutò a conseguire molti dei risultati desiderati.  
  
 
 
  
  
  
  
 
 
 
 
 
  
 
 
 
                                                 
21
 Ivi, p. 340. 
 22
CAPITOLO PRIMO 
LA SFIDA DELLA DIPLOMAZIA 
 
 
1.1. CENNI BIOGRAFICI 
 
 Alberto Tarchiani (Roma, 1885 – 1964) non era un diplomatico di carriera. 
Era innanzitutto un giornalista, ed in seconda istanza anche un politico «prestato alla 
diplomazia»
22
. 
A ventidue anni, nel 1907, si trasferì negli Stati Uniti dove lavorò per qualche 
anno come corrispondente di periodici italiani da New York.  
Fervente patriota ed interventista convinto durante la prima guerra mondiale, 
rientrò in Italia nel 1918 per arruolarsi come volontario in fanteria.  
Dal 1919 al 1925 fu redattore capo del “Corriere della Sera”, allora diretto da 
Luigi Albertini, condividendone gli ideali liberali, in un momento in cui il giornale si 
trovava a lavorare in una delicata fase della vita politica del Paese; e se ne dimise 
quando il fascismo ne acquisì il completo controllo
23
. In quell’anno, il 1925, 
Tarchiani decise di espatriare e scelse come meta d’esilio Parigi, dove si legò al 
gruppo di antifascisti fuoriusciti raccolti intorno alla figura di Gaetano Salvemini
24
. 
Figura di rilievo dell’antifascismo militante, il 1929 fu un anno cruciale per la 
sua attività contro il regime: il 27 luglio Tarchiani fu, con Gioacchino Dolci, il 
principale organizzatore della fuga dal confino di Lipari di Carlo Rosselli, Emilio 
Lussu e Francesco Fausto Nitti
25
. Nell’agosto dello stesso anno, a Parigi, Rosselli, 
                                                 
22
 TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954, 
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, p. 5. 
23
 Ibidem; www.romacivica.net. 
24
 Aldo Garosci, nelle pagine dedicate alla fuga di Carlo Rosselli da Lipari, scrisse di lui: «Tarchiani 
[…] era un “liberale”. Ma la parola […] è lungi dall’essere distintiva. Vi sono perciò nel 
temperamento e nella storia di Tarchiani altri elementi che conviene ricercare per rendersi conto della 
parte che egli ha esercitata nei movimenti antifascisti dal ’25 in poi. Giovane giornalista romano, di 
famiglia toscana, divenne “liberale” non in Italia […] ma negli Stati Uniti; e divenne liberale 
attraverso una violenta reazione al nazionalismo, del quale era giovanilmente e fanaticamente 
convinto quando venne in America. […] Tarchiani fu un internazionalista convinto, persuaso che le 
istituzioni liberali debbano essere estese a tutto il sistema mondiale o scomparire.» in GAROSCI A., 
Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 142-143. 
25
 TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954, op. cit., p. 
6; www.archiviorosselli.it; www.romacivica.net. 
 23
Salvemini, Lussu e Tarchiani, assieme ad Alberto Cianca, Cipriano Facchinetti e 
Raffaele Rossetti, fondarono il movimento “Giustizia e Libertà”
26
 (GL), dal quale 
Tarchiani, però si allontanerà nel 1934 per divergenze ideologiche con Rosselli
27
.  
 Tra la fine del 1929 e gli inizi del 1930, fu coinvolto, assieme a Rosselli e ad 
altri appartenenti al gruppo GL, in un complotto ordito dall’agente provocatore 
Ermanno Menapace e fu accusato, con gli altri, di aver tentato di organizzare un 
attentato ai danni del ministro della Giustizia italiano, Alfredo Rocco. 
Furono tutti arrestati e, emerso che le prove a carico erano completamente false, 
furono, in breve tempo, scagionati e scarcerati; ma, in conseguenza della vicenda, 
vennero “ufficialmente” espulsi dalla Francia, pur ottenendo, in realtà, permessi 
provvisori che consentirono loro di rimanervi
28
. 
 Una delle attività più rilevanti, nell’ambito della propaganda antifascista 
organizzata e finanziata da Tarchiani, assieme a Rosselli, è sicuramente il temerario 
volo propagandistico su Milano di Giovanni Bassanesi, presidente della sezione 
parigina della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU)
29
, che nel luglio del 1930 
lanciò sul capoluogo lombardo 150 mila volantini di GL con l’invito a «Insorgere» e 
«Risorgere». Ne seguì un processo, tenutosi a Lugano, per violazione dello spazio 
                                                 
26
 Per un approfondimento su “Giustizia e Libertà” si rinvia a: AGA ROSSI E. (a cura di), Il 
movimento repubblicano, Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione, Cappelli, Bologna, 1979; AA. VV., 
Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia, La Nuova Italia, Firenze, 1978; 
GAROSCI A., Profilo dell’azione di Carlo Rosselli e “Giustizia e Libertà”, Roma, in «Quaderni del 
Partito d’Azione», n. 9, 1944; SANTI F., E verrà un’altra Italia. Politica e cultura nei Quaderni di 
Giustizia e Libertà, Franco Angeli, Milano.  
27
 All’inizio, il movimento di GL, oltre a porre con decisione la pregiudiziale repubblicana, sostenne 
la necessità dell’abbandono della lotta legale e del passaggio all’agitazione rivoluzionaria e all’azione 
armata; nell’estate del 1932, a causa della dura repressione che aveva colpito i militanti del 
movimento in Italia, GL ripiegò su un programma – che Salvemini non esitò a definire classista e 
socialista – che contemplava la creazione di uno Stato repubblicano e laico, fondato su larghe 
autonomie locali; una riforma agraria (o «la terra a chi lavora») e una riforma industriale (controllo 
bancario e controllo operaio). Tarchiani, invece, insieme a Lussu, era tra i più convinti sostenitori 
della linea rivoluzionaria e continuò ad organizzare attentati contro Mussolini. Si veda in proposito: 
BERTI F., Per amore della libertà, in «Rivista Anarchica», n. 268, anno XXX, dic. 2000-gen. 2001; 
www.giustizia-e-liberta.com, www.liberalsocialisti.org.  
28
 www.archiviorosselli.it; www.romacivica.net. 
29
 La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo è un’associazione fondata a cavallo tra la fine dell’Ottocento 
e gli inizi del Novecento, per iniziativa di Ernesto Nathan, indimenticato sindaco di Roma. Le leggi 
fasciste vietarono in Italia le libere associazioni e la LIDU continuò la sua attività nella sede di Parigi, 
dove si erano ritirati in esilio i maggiori tra i suoi dirigenti, tra i quali vanno ricordati Nenni, Saragat e 
Facchinetti. Risorta in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, ha caratterizzato la sua azione 
per la difesa dei diritti civili nel nostro paese e contribuito alla proclamazione della “Dichiarazione 
Universale dei Diritti dell’Uomo” del 1948. Azione coerente ed impegno particolare è stato sviluppato 
per la nascita dell’Europa e notevoli contributi sono stati forniti per la definizione dei Diritti 
Fondamentali del “cittadino europeo”. Si veda: www.liduonlus.org. 
 24
aereo svizzero, che si concluse con la piena assoluzione e la condanna del regime 
fascista, dopo la pubblicazione, da parte della stampa internazionale, di resoconti che 
misero sotto accusa il regime di Mussolini
30
. 
 Pur lasciando il gruppo di GL, Tarchiani non cessò mai la sua attività di 
antifascista convinto e nel novembre del 1937 fondò, con Randolfo Pacciardi, 
rientrato dalla Spagna dove aveva partecipato come volontario alla guerra civile, il 
movimento di ispirazione repubblicana “La Jeune Italie”
31
.  
 Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1940, vi fondò l’associazione antifascista 
“Mazzini Society”, insieme a Gaetano Salvemini, Carlo Sforza, Alberto Cianca e 
Max Ascoli
32
, che già da tempo avevano avviato il tentativo di stabilire contatti col 
governo americano affinché sostenesse la loro azione antifascista, senza ottenere, in 
realtà, grossi risultati. 
 Dopo lo sbarco degli Alleati in Italia nel 1943, il 30 giugno di quell’anno, 
Tarchiani, Cianca, Aldo Garosci e Bruno Zevi, si imbarcarono per l’Europa sulla 
nave “Queen Mary”, spogliata del suo arredo per trasportare 15 mila soldati ed il loro 
armamento, esposti a possibili attacchi di sottomarini tedeschi, perché sforniti di una 
scorta adeguata. 
 Giunti in Inghilterra, attivarono subito la radio clandestina di Giustizia e 
Libertà, che trasmetteva per tutto l’arco della giornata con attacchi al regime ed alla 
                                                 
30
 Dopo l’arresto di Bassanesi, Rosselli e Tarchiani si presentarono come coimputati, citando come 
testimoni i grandi nomi dell’esilio antifascista, da Filippo Turati a Carlo Sforza. Il processo fu 
clamoroso ed emersero dei resoconti incriminanti il regime fascista. Gli accusati furono pertanto 
prosciolti. Per un approfondimento sul tema si veda: BUTTI G., GENASCI P., ROSSI G., L’aereo 
della libertà. Il caso Bassanesi e il Ticino, Fondazione Pellegrini-Comevascini, 2002; NEBIOLO G., 
L’uomo che sfidò Mussolini dal cielo. Vita e morte di Giovanni Bassanesi, Rubbettino, Soveria 
Mannelli, 2006. 
31
 www.romacivica.net. 
32
 Max Ascoli (Ferrara, 1898 – New York, 1978) è una voce originale del panorama culturale e 
politico italiano del Novecento. Intellettuale ebreo, giurista, ordinario di Filosofia del Diritto 
all’Università di Roma (finché lasciò l’Italia fascista nel 1932 per trasferirsi negli Stati Uniti), 
politologo, scrittore, e militante antifascista, in particolare nella Mazzini Society (1940-43), attraverso 
la quale offrì sostegno economico e morale ai fuoriusciti italiani. La sua figura è stata a lungo 
sottovalutata. Per un approfondimento su Max Ascoli si veda: CALABI ZEBI T., La mia 
autobiografia politica, in www.liberalsocialisti.org; TAIUTI A., Un antifascista dimenticato. Max 
Ascoli fra socialismo e liberalismo, Polistampa, 2007; www.hirc.umn.edu (IHRC – Immigration 
History Research Center, College of Liberal Arts, University of Minnesota – possiede un Fondo Max 
Ascoli contenente corrispondenza, minute, pubblicazioni ed estratti di giornali sull’attività della 
Mazzini Society ed i suoi militanti). 
 25