7
1. NECESSITA’ DI TUTELA DI NUOVI BENI GIURIDICI. 
 
Prima di procedere alla ricostruzione ed interpretazione della 
normativa riguardante le due fattispecie penalmente sanzionate, è utile 
osservare la situazione attuale relativa al diritto penale dell’impresa e 
procedere dalla constatazione che una molteplice serie di ragioni 
hanno portato ad una sensibile dilatazione del panorama normativo. Il 
fenomeno è principalmente da ricondursi all’evoluzione economica e 
sociale degli ultimi decenni.  
Questo deve portare ad analizzare la situazione da un altro punto di 
vista: non è possibile riconoscere alla materia un riflesso solamente 
verso l’interno del sistema economico ma va adeguatamente studiata 
in senso dinamico. Esempio lampante è una parte della disciplina 
penale dell’impresa volta a tutelare interessi esterni all’impresa stessa 
(es. salubrità delle condizioni di vita, conservazione dell’ambiente, 
ecc.). 
Un’ulteriore caratteristica del sistema sta nel fatto che le offese che 
possono essere recate dall’attività d’impresa hanno queste peculiarità: 
1) i soggetti passivi sono indeterminati; 
2) il potenziale lesivo delle condotte è seriale. 
  
 
 
 8
Il primo attributo è determinato dall’utilizzo di tecnologie e dalla 
possibilità di raggiungere una pluralità di soggetti, inoltre non può 
passare inosservata la constatazione che questi ultimi siano totalmente 
inconsapevoli dell’esposizione al pericolo. 
Per ciò che riguarda la serialità delle lesioni è da notare che le 
aggressioni ai beni giuridici perpetrate dall’attività d’impresa non 
sono valutabili singolarmente ma è piuttosto la continuazione di tale 
attività lesiva e la sommatoria dei suoi effetti che porta ad una 
valutazione penalmente rilevante degli interessi in gioco; questo 
perché spesso non è sufficiente un singolo comportamento per ledere 
ragionevolmente il bene protetto dalla fattispecie1. 
È proprio per queste peculiarità che ci si è diretti verso la tutela di 
interessi superindividuali: nuovi beni giuridici sono ora garantiti 
penalmente; senza poi tenere conto dello strumento utilizzato dal 
legislatore quale l’istituzione di Agenzie di vigilanza e controllo. A 
tali organismi sono attribuiti compiti di tutela di determinati interessi 
mediante la facoltà di raccolta di informazioni che debbono essere 
obbligatoriamente fornite dalle imprese alle quali siano richieste, al 
fine di rendere trasparente l’attività degli operatori (il numero di 
                                                                 
1
 Pedrazzi, in Aa. Vv, Milano, 1979, 17 
  
 
 
 9
queste autorità è in costante crescita: oltre a Consob, Banca d’Italia e 
Isvap, si pensi al Garante dell’editoria, a quello della Concorrenza e a 
quello della privacy). 
Tale ampliamento di situazioni tutelabili ha portato però degli 
inconvenienti e soprattutto a discutere se i beni superindividuali 
possano entrare a fare parte della sfera penalistica, data la concezione 
del legame bene giuridico-individuo. Restare fermi su questa 
posizione non giova certo alla tutela del mercato in genere perché si 
dovrebbe attendere, prima di intervenire, un’offesa molto elevata e 
una lesione del bene, quindi, già compiuta2. Così facendo la 
caratteristica pericolosità dell’attuale attività d’impresa non troverebbe 
nessun limite e nessun controllo. 
Tutto ciò richiede uno sforzo non indifferente per il legislatore penale, 
principalmente per quanto riguarda la selettività delle figure e la 
riconoscibilità dell’oggetto della tutela, senza contare l’impegno da 
dedicare alla valutazione dell’effettività della sanzione penale quale 
extrema ratio, per evitare incriminazioni inefficaci e opache. 
 
                                                                                                                                                                                  
 
2
 v. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975, rist. 1990. 
  
 
 
 10 
2. COMPLESSITA’ DELLA DETERMINAZIONE DEL 
SOGGETTO ATTIVO.  
  
Dalle caratteristiche della lesione (indeterminatezza dei soggetti 
passivi, serialità della lesione) nascono tutte le problematiche 
riguardanti  le posizioni di garanzia3. Ed è proprio per questa 
caratteristica che l’ordinamento affida la salvaguardia degli interessi 
esposti a coloro che sono gli unici a potere garantire il loro rispetto: a 
chi sta all’interno dell’impresa e può gestire i fattori aziendali che 
possiedono capacità offensive; da qui l’incremento della 
responsabilità omissiva. Tale responsabilità ha il fine principale di 
evitare che l’imprenditore gestisca la propria attività restando 
completamente indifferente alla cura degli interessi in questione.  
L’accertamento penale ha come suo compito principale 
l’individuazione della persona fisica che ha recato un danno agli 
interessi tutelati o li ha esposti a pericolo ed è questo un compito che 
deve adattarsi alla realtà aziendale, complessa ed articolata, e deve 
quindi preventivamente analizzare l’organizzazione per poi 
                                                                 
3
 SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975; 
FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; GRASSO, Il reato omissivo 
improprio, Milano, 1983;  ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, sub art. 40, 
  
 
 
 11 
individuare i soggetti che sono venuti meno all’obbligo loro imposto. 
Questa necessità è dovuta al fatto che la divisione del lavoro comporta 
la collaborazione simultanea di più operatori all’interno di un’impresa. 
Se non si tenesse conto di questo elemento essenziale si rischierebbe 
di far rispondere per il solo fatto di aver assunto un certo ruolo 
nell’impresa (responsabilità di “posizione”4 ), ma il principio della 
personalità esige che sia solo l’autore del fatto a subire le conseguenze 
della sua condotta. 
Da qui nascono tutte le problematiche inerenti alla ricerca di chi sia 
l’effettivo titolare del potere causa dell’offesa. Bisogna aggiungere 
inoltre che nel diritto penale dell’impresa è diffusa la presenza di reati 
propri “nei quali, cioè, il soggetto attivo è definito in virtù di una 
qualificazione giuridica o di fatto, che esprime un particolare 
collegamento con il bene protetto”5: vi è quindi la necessità 
dell’individuazione dei criteri per rintracciare il titolare dei poteri che 
risultano indispensabili affinchè vi sia la qualifica soggettiva inserita 
nel fatto tipico. 
                                                                                                                                                                                  
Milano, 1995, 337; PULITANO’, 1982, IV, 178; FIANDACA, Omissione (dir. pen.), Digesto 
pen., VIII, Torino, 1994, 546; CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988  
4
 NUVOLONE, Le leggi penali e la costituzione, Milano, 1953, 34 
5
 C. PEDRAZZI, A. ALESSANDRI, L. FOFFANI, S. SEMINARA, G. SPAGNOLO, Manuale di 
diritto penale dell’impresa, Bologna, 1998, 44  
  
 
 
 12 
Ma anche nei confronti di un reato comune tale incombenza non è da 
meno: tutti i reati comuni commessi nell’ambito dell’attività 
d’impresa presentano le stesse peculiarità dei reati propri, facendo 
nascere la questione dell’accertamento della qualifica. 
  
 
 
 13 
2.a. CRITERI DI DETERMINAZIONE E FIGURA DEL GARANTE 
Per diversi anni i criteri per l’individuazione del soggetto responsabile 
hanno registrato diverse oscillazioni. In dottrina un orientamento 
puntava al vertice aziendale6 e, all’estremo opposto stava un altro 
orientamento che si rifaceva a termini puramente fattuali dove un 
valore decisivo viene assunto dalle mansioni svolte in concreto7. Al di 
là di questi estremi orientamenti occorre far tesoro sia delle 
indicazioni funzionali (concrete mansioni svolte) che di quelle formali 
(vertice aziendale). Questo perché in base al criterio formale, quindi 
partendo dall’analisi delle regole che l’impresa si è data per 
organizzarsi ed operare, è possibile determinare uno o più garanti 
originari, titolari di poteri autonomi, tali cioè da non richiedere 
integrazioni di alcun tipo. In base al criterio fattuale è possibile 
verificare se chi ha esercitato o omesso di esercitare un potere fosse 
anche garante effettivo degli interessi tutelati nell’esercizio del potere 
stesso. Tutto ciò perché l’organizzazione degli enti complessi e la loro 
attività non sono mai riducibili al mero esercizio fattuale delle 
mansioni o alla pura realtà regolamentare. 
                                                                 
6
 PEDRAZZI, 1962; PADOVANI, Riv. It. Dir. proc. Pen. 1979, 1177; PADOVANI, 1983; 
PULITANO’, 1982; PULITANO’, 1985; PULITANO’, Igiene e sicurezza del lavoro, Dig. Pen., 
Vi, 1992, 102 
7
 PAGLIARO, Indice pen., 1985, 17; FIORELLA, 1985 
  
 
 
 14 
Il criterio funzionale gioca però un ruolo molto importante 
nell’interpretazione di alcuni soggetti la cui qualifica è richiamata 
all’interno dei reati propri.  
 
2.b. LA FIGURA DELL’AMMINISTRATORE DI FATTO. 
Un esempio è, nell’ambito dei reati societari, la figura, discussa in 
dottrina,  dell’amministratore di fatto, specie in relazione all’art. 2621 
c.c. . La ragione è che risulta ingiustificato pretendere di applicare la 
disciplina sanzionatoria esclusivamente ad amministratori 
regolarmente investiti. Tale costruzione dottrinale e giurisprudenziale 
ha dalla sua vantaggi di elasticità applicativa: garantisce un maggior 
tasso di effettività della fattispecie, permettendo di raggiungere 
situazioni “sostanzialmente” riconducibili allo schema legale nel 
momento in cui questo venga aggirato o eluso8. 
                                                                 
8
 v. ANTOLISEI, Manuale, I, 53; CONTI BRUTI LIBERATI, in Aa. Vv., Il diritto penale delle 
società commerciali, Ricerca a cura di Nuvolone, Milano, 1971, 119; CONTI, in Aa. Vv., Trattato 
a cura di Di Amato, I, 225; LA MONICA, Diritto penale commerciale, I, Milano, 1988, 103; per 
acute riflessioni critiche sull’orientamento dominante, PEDRAZZI, 1962. Nella dottrina 
commercialistica , v. per tutti, BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano 1985 
  
 
 
 15 
2.c. LA DELEGA E LA SORVEGLIANZA. 
Altre problematiche si affacciano nella determinazione dei soggetti 
attivi. Ad esempio, laddove si incontrano reati propri centrati su 
adempimenti che i soggetti qualificati devono porre in essere 
personalmente è chiaro che non si va incontro a nessuna 
complicazione. Il problema si pone nel campo della delega. Bisogna 
cioè determinare se ed in quale misura la distribuzione delle 
competenze ed il riparto delle mansioni esistenti nell’impresa abbiano 
un effetto sull’attribuzione della responsabilità penale. Dopo notevoli 
contrasti si è giunti alla conclusione di favorire la costruzione secondo 
la quale la delega interviene a mutare il contenuto dell’obbligo che 
grava sul garante, il quale si sposta da adempimento in prima persona 
a dovere di controllare l’adempimento affidato ad altri9. Di 
conseguenza, la nascita di un obbligo di sorveglianza da parte del 
delegante nei confronti del delegato. Il garante primario non si libera 
definitivamente con la delega ma gli residua un compito di 
                                                                 
9
 v. PEDRAZZI, 1962; PEDRAZZI, 1988, 138 “… la delega di funzioni trova posto come 
espediente organizzativo, e quindi come modalità di adempimento commisurata alla posizione di 
vertice propria dell’imprenditore … Per quanto concerne la posizione del delegante, come 
modalità di adempimento la delega sottintende l’intrasferibilità della posizione penalmente 
vincolata. Allargando la base personale della garanzia, il delegante si libera soltanto dall’obbligo 
di una presenza diretta. L’obbligo del garante originario cioè permane, ma muta di contenuto.”   
  
 
 
 16 
permanente controllo al fine di prevenire inosservanze di obblighi di 
legge10. 
                                                                 
10
 v. Cass. 13 marzo 1987, Cass. pen. 1988, 2161; v. PALOMBI, in Aa. Vv., Trattato a cura di Di 
Amato, I, 280 
  
 
 
 17 
 
 
PARTE II 
IL REATO DI APPROPRIAZIONE 
INDEBITA. 
 
 
 
 
 
 
Sommario: 1. Concetto di possesso: corrente privatistica e 
autonomista. Soluzioni interpretative. – 2. Appropriazione indebita: 
cenni storici. – 3. Oggetto del reato. – 4. Condotta tipica: 
appropriazione e distrazione. – 5. Consumazione ed elemento 
soggettivo. 
 
 
  
 
 
 18 
1. CONCETTO DI POSSESSO. CORRENTE PRIVATISTICA 
E AUTONOMISTA. SOLUZIONI INTERPRETATIVE. 
 
Al fine della nostra trattazione rileva particolare importanza la 
determinazione del concetto di possesso, dato che dalla nozione che si 
accoglie deriva la sussunzione del fatto concreto sotto la fattispecie di 
furto o di appropriazione indebita. 
E’ questo elemento, infatti, che va a caratterizzare e distinguere i due 
delitti citati dove, nel furto, non è richiesto il possesso della cosa da 
parte del soggetto attivo, a differenza che nell’appropriazione indebita. 
Proprio per quanto riguarda la nozione di possesso si è riscontrata in 
dottrina la distinzioni di due correnti: quella privatistica e quella 
autonomista. 
Coloro i quali condividono la prima sostengono l’identità del possesso 
ai fini del diritto penale con il concetto di possesso determinato e 
regolato dal Codice Civile ex art. 1140: “Il possesso è il potere sulla 
cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della 
proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per 
mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.”  
  
 
 
 19 
I sostenitori della seconda corrente affermano che nel campo del 
diritto penale il concetto di possesso abbia significato e portata 
particolari.  
E’ fuori discussione che sia preventivamente utile partire dal concetto 
delineato dalla disciplina civilistica, nella quale può affermarsi che 
affinchè vi sia possesso debbano sussistere due presupposti: 
a) un potere di fatto  (elemento oggettivo); 
b) un animus possidendi  (elemento soggettivo)11. 
E’ evidente che la nozione civilistica di possesso è piuttosto ristretta, 
mentre è riservato maggior spazio al concetto di detenzione. Sia l’uno 
che l’altra comportano lo stesso rapporto di fatto con la cosa, ma ciò 
che li differenzia è l’elemento dell’animus . 
Se tale istituto  venisse trasportato senza nessun adattamento 
all’interno della disciplina penalistica dovremmo ritenere che il 
depositario, il locatario, il comodatario ed il mandatario, essendo 
detentori e non possessori, potrebbero essere responsabili del delitto di 
furto; conclusione che contrasta con l’oramai costante dottrina e 
                                                                 
11
 Cfr. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, p. 437; TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale 
di diritto privato, p. 383; GALGANO, Diritto privato, p. 126; RESCIGNO, Manuale di diritto 
privato italiano, p. 536; TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, p. 571; CANDIAN, Nozioni 
istituzionali di diritto privato, 3° ed., Milano 1953, p. 650; FERRANTE, Il libro della proprietà, 
2° ed., Milano 1951, p. 868; DE RUGGERO-MAROI, Istituzioni di diritto privato, 8° ed., Milano-
Messina 1950, v. I, p. 636; MESSINEO, Manuale di diritto civile commerciale, 8° ed., Milano 
1950, v. II, parte I, p. 159; BARASSI, Istituzioni di diritto civile, 4° ed., Milano 1948, p. 365. 
  
 
 
 20 
giurisprudenza che non dubitano più del fatto che tali soggetti si 
renderebbero autori di appropriazione indebita e non certo di furto. 
I sostenitori della corrente civilistica dovrebbero quindi rivoluzionare 
tutta la materia relativa  ai due delitti.  
Tutto questo ci può dimostrare come sia necessario modificare ed 
adattare alle nostre esigenze la nozione civilistica di possesso. Tale 
operazione consiste nell’ampliare tale nozione in modo da farvi 
rientrare tutti quei casi in cui la signoria di fatto sulla cosa sia 
esercitata in modo autonomo, senza cioè la diretta vigilanza di un 
soggetto che abbia sulla cosa stessa un potere giuridico maggiore. 
Possiamo ora notare come, per il diritto penale, la detenzione venga a 
ridursi alle ipotesi nelle quali il potere di fatto sulla cosa venga posto 
in essere “entro la sfera di sorveglianza del possessore e cioè quando 
colui che dispone materialmente della cosa non è altro che uno 
strumento, una longa manus del possessore.” 
Quindi possiamo giungere alla conclusione secondo la quale tutti 
coloro che esercitano la signoria di fatto sulla cosa in modo autonomo,