Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
mondo � il progresso nella coscienza della libert�: un progresso che noi dobbiamo 
riconoscere nella sua necessaria natura� 
1
. 
 Se invece si nega tale affermazione e si riconosce piuttosto la validit� della tesi 
espressa da Schopenhauer nella sua opera Il mondo come volontà e rappresentazione 
dell�insensatezza della storia, in quanto interamente dominata da una pulsione cieca ed 
irrazionale, la volont�, che anima tutti gli esseri viventi ed agisce di per se stessa, senza 
obbedire ad alcuna legge che non le sia propria, quale spazio rimane alla libert� umana 
di realizzarsi? Infatti mentre la visione rettilinea della storia sostenuta da Hegel 
rappresenta il trionfo del libero arbitrio, al punto di farlo coincidere con un elemento 
necessario al progresso, nella concezione circolare schopenaueriana tale facolt� sembra 
annientata e consegnata nelle mani di una forza imperscrutabile 
2
. Siamo le marionette 
di un qualche oscuro burattinaio che muove i nostri fili per ragioni che non ci � dato di 
conoscere, o siamo liberi di tracciare il nostro sentiero esistenziale? 
Fin dall�antichit� sono state elaborate varie dottrine sul destino umano, le quali 
hanno sempre indagato il problema in stretta connessione con la questione del rapporto 
tra individuo e cosmo. Cos�, a seconda delle credenze filosofiche, religiose e 
scientifiche dominanti nelle varie epoche, si sono venute a creare diverse immagini di 
fato e natura umana. Infatti, la concezione fatalista greca, gi� a partire dai presofisti, � 
legata alla percezione che essi hanno dell�universo e della posizione occupata dall�uomo 
                                                 
1
 G. W. F. Hegel, Filosofia della storia, a cura di C. Cesa, La Nuova Italia, Firenze 1975, p. 21. 
2
 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di C. Vasoli, Mondadori, Milano 
1993, �23, p. 173: �le forze inesplicabili, che si manifestano in tutti i corpi della natura, sono nella loro 
specie identiche a quella che costituisce in me la mia volont� (�) Anche in noi la stessa volont� agisce 
ciecamente: in tutte le funzioni del nostro corpo che nessuna conoscenza guida�.  
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all�interno di esso 
3
. Nella civilt� arcaica il cosmo � ritenuto un insieme strutturato e 
gerarchico, regolato da un fato superiore a cui tutto � sottoposto. Anche l�uomo, come il 
resto del creato, originatosi in seguito ad un processo interno ad un�entit� primordiale, � 
immerso nel divenire cosmico e riceve la sua �οίρα, ossia la parte di destino che gli � 
stata assegnata da una volont� imperscrutabile. � proprio quest�immagine dell�universo 
ordinato rigorosamente e dominato da una necessit� assoluta, all�interno del quale 
l�individuo sembra muoversi secondo schemi prestabiliti, senza alcuna possibilit� di 
mutare il corso degli eventi, a costituire il nucleo dell�idea antica di fato 
4
. Secondo tale 
ottica, il soggetto viene considerato, al pari della materia, vittima dell�ει�αρ�ένη, ossia 
di una ferrea legge naturale che regola il divenire cosmico. 
 Tale concezione � unita nei Greci ad un�altra credenza religiosa: essi vedono in 
qualunque manifestazione cosmica la vita, in cui ravvisano qualcosa di divino. L�uomo 
allora � indotto a cercare l�origine di ci� che gli accade nell�opera di dei e demoni, 
davanti a cui avverte la propria deficienza: sono infatti forze immanenti,  che, pur 
mantenendosi invisibili, possono intervenire in modo decisivo nelle sorti dei mortali 
5
. 
Ne deriva una concezione pessimistica della vita terrena, in quanto l�impulso umano ad 
autodeterminarsi e a plasmare la vita secondo una propria misura deve rimanere 
inappagato. Nonostante la consapevolezza di non poter sfuggire al proprio destino, 
                                                 
3
 Per le informazioni relative alla cultura e alla tragedia greca:  M. Untersteiner, Le origini della tragedia 
e del tragico, Einaudi, Torino 1955; M. Pohlenz, La tragedia greca, Paideia, Brescia 1961, pp. 13-47; M. 
Pohlenz, L’uomo greco, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 29-53; J. P. Vernant e P. Vidal-Naquet, Mito e 
tragedia nell’antica Grecia, Einaudi, Torino 1976, pp. 5-63; E. R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, La 
Nuova Italia, Firenze 1997. 
4
 G. De Santillana, Fato antico e fato moderno,  Adelphi, Milano 1985,  pp. 13-51. 
5
 M. Pohlenz, La tragedia greca, cit., pp. 17-19. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
l�uomo greco non si rassegna e continua a credere nell�importanza dell�affermare il 
proprio valore, andando incontro  con coraggio a ci� che lo attende. 
Il tema della lotta umana contro una volont� cieca ed imperscrutabile costituisce 
proprio l�essenza della tragedia greca, che inizia a diffondersi ad Atene nel V secolo 
A.C., pi� o meno contemporaneamente alla nascita della polis, e trova la sua massima 
espressione in Eschilo, Sofocle ed Euripide 
6
. Essi indagano nelle loro opere in quale 
misura le azioni umane siano frutto della libera coscienza individuale e quanto invece il 
dominio del fato gravi anche sulle passioni e sulla mente dell�uomo, rendendolo, mentre 
questi crede di essere libero, un proprio strumento oggettivo. Nella tragedia classica, 
nonostante il valore attribuito alla dignit� e alla virt� umana, l�eroe non pu� sottrarsi al 
proprio destino. Egli deve comunque continuare a mostrare la sua autonomia, agendo 
secondo il proprio arbitrio, anche se  le scelte si rivelano alla fine soltanto un mezzo per 
agevolare il dispiegarsi di un percorso prestabilito 
7
. 
Tuttavia � proprio a partire dalla nascita della tragedia, e dalla rivalutazione della 
dimensione etica dell�individuo, che si delinea nella mentalit� greca un� evoluzione 
dall�antica concezione di fato. Cos� i filosofi iniziano a porre l�accento su quella parte 
dell�uomo che � libera dall�influenza di agenti esterni, ossia l�anima, e attribuiscono 
maggiore peso alla responsabilit� della persona nella costruzione del proprio destino 
8
. 
Socrate � colui che compie il passo decisivo, richiamando l�essere umano del tutto alla 
sua interiorit�, che non solo decide libera, pienamente responsabile in tutti i problemi 
della vita, ma porta con s� anche i pi� alti valori, tali da garantire la felicit� in ogni 
                                                 
6
 J. P. Vernant e P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nell’antica Grecia, cit., pp. 19-23. 
7
 M. Untersteiner, Le origini della tragedia e del tragico, cit., pp. 19-32. 
8
 M. Pohlenz, L’uomo greco, cit., pp. 31-35. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
possibile situazione 
9
. La virt� per Socrate � una qualit� intrinseca al soggetto e si 
manifesta attraverso un retto comportamento; cos� la coscienza, sua sede, diviene il 
centro della vita morale dell�uomo 
10
. Anche Platone, riprende da Socrate la concezione 
che, nonostante la mutevolezza e l�imperfezione della realt� terrena, da lui considerata 
un mondo di ombre, l�individuo pu� comunque realizzarsi, pur che segua 
esclusivamente la voce che gli parla dentro e la sua intima natura 
11
. Cos� l�uomo riesce 
ad innalzarsi al di sopra della sfera sensibile e ad attingere alla verit� del mondo delle 
idee, percorso che lo porta ad acquisire una conoscenza superiore ed un migliore 
governo di s� 
12
. 
 Platone elabora inoltre una dottrina dualistica e distingue tra il determinismo a cui � 
sottoposto il corpo, e la libert� e immortalit� dell�anima, partecipe della realt� 
intelligibile e dunque indipendente dalle leggi che regolano la materia 
13
. Tuttavia, come 
narra nel mito di Er, posto a conclusione della Repubblica, anche l�anima, dopo essersi 
svincolata dalla prigionia del corpo, non ha completa autonomia 
14
. Essa infatti viene 
chiamata dalla Necessit� affinch� decida del proprio destino ulteriore, che consiste in 
una nuova vita terrena. Cos�, se ogni anima sceglie il proprio demone, l�individuo lo 
                                                 
9
 Cfr. l�arte socratica della maieutica, in Platone, Teeteto, VI, 148d-150b, in idem, Opere complete, vol. 2, 
Laterza, Bari- Roma 1971, pp. 89-91, e vedi anche l�importanza attribuita da Socrate alla citazione di 
Protagora: �di tutte le cose � misura l�uomo�, in ibidem, VIII, 153a, p. 93. 
10
 Socrate nell�Apologia parla di una voce, una sorta di demone che lo guida nelle sue azioni: �A me 
capita una cosa che ha del divino e del sovrumano (�) c�� una voce dentro di me sin da bambino che, 
quando si manifesta, mi distoglie da azioni che eventualmente stia per fare, senza per� indurmi a fare 
qualcosa di particolare�. Platone, Apologia, XIX, 122, in idem, Opere complete, vol. 1, cit., p. 62. 
11
 F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Bari 1978, pp. 67-125. 
12
 Platone, Repubblica, VII, 514a-515d, in idem, Opere complete, vol. 6, cit., pp. 237-239. 
13
 L�idea dell�immortalit� dell�anima � espressa da Platone nella Repubblica, X, 609, 610, in idem, Opere 
complete, vol. 6, cit., pp. 340-341 e nel Timeo, XV, 42a- 44d, in idem, Opere complete, vol. 6, cit., pp. 
393-397. 
14
 Platone, Repubblica, X, 617c-619b, in idem, Opere complete, vol. 6, cit., pp. 348-353. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
riceve passivamente, e dunque non gli resta che adeguarsi e rimanere fedele alla natura 
assegnatagli, assumendo coscienza dei propri limiti. 
 Pertanto l�uomo greco, anche dopo l�affermarsi delle dottrine di Socrate e Platone, 
continua a credere nell�inesorabilit� del destino e nella presenza di forze imperscrutabili 
operanti sia all�interno che all�esterno di lui: tuttavia sente anche di possedere una certa 
libert� per opporsi ad entit� avverse. � in questa direzione che vanno intesi i principi 
cardine dello stoicismo, filosofia che si afferma a partire dal III secolo A.C., nel periodo 
ellenistico, e si diffonde ampiamente nel mondo romano, al punto da divenire nell�et� 
imperiale, con le figure di Seneca e Marco Aurelio, patrimonio della classe dirigente 
15
. 
Il capostipite di tale corrente  Zenone, ad esempio, definisce il destino �una forza che 
muove la materia in modo uniforme e costante sicch� si pu� chiamare indifferentemente 
provvidenza e natura� 
16
: egli vede nell�universo un ordine immutabile che tutto 
organizza e scorge, sia negli accadimenti materiali che in quelli spirituali, un 
concatenamento di cause per cui la libert� dell�uomo risiede nel suo atteggiamento 
interiore che non � toccato da quanto avviene intorno a lui. 
 Anche Seneca, primo rappresentante della Nuova Stoa a Roma, concentra la sua 
attenzione sulla vita morale dell�uomo, il quale, grazie alla propria volont�, pu� 
raggiungere la libert� interiore, l�indipendenza dai fattori esterni e dalle passioni. Come 
afferma nel De providentia:  
                                                 
15
 M. Pohlenz, La Stoa, a cura di O. De Gregorio, La Nuova Italia, Firenze 1978, pp. 6-13. 
16
 Zenone, Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1963, p. 195. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
Utatur ut vult suis natura corporibus: nos laeti ad omnia et fortes cogitemus nihil perire de nostro. 
Quid est boni viri? praebere se fato. Grande solacium est cum universo rapi 
17
. 
 
� la coscienza, in cui vi � una traccia del λόγος divino che permea il cosmo, a dare 
all�individuo la sensazione di autonomia e perfino di  immortalit� davanti agli 
accadimenti materiali, pur nella consapevolezza di non potersi svincolare fisicamente 
dal determinismo che regola l�universo. Nel mondo antico si insinua tuttavia anche 
un�immagine pi� combattiva dell�esistenza, che fa capo a Cicerone e Plutarco. Essi 
esltano l�aretè, ossia la saggezza acquisita tramite la filosofia, come strumento per 
consentire all�uomo di dominare gli eventi e vivere felicemente 
18
. 
L�importanza delle qualit� interiori in rapporto al proprio destino, sebbene in 
funzione di una trascendenza, viene ripresa da Plotino, ultimo dei grandi filosofi greci 
non cristiani, vissuto nel III secolo dopo Cristo. Egli vede l�universo come un tutto 
ordinato secondo la volont� di un principio creatore, l�Uno, concepito come realt� 
puramente spirituale, che guida il divenire cosmico 
19
. L�uomo pur essendo un semplice 
frammento generato dalla forza emanativa dell�Uno, e dunque in primo luogo una 
creatura corporea, conserva tramite l�anima un ricordo della realt� intelligibile da cui 
                                                 
17
�La natura usi come vuole i corpi che sono suoi: noi gioiosi e coraggiosi in ogni evenienza riflettiamo 
che nulla perisce di nostro. Cos�� proprio di un uomo buono? Offrirsi al fato. � un grande conforto essere 
rapiti assieme all�universo�. L. A. Seneca, De providentia, V, 8, a cura di A. Traina e I. Dionigi, Rizzoli, 
Milano 1997, p. 117. Di Seneca � famoso anche il �ducunt fata volentem, nolentem trahunt� in Ad 
Lucilium Epistolarum moralium Libri XX, 107, 11.  
18
 Cfr. Plutarco, De fato, a cura di E. Valgiglio, Ed. M. D�Auria, Napoli 1993; M. T. Cicerone, De fato, a 
cura di R. Giannini, Teubner, Leipzig 1975. 
19
 Per la definizione plotiniana dell�Uno vedi soprattutto l�Enneade VI, 8, 9-21, in Plotino, Enneadi, a 
cura di G. Faggin, Rusconi, Milano 1992, pp. 1309-1335. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
proviene 
20
. Egli pertanto, se utilizza bene le sue virt�, traccia del divino in s�, pu� 
purificarsi dalle passioni dei sensi, ascendere fino alle regioni superiori dell�essere e 
cos� rimanere indipendente dai decreti del fato 
21
. In un passo delle Enneadi, Plotino, 
riflettendo sul destino umano, mette in evidenza la libert� della natura individuale 
dall�influsso di forze ad essa esterne:  
 
Ricordiamoci del fuso, che secondo gli antichi le Moire fanno girare filando; le Moire e la Necessit�, 
loro madre, lo fanno girare e filano il destino di ciascun essere alla nascita. Ma cos� che resta di noi? 
Rimane ci� che siamo veramente, il nostro io, cui la natura ha dato il dominio delle passioni 
22
. 
 
 � proprio l�enfasi posta dai filosofi precristiani sulla possibilit� dell�individuo di 
controllare gli accadimenti esterni, sfruttando al meglio le proprie facolt�, a favorire la 
nascita di una moderna concezione di destino. 
1.1.2 Verso un concetto moderno di fato 
 
L�importanza della vita interiore costituisce il nucleo dalla religione cristiana, che 
respinge l�antica idea di fato e pone in sua vece la fede nella Provvidenza divina, per cui 
tutto ci� che avviene al mondo � sovradeterminato dal volere di Dio. La filosofia 
cristiana, che permea la civilt� occidentale durante tutto il Medioevo, d� 
un�interpretazione dell�universo molto lontana da quella elaborata dalle scuole 
                                                 
20
 Plotino definisce l�essere umano un miscuglio di anima e corpo, cfr. ibidem, I, 1, 3-5. Egli risolve il 
rapporto tra le due componenti nei seguenti termini: �L�anima non soffrir� le passioni del corpo, per il 
fatto di esservi intrecciata, ma sar� nel corpo come la forma � nella materia�. Ibidem, I, 1, 4, p. 61. 
21
 L�idea di derivazione platonica della fuga dalla realt� sensibile � ben espressa nell�Enneade I, 6, 8, 
dove Plotino afferma: �� necessario staccarsi da queste cose e non guardar pi�, ma mutando la vista 
corporea con un�altra ridestare quella facolt� che ognuno possiede, ma che pochi adoperano�. Ibidem, 
p.141. 
22
 Ibidem, II, 3, 9, p. 217. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
filosofiche greche. Per il cristiano infatti il cosmo non � realt� originaria, bens� � frutto 
della creazione di Dio, concepito come entit� trascendente, indipendente dal tempo e dal 
fluire delle cose 
23
. Egli � dunque il motore di tutta la realt�, per cui la storia deriva 
interamente dal dispiegamento del Suo disegno.  
Dio, per�, non � soltanto causa esterna dell�universo, ma si manifesta in primo 
luogo all�interno della coscienza individuale, per cui ognuno � libero di decidere se 
adeguarsi o meno alla Sua volont� e dunque partecipa attivamente nella costruzione del 
proprio destino 
24
. Nascono cos� dottrine che, partendo dalla fede in una rivelazione, 
cercano di trasformarla in una conoscenza capace di unire l�uomo a Dio 
25
. Ecco che 
allora il soggetto non subisce pi� passivamente �la macchina del mondo�, che �ci 
incombe addosso coi suoi tempi da essa stessa imposti�, ma pu� comprendere quelle 
�verit� eterne� presenti anche nel nostro intelletto, per cui �tutto si riconcilia, e la vita 
del cosmo che perpetuamente si trasforma diventa anch�essa cosa nostra� 
26
. I pensatori 
cristiani concentrano la loro attenzione su quella componente umana che partecipa della 
divinit�, ossia l�anima: come sostiene S. Agostino quello che si ha da conoscere � Dio e 
l�anima soltanto, nulla pi�.  Secondo lui infatti, l�individuo deve ricercare la verit� 
dentro di s�, nella coscienza, in cui vi � l�immagine di Dio, che indica all�uomo quale 
                                                 
23
 E. Gilson, La filosofia nel Medioevo, a cura di M. Del Pra, La Nuova Italia, Firenze 1973,  pp. 20-27. 
24
 Ibidem, p. 8: �la religione si rivolge all�uomo e gli parla del suo destino, sia perch� egli vi si sottometta, 
come la religione greca, sia perch� egli lo costruisca, come la religione cristiana. Per questo d�altronde, le 
filosofie greche, influenzate dalla religione greca, sono filosofie della necessit�, mentre le filosofie 
influenzate dalla religione cristiana saranno filosofie della libert��. Gi� i primi pensatori cristiani, ad 
esempio Giustino e Taziano, affermano che la volont� � libera, per cui l�uomo � responsabile per i suoi 
atti. Cfr. ibidem, pp. 47-70. 
25
 Ibidem, pp. 37-40.  
26
 G. De Santillana, Fato antico e fato moderno, cit., pp. 38-39 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
strada intraprendere durante la sua esistenza, per ottenere un meritato premio nell�aldil� 
27
. 
 Ne deriva, per�, una svalutazione della vita terrena, considerata solo un passaggio, 
un cammino finalizzato al  raggiungimento della salvezza : la vera sede a cui si deve 
tendere � l�Empireo. Cos� nel Medioevo, nonostante l�individuo sia svincolato 
fisicamente dalla concezione meccanicista arcaica, continua tuttavia ad essere 
sottoposto ad una serie di dogmi religiosi e morali che sembrano confinare la sua libert� 
di scelta. � il caso, ad esempio, di S. Tommaso d� Aquino, il quale mostra i limiti che 
caratterizzano la ragione nella sua ricerca relativa alla verit� di fede, in quanto ogni 
conclusione filosofica che contraddice il dogma � secondo lui falsa. Nelle Quaestiones 
de veritate, egli afferma infatti che: �Propriamente e originariamente la verit� � 
nell�intelletto divino, propriamente e secondariamente � nell�intelletto umano� 
28
. 
� soltanto dunque a partire dal XV secolo che viene introdotta una nuova immagine 
dell�essere umano e del suo rapporto con la realt�. Filosofi ed intellettuali propongono 
una visione dell�individuo fondata sulla sua dignit�: egli viene considerato artefice del 
mondo in cui vive e della storia; � un essere che sta tra cielo e terra e addirittura 
partecipa della natura divina 
29
. Ad una concezione medievale teocentrica, che riconosce 
                                                 
27
 Vedi la celebre espressione di Sant�Agostino: �Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine 
habitat veritas� in idem, De vera religione, XXXIX, a cura di M. Vannini, Mursia, Milano 1987, pp. 136-
137. 
28
 S. Tommaso d�Aquino, Quaestiones de veritate, cit. in E. Gilson, La filosofia nel Medioevo, cit., pp. 
634-636. 
29
 Per le informazioni sul Rinascimento: E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, 
La Nuova Italia, Firenze 1950; K. Burdach, Riforma, Rinascimento, Umanesimo, Sansoni, Firenze 1953; 
J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze 1953; E. Garin, La cultura filosofica 
del Rinascimento italiano, Sansoni, Firenze 1961; H. Haydn, Il Controrinascimento, Il Mulino, Bologna 
1967; A. Heller, L’uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze, 1977; P. Burke, L’uomo del 
Rinascimento, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1988. 
 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
in Dio e nella vita ultraterrena il fine ultimo degli interessi umani, si sostituisce 
l�immagine dell�uomo al centro dell�universo, in grado di controllare le forze della 
natura e le proprie esperienze. � possibile riassumere il nucleo della nuova antropologia 
con una celebre citazione tratta dal mondo classico: Homo faber ipsius fortunae 
30
, con 
cui si intende porre l�accento sulla possibilit� dell�uomo di forgiare se medesimo e il 
proprio destino nel mondo. 
 Cos�, a partire da questo momento prende avvio una concezione nuova di fato, in 
cui l�essere umano acquista un posto di primaria importanza: la storia non � pi� un 
disegno immodificabile, ma scaturisce dalla volont� e dalle azioni dei mortali. Queste 
idee per� non vanno considerate autonomamente, ma all�interno di una serie di 
mutamenti politici, sociali, culturali e scientifici che avvengono nel corso del 
Quattrocento e Cinquecento, dapprima in Italia e poi nel resto dell�Europa. I critici 
hanno definito tale periodo  Rinascimento, per indicare una rivalutazione dell�uomo e 
delle sue potenzialit�, dopo i secoli oscuri del Medioevo. Tuttavia, non � possibile 
contrapporre meccanicamente le due et�, poich� i mutamenti prodotti non implicano 
comunque un distacco totale dalle concezioni dell�epoca precedente 
31
. Ed infatti, 
soprattutto durante il primo Umanesimo, persiste la fiducia in un ordine terreno voluto e 
stabilito da Dio, all�interno del quale per� viene concessa una nuova libert� all�essere 
umano di realizzare le proprie aspirazioni. Per questo si celebra l�importanza degli studi 
                                                 
30
 Pseudo- Sallustio, De re pubblica, I, 10. 
31
 Ad una tesi imperniata sul concetto di frattura tra Medioevo e Rinascimento, dominante fino al XX 
secolo e  che trova come principale esponente Jacob Burckhardt, si � contrapposta una nuova ipotesi, a 
partire da Konrad Burdach, secondo cui vi � continuit� tra le due epoche. Tale idea � sostenuta anche da 
H. Haydn, il quale vede il primo periodo del Rinascimento come un prolungamento delle antiche 
concezioni medievali, cfr. Il Controrinascimento, pp. 55-70; da E. Cassirer in Individuo e cosmo nella 
filosofia del Rinascimento, pp. 12-13 e da E. Garin, L’uomo del Rinascimento, introd. pp. 4-5. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
umanistici, intesi come la pi� alta attivit� dell�uomo, che lo formano nell�armonia 
perfetta di tutte le sue facolt�. Parimenti si ha una ripresa filologica della cultura 
classica,  non pi� per� interpretata come auctoritas, ma piuttosto prodotto di una  
visione arcaica del mondo: da qui la possibilit� nel presente di apportare modifiche a 
quanto i classici avevano affermato 
32
.  
Ed � proprio dalla rielaborazione della filosofia greca di Platone in chiave religiosa 
cristiana, che derivano in Italia nel corso del Quattrocento, soprattutto da Ficino, 
Cusano e Pico della Mirandola le concezioni pi� innovative riguardo alla natura 
dell�essere umano e al suo rapporto con il cosmo. Ficino e Cusano  riprendono la 
dottrina platonica e plotiniana secondo cui l�individuo, �composto di anima e corpo�, 
scorge dentro di s� l�immagine di una perfezione superiore, per loro quella del Dio 
creatore,  che lo porta a tendere verso l�assoluto 
33
. Tuttavia l�innovazione prodotta 
dagli umanisti � quella di porre al centro della loro speculazione l�uomo, al quale 
attribuiscono, in virt� della sua anima, una funzione mediatrice tra Dio e il corpo 
34
. 
Cos� l�uomo diviene anello di congiunzione tra gli esseri materiali e quelli spirituali, 
idea espressa chiaramente anche da Pico della Mirandola nell�orazione De hominis 
dignitate. Egli sostiene che, poich� l�uomo non ha n� un posto determinato, n� un 
aspetto proprio, n� una prerogativa sua, egli stesso pu� scegliere e far suo il posto, 
                                                 
32
 K. Burdach, Riforma, Rinascimento, Umanesimo, cit., pp. 132-145. 
33
 Tale idea � espressa soprattutto in  M. Ficino, Teologia Platonica, a cura di M. Schiavone, Zanichelli, 
Bologna 1965 e in N. Cusano, Apologia doctae ignorantiae e De visione dei, in idem, Scritti filosofici, 
vol. II, a cura di G. Sentinella, Zanichelli, Bologna 1980. 
34
 Nel primo capitolo della Teologia Platonica, Ficino afferma: �Ma la natura della stessa anima 
razionale, dato che occupa una posizione di mezzo fra tutti questi cinque gradi, � chiaro che costituisce 
l�elemento di unione di tutta la natura, regge da un lato le qualit� ed i corpi, dall�altro si congiunge alla 
natura angelica e a Dio�. M. Ficino, Teologia Platonica, cit., p.79. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
l�aspetto e la prerogativa che desidera: da qui  la concezione della libert� e della 
superiorit� dell�individuo rispetto al resto del creato 
35
. 
La celebrazione della natura umana si concretizza cos� nel primo Rinascimento nella 
tesi dell�individuo come microcosmo, formula utilizzata per affermare che egli � la 
sintesi vivente del tutto e il centro del reale, cio� la creatura in cui si concentrano le 
varie caratteristiche degli enti del mondo. La visione dell�esistenza come auto progetto 
si accompagna alla concezione della vita come impegno concreto e non pi� mero 
passaggio per l�aldil�: l�essere umano � radicato nel mondo in cui vive, destinato in 
primo luogo a realizzarsi nella realt� terrena 
36
. Tuttavia tale idea non assume un 
significato antireligioso,  in quanto si continua ad affermare l�inferiorit� dei mortali 
davanti a Dio. Inoltre la celebrazione della libert� non esclude nell�uomo rinascimentale 
una complementare consapevolezza dei propri limiti, in quanto egli sente il 
condizionamento di una serie di forze reali, casuali e soprannaturali, che si oppongono 
alla sua volont� di autodeterminazione. Ed infatti i letterati indagano spesso il rapporto 
tra componente umana ed entit� ad essa esterne, come il Caso, la Fortuna e la 
Provvidenza, che pur non annullando l�ambito di azione della virt�, tuttavia lo 
circoscrivono. Ci� mostra la persistenza di antiche concezioni fataliste, a cui si 
accompagna la diffusione, soprattutto nei paesi anglosassoni, a partire dal �500, di una 
nuova dottrina religiosa che sembra annientare il libero arbitrio. 
                                                 
35
 Nell�orazione De hominis dignitate si legge: �O somma liberalit� di Dio Padre, somma e meravigliosa 
felicit� dell�uomo! A cui � dato di aver ci� ch�ei brami, d�essere ci� che voglia. (�) All�uomo, nel 
nascere, il Padre di� ogni vario seme e i germi di ogni specie di vita. Quali ciascuno avr� coltivato, 
codesti alligneranno e in lui produrranno i lor frutti�. G. Pico della Mirandola, Dignità dell’uomo, a cura 
di B. Cicognini, Le Monnier, Firenze 1956, p.12. 
36
 E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, cit., pp. 47-58. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
Si tratta di un movimento spirituale di vasta portata, i cui principali fautori sono 
Lutero e Calvino, designato come Riforma Protestante 
37
.  Tale fede nasce come un 
desiderio di ritorno alle fonti della religiosit�, che deve far rivivere direttamente la 
parola di Dio nella coscienza di ogni individuo. La negazione del principio di autorit� e 
la possibilit� concessa al credente di leggere ed interpretare a suo piacimento le 
Scritture, difendono in parte la fiducia nella dignit� dell�uomo, tuttavia il principio 
cardine del Protestantesimo della predestinazione risulta in netto contrasto con 
l�immagine dell�uomo fabbro della propria sorte 
38
. Infatti il volere umano � considerato 
fin dal momento della nascita asservito a Dio, il quale decide a proprio arbitrio chi tra i 
mortali sia destinato alla salvezza e chi alla dannazione. Non vi � possibilit� per 
l�individuo di guadagnarsi con opere meritorie la vita eterna, ma solo tramite la fede, 
per la quale Dio ci giustifica con la sua grazia 
39
. Cos� il fatalismo sembra rinascere 
nuovamente sotto forma teologica: al pari della dottrina dell�ει�αρ�ένη greca, che 
considera il movimento ordinato e razionale dei cieli come legge suprema, la volont� 
antecedente di Dio sembra annientare la libert� dell�individuo. Il rapporto tra agire 
umano e prescienza divina � centrale anche in Italia, come mostrano le opere di Valla, 
De libero arbitrio, e Pomponazzi, De fato, libero arbitrio et de predestinazione; tuttavia 
entrambi, pur cercando di giungere ad una conciliazione, lasciano la questione aperta 
40
.  
                                                 
37
 Per informazioni pi� dettagliate sulla storia della Riforma e la diffusione delle dottrine protestanti, cfr. 
H. Jedin, Storia della Chiesa, vol. VI, Riforma e Controriforma, Jaca Book, Milano 1975. 
38
 Per il concetto di predestinazione vedi soprattutto G. Calvino, Istituzione della religione cristiana, a 
cura di G. Tourn, UTET, Torino 1971, Lib. III, cap. XXI, pp. 1094-1107, per il rifiuto dell�autorit� della 
Chiesa: ibidem, III, II, pp. 676-686. Calvino afferma: �la fede consiste in conoscenza di Dio e di Cristo, 
non in riverenza verso la Chiesa�, p. 677. 
39
 La dottrina della giustificazione per fede � espressa da M. Lutero, La libertà del cristiano, a cura di G. 
Miegge, Claudiana, Torino 1976, VII-XV, pp. 32-40. Le sue idee sono ben riassunte nella seguente frase: 
�Ad un cristiano basta la fede e non ha bisogno di alcuna opera per essere pio�, in ibidem, X, p. 35. 
40
 Cfr., E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, cit., pp. 130-133. 
 Capitolo 1 – Destino e tragedia          
 
Di contro, si sviluppa nel corso del �500 una tendenza laica, volta ad analizzare il 
reale nella sua concretezza, a prescindere da vincoli religiosi o morali. � un�indagine 
che si basa sull�esperienza individuale, sulla peculiarit� e l�irregolarit� della natura, 
piuttosto che cercare in essa la presenza di un ordine finalistico provvidenziale. Tale 
corrente viene designata da Haydn  �Controrinascimento�, poich� ripudia le tradizionali 
credenze scientifiche e religiose, nonch� le astratte concezioni applicate dai neoplatonici 
alla natura umana 
41
. Le idee sovversive sembrano emancipare l�individuo da dogmi e 
leggi universali, tuttavia mostrano anche i limiti insiti nella sua esistenza. Cos�, ad 
esempio, la teoria eliocentrica copernicana e l�affermazione di Giordano Bruno 
dell�infinit� dell�universo, sconvolgendo le fedi consolidate, creano dubbio e incertezza; 
come afferma John Donne in An Anatomy of the World: 
 
And a new Philosophy calls all in doubt (�) 
�Tis all in peeces, all cohaerence gone 
 42
. 
 
L�esaltazione della dignit� umana tipica del primo umanesimo sembra allora entrare 
in crisi, in quanto l�individuo avverte la propria deficienza davanti ad una realt� che 
eccede le sue capacit� di comprensione. Tale sentimento pu� essere riassunto nella 
celebre domanda di Montaigne �Que sais je?�, con cui egli allude all�incapacit� della 
ragione di esprimere un giudizio certo 
43
. 
                                                 
41
 H. Haydn, Il Controrinascimento, cit., pp. 209-224. 
42
 J. Donne, An Anatomy of the World, in The Poems of John Donne, by H. J. C. Grierson, Clarendon 
Press, Oxford 1912, vol I, p. 237, vv. 205, 213. 
43
 Montaigne fece imprimere tale frase come motto su una medaglia nel 1576. Cfr. Introduzione ai Saggi, 
p. xxv, in M. Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, Adelphi, Milano 1992.