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Infine, nel sesto capitolo, si faranno delle riflessioni sul lavoro condotto. Si parlerà 
della portata dell’Alcohol Myopia Theory in riferimento all’indagine effettuata e agli 
studi a sostegno. Si metterà a confronto questo modello teorico con la teoria della 
disinibizione, evidenziando i limiti di quest’ultima. Si  suggerirà poi l’importanza di 
intraprendere percorsi di ricerca finalizzati ad individuare possibili strategie di 
prevenzione con lo scopo di ridurre l’incidenza dei comportamenti a rischio associati al 
consumo di alcolici nei giovani.  
 
 
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Capitolo I 
 
I GIOVANI E L’ALCOL 
 
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Premessa   
 
Da sempre l’uomo ha cercato un modo per divertirsi e allontanarsi dai 
problemi della vita quotidiana e dalle preoccupazioni, stordendosi. I popoli 
antichi, sia orientali che occidentali, hanno sempre avuto a disposizione 
sostanze dalla cui fermentazione si potevano ricavare bevande alcoliche. Il 
culto per Dionisio, divinità raffigurata con un volto rubicondo e 
spensieratamente ebbro, rappresenta un esempio del valore che l‘alcol aveva 
nella cultura ellenica.  
Non esistono dati quantitativi sull’alcolizzazione degli antichi greci, ma 
possiamo trovare testimonianze di ubriachezza in tutta la letteratura di quel 
tempo. Anche in quell’epoca, come accade oggi, il consumo moderato di 
bevande alcoliche era considerato elegante, mentre ubriacarsi era ritenuto 
disdicevole. Pare che sia proprio la cultura ellenica ad aver diffuso il concetto 
di bere positivo, presente soprattutto nelle culture dei paesi mediterranei.  
In Italia il vino toccò la punta massima di produzione e consumo nel sec. I 
a.C.. Nel Medioevo invece non ci sono molte testimonianze sulle abitudini di 
assunzione di vino e altre bevande. Nel Rinascimento notiamo come il vino sia 
cantato quale simbolo di amicizia, amore e gioia di vivere (Bastiani Pergamo & 
Drogo, 2002). Col passare del tempo, l’alcol conosce un periodo di grande 
diffusione, ma solo nel XIX secolo il mondo scientifico comincia ad occuparsi 
dei danni causati dall’alcol.  L’uso e l’abuso di bevande alcoliche è considerato 
da diverso tempo un fattore di rischio per la salute pubblica, tuttavia l’alcol è 
parte integrante della vita quotidiana. In Italia l’abuso di alcol è spesso 
sottovalutato, per ragioni storiche, culturali ed economiche, anche se, 
recentemente, l’interesse per questo problema sembra crescere, in parallelo 
all’aumento di fenomeni di consumo alcolico eccessivo tra gli adolescenti e i 
giovani adulti. I giovani sono considerati un gruppo particolarmente a rischio 
per gli effetti che possono sperimentare in seguito all‘assunzione di alcol, 
conseguenze che possono avere un impatto negativo sulla loro maturazione 
psicofisica e che possono portarli ad assumere condotte pericolose per sé e per 
gli altri (guida in stato di ebbrezza, rapporti sessuali non protetti). 
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1.1. Adolescenza: l’età del cambiamento 
 
La maggior parte degli studi trasversali ed epidemiologici che si sono 
focalizzati sulla definizione e comprensione dello sviluppo dell’adolescente, 
definisce l’adolescenza come un periodo di inevitabile caos, difficoltà a 
definirsi e comportamenti impropri (Bastiani Pergamo & Drogo, 2002). In 
questo periodo il ragazzo è alla ricerca della propria identità e della propria 
indipendenza. L’adolescente sa di non essere più un bambino, ma a volte ha 
paura di ammettere di volerlo essere ancora. Dentro di lui convivono la voglia 
di crescere e la paura di fallire, la voglia di recidere il “cordone ombelicale” 
che lo fa dipendere affettivamente ed economicamente dalla sua famiglia e il 
desiderio segreto di rimanere un bambino, mantenendo così la protezione del 
“guscio familiare”. 
La complessità del mondo interiore dell’adolescente nasce proprio 
dall’essere in bilico tra il mondo degli adulti e quello infantile. L’adolescente si 
trova a dover affrontare una confusione interiore tale che spesso risulta dura da 
sopportare.  
La strada per raggiungere l’autonomia affettiva e sociale è piena di ostacoli 
che il giovane non è in grado di affrontare da solo. Per questo motivo è 
essenziale non solo che la famiglia offra al ragazzo un supporto adeguato, ma 
che anche la società sia in grado di fornire un contenitore adatto a contenere le 
paure e le difficoltà proprie del mondo adolescenziale, affinché il giovane 
possa passare gradualmente dalla protezione familiare strettamente personale, 
alla protezione sociale per lo più impersonale. Se alla società manca la qualità 
di struttura ragionevolmente stabile ed integrata, allora il ragazzo che matura si 
potrebbe rivolgere esclusivamente ai suoi coetanei allontanandosi da quella 
struttura sociale extrafamiliare senza la quale è più difficile mantenere la sua 
integrità psichica (Bastiani Pergamo & Drogo, 2002). 
Questo momento di crescita è spesso caratterizzato da paure e sentimenti di 
solitudine, dovuti alla consapevolezza del giovane di doversi separare 
psicologicamente dai propri genitori. E’ durante questo particolare periodo che 
il ragazzo sperimenta alcuni comportamenti devianti e trasgressivi (abuso di 
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alcol, uso di sostanze), che lo aiutano ad alleviare le sofferenze e le difficoltà. 
Secondo Bastiani Pergamo e Drogo (2002), nello sviluppo di una 
personalità sana svolgono un ruolo decisivo due tipi di fattori: il rapporto con i 
genitori e il rapporto con il gruppo dei pari. Abbiamo già riferito 
dell’importanza di una relazione supportiva tra i genitori e il ragazzo, 
attraverso la quale l’adolescente interiorizza i valori genitoriali e si identifica 
con questi, rendendo meno brusco l‘allontanamento dalla famiglia.  
Il gruppo dei pari è altrettanto importante. L’appartenenza al gruppo, infatti, 
influenza profondamente l’identità del ragazzo, il quale si identifica con le 
norme e i pattern comportamentali che caratterizzano il gruppo. Può accadere 
che il giovane, spinto dal desiderio di appartenere al gruppo, sia portato a fare 
ciò che gli altri membri si aspettano da lui, annullando parte della propria 
identità. Questo processo può risultare dannoso per l’integrità psichica del 
giovane nel momento in cui il distintivo culturale che caratterizza il gruppo 
diventa l’assunzione di condotte pericolose, come l’uso di droghe o la messa in 
atto di comportamenti violenti. E’ in questo contesto che diviene necessaria la 
presenza di una struttura sociale extrafamiliare solida e integrata in grado di 
fornire al giovane risposte ambientali alternative su cui strutturare, in modo 
costruttivo e non distruttivo, la propria identità. 
 
 
1.1.1.  Adolescenza e società 
 
 L’osservazione e lo studio dei giovani ci permette di affermare che la 
struttura psichica dell’individuo è colpita criticamente, in bene o in male, dalla 
struttura della società (Bastiani Pergamo & Drogo, 2002).  
Oggi, per poter cogliere le peculiarità della condizione giovanile, è 
necessario fare riferimento alle modificazioni profonde prodotte dal processo 
di modernizzazione. La società attuale pone i giovani di fronte a dilemmi che 
spesso diventano fonte di tensioni difficilmente sopportabili. 
La condizione giovanile è caratterizzata da una sostanziale omologazione 
rispetto ai valori e ai modelli comportamentali proposti dalle generazioni 
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adulte. Non c’è più lo scontro generazionale che spingeva i giovani a battersi 
per le loro idee. 
Questa assenza di conflittualità intergenerazionale rischia di avere 
conseguenze sul piano della crescita, perché si accompagna ad una forte 
carenza di spinte progettuali verso il futuro (Giannelli, Agostini, Stella, 1999). 
La cultura europea giovanile può essere perciò definita una “cultura della 
precarietà”, poiché caratterizzata da una condizione fluttuante, temporanea, 
incerta e frammentata e da una crescente solitudine del giovane nel definire il 
proprio io. Gli elementi che distinguono la condizione dei giovani d’oggi sono: 
il venir meno della dimensione diacronica dei progetti di vita ed il conseguente 
accento sui consumi “qui e ora”; il dilatarsi della sua durata fisiologica (un 
ventenne può essere ancora considerato un adolescente) e la conseguente 
perdita di significato dei tradizionali riti di passaggio dall’adolescenza all’età 
adulta; la centralità del vestire, dell’aspetto fisico e dei consumi nella 
costruzione della propria identità; il rinchiudersi nella propria intimità; il 
dilatarsi del “tempo vuoto” (Forni, 1997) e l’atteggiamento passivo che deriva 
da questa condizione (Osservatorio Permanente sui Giovani e l‘Alcol, 1999).  
 
 
1.1.2.  Il rischio fisiologico in adolescenza 
 
Giocarsi la vita, accettare la sfida, rincorrere l’ignoto, cercare il brivido: le 
definizioni di “rischio” possono essere svariate. In generale il rischio è ogni 
azione per la quale esiste sia la possibilità di successo sia la possibilità di 
fallimento. 
L’adolescenza costituisce una fase della vita in cui le relazioni che il 
soggetto intrattiene con la dimensione del rischio risultano particolarmente 
intense e pregnanti (Pellai & Bonincelli, 2002).  
Nel periodo adolescenziale, possiamo definire il rischio “funzionale” dal 
punto di vista evolutivo. Esso è connesso al percorso di acquisizione 
dell’autonomia e dell’identità e, proprio per questo, è un comportamento 
comune nel giovane e difficile da limitare. L’adolescente ha un bisogno 
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fisiologico di sperimentare se stesso, di conoscere i propri limiti e i propri punti 
di forza per definire la propria personalità e restituire al gruppo allargato, alla 
nuova famiglia sociale, la sua nuova identità, differente da quella costruita 
all’interno della famiglia d’origine. Per fare questo è costretto a ricercare 
esperienze nuove, a “rischiare” molto.  
L’adozione del rischio presenta caratteristiche diverse nel corso 
dell’adolescenza: l’assunzione di condotte a rischio, infatti, varia a seconda dei 
cambiamenti che accompagnano la crescita tra i 14 e i 19 anni. Secondo Giori 
(2002), si possono distinguere diverse fasi durante l’adolescenza che 
comportano rischi specifici, con difficoltà differenti per maschi e femmine. La 
prima fase, dai 12 ai 14 anni, è ricca di trasformazioni fisiche e psichiche che 
implicano difficoltà di adattamento per l’adolescente, il quale attraversa un 
momento di grande fragilità caratterizzato da forti cambiamenti d’umore. Il 
periodo tra i 15 e i 16 anni è più tranquillo per quanto riguarda i cambiamenti 
psicologici, anche se possono presentarsi problemi di adattamento in ambito 
scolastico. Infine nella tarda adolescenza, 17-19 anni, emergono difficoltà 
dovute all’inserimento nel contesto sociale e al passaggio all’età adulta, che 
provocano nel giovane stress e ansia.  
 
 
1.1.3. Il “risk-taking” 
 
Il “risk-taking” (prendersi il rischio) può essere definito come la 
partecipazione in attività dall’esito incerto, che possono essere potenzialmente 
compromettenti per il benessere del soggetto, che dimostra di avere scarsa o 
assente conoscenza delle conseguenze ad esse correlate (Pellai & Bonincelli, 
2002). Questi comportamenti, agiti su base volontaria, possono essere 
considerati come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche biologiche, 
psicologiche, sociali dell’individuo e il suo ambiente. Durante l’adolescenza gli 
evidenti cambiamenti che si verificano a livello biologico, cognitivo, 
psicologico e sociale, potrebbero rappresentare per il giovane degli stimoli 
molto potenti nel processo di assunzione e messa in atto del rischio. Ecco allora 
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che un certo grado di assunzione di rischi non è deviante (Plant & Plant, 1996), 
ma costituisce una dimensione normale nell’arco del processo di crescita 
dell’adolescente.   
Gli studi di Zuckermann (1979) hanno dimostrato che l’attrazione dei 
giovani nei confronti dei comportamenti “spericolati” è interpretabile come 
manifestazione di un tratto di personalità connotato dal desiderio di vivere 
sensazioni nuove ed eccitanti. Tale tratto è definibile come “sensation-seeking” 
(ricerca delle sensazioni) da intendersi come ricerca di sensazioni intense, 
inedite, complesse e variegate, correlate alla disponibilità a correre rischi a 
livello fisico, sociale, legale e finanziario. Esiste sempre una componente di 
“sensation-seeking” all’interno di qualsiasi azione o strategia di “risk-taking”.  
Quindi, se il rischio fa parte del gioco della vita e della maturazione 
dell’individuo (Bastiani Pergamo & Drogo, 2002), è il modo in cui esso viene a 
volte sottovalutato e banalizzato dagli adolescenti ad essere potenzialmente 
pericoloso.