II
 
specifici orientamenti politici - svolga un ruolo 
fondamentale nella mobilitazione e soprattutto 
nell’adesione al regime. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
Introduzione 
 
Con il termine “inconscio collettivo” Carl 
Gustav Jung
1
 definisce la parte dell’intelletto 
umano  comprendente contenuti di coscienza comuni 
a  tutti gli uomini e a tutte le culture. Jung riprende 
da Freud l’idea secondo cui la mente umana è 
composta di una parte conscia e di una inconscia, 
                                                 
1
 Carl Gustave Jung (1875 – 1961), psicanalista svizzero, padre di quella che egli stesso definì 
“psicologia analitica”. Figlio di Paul Jung, un pastore protestante, e di Emile Preiswerk, nel 1886 
inizia gli studi secondari presso il ginnasio di Basilea. Nel 1895, dopo aver conseguito la maturità, 
si iscrive alla Facoltà di medicina dell’Università di Basilea, presso la quale nel 1900 si laurea con 
una tesi dal titolo Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti, pubblicata nel 1902.  
Decide di specializzarsi in psichiatria ed entra nell’ospedale psichiatrico di Burghölzli di Zurigo 
come assistente. Nel 1906 prende pubblica posizione a favore della psicoanalisi di Freud ed inizia 
la loro corrispondenza. L’anno successivo avviene il primo incontro fra i due. Nel 1912, durante le 
lezioni alla Fordham University di New York, per la prima volta vengono espressi pubblicamente 
punti di dissenso dalle teorie di Freud. Nel 1913, davanti alla Psycho-Medical-Society di Londra, 
definisce il suo orientamento di ricerca “psicologia analitica”. Gli anni che seguono sono colmi di 
pubblicazioni, congressi e viaggi. Si dedica a studi che esulano dalla tradizionale ricerca 
psicanalitica, trattando argomenti come la mitologia, l’alchimia o gnosticismo. Tra i suoi scritti più 
importanti ricordiamo: Psicologia della dementia precox (1906); Libido. Simboli e trasformazioni 
(1911); La struttura dell’inconscio (1916); Tipi psicologici (1921); L’Io e l’inconscio (1928); 
Psicologia e Religione (1937/40); Psicologia e Alchimia (1943/44); La sincronicità (1951); 
Mysterium Coniuctionis (1954).  
  
2
 
ma a differenza di quest’ultimo lo psicanalista 
svizzero ritiene che ciascuna di queste parti sia a 
sua volta formata da una componente personale e da 
una sovrapersonale, ossia collettiva
2
; l’inconscio 
collettivo costituisce quindi un substrato psichico 
di natura sovrapersonale presente in ciascuno.  
Mentre l’inconscio personale è costituito 
fondamentalmente da “complessi a tonalità 
affettiva”, contenuti di coscienza personale 
dimenticati e retrocessi ad una soglia sub-cosciente,  
l’inconscio collettivo si compone di “archetipi”, 
ossia immagini primigenie universali e presenti sin 
                                                 
2
 Sulla struttura dell’inconscio, in particolare sul concetto di inconscio collettivo cfr. Carl G. Jung,       
Über die Archetypen des kollektiven Unbewussten, in Eranos-Jahrbuch 1934, Zurigo, 1935, trad. 
it. Elena Schanzer, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, in Carl G. Jung,  Opere, vol. IX*, 
Boringhieri, Torino, 1980, passim; Der Begriff des Kollekltiven Unbewussten, (originariamente 
conferenza dal titolo The Concept of the Collective Unconscious tenuta alla Abernethian Society 
presso il St. Bartholomew’s Hospital di Londra il 10 ottobre 1936), Bartholomew’s Hospital 
Journal, Londra, vol. 44, 46-49 e 64 – 66, 1936-37, trad. it. Antonio Vitolo, Il concetto di 
inconscio collettivo, in Carl G. Jung,  Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino,  1980, passim; La 
structure de l’inconcient, traduzione da un manoscritto dell’autore negli “Archives de 
Psychologie”, 1916, vol. XVI, pag. 152, trad. it. di Elisa Tetamo, La struttura dell’inconscio, in 
Carl G. Jung, L’inconscio, Mondadori, Milano,   1992, in particolare a p. 61 viene riportato uno 
schema sintetico dell’inconscio; Zur Psychologie des Kindarchetypus, in Carl G. Jung &  Kàroly 
Kerényi, Einführung in das der Mythologie, Pantheon Akademische Verlagsastal, Amsterdam-
Leipzig, 1942, trad. it. Angelo Brelich, “Psicologia dell’archetipo del Fanciullo”, in Prolegomeni 
allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino, 1999, p. 114; Die psychologischen 
Aspekte des Mutterarchetypus, in Eranos-Jahrbuch 1938, Zurigo, 1939, trad. it. Lisa Baruffi, Gli 
aspetti psicologici dell’archetipo della Madre, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, 
Torino, 1980. p. 80 e ss. 
  
3
 
dai tempi più remoti; queste non sono mai state 
acquisite individualmente: la loro origine è ignota e 
la loro esistenza dovuta all’ereditarietà
3
.   
Jung ritiene che gli archetipi formino delle 
analogie così vicine agli istinti da poter supporre 
che  essi siano: 
 
[…] le immagini   inconsce   degli  istinti 
stessi; in altre  parole,  essi  sono “schemi di 
comportamento istintuale. L’ipotesi della 
esistenza dell’inconscio collettivo non è 
perciò più audace dell’assunto secondo cui 
esistono gli istinti
4
. 
 
Nonostante questi ultimi siano costituiti da 
stimoli fisiologici e percepibili sensorialmente, 
Jung fa notare come essi si manifestino parimenti 
                                                 
3
 Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., pp. 3 – 4. Jung scrive che 
l’espressione archetipo si trova già nel De opificio mundi di  Filone d’ Alessandria, riferita 
all’immagine di Dio nell’uomo, nel Corpus hermeticum di Ireneo, nel De coelesti hierarchia e nel 
De divinis nominibus di Dionigi l’Aeropagita, nel Tractatus auresus di Ermete Trismegisto, 
persino in sant’Agostino, anche se solo come idea (cfr Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio 
collettivo, cit. p. 4). 
4
 Carl G. Jung, Il concetto di inconscio collettivo, cit., p. 44. 
  
4
 
anche in veste di fantasie, e come spesso rivelino la 
loro presenza tramite immagini simboliche. Proprio 
tali manifestazioni vengono definite dallo studioso 
archetipi, e l’esistenza di queste immagini in 
popolazioni, razze e continenti diversi, anche in 
casi in cui va escluso qualsiasi tipo di contatto fra 
di essi, porta Jung a supporre un’origine  ereditaria 
degli archetipi
5
.  
L’archetipo, dice lo psicanalista, è infatti “la 
tendenza a formare singole rappresentazioni di uno 
stesso motivo che, pur nelle loro variazioni 
individuali anche sensibili, continuano a derivare 
                                                 
5
 In realtà Jung non ritiene che siano le immagini delle fantasie archetipiche a essere trasmesse 
ereditariamente, quanto le possibilità di loro rappresentazione ricorrenti nell’uomo. Lo studioso 
riferisce: «Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe immagini 
definite o precisi motivi mitologici. Questi, in realtà, non sono altro che rappresentazioni conscie; 
sarebbe assurdo pensare che tali rappresentazioni variabili fossero ereditarie». (Carl G. Jung, 
Approaching the Unconscious, in Carl G. Jung et al., Man and His Symbols, Aldus Books Limited, 
London, 1976, trad. it. Tettucci Robert, “Introduzione all’inconscio”, in L’uomo e i suoi simboli, 
TEA, Milano, 1991, p. 52). Ad esempio Gilbert Durand riporta che per Jung l’aspetto 
dell’immaggine dell’ anima, uno degli archetipi più importanti, assieme ad animus, ombra, 
vecchio saggio, Sé (cfr. infra), è maggiormente motivato dai costumi sociali che determinato 
fisiologicamente. Le culture patriarcali contribuiscono infatti a rafforzare l’ animus e ad affievolire 
l’anima, così come la società occidentale, tollerando una poligamia di fatto per il maschio, suscita 
in quest’ultimo un’anima unificata e consacrata, mentre l’animus della donna, a causa della 
monogamia cui è condannata, è polimorfo (cfr. Gilbert Durand, Les structures anthropologiques 
de l’imaginair.,Introduction á l’archétypologie générale, Presses Universitaires de France, Paris, 
1963, trad. it. Ettore Catalano, Le strutture antropologiche dell’immaginario, introduzione 
all’archetipologia generale, Dedalo, Bari,  1984, p. 387).  
  
5
 
dal medesimo modello fondamentale”
6
; ed ancora: 
“La loro origine è ignota e si riproducono in ogni 
tempo e in qualunque parte del mondo, anche 
laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di 
trasmissione ereditaria diretta o per ‹‹incrocio››”
7
. 
L’archetipo designa dunque un contenuto 
psichico non ancora sottoposto a elaborazione 
cosciente, anzi esso è preesistente alla stessa 
coscienza. In questo senso Jung rovescia la 
concezione freudiana dell’inconscio: non è la 
coscienza a generare l’inconscio, tramite un 
meccanismo di rimozione, bensì è l’inconscio 
collettivo a precedere la coscienza in quanto 
ricettacolo delle immagini primordiali dell’umanità.  
Tra i principali archetipi Jung indica l’Ombra,  
l’Anima, l’Animus e il Vecchio Saggio
8
. Il primo di 
                                                 
6
 Carl G. Jung, Introduzione all’inconscio, in Carl G. Jung et al., L’uomo e i suoi simboli, cit., p. 
52. 
7
 Ibidem. 
8
 Sugli archetipi in genere Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., passim; 
Über den Archetypus mit besonderer Berücksichtigung des Animabegriffes, in Zentralblatt für 
Psychotherapie und ihre Grenzgebiete, vol. 9 N. 5, 259-75, Lipsia, 1936, trad. it. Lisa Baruffi, 
Sull’archetipo, con particolar riguardo al concetto di Anima, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, 
  
6
 
essi rappresenta la nostra parte più primitiva e 
oscura, ciò che non vorremmo conoscere di noi 
stessi. Anima e Animus sono rispettivamente le parti 
inconsce del maschile e del femminile; mentre 
l’anima è legata alla sfera sentimentale, all’Eros, 
l’animus si identifica con il Logos, con  la ricerca 
della conoscenza e della verità. Infine, il vecchio 
saggio rappresenta l’archetipo dello spirito, colui 
che “[…] penetra le tenebre caotiche  della vita 
ordinaria con la luce del significato. È colui che 
illumina, guida, maestro e psicopompo”
9
.  
Ad ogni modo, fra tutti gli archetipi un posto 
principale è occupato dall’archetipo della Totalità: 
il Sé, simbolo e al tempo stesso fine di uno 
sviluppo  globale della personalità definito da Jung 
                                                                                                                                     
Boringhieri, Torino, 1980, passim; The Meaning of Individuation, in The Integration of 
Personality, Farrar & Rinehart, New York e Toronto, 1939, (2ª ed., “Bewusstein, Unbewusstes 
und Individuation”, in Zentralblatt für Psychotherapie und ihre Grezgebiete, vol. 11, N. 5, 257-70, 
Lipsia, 1939), trad. it. Lisa Baruffi, Coscienza, inconscio e individuazione, in Carl G. Jung, Opere, 
vol. IX*, Boringhieri, Torino,  1980, pp. 275 e ss.; Aion-Untersuchungen zur Symbolgeschichte, 
Zurigo, 1951, trad. it. Elena Schanzer, Aion: ricerche sulla storia del simbolo, in  Carl G. Jung, 
Opere, Vol IX**, Boringhieri, Torino, 1979, passim. 
9
 Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 35. 
  
7
 
“processo di individuazione”
10
. Generato dal 
fondamentale conflitto tra coscienza e inconscio, il 
processo di individuazione tende all’integrazione 
dell’inconscio alla coscienza, alla produzione di 
«un “individuo” psicologico, vale a dire un’entità 
separata, indivisibile, un tutto»
11
.  
L’archetipo del Sé esprime l’obiettivo 
dell’intero decorso della vita, e cioè la completezza 
umana, la compenetrazione delle  forze opposte che 
da sempre, con moti alterni, influenzano il nostro 
comportamento: la Coniuctio Oppositorum. Esso si 
esprime nei molteplici  simboli di perfezione 
rintracciabili in tutte le culture, nei Mandala ad 
esempio, allo studio dei quali Jung dedicò 
                                                 
10
 Sull’archetipo del Sé, sul processo di individuazione e sulla sua simbologia cfr. Carl G. Jung, 
Coscienza, inconscio e individuazione, cit., passim; Psychologie und Alchimie, Walter Verlag, 
Olten, 1944, trad. it. Roberto Balzen, interamente riveduta da Lisa Baruffi, Psicologia e alchimia, 
in Carl G. Jung, Opere, vol XII, Boringhieri, Torino,  1992, pp. 38, 181 e ss.; Mysterium 
coniuctionis. Untersuchungen über die Trennung und Zusammensetzung der seelischen 
Gegensätze in der Alchimie, Rascher, Zurigo,  1955-56,  trad. it. Maria Anna Massimello, Carl G. 
Jung in Opere, vol. XIV, Boringhieri, Torino, 1989, passim; Zum psycholischen Aspekt der 
Korefigur, (Aspetto psicologico della figura di Kore), in Jung Carl Gustav Jung & Kerényi Kàroly, 
op. cit., pp. 229,230; Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 38; Zur Empirie des 
Individuationsprozesses, in Gestaltungen des Unbewussten, “Psychologische Abhandlungen“, vol. 
7 , Zurigo, 1950 [versione interamente rivista e ampliata della lezione dallo stesso titolo, 
pubblicata per la prima volta in Eranos-Jahrbuch 1933], trad. it. Lisa Baruffi, Empiria del processo 
d’individuazione, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, passim. 
11
 Carl G. Jung, Coscienza, inconscio e individuazione, cit., p. 267.  
  
8
 
parecchio tempo
12
, oppure nella figura 
dell’ermafrodito
13
, o ancora nelle ierogamie o nelle 
“nozze regali”
 14
.  
                                                 
12
 Cfr. Carl G. Jung, “Mandalas”, in Du, Schweizerische Monatsschrift, Zurigo, vol. 15, N.4, 16-21 
(gennaio 1955), trad. it. Lisa Baruffi, Che cosa sono i mandala in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, 
Boringhieri, Torino,  1980, pasim; Empiria del processo d’individuazione, cit., pp. 315, 342-343; 
Psicologia e alchimia, cit., passim; Über Mandalasymbolik, in Gestaltungen des Unbewussten, 
“Psychologische Abhandlungen”, vol. 7, Zurigo, 1950, trad. it. Lisa Baruffi, Simbolismo del 
Mandala,  in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, passim.  
13
 Cfr. Arthur Cotterell, A dictionary of World Mythology, Oxford University Press, 1979, trad. it. 
Manola Stanchi, Dizionario di mitologia, Mondadori, Milano, 1991, pp. 255-256; Robert Graves,  
Greek Myths, s.l., 1955, trad. it. Morpurgo Elisa, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1991, p. 58; 
Gilbert Durand, op. cit., pp. 293-294; Carl G. Jung, Mysterium coniuctionis, cit., pp. 17, 21; Carl 
G. Jung, Psicogia dell’archetipo del Fanciullo, in Carl G. Jung & Karoly Kerényi, op. cit., pp. 
138-143. Molto interessante è la tesi dell’androginia divina, ripresa anche da una certa tradizione 
alchemica nell’androginia del Cristo. Mircea Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot, Parigi, 
1948, trad. It. Virginia Vacca, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino, 1972, pp. 
435-438; Gilbert Durand, op. cit., p. 301, 305. Vedi anche Zolla: “L’apoteosi rende androgini 
come gli dèi egizi, come Dioniso” (Elémire Zolla, Archetypes, Allen & Unwin, Londra, 1981, trad. 
it. Grazia Marchianò, Archetipi, Marsilio, Venezia, 2002, p. 88). Anche l’indiano Vishnu è spesso 
androgino (cfr. ibidem, p. 117). Ricordiamo inoltre il mito dell’androgino celebranto da Platone 
(cfr.Platone, Συµπόσιον (V sec. a.C. circa), trad. it. C. Diano, Simposio, Marsilio,Venezia,   1992, 
189c – 193b). Per Durand  “Il simbolo del Figlio sarebbe una traduzione tardiva dell’androginato 
primitivo delle vanità lunari. Il Figlio conserva la valenza maschile a fianco della femminilità della 
madre celeste. Sotto la spinta dei culti solari la femminilità della luna si sarebbe accentuata e 
avrebbe perduto l’androginato primitivo di cui un a parte soltanto si conserva nella filiazione. Ma 
le due metà, per così dire, dell’androgino non perdono attraverso la loro separazione la loro 
relazione ciclica: la madre dà alla luce il Figlio e questo ultimo diventa amante della madre in una 
sorta di uroborus eredosessuale” (Gilbert Durand, op. cit., pp. 301-302). Durand ritiene che nella 
tradizione alchemica tale ruolo fosse svolto da Ermete Trismegisto;  per gli alchimisti egli era il 
figlio e il Cristo, l’ermafrodito descritto nelle Nozze chimiche (cfr. Gilbert Durand, op. cit., pp. 
304-305). Lo stesso Jung ci dice che “L’equivalente alchemico dell’uomo-Dio e del figlio di Dio 
era Mercurio il quale, in quanto ermafrodito, conteneva in sé sia l’elemento femminile, la sapientia 
e la materia, sia anche il maschile, lo Spirito Santo e il diavolo” (Carl G. Jung, Mysterium 
coniuctionis, cit., p. 34). Sulla figura dell’ermafrodito nell’ opus alchymicum cfr. Arnaldo da 
Villanova, Rosarium Philosophorum, in De Alchemia Opuscula complura veterum philosophorum, 
vol. II, Frankfurt, 1550, trad. ingl. John F. Ferguson, Bibliotheca Chemica.  A Catalogue of the 
Alchemical, Chemical and Pharmaceutical Books in the Collection of the Late James Young of 
Kelly and Durris, 2 vols., Glasgow, 1906, sito web “The Alchemy Web Site” 
(http://www.alchemywebsite.com/index.html), visitato il 18 dicembre 2003.  
14
 Il motivo della coppia divina o della coppia regale non è simbolicamente dissimile da quello 
dell’ermafrodito (Cfr. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religionis, cit., pp. 84, 246-248; 
Robert Graves, op. cit., pp. 25-26; Arthur Cotterell, op. cit., pp. 302-303; Johann Valentin 
Andreae, Chymische Hochzeit Christian Rosenkreutz (1459), trad. it.  Le nozze chimiche, Atanòr, 
Roma, 1997, passim; Robert J. Steward,  Creation myth, Element Books Ltd., Shaftesbury 
  
9
 
Tuttavia, nel mondo inconscio, ed in particolar 
modo negli archetipi, assieme agli aspetti positivi 
che possono derivare da un’antica saggezza di 
inestimabile valore, si celano al tempo stesso  
temibilissimi pericoli. Se le immagini archetipiche 
rappresentano una componente essenziale 
all’interno del processo di individuazione, che come 
abbiamo visto può condurre l’uomo accorto sulla 
strada per la completezza, parimenti dietro essi è 
perennemente in agguato il germe della distruzione.  
Un primo  pericolo è quello di soccombere 
all’archetipo, il quale, a causa della sua 
“numinosità” e del suo grado di autonomia, 
potrebbe liberarsi da ogni controllo cosciente e dare 
origine a fenomeni di possessione
15
. Inoltre, se 
l’assimilazione  totale dell’inconscio da parte della  
coscienza  è solamente  improponibile, la tendenza 
                                                                                                                                     
(Dorset), Rockport (Massachusetts), 1989, trad. it. Vittorio Cucchi, I miti della creazione, Xenia,  
Milano, 1993,  p. 48; Gilbert Durand, op. cit., pp. 231. 
15
 Numinosità e autonomia sono due delle tre caratteristiche dell’immagine archetipica indicate da 
Jung (la terza è ilcarattere inconscio). Con il concetto di numinosità lo studioso indica l’intensità e 
l’influenza che l’archetipo può esercitare. Sul concetto di pericolosità dell’archetipo vedi Carl 
Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit.,   pp. 20, 37.  
  
10
 
opposta, quella cioè della sua repressione, può 
risultare catastrofica, potendosi ripercuotere contro 
noi stessi.  
Del resto, Jung sembra voler mettere in guardia 
l’uomo moderno da tali insidie.  I suoi scritti sono 
pieni di riferimenti ad un “disagio della civiltà” che 
attanaglia il mondo occidentale, ad un uomo che ha 
ormai perduto i suoi simboli storici e culturali, e 
innanzi al quale si spalanca un nulla che si riempie 
di idee politiche e sociali assurde
16
. Sono pagine 
nelle quali indubbiamente risalta l’influenza 
dell’irrazionalismo  fin de siècle,  dominante nella 
cultura tedesca di quegli anni, e Jung del resto è 
svizzero solo per nascita, non per formazione 
culturale
17
.  
                                                 
16
 Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., pp. 13-14. 
17
 Nell’ultimo decennio dell’Ottocento il razionalismo positivista, con la sua concezione 
meccanicistico-deterministixca della vita, entrò in una cisi radicale.  A cavallo fra il XIX e il XX 
nessun settore della cultura europea rimase insensibile al fascino dell’irrazionale e dell’inconscio. 
Ovviamente viene da pensare per prima cosa alla nascita della psicoanalisi, ma a ben guardare ci si 
accorge che questo fu solo un piccolo tassello in un disegno ben più grande. Come non ricordare 
ad esempio la diffusione della filosofia Nietzchiana, la serrata polemica antipositivista che 
caratterizzò il pensiero filosofico, portata avanti, pur con modalità differenti, da spiritualismo e 
neo-criticismo; o ancora  i movimenti d’avanguardia nelle arti scritte e figurative  (il dadaismo, il 
futurismo, successivamente il surrealismo), il teatro dell’assurdo di Becket e Ionesco, la fortuna 
  
11
 
Ad ogni buon conto, non sembra  priva di 
fondamento l’ipotesi sulla pericolosità di certe  
immagini inconsce. Per essere più precisi, va 
ripetuto che la pericolosità non sta tanto nelle 
immagini in sé, nelle forze ctonie che popolano la 
nostra psiche, quanto nell’ostinato tentativo di 
reprimerle, rifiutando di considerarle  parte di noi 
stessi. In questo caso esse possono venire allo 
scoperto e sprigionare tutta la loro carica 
devastante
18
. I loro simboli sconfinano nella 
                                                                                                                                     
che ebbe l’opera di Richard Wagner, con il suo indomito incedere tipicamente teutonico; per non 
parlare di fenomeni “limite” come il crescente interesse per lo spiritismo o la teosofia. La crisi 
dello scientismo positivistico  ebbe ovviamente una precisa traduzione anche nel campo delle 
ideologie politiche, dove si fece avanti in particolar modo il nazionalismo antidemocratico, che 
nella sua accezione tedesca avrà  un’influenza determinante nell’elaborazione del mito della 
superiorità germanica in termini razzisti. Sembrò quasi che la vecchia Europa fosse stata colta da 
un’afflato vitalistico che l’avrebbe transitata, parafrasando Nietzche, da una tradizione culturale 
tipicamente apollinea ad una nuova dimensione irrazionalmente dionisiaca. Sull’argomento vedi 
Massimo L. Salvadori, Storia dell’età contemporanea. Dalla restaurazione a oggi, Loescher, 
Torino, 1990, pp. 409-416; Richard Noll, The Jung Cult, Princeton University Press, 1994, trad. it. 
Massimo Parizzi, Jung, il profeta ariano, Mondadori, Milano, 1999,  pp. 13-129. 
18
 Cfr. Carl G. Jung et al., L’uomo e i suoi simboli,  pp. 75-77. Sull’argomento, e in particolare 
sulla pericolosità dell’archetipo della “Grande Madre”,  vedi  Domenica Mazzù, Il complesso 
dell’usurpatore, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 164-167; Erich Neumann, Die Bedeutung des 
Erdarchetyps für die Neuzeit, in Eranos.Jahrbuch 22-1953, Ascona, Fondazione Eranos, 1954, 
trad. it. Donatella Besana, Il significato dell’archetipo della terra nell’era moderna, in Erich 
Nuumann, Karl Kerényi, Daisetz T. Suzuki, Giuseppe Tucci, La terra Madre e Dea. Sacralità 
della natura che ci fa vivere, Red., Como, 1989, passim, in particolare pp. 37 ss.; Claudio Risé, La 
storia mitica delle nazioni oggettive nei conflitti identitari postmoderni, in AA. VV., Il nuovo volto 
di Ares o il simbolico nella guerra post moderna¸ Cedam, Padova, 1999, passim.  
Claudio Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, Cedam, 
Padova, 1997, cap. III.3.  “Imperatore e vittima”; Bellum omnium contra omnes, il simbolico e la 
guerra post-moderna, in AA. VV., Il nuovo volto di Ares o il simbolico nella guerra post-
moderna, cit., passim. In quest’ultima opera  Bonvecchio sostiene che il fluire allo scoperto della 
  
12
 
dimensione cosciente, l’assaltano, la divorano, 
infine  la possiedono:  
 
la coscienza si ribella, proclamando la sua 
totale lontananza dall’Ombra. La coscienza, 
tuttavia, ne è signoreggiata e quanto più la 
disconosce, rifiutando la sua origine 
inconscia, tanto più vi cade in preda, con 
effetti devastanti
19
. 
 
Ci rendiamo conto che esponendo la questione 
in questi termini si potrebbe pensare di avere a che 
fare con fenomeni che esulano da un contesto 
propriamente scientifico. In realtà, nonostante lo 
stile “ieratico” ed a tratti ermetico di Jung, lo 
psicanalista si riferisce costantemente a fenomeni 
biologici, sebbene la natura di questi rimanga per 
                                                                                                                                     
dimensione inconscia sia particolarmente evidente all’interno di quella che egli definisce guerra  
“post-moderna”. Questa, a differenza delle guerre classiche e moderne, è caratterizzata da un 
affievolirsi della funzione di controllo operata  dalla coscienza individuale e collettiva, cosa che 
determina la comparsa di “numi e demoni antichi”, di forze archetipiche inconsce, da tempo 
rimosse o razionalizzate, volutamente neutralizzate dalla guerra moderna.  
19
 Claudio Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, cit., 
p. 162. 
  
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molti versi misteriosa. Come si è visto è infatti 
possibile rintracciare un parallelo fra gli archetipi 
di Jung e i ben più “rassicuranti” istinti delle razze 
animali, patrimonio oramai riconosciuto delle 
scienze biologiche. Parimenti, riteniamo doveroso 
ribadire la  propensione verso l’accettazione di una 
natura esclusivamente biologica dell’inconscio 
collettivo, senza nulla concedere ad ipotesi 
“trascendenti”. Più specificatamente, quando 
parliamo di natura biologica, ci riferiamo a 
disposizioni della struttura psichica, a tendenze 
congenite della razza umana.  
L’esempio più immediato di tali disposizioni è 
rappresentato indubbiamente dalla tendenza della 
mente umana ad essere attratta verso particolari 
immagini, come il cerchio, il quadrato o il 
triangolo, giusto per citare le più comuni. É noto a 
tutti, infatti, come  tali immagini siano ricorrenti 
nelle tradizioni mitico-religiose dei più disparati