INTRODUZIONE 
La tesi che mi propongo di dimostrare è la presenza di diverse assonanze fra il pensiero filosofico di 
Merleau-Ponty, la fisica del ventesimo secolo (principalmente la teoria della relatività di Einstein e 
la meccanica quantistica). La fisica è sempre stata una mia grande passione. Infatti, fin dal periodo 
delle scuole superiori e della prima esperienza universitaria risalente a oltre quaranta anni fa e 
riguardante studi di matematica statistica, il mio interesse per la fisica non è mai venuto meno: ho 
sempre letto con grande interesse i libri di divulgazione scientifica inerenti le varie tematiche della 
fisica antica, moderna e contemporanea. Tale tipo di lettura è continuato anche gli ultimi anni 
allorché ho conseguito la laurea triennale in filosofia. Anzi, l'interesse si è accresciuto grazie agli 
esami di Storia della scienza e di Filosofia della scienza.  
Ma come potere conciliare questa passione con la tesi magistrale? Pareva cosa impossibile fino a 
quando, in occasione dell'ultimo esame di "Filosofia del linguaggio", ho incrociato il filosofo 
francese Merleau-Ponty e il suo interesse per la fisica del ventesimo secolo. Alcune pagine del suo 
libro La Natura mi hanno veramente conquistato al punto che, pur essendo già impegnato in un 
altro progetto di tesi, ho chiesto e ottenuto (grazie alla comprensione di un ottimo professore al 
quale chiedo ancora scusa) di cambiare obiettivo. Ora mi gioco la possibilità di far convivere la mia  
passione per la fisica del ventesimo secolo (teoria della relatività e meccanica quantistica) con 
l'innovativo pensiero filosofico fenomenologico di Merleau-Ponty.  
Il percorso mi sembra abbastanza interessante e, per di più, anche agevole grazie alla profondità e 
alla competenza dimostrate dal pensatore francese in una materia complessa come la moderna 
fisica. Un passaggio, in particolare, mi ha colpito aprendomi nuovi orizzonti. Mi riferisco a quanto 
scrive Merleau-Ponty nel libro Il visibile e l'invisibile: <<Oh Dialettica, dice il filosofo, quando si 
accorge che la vera filosofia si fa beffe della filosofia. Qui la dialettica è quasi qualcuno, come 
l'ironia delle cose, è il malocchio gettato sul mondo che fa si che le nostre attese siano volte in 
derisione, una potenza astuta, alle nostre spalle, che ci sconcerta, e che, per di più, ha il suo ordine e 
la sua razionalità; non solo un rischio di non senso quindi, ma molto peggio: la certezza che le cose 
hanno un altro senso da quello che noi siamo in grado di riconoscere loro>> . Subito mi sono 
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ricordato che concetto simile viene ribadito, sin dal titolo, nell'ultimo libro pubblicato da Carlo 
Rovelli (fisico teorico nostro contemporaneo): La realtà non è come ci appare . Insomma, il senso 
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delle cose tende a sfuggirci e, di conseguenza, la realtà si nasconde ai nostri occhi sia in filosofia 
che in fisica. Proprio partendo da questa considerazione può incominciare il nostro lavoro pensando 
a ciò che comunemente si intende per spazio, tempo, natura e uomo. Partiamo da un aneddoto.  
LO SPAZIO, IL TEMPO, LA NATURA E L'UOMO. 
Immaginiamo un grande palcoscenico sul quale viene messa in scena una rappresentazione 
(tragedia e farsa fuse insieme) di innumerevoli atti e con molti attori alla presenza di una folla di 
spettatori in platea, delle autorità sul palco d'onore e degli dèi sull'Olimpo (o in altri luoghi sacri 
similari).  
  Maurice  Merleau-‐Ponty,  Il  visibile  e  l'invisibile ,  trad.  it.  di  Andrea  Bonomi,  Bompiani,  Milano  2009,  p.  114.  
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  Carlo  Rovelli,  La  realtà  non  è  come  ci  appare ,  Cor na  Editore,  Milano  2014.
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Per semplicità diremo che il palcoscenico è lo spazio, gli attori che recitano sul palco sono gli enti 
naturali (la natura), gli spettatori sono gli uomini e gli atti della tragedia-farsa indicano il tempo. Il 
tutto, l'insieme di questi elementi (spazio, tempo, natura, dèi e mente umana) può forse essere 
chiamato, approssimativamente, l'Essere. 
Dunque, secondo la più antica concezione del mondo, quella classica, accade che: il palcoscenico è 
piatto, finito, fisso, al centro del mondo con sopra il cielo (siamo all'aperto), gli atti della tragedia-
farsa si susseguono, gli attori recitano la loro parte secondo copione sotto lo sguardo vigile degli 
spettatori, delle autorità e degli dèi. Così è sempre stato e così sempre sarà.  
E invece no! Si alza uno spettatore ribelle che dice: "Il palcoscenico non è piatto ma rotondeggiante 
mentre il cielo non è solo sopra ma anche sotto e da tutti i lati". Stupore generale del pubblico, 
brusio: "Questo è pazzo!" "No, peggio, è blasfemo perché vuole stravolgere l'ordine da sempre 
vigente perché sancito dagli dèi" dicono le autorità.    
Passa parecchio tempo prima che altri due spettatori abbiamo il coraggio di alzarsi per prendere la 
parola quasi contemporaneamente. Il primo si limita a proporre l'ipotesi che il nostro palcoscenico 
potrebbe non essere il centro del mondo mentre il secondo è ben più ardito affermando: "Esistono 
infiniti palcoscenici finiti (come il nostro) nell'universo infinito". Le autorità religiose, ricordiamoci 
sempre che ci sono anche loro e sono molto influenti, decidono di bruciare vivo, senza indugi, 
quest'ultimo blasfemo. 
Un terzo spettatore dice poi che il palcoscenico non è fisso ma si muove: scandalo assoluto. "Se non 
ritratta, bruciamo anche lui" dicono le solite autorità religiose. 
Ecco alzarsi un quarto spettatore che afferma che ogni attore sulla scena condiziona ed è 
condizionato da tutti gli altri attirandoli a sé in proporzione alla sua corporatura e, inversamente, 
alla loro distanza. Stranamente quest'ultima affermazione non viene perseguitata forse perché quasi 
nessuno la capisce o forse perché viene messa sotto l'egida del dio vigente. 
Udite ora cosa dice un quinto spettatore: "Per un attore che si muove velocemente il tempo si fa 
piccolo piccolo e, quindi, l'attore invecchia meno rispetto a quello che sta fermo. Il palcoscenico 
stesso poi diviene simile a una grossa medusa che si muove contraendosi e dilatandosi". Nessun 
commento dal pubblico e dalle autorità (gli dèi tacciono ormai da tempo immemorabile). Forse 
viene reputato semplicemente pazzo. 
Il sesto spettatore osa poi affermare che guardando un attore … lo si modifica, che l'attore ha solo 
probabilità di esistere e mai certezza, che il tempo non esiste essendo originato solo dalla ignoranza 
degli spettatori intorno alla realtà, e via di seguito con altre simili "assurdità". Anche qui le autorità 
si tacciono probabilmente per incompetenza conclamata. 
Ora però sentite le argomentazioni dell'ultimo spettatore che parla: veramente uniche! Il soggetto 
che osserva e l'attore-oggetto osservato non sono più totalmente distinti ma tendono a fondersi in 
una unica struttura: il campo, l'insieme, la stringa. A sua volta l'essere (cioè, nel nostro caso, lo 
spettacolo) è intrinsecamente polimorfo, multivoco e non può essere ridotto all'univocità, l'essere è 
articolazione di dimensioni diverse, non è mai semplicemente identico a se stesso, ma è sempre 
anche altro da sé. Quindi, più vedute, più prospettive che noi non abbiamo il compito di riunire in 
una sintesi; esse sono aspetti della reversibilità che è verità ultima.  
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Tutto ciò avviene oramai nella più completa indifferenza dei più: degli dèi muti, delle autorità 
incompetenti e delle persone sedicenti normali che continuano a vivere e pensare come se il 
palcoscenico fosse piatto, finito, fisso, al centro del mondo con sopra il cielo, e come se gli atti della 
tragedia-farsa si susseguissero, gli attori recitassero la loro parte sotto lo sguardo vigile degli 
spettatori, delle autorità e degli dèi. Così è sempre stato e così sempre sarà. Forse però, 
l'assolutismo che porta ad affermare "così è sempre stato e così sarà sempre", è solo ignoranza. Ma 
così gira questo nostro piccolo mondo terrestre ove si crede ancora che un "solido io assoluto" 
osservi dall'alto, a volo di aquila, un altrettanto "solido oggetto assoluto". 
CHI SONO I PERSONAGGI?  
Vediamo ora di individuare i vari personaggi di questo piccolo aneddoto ripercorrendo, in un rapido 
excursus, la storia della filosofia e della fisica dalle origini fino al ventesimo secolo.  
La prima concezione, quella con il cielo sopra di noi e la terra sotto di noi è quella antica ove si 
parlava di tartarughe sopra tartarughe che reggevano la terra piatta. Poi è arrivato Anassimandro che 
ha stravolto la visione del mondo. Infatti, il cielo non è solo sopra la terra ma è anche sotto e da tutti 
i lati. La prima grande rivoluzione scientifica.  
Al proposito Rovelli cita Karl Popper che scrive: << Secondo me questa idea di Anassimandro [che 
la Terra è sospesa nello spazio] è una delle idee più audaci, delle più rivoluzionarie e delle più 
portentose dell'intera storia del pensiero umano>> .    
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Il secondo e il terzo personaggio del nostro aneddoto sono Copernico e Giordano Bruno. E' pur vero 
che nel frattempo sono trascorsi duemila anni, però non mi pare che alcuno, in questo lungo lasso di 
tempo, abbia proposto qualcosa di veramente nuovo e innovativo nel campo fisico-filosofico. 
Copernico ha il merito di essere il primo a ripresentare l'eliocentrismo dei pitagorici. Il vero 
innovatore è però il nolano che si mette a discorrere di "infiniti mondi finiti" quali costituenti 
dell'universo che, ricordiamolo, alla sua epoca, sedicesimo secolo, era ancora rigidamente 
aristotelico-tolemaico con la terra saldamente al centro. <<Soggetti di infinito moto locale, gli 
atomi producono composizioni e figurazioni innumerabili, in un ritmo senza fine, coincidente con il 
ritmo della "materia" infinita>> .     
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Entra in scena poi Galileo Galilei con il suo splendido Dialogo sopra i due massimi sistemi del 
mondo. Egli riteneva che il libro della natura fosse scritto in termini matematici. Era anche dedito 
ad esperimenti che lo portavano a considerare più realistica l'ipotesi copernicana rispetto a quella 
tolemaica. "E pur si muove!" è la famosa frase entrata ormai nel lessico italiano che però Galileo, 
probabilmente, non ha mai pronunciato. Ma l'Inquisizione vigilava. Galileo fu quindi costretto a 
ritrattare per non correre il rischio di "fare la fine delle caldarroste" (come aveva insegnato ai suoi 
allievi Pietro Pomponazzi grande pensatore  e filosofo mantovano del sedicesimo secolo). 
Dopo Galileo ecco Newton il quale concepisce che, nell'universo, ogni corpo attrae ogni altro corpo 
con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente 
proporzionale al quadrato della loro distanza. Newton però non ebbe problemi con la religione forse 
  Carlo  Rovelli,  Che  cos'è  la  scienza ,  Mondadori  Università,  Milano  2011,  p.  63.  
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  Michele  Ciliberto,  Giordano  Bruno ,  Laterza,  Roma-‐Bari  2005,  p.  119.  
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perché ebbe l'accortezza di chiamare lo spazio (da lui ritenuto assoluto così come il tempo) il 
"sensorium Dei".  
Siamo così giunti ad Einstein e alla sua legge della relatività che ci chiede "di rinunciare al concetto 
della simultaneità assoluta degli eventi" . Infatti, avendo già rinunciato al tempo e allo spazio 
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assoluti di newtoniana memoria, risulta che, nell'universo, il tempo di una corpo dipende dalla sua 
velocità: se un corpo si muovesse a velocità prossime a quelle della luce (300.000 Km/secondo) il 
tempo, per lui, tenderebbe ad azzerarsi così come lo spazio mentre la sua massa tenderebbe a 
diventare infinita. Di fronte a tali affermazioni che, comunque analizzeremo più dettagliatamente in 
seguito, il determinismo di Laplace (e del senso comune) svanisce. Ci troviamo infatti di fronte a 
una vera rivoluzione fisica e filosofica rispetto a tutto il precedente modo di pensare. Non siamo più 
in presenza del Kosmotheorós , del contemplatore del mondo che osserva un oggetto assoluto in un 
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mondo con geometria euclidea e con un tempo comune al soggetto e all'oggetto. <<La teoria della 
relatività ha mutato profondamente le nostre concezioni sulla struttura dello spazio e del tempo […] 
Prima della teoria della relatività sembrava assolutamente ovvio che degli eventi potessero venir 
ordinati nel tempo indipendentemente dalla loro posizione nello spazio>> . Insomma, siamo in 
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presenza di tempi multipli e di più sistemi di riferimento spaziali: geometrie euclidee e non 
euclidee. Incominciamo così a familiarizzare con il polimorfismo della fisica del ventesimo secolo. 
Polimorfismo tanto caro a Merleau-Ponty che infatti scrive <<Non si può dire che il nostro spazio 
sia riemanniano né che non sia riemanniano, tutt'al più si può parlare di tendenza a curvare lo 
spazio. Lo spazio percettivo è polimorfo>> .   
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Veniamo ora a parlare della meccanica quantistica che sconvolge ancor di più il modo comune di 
ragionare e di pensare rispetto alla già rivoluzionaria teoria della relatività. La teoria quantistica fu 
talmente innovativa che lo stesso Einstein, pur essendo tra i padri fondatori di questa nuova branca 
della fisica, non la accettò mai. <<Egli espresse la sua obiezione con la frase: "Dio non gioca ai 
dadi." Il senso di questa affermazione è che il gioco dei dadi poggia sulle leggi del caso, e Einstein 
riteneva che quest'ultimo concetto trovasse il suo significato scientifico soltanto nelle limitazioni 
epistemologiche della mente conoscente finita nella sua relazione con l'oggetto della conoscenza 
scientifica>> . Invece non era così: l'indeterminismo, la probabilità sono il cuore stesso della 
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meccanica quantistica che si basa sul principio di indeterminazione di Heisenberg: di una particella 
subatomica non si possono misurare insieme velocità e posizione come si era fatto fino a poco 
prima per i corpi cosi detti normali in quanto ad alto numero quantico. O si conosce la velocità della 
particella o si conosce la sua posizione. Più aumenta la precisione di uno dei due dati e più si riduce 
la precisione dell'altro. Di conseguenza, Merleau-Ponty scrive al proposito: <<La meccanica 
  David  Oldroyd,  Storia  della  filosofia  della  scienza ,  trad.  it.  di  Libero  Sosio,  Il  Saggiatore,  Milano  1986,  p.  357.  
5
  Maurice  Merleau-‐Ponty,  La  natura ,  trad.  it.  di  Maddalena  Mazzocut-‐Miss  e  Federica  Sossi,  Cor na  Editore,  Milano  
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1996,  p.  152.
  "Colui  che  domina  il  mondo  con  l'aiuto  di  un  sistema  di  leggi  eterne".  M.  Merleau-‐Ponty,  La  natura ,  cit.,  p.  167.    
7
  Werner  Heisenber,  Fisica  e  filosofia ,  trad.  it.  di  Giulio  Gnoli,  Il  Saggiatore,  Milano  1982,  pp.  150-‐151.
8
  M.  Merleau-‐Ponty,  La  natura ,  cit.,  p.  156.
9
  Filmer  Stuart  Cuckow  Northrop,  Introduzione,  in  Werner  Heisenber,  Fisica  e  filosofia,  cit.,  p.  11.    
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quantistica ha sconvolto le nostre categorie fondamentali ancora più della teoria di Einstein, il 
quale, a malincuore, si è messo contro l'antica ontologia>> . Nel campo della quantistica non esiste 
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mai una unica soluzione, come eravamo abituati dalla precedente fisica classica, ma ne esistono 
tante "possibili" alcune delle quali più probabili di altre. L'oggetto quantico non ha un'esistenza 
reale, attuale ma sembra invece ridursi a una nuvola di possibilità, a un'onda di probabilità. 
Ovviamente l'ultimo spettatore che parla nel nostro aneddoto è proprio il nostro filosofo di 
riferimento: il fenomenologo francese Merleau-Ponty. Questi espone la sua filosofia prospettivistica 
affermando che le varie vedute non sono da riunire in una sintesi perché esse sono aspetti della 
reversibilità che è verità ultima: <<E reciprocamente, tutto il paesaggio è invaso dalle parole, non è 
più, ai nostri occhi, se non una variante della parola, e parlare del suo "stile" significa per noi fare 
una metafora. In un certo senso, come dice Husserl, tutta la filosofia consiste nel restituire un potere 
di significare, una nascita del senso o un senso selvaggio, una espressione dell'esperienza attraverso 
l'esperienza che illumina specialmente la sfera particolare del linguaggio. E in un certo senso, come 
dice Valery, il linguaggio è tutto, perché esso non è la voce di nessuno, perché è la voce stessa delle 
cose, delle onde, di boschi. Si deve altresì comprendere che, dall'una all'altra di queste vedute, non 
c'è rovesciamento dialettico, noi non abbiamo il compito di riunirle in una sintesi: esse sono due 
aspetti della reversibilità che è verità ultima>> . Ciò significa che tutte le varie prospettive 
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illustrate nel nostro aneddoto, da quella di Anassimandro a quella della fisica quantistica, sono tutte 
accettabili senza bisogno di opera di sintesi, senza bisogno di eleggerne una a verità più di quanto lo 
siano le altre. Ricordiamo al proposito il concetto di Geometrale tipico di Leibniz (fatto proprio 
anche da Merleau-Ponty) quale insieme di tutte le infinite prospettive possibili di un dato oggetto. 
Prendiamo, ad esempio, una casa e osserviamola da diverse prospettive: chi da vicino, chi dalla riva 
destra del fiume, chi dall'aereo. <<La casa stessa non è nessuna di queste apparizioni ma è, come 
diceva Leibniz, il geometrale di queste prospettive e di tutte le prospettive possibili>> .   
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Il passaggio più importante è però quello inerente il superamento, da parte di Merleau-Ponty, della 
divisione, consolidata nel pensiero occidentale, fra soggetto e oggetto e il conseguente annuncio di 
fallimento della fisica cosiddetta  "oggettivistica". Non esiste più un soggetto della conoscenza che 
sorvola l'oggetto per studiarlo, capirlo. Soggetto e oggetto interagiscono uniti in un campo, una 
struttura unica. <<Non si può porre un dualismo assoluto tra il soggetto e l'oggetto: soggetto e 
oggetto sono l'uno nell'altro e non è mai possibile separarli […] Il soggetto non è un osservatore 
assoluto, distaccato dal mondo; l'oggetto non è una realtà trascendente, distaccata dal modo con cui 
gli uomini lo percepiscono>> . Così scrive Enzo Paci nella prefazione di Senso e non senso e 
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prosegue dicendo: <<Il modo d'essere dell'uomo è ambiguo nel senso che non è né soggettivo né 
oggettivo>>. Ricordiamo che l'ambiguità non è per Merleau-Ponty assimilabile alla confusione ma 
significa che senza soggetto non vi è oggetto percepito e senza oggetto percepito il soggetto perde 
  M.  Merleau-‐Ponty,  La  natura ,  cit.,  p.  131.
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  M.  Merleau-‐Ponty,  Il  visibile  e  l'invisibile ,  cit.,  p.  170.
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  Maurice  Merleau-‐Ponty,  Fenomenologia  della  percezione ,  trad.  it.  di  Andrea  Bonomi,  Il  Saggiatore,  Milano  1965,  p.  
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113.    
  Enzo  Paci,  Introduzione  in,  Maurice  Merleau-‐Ponty,  Senso  e  non  senso ,  trad  it.  di  Paolo  Caruso,  Il  Saggiatore,  Milano  
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2009,  p.  11.  
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