2. Dalle radici delle strategie alimentari 
Al giorno d'oggi, l'obesità è una pandemia e alcune persone cercano diete dimagranti per 
garantire la loro salute e qualità di vita. Tuttavia, il culto del corpo sano è stato una 
preoccupazione costante fin dall'inizio dei tempi. 
Solo sul nostro bacino mediterraneo si ricordano:  
 La dieta di Pitagora. che raccomandava di mangiare con moderazione a causa 
del fatto che diversi concittadini mangiavano troppo e vomitavano o digiunavano.  
 La dieta di Iccus (o il pasto di Iccus). combinazione dell'esercizio fisico con 
una dieta frugale per garantire salute e qualità della vita. È noto che il "pasto di 
Iccus" si basa su un pasto semplice e temperato.  
 La dieta di Erodico. che raccomandava la necessità di regolare la dieta e 
l'esercizio fisico e prescriveva ripetute camminate veloci di 42 km da Atene a 
Megara a velocità progressivamente crescenti in alcuni pazienti. In effetti, Ippocrate 
e Platone hanno indicato che ha causato la morte di diversi individui 
sottoponendoli a passeggiate eccessivamente lunghe e a esercizi forzati (Georgoulis 
et al., 2007).  
Per continuare con la dieta di Erodoto, di Ippocrate, di Polybus, di Aristotele, di Diocle di 
Asclepiade, di Celso e… tanti altri “attori” sociali del dimagrimento (Zarzo, 2022).  
Come si può notare la sovralimentazione ha rappresentato un calvario epocale per l'ampio 
numero di diete su cui si è riflettuto nel corso dei secoli. Questo dimostra che molte di esse 
sono state sviluppate da persone non sanitarie, da ciarlatani alle attrici, passando anche 
per le persone illuminate (Zarzo et al., 2022).  
Allo stato attuale possiamo dire, molto sinteticamente, che le diete sono classificate nelle 
seguenti categorie:                                                                                                
1. Diete basate sulla modifica del contenuto di macronutrienti (ad esempio, diete a 
basso introito di grassi (F), ad alto contenuto proteico (HP) e a bassa assunzione di 
carboidrati (LCD). 
2. Diete basate sul contenimento di specifici alimenti o gruppi di alimenti (ad 
esempio, diete senza glutine, paleo, vegetariane/vegane e mediterranee).
3. Diete basate sulla gestione dei tempi (es. digiuno). 
(Suleiman et al., 2020.)                                                                                                                                       
Abbiamo inoltre approcci comportamentali, come il Fletcherismo, alla cui base c’è un’unica 
regola  di masticare il cibo almeno 32 volte per favorire la scissione dei nutrienti.  
Al di là di tutti questi approcci Zarzo e collaboratori (2021) offrono una sistematizzazione 
e suddivisione della pericolosità delle diete generalmente proposte esplicata nei seguenti 
punti:  
1) Le diete promettono:  
a. Perdita di peso rapida (più di 1 kg/settimana). 
b. Essere eseguite senza sforzo. 
c. Senza la supervisione di un professionista della nutrizione. 
d. Eccessiva restrizione energetica. 
e. Esclusione dalla dieta di alimenti o nutrienti per l'organismo. 
2) Non tengono conto di:  
a. Variabilità individuale e proposta di un sistema unico per tutti. 
b. La complessità dell'alimentazione umana (non valgono principi 
semplicistici). 
c. Le quantità di cibo chiaramente. 
d. Il numero di pasti da fare ogni giorno. 
e. La sua progettazione è fatta dall'intervento di professionisti della salute non 
qualificati. 
3) Fanno raccomandazioni:  
a. Di cibi "buoni" e "cattivi". 
b. Di piatti complessi senza specificare la ricetta. 
c. Diametralmente opposti alle conoscenze scientifiche e che contraddicono 
gruppi salutistici di riconosciuta reputazione. 
d. Fondate e/o seguite da personaggi famosi, senza formazione sanitaria 
universitaria o da professionisti che non hanno studiato nutrizione, come 
mezzo per indurre al consumo. 
e. Che il suo mancato rispetto può causare danni alla salute.
f. Costringere l'interessato ad acquistare un prodotto specifico che, 
curiosamente, è commercializzato da chi propone la dieta o il sistema.  
g. Basato su un unico o nessun studio scientifico. 
h. Troppo bella per essere vera.  
 
 
2.1 Traiettorie di peso corporeo, spinta fisica a mangiare e aderenza 
alla dieta.       
Un corpus diversificato di ricerche supporta l'idea che l'aderenza alla dieta 
(ovvero il grado in cui un individuo si "attacca" a una dieta) è un fattore più 
importante nel successo della perdita di peso rispetto al "tipo" di dieta 
(Gibson,Sainsbury, 2017). L'aderenza agli interventi dietetici per la perdita di 
peso potrebbe essere migliorata da strategie che aiutano a controllare la spinta 
fisica a mangiare che si verifica durante la restrizione energetica. Un aumento 
della spinta a mangiare in risposta alla restrizione energetica e alla perdita di 
peso è una delle possibili risposte compensatorie che collettivamente si 
oppongono alla perdita di peso in corso e promuovono il recupero del peso. Un 
aumento della spinta a mangiare può contribuire all'alto tasso di logoramento 
nei tentativi di perdita di peso e all'incapacità della maggior parte degli 
individui di mantenere la perdita di peso (Maclean et al., 2011; Doucet et al., 
2003; Westerterp-Plantenga et al., 2001; Drapeau et al., 2007; Gilbert, et al.,  2009).                                                                                                                                    
L'aumento compensatorio durante la perdita di peso è probabilmente indotto da 
molteplici percorsi, tra cui alterazioni nell'espressione dei regolatori ipotalamici 
del bilancio energetico, nonché cambiamenti adattativi nella funzione 
intestinale, che alterano la concentrazione di ormoni che regolano l'appetito 
come la grelina, la colecistochinina e il peptide YY (Sumithran, 2011; 
Sainsbury,et al., 2010; Olszanecka-Glinianowicz, et al., 2008; Cummings; 2002; 
Sumithran et al., 2013).  Anche per questi motivi trova una logica lo studio del 
Dr. Dansinger et al. (fig. 2). Egli suggerisce che le quattro diete più famose al
mondo (Atkins, Ornish, Weight Watchers e Zone) sono comparabili perché le 
variazioni di rischio e i fattori per la malattia coronarica (CHD) sono simili 
(Dansinger, 2005). Lo studio ha rilevato che il livello di aderenza - piuttosto che 
il tipo di dieta - era il predittore primario della perdita di peso e del rischio di 
CHD e si può ragionevolmente ipotizzare che la stretta aderenza a ciascun 
approccio dietetico ridurrebbe la CHD in condizioni cliniche. Altresì si 
evidenzia che il cervello tiene sotto controllo la quantità di grasso corporeo – 
dato che per anni è stato abituato a “difendersi” dalle perturbazioni sulle riserve 
energetiche –, questa teoria prende il nome di ipotesi lipostatica. La relazione tra 
grasso corporeo e alimentazione ci fa comprendere una “forma di esistenza”, 
una comunicazione dal tessuto adiposo al cervello (Bear et al., 2007). Si crede, 
perciò, che esista una forma di regolazione del peso corporeo intorno ad un 
punto di riferimento o almeno ad un range di peso fisso. Tale regolazione varia 
in base degli individui, ma si mantiene in modo - più o meno - costante per ogni 
singolo individuo (Kessey, 2002). 
Nello studio di Hedley e collaboratori, è stato scoperto che una varietà di diete 
popolari può ridurre il peso e diversi fattori di rischio cardiaco in condizioni 
cliniche realistiche, ma solo per la minoranza di individui può sostenere 
un'elevata aderenza alimentare. Nonostante questo, nessuna singola dieta ha 
prodotto un'aderenza soddisfacente e i punteggi medi di aderenza 
progressivamente decrescenti erano praticamente identici tra le 4 diete. I tassi di 
interruzione più elevati per l'Atkins e i gruppi di dieta Ornish suggeriscono che 
molte persone hanno trovato queste diete troppo estreme. Per gestire in modo 
ottimale un'epidemia nazionale di eccesso di peso corporeo e fattori di rischio 
cardiaco associati, devono essere implementate tecniche pratiche per aumentare 
i tassi di aderenza dietetica sono urgentemente necessari (Hedley et al., 1999-
2002).
Dunque, scarsi tassi di sostenibilità e di aderenza hanno portato a modesti 
perdita di peso e riduzione dei fattori di rischio cardiaci e del peso ponderale 
per ciascun gruppo di dieta nel suo complesso (Dansinger et al. 2005). 
   
Fig. 2. Curva che evidenzia lo scarso tasso di sostenibilità delle diete più famose al 
mondo (Fonte Dansiger et al., 2005). 
 
 La stretta aderenza alle strategie di mantenimento della perdita di peso sembra essere la 
chiave per l'89% di questi mantenitori di perdita di peso di successo, che include sia alti 
livelli di attività fisica che il consumo di una dieta a basso contenuto calorico e a basso 
contenuto di grassi (Contreras et al., 2019).  
 
 
 
 
 
 
Fig. 3. Traiettorie corporee e di massa grassa di individui che variano nella cellularità 
degli adipociti. Le traiettorie della massa corporea e della massa grassa tornano alla
pendenza iniziale (cioè al tasso di guadagno) dopo la perdita di peso indotta dalla dieta. 
La pendenza iniziale è stata determinata dal numero di cellule adipose (Fonte: Archer et 
al. 2008). 
2.2 Fisiologia del recupero del peso e conseguenze del recupero del peso 
perso 
Gli individui variano sia nei rapporti ereditari che acquisiti tra cellule muscolari 
scheletriche e cellule adipose. Ad esempio, durante la pubertà, il dimorfismo sessuale 
nell'adipogenesi e i cambiamenti nel rapporto tra la massa muscolo-cellula scheletrica e la 
massa grassa-cellula sono ben stabiliti. Negli esseri umani, all'aumentare della massa delle 
cellule corporee, i maschi guadagnano una percentuale maggiore di massa delle cellule 
muscolari scheletriche rispetto alla massa delle cellule adipose, mentre le femmine 
mostrano il contrario (Butte et al., 2007). In età adulta, è assodato che gli incrementi della 
massa grassa sono una funzione dell'adiposità esistente dell'individuo (Bell et al., 
1987; Elia et al., 1999; Forbes, 2000; Kozusko, 2002). 
 Dopo un intervento dietetico o di "stile di vita" il corpo e la massa grassa tornano 
rapidamente alla traiettoria iniziale generata dalla cellularità grassa creata durante la 
gestazione e lo sviluppo precoce (cioè in utero durante la pubertà) (Archer, 2015c; Archer e 
McDonald, 2017).                                  
 Altresì, sappiamo da tempo che l’eccessivo accumulo di grasso nell'obesità è causato 
principalmente dal consumo eccessivo di calorie e dalla mancanza di attività fisica. Il 
tessuto adiposo, come riserva calorica, si espande per accogliere la sovralimentazione, che 
porta al rimodellamento disfunzionale (Afshin et al., 2017; Taubes et al., 2013).                      
Questo accade perché il corpo dei mammiferi è un complesso "ecosistema" fisiologico in 
cui le cellule competono per le calorie (cioè i nutrienti-energia). Assiomaticamente, i tipi di 
cellule con vantaggi competitivi acquisiscono un numero maggiore di calorie consumate e, 
quando possibile, aumentano di dimensioni e/o numero. Pertanto, è logico affermare che 
l'obesità sia il vantaggio competitivo delle cellule adipose (adipociti) che guidano
un'acquisizione e un immagazzinamento sproporzionati di energia nutritiva (Archer  et al. 
2018).                                                                           
Probabilmente la parte più difficile del perdere peso è mantenerlo. Il nostro corpo è 
programmato per combattere la perdita di peso, probabilmente a causa della presunta 
attività evolutiva di tempi in cui l'accesso al cibo era scarso e incoerente. Tali condizioni 
possono aver favorito coloro che erano in grado di reintegrare rapidamente le calorie dopo 
periodi di deficit alimentare. Nella società occidentale moderna, in cui l'accesso costante 
alle calorie è per lo più una norma, questi adattamenti sono alla base sfida della dieta e 
minacciano la salute metabolica generale. La perdita di peso di peso innesca una potente 
risposta controregolatoria (Laule, Atasoy, 2023). 
Una delle più dibattute, la teoria del set-point o lipostatica, fu introdotta per la prima volta 
da Kennedy all'inizio degli anni '50 (Kennedy e Sterling, 1953). Un segnale derivato dal 
grasso, che trasmette lo stato dei depositi di grasso, viene percepito dal cervello quando 
viene confrontato con un livello target, al fine di innescare meccanismi compensatori su 
qualsiasi disturbo. Dal punto di vista biochimico, è stato dimostrato che la perdita di peso 
induce una profonda deregolazione dei nutrienti circolanti come il glucosio o gli acidi 
grassi liberi che possono agire come parti di segnalazione nei centri del SNC che 
governano l'energia e l'omeostasi del glucosio (Lam et al., 2005; He et al., 2006). 
 La maggior parte delle persone non riesce a mantenere la propria perdita di peso a causa 
del ciclo del peso, spesso indicato come dieta yo-yo. Il recupero del peso inizia spesso entro 
il primo anno e il peso pre-intervento viene raggiunto o addirittura superato nei successivi 
2-5 anni (Anderson et al., 2001; Weiss et al., 2007). Gli individui magri che sono stati 
volontariamente sovralimentati con il 50% di calorie in più per 3 giorni hanno mostrato 
una diminuzione della fame pre-pasto e un aumento della sazietà post-pasto (Cornier et 
al., 2004). La circostanza peggiore è che negli individui obesi che hanno subito una perdita 
di peso, la sovralimentazione non ha diminuito la fame o aumentato la sazietà. Questa 
assenza di cambiamenti compensatori - nella fame e nella sazietà in caso di 
sovralimentazione probabilmente contribuisce ad un aumento della propensione al 
recupero di peso negli individui obesi che hanno subito perdita di peso (Cornier et al., 
2004). Nel complesso, solo l'11% degli individui con recupero di peso ad esordio precoce
può raggiungere una successiva perdita di peso corporeo entro il primo anno (Wing e 
Phelan, 2005). In particolare, la sensazione di aumento della fame sembra persistere oltre 
la fase di rapida perdita di peso (Contreras et al., 2019). Dato che l’alterazione degli 
ormoni circolanti che regolano il recupero del peso sembra persistere per almeno un anno 
(Sumithran et al., 2011; Camps et al., 2013). 
Una delle maggiori sfide nella gestione dell'obesità è la prevenzione del recupero del peso 
dopo una perdita di peso di successo. Il recupero del peso dopo la perdita di peso ha 
grandi variazioni interindividuali. Sebbene molti fattori probabilmente contribuiscano a 
questa variazione, ipotizziamo che la variabilità nelle risposte biologiche associate al 
restringimento indotto dalla perdita di peso degli adipociti sottocutanei abbia un ruolo 
importante. In questa revisione, mostriamo che le variazioni indotte dalla perdita di peso 
nello stress cellulare, nel rimodellamento della matrice extracellulare, nelle risposte 
infiammatorie, nella secrezione di adipochine e nella lipolisi sembrano essere associate alla 
quantità di peso che viene riacquistata dopo una “perdita di peso di successo”. Il recupero 
del peso potrebbe quindi, almeno in parte, dipendere da una combinazione di questi 
fattori. Ulteriori ricerche sulla causalità di queste associazioni potrebbero aiutare lo 
sviluppo di strategie efficaci per prevenire il recupero del peso dopo una perdita di peso 
di successo (Van Baak et al., 2019).   
Il recupero del peso dopo la perdita di peso è una sfida sostanziale nelle terapie per 
l'obesità. La dieta porta a adattamenti significativi nel sistema omeostatico che controlla il 
peso corporeo, favorisce l'eccesso di cibo e la ricaduta nell'obesità. In questa revisione di 
Maclean (2015) ci si concentra in particolare sugli adattamenti nei tessuti adiposi bianchi 
che contribuiscono alla spinta biologica a riacquistare peso dopo la perdita di peso.                                                                                    
La perdita di peso porta a una riduzione delle dimensioni degli adipociti e questa 
diminuzione delle dimensioni altera le loro caratteristiche metaboliche e infiammatorie in 
modo da facilitare la clearance e l'immagazzinamento dell'energia ingerita. Tuttavia, i 
segnali a lungo termine che riflettono l'energia immagazzinata e i segnali a breve termine 
che riflettono la disponibilità di nutrienti derivano dalle caratteristiche di cellularità dei 
tessuti adiposi. Questi segnali vengono ricevuti e integrati nell'ipotalamo e nel 
rombencefalo ed emerge un gap energetico tra appetito e fabbisogni metabolici che
favorisce uno squilibrio energetico positivo e il recupero del peso. In questo paradigma 
(proposto da MacLean e collaboratori), la cellularità e le caratteristiche metaboliche dei 
tessuti adiposi dopo la perdita di peso con restrizione energetica potrebbero spiegare la 
persistenza di una spinta biologica a riprendere peso sia durante il mantenimento del peso 
che durante il periodo dinamico di recupero del peso (MacLean, 2015).  
La cellularità degli adipociti cambia con la perdita di peso e il recupero del peso. Gli 
adipociti rappresentativi (fig. 4) sono mostrati nel contesto dell'obesità, dopo la perdita di 
peso e dopo il recupero del peso. La perdita di peso ridurrebbe la dimensione media degli 
adipociti residenti. Il recupero del peso potrebbe comportare sia l'ipertrofia che 
l'iperplasia. Per ogni contesto metabolico sono mostrati cambiamenti negli input 
neuroendocrini (SNS, tono e T3) che possono contribuire alla risposta adattativa alla 
perdita di peso. Allo stesso modo, per ogni contesto metabolico sono mostrati 
cambiamenti nella secrezione del segnale adiposo a lungo termine che riflette l'energia 
immagazzinata (leptina e insulina). Infine, l'impatto sistemico sulla disponibilità di 
nutrienti è presentato come il flusso relativo di glucosio, trigliceridi (TG) e acidi grassi 
liberi (FFA). Sia a lungo termine (leptina) che a breve termine (nutrienti e loro segnali 
surrogati) verrebbero rilevati dall'ipotalamo e dal rombencefalo per regolare l'appetito e le 
esigenze metaboliche (ibidem).  
Gli incrementi e i decrementi della massa grassa sono funzioni dell'adiposità esistente 
(cioè il numero e la dimensione delle cellule adipose) (Bell et al., 1987; Elia et al., 1999; 
Forbes, 2000; Kozusko, 2002)
Fig. 4. La perdita di peso ridurrebbe la dimensione media degli adipociti residenti. Il 
recupero del peso potrebbe comportare sia l'ipertrofia che l'iperplasia. (Fonte: MacLean, 
2015). 
Mariman ha ipotizzato che la perdita di peso provochi uno stress cellulare negli adipociti, 
con conseguente profilo metabolico alterato che allevierebbe lo stress mediante un 
maggiore immagazzinamento di lipidi (Mariman et al., 2012). Da questa prospettiva, una 
parte della spinta biologica a riacquistare peso potrebbe basarsi sui cambiamenti 
molecolari che lavorano per alleviare lo stress cellulare e lo sforzo meccanico 
dell'adipocita.  
La perdita di peso non porta ad alcuna variazione discernibile del numero di adipociti nel 
tessuto adiposo (MacLean et al., 2006, 2009). Il numero di adipociti in un individuo 
normale e in salute e sano rimane relativamente costante per tutta la vita dell’adulto 
(Spalding et al., 2008), ma esistono condizioni in cui il numero di adipociti - in particolari 
depositi adiposi -  può aumentare. 
Studi condotti in un paradigma di perdita e riacquisto di peso in un roditore suggeriscono 
che le condizioni metaboliche durante la ricaduta in obesità possono fornire le condizioni 
che promuovono l'iperplasia. All'inizio del processo di ricaduta, è stata osservata la 
comparsa di una popolazione di adipociti molto piccoli (<20 μm), accompagnata da un 
aumento del numero totale di adipociti nel deposito adiposo (Jackman et al., 2008). Questo 
aumento del numero di cellule è persistente soprattutto durante il processo di ricaduta, in 
quanto tutti gli adipociti, in tale circostanza, diventano più grandi.  
Questo fenomeno di “ipercellularità” con caratteristiche simili è stato riportato nell'uomo 
post-obeso (Lofgren et al., 2005 ). 
Tuttavia, l'iperplasia del tessuto adiposo indotta dalla ricaduta è probabilmente limitata 
agli individui che hanno una predisposizione genetica all'obesità (MacLean, 2015).  
Tuttavia, l'evidenza più forte della strategia competitiva degli adipociti basata sulla 
cellularità proviene da studi sperimentali su tutte le specie (Häger et al., 1978; Yukimura e 
Bray, 1978; Jackman et al., 2008). Ad esempio, dopo un intervento dietetico in ragazze in 
età prepuberale, Häger et al. (1978) hanno scoperto che "le ragazze obese che sono state
trattate con maggior successo hanno avuto il più basso aumento del numero di cellule 
adipose”. 
In altre parole, maggiori incrementi nel numero di cellule adipose (iperplasia) hanno 
provocato una competizione asimmetrica e un aumento della ripartizione dell'energia 
nutritiva in cellule adipose con concomitanti decrementi nel successo del trattamento 
(Archer et al., 2018).  
I risultati di Häger et al. (1978) sono stati replicati in modo coerente e, in una revisione 
della letteratura, Arner e Spalding (2010) hanno affermato: "Gli individui obesi iperplastici 
hanno un esito di trattamento peggiore dopo la perdita di peso indotta dalla dieta rispetto 
agli individui ipertrofici...". Allo stesso modo, nei roditori Jackman et al. (2008) hanno 
scoperto che "l'iperplasia delle cellule adipose che si verifica all'inizio della recidiva 
persiste durante il processo di recupero e che i piccoli, presumibilmente nuovi, adipociti 
accumulano preferenzialmente grasso rispetto alle loro controparti adipocitarie grandi". 
Pertanto, è fondamentale la progettazione di strategie dietetiche che "blocchino" l'aumento 
compensatorio della spinta a mangiare associata a diete ipocaloriche, nonché i fallimenti 
conseguenti, rappresenti un obiettivo chiave per migliorare l'aderenza alle diete ed evitare 
questo effetto logaritmico dell’ingrassamento. 
Approfondimenti: […] è importante notare che se il bilancio energetico positivo cronico e 
il ridotto flusso metabolico caratteristici dell'obesità acquisita continuano nel tempo, le 
cellule adipose esistenti alla fine raggiungono il loro potenziale ipertrofico (o massimo) e 
ci sarà un "effetto di allenamento per lo sviluppo delle cellule adipose" (Archer, 2015b) 
attraverso il reclutamento potenziato delle cellule mesenchimali (Sjostrom e William-
Olsson, 1981; Archer e McDonald, 2017). L'iperplasia delle cellule adipose che ne deriva 
rende equivoca la distinzione tra obesità ereditaria e acquisita dopo la maturità sessuale.