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Il nostro studio somministra l’attività per un periodo di dieci 
settimane, il fine è testare l’ipotesi che l’Attività Fisica Adattata aumenti i 
punteggi nelle scale dell’SF-36 e diminuisca il dolore nelle donne operate 
di cancro al seno, stimando, quindi, gli effetti di questa attività sulla Qualità 
della Vita correlata alla Salute (QdV-S) e sull’intensità del dolore 
percepito. Un mese dopo le dieci settimane di attività, si effettua un 
ulteriore valutazione per osservare la permanenza, o meno, degli effetti a 
medio termine, derivanti dall’Attività Fisica Adattata svolta. 
L’Attività Fisica Adattata, proposta dalla 3D&M, prevede una 
tipologia d’intervento che unisce le due attività individuate dallo studio del 
2005 prima citato, denominandola Ginnastica Dolce. 
Si ritiene che, per svolgere nel migliore dei modi questo tipo di 
attività, sia necessario un lavoro d’equipe con il personale medico, 
paramedico e le associazioni di volontariato. Pertanto, è stata utilizzata una 
scheda di comunicazione interdisciplinare nella quale inserire i dati relativi 
alla cartella clinica del paziente, utili ai fini della programmazione 
dell’attività fisica adattata. 
Allo scopo di esaminare e valutare nel modo più approfondito 
possibile, tutte le variabili necessarie alla realizzazione di un programma di 
Attività Fisica Adattata in ambito oncologico, i laureandi hanno sviluppato 
quattro diversi elaborati: l’analisi sulle attività fisioterapiche e sulle attività 
di screening e trattamenti oncologici, nella A.U.S.L. di Frosinone, sono 
state argomento di due distinte tesi, rispettivamente degli specializzandi 
D’Aliesio Filomena e De Falco Felice, mentre i laureandi Di Matteo Marco 
e Monforte Marco hanno realizzato altre due tipologie di studio, 
rispettivamente di analisi socio-economica e di project-marketing, relative 
all’Attività Fisica Adattata. 
 
 
 -7-
INTRODUZIONE 
Questo mio lavoro è uno studio fatto appositamente per cercare di 
capire come laureati e specializzati in Scienze Motorie , possono inserirsi 
in ambito lavorativo sia nel sistema sanitario pubblico che in quello 
privato.  
Tutti conosciamo le enormi difficoltà che i nostri colleghi incontrano 
nel momento in cui vanno ad affrontare il mondo del lavoro, se poi si parla 
di ambiente sanitario le difficoltà aumentano in modo esponenziale. 
Lavorare con dei soggetti che hanno affrontato una malattia o che 
ancora sono alle prese con la stessa ci obbliga ad avere una preparazione 
accurata sia a livello teorico che pratico della malattia stessa e soprattutto 
una grande capacità comunicativa, senza però tralasciare mai il fatto che 
noi dobbiamo essere e dimostrarci professionisti non solo nello sport ma 
anche nell’A.F.A. che è secondo noi una delle principali e fondamentali 
attività preventivo/terapeutico del ciclo sanitario. 
Lo sport è una cura vera e propria che a volte risolve tante malattie e 
problemi che visivamente non si percepiscono ma che in realtà esistono e 
sono presenti nella vita di tutti i giorni. 
Il nostro studio si è concentrato su una patologia specifica e molto 
difficile che cambia completamene la vita delle persone che hanno la 
sfortuna di trovarla sulla loro strada. 
Il tumore al seno è uno dei tumori più frequenti nelle donne italiane e 
che per fortuna oggi si riesce in molti casi a tenere sotto controllo e curare. 
Ma questo non deve far tranne in inganno. Questa malattia lascia a volte un 
segno indelebile nella vita di queste donne, non solo in negativo ma anche 
in positivo, perché la forza che si riesce a trovare affrontando il lungo 
percorso terapeutico è quasi inaspettata. 
 -8-
Io personalmente non sapevo bene cosa aspettarmi da queste donne 
ma poi ho imparato tanto da loro e credo di avere, insieme ad i miei 
colleghi, dato tanto. 
La nostra attività non è una medicina palliativa come molti 
fisioterapisti vogliono far credere all’opinione pubblica ma una attività 
seria, concreta e studiata nei minimi  dettagli con noi laureati e specializzati 
in Scienze Motorie attori protagonisti  in modo da dare un aiuto concreto a 
livello fisico e di qualità della vita alle pazienti affette da questa patologia. 
Noi non improvvisiamo la nostra attività e non dobbiamo mai farlo, a 
me piace definire noi laureati e specializzati in Scienze Motore dei 
professionisti ma con stile, perché possiamo regalare sorrisi, benessere ma 
senza mai dimenticare che alla base ci deve essere un programma di lavoro 
serio e studiato nei minimi dettagli. 
Noi dobbiamo entrare con forza nel mondo sanitario ma solo e 
solamente dimostrando con i fatti e non con le chiacchiere o con sporchi 
stratagemmi di essere in grado di dare un contributo serio in un mondo 
dove al centro c’è la persona in difficoltà che da noi deve ricevere un 
contributo effettivo. 
  
 
 
 
 
 
 -9-
 
 
 
 
 
CAPITOLO 1  
Attività Fisica Adattata  in ambito 
sanitario 
 
 
 
 
 
 
 -10-
1.1 Storia della figura del fisioterapista 
 
È soprattutto alla fine del 1700 e nel 1800 che si gettano le basi per la 
nascita della figura del fisioterapista, che nel XX sec. d. C. troverà, poi, la 
sua massima definizione. Sebbene in questo periodo lo sviluppo economico 
potente in Gran Bretagna, nel nord della Francia e nell’occidente della 
Germania escludeva l’Italia e ostacolava in essa il clima intellettuale, 
proprio da studiosi italiani abbiamo il maggior contributo nella conoscenza 
dell’elettroterapia. Non si può non menzionare, infatti, i molteplici 
esperimenti e le rivoluzionarie scoperte avvenute nel nostro Paese: F.Pigati 
(1747), il quale in alcuni casi di gotta e artrite tentò di introdurre sostanze 
medicamentose nelle articolazioni mediante la corrente elettrica; Galvani 
(1794) che dimostrò l’esistenza della corrente continua; Volta (1800) a cui 
va il merito della scoperta della coppia elettro-motrice. Queste nuove 
conoscenze vennero riprese e approfondite da Matteucci, Grimelli (che 
studiò l’elettrizzazione dei muscoli paralizzati), Vassalli, Marianini e da 
altri mentre il contributo di altre nazioni a questa ricerca  ha permesso lo 
sviluppo dell’elettrofisiologia e della fisica applicata attraverso l’opera di 
studiosi quali Nollet, B. Franklin, R. Remark, M. Faraday, Schoen, Erb, 
Karl Ludwig e Emil Du Bois-Reymond. 
Il forte impulso in questo settore ha consentito di studiare e produrre 
artificialmente delle correnti a scopo terapeutico che in base alla 
modulazione con cui vengono utilizzate producono sui tessuti diversi effetti 
biologici (eccitomotori o analgesici). Alla fine del IXX sec. sono state 
trovate nuove forme di energia come le onde elettromagnetiche, gli 
ultrasuoni, la luce ultravioletta, il L.A.S.E.R., che ricercatori competenti 
sono riusciti ad applicare alla medicina. 
All’inizio del 1800, in Inghilterra, Wright e Currie anticiparono l’uso di 
cure idriche nel trattamento delle febbri mentre in Italia G.S. Vinaj studiò 
 -11-
gli effetti delle applicazioni termiche e meccaniche sulla circolazione del 
sangue e sulle funzioni del ricambio. Molti altri nomi associarono 
l’idroterapia alle diverse patologie, senza però un chiaro riferimento del suo 
utilizzo nella traumatologia e reumatologia come, invece, avveniva per gli 
antichi. L’utilizzo dell’acqua con finalità terapeutiche ha vissuto degli alti e 
bassi negli ultimi secoli e sta attraversando ora in Italia una fase di studio e 
riscoperta nel campo riabilitativo sia per i pazienti ortopedici che 
neurologici. 
Di nostro interesse sono anche i progressi che si fecero nel 1813 quando fu 
istituito in Svezia, a Stoccolma, il Royal Central Institute dove le manovre 
del massaggio, conosciute fino a quel momento, furono studiate 
scientificamente e sistematizzate da  Per Heinrik Ling (1776-1839). Il 
massaggio terapeutico scientifico fu introdotto negli Stati Uniti intorno al 
1850 dai fratelli George e Charles Taylor. La massoterapia, originariamente 
basata sui metodi di Ling, fu codificata e riconosciuta nel 1894 con la 
fondazione, in Inghilterra, della Società di Massaggiatori Diplomati.  
Nel XX sec. diverse circostanze determinano la necessità di una figura 
competente che oggi individuiamo con la denominazione di  fisioterapista: 
le due guerre mondiali che producono un numero notevole di disabili, le 
epidemie di poliomielite che lasciano spesso i sopravvissuti severamente 
paralizzati,  l’aumento della durata media della vita con le patologie 
degenerative e croniche associate, l’industrializzazione che determina 
numerosi infortuni sul lavoro, l’aumento degli incidenti stradali e il 
miglioramento della tecnologia che in ambito medico permette la 
sopravvivenza di individui altamente danneggiati a livello neuro-motorio, 
sono tutti fattori che influiscono sulla formazione professionale degli 
operatori sanitari a cui vengono affidate queste persone per essere 
“riabilitate”. 
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Per quanto riguarda l’applicazione specifica delle tecniche fisioterapiche 
alla prevenzione, trattamento e riabilitazione delle lesioni caratteristiche 
dello sport dobbiamo attendere la seconda metà del XX sec. quando il 
tenore di vita, il livello agonistico e le aspettative dei pazienti hanno 
raggiunto un livello tale da determinare una risposta mirata e altamente 
specializzata. 
 
1.1.1 Aspetto “filosofico” del concetto di riabilitazione  
  
Ancora oggi ci muoviamo tra concetti e convinzioni di origine classica, 
così radicati da sembrare naturali. La nostra cultura, quella occidentale, 
nasce dalla Grecia antica. 
Il lavoro del fisioterapista può essere visto, alla luce di tali concetti e 
convinzioni, sia per ciò che concerne gli strumenti propri del sapere 
(metodiche, approcci e strategie riabilitative), sia per ciò che attiene la sua 
visibilità nel mondo esterno alla professione (collocazione sociale, 
inquadramento legale e autonomia professionale).  
Come sappiamo le parole sono concetti: talvolta lo sviluppo del concetto ha 
una velocità diversa rispetto all’evoluzione del fonema, tuttavia in questo 
divenire spesso rimangono le antiche connotazioni concettuali, a cui si 
aggiungono le nuove. Altre volte rimane il fonema, ma sganciato dai vecchi 
significati, ad indicare un concetto nuovo. Altre volte ancora è necessario 
coniare dei neologismi per esprimere il significato dei concetti nascenti.  
I concetti di “fisioterapia” e “riabilitazione” seguono una evoluzione su cui 
è opportuno ragionare.  
Molti vocaboli del linguaggio scientifico trovano origine nella lingua 
ellenica. 
La parola fisioterapia ha la sua origine nei termini “phisis” e “therapéia” 
cioè terapia, insieme di cure. E’ interessante osservare che “therapéia” 
 -13-
proviene da “therapon” , colui che serve; è sicuro che nel concetto di 
terapista è sopravvissuta, fino a tempi molto recenti, una connotazione 
riferita al “servire” le cure. 
Dunque, sul piano etimologico, il fisioterapista è chi si serve, nella sua 
professione, di mezzi fisici e la fisioterapia è un modo di curare che si 
avvale delle energie naturali. E’ necessario ricordare che questa concezione 
della medicina fisica è incompleta e superata, ma tuttavia fondata dal punto 
di vista storico. 
Per quanto riguarda la riflessione sul concetto di riabilitazione, pare 
opportuno soffermarsi sulla dicotomia tra “logos” (parola) e “phisis”. 
La rieducazione del logos è una “pedìa”, dal greco “paideia” che sta ad 
indicare l’educazione dei fanciulli, non una terapia. Dunque “logopedia” si 
contrappone, sul piano etimologico, a “fisioterapia”, riflettendo il dualismo 
fra anima e corpo, fra cultura e natura, che assegna ai primi termini un 
primato sui secondi, il “logos” merita la “paideia”, mentre al corpo spetta 
la terapia. Secondo la nostra tradizione culturale,  nata nei secoli V e VI 
a.C., ripresa nel cristianesimo, la  Divinità, la ragione, l’anima e lo spirito si 
manifestano nella parola. 
Il primato della parola (e della cultura sulla natura) viene comunque 
mantenuto anche laddove, come per gli antichi Sofisti ateniesi, il logos non 
è più sacralizzato, ma possiede una propria autonoma valenza. 
Nella regione ionica si assistette, nei secoli VI e V a.C., allo sviluppo di un 
importante ceto professionale e mercantile che avvertiva il bisogno di 
dominare la natura attraverso la “thecnè” (arte). 
La medicina ippocratica fu in gran parte basata sulle esperienze concrete 
oltre che sul ragionamento. Più tardi, quando le filosofie idealistico-
aristocratiche presero il sopravvento sulla cultura naturalistica e tecnica, si 
verificò una spaccatura nella figura professionale del medico, ricomposta 
 -14-
soltanto nel XIX secolo: lo scienziato professore da un lato ed il medico 
pratico, di status assai più basso, dall’altro.  
Nell’ambiente sociale ionico, dove si celebrava il processo tecnico, 
Anassagora affermava che “l’uomo è il più intelligente degli animali 
perché possiede le mani”. Al contrario, la “reazione” della classe 
aristocratico-sacerdotale relegò su un piano volgare l’uso della mano, 
contrapponendole l’uso del pensiero come termine positivo della coppia 
“pensiero-azione”. La contrapposizione tra la testa (pensiero) e la mano, 
appartenne anche al mondo romano; lo testimonia il celebre apologo di 
Menenio Agrippa. Nel descrivere la società romana, egli ricorse ad una 
metafora organicista attribuendo al patriziato il ruolo della testa e alla plebe 
il ruolo della mano. 
La fisiologia del corpo umano venne ad essere così nettamente separata da 
ogni rapporto con l’anima. 
Nel passato, la disciplina fisioterapica, ha dato più risalto al momento 
meccanicistico a scapito dell’aspetto cosciente, pedagogico, emotivo e 
psicologico. 
Tra i più convinti assertori del bisogno di valorizzare gli aspetti 
pedagogico-relazionali, Carlo Perfetti è tra coloro che pone l’esigenza di 
superare la vecchia concezione che vede nella “phisis”, nella “fisio” 
terapia il momento centrale della riabilitazione motoria.  
Per questa schiera di nuovi riabilitatori era, ed è necessario, prendere in 
considerazione i complessi rapporti che la coscienza ha con il corpo, con le 
emozioni e con le sensazioni, affinché il gesto terapeutico passi attraverso 
il livello cognitivo. 
D’altro canto anche gli utilizzatori di uno tra i più diffusi sistemi 
rieducativi, il “Bobath”, rifiutano di considerarsi in possesso di un 
“metodo” (intendendo con questo un modo di agire rigido, prefissato, 
fondato sulla sola fisiologia delle reazioni di equilibrio e di 
 -15-
raddrizzamento); piuttosto essi preferiscono definirlo un “approccio”, cioè 
un orientamento di pensiero utile per affrontare un programma di 
riabilitazione. 
In altre parole si è verificato un avvicinamento tra gli approcci di tipo 
“cognitivo” e quelli di tipo “comportamentale”. 
Si è ritornati, cioè, a considerare l’uomo come un’unità di corpo e di mente 
e ciò sta comportando la sta scomparsa di ogni connotazione servile nel 
concetto di terapista così da far coincidere l’uso della mano con l’uso della 
testa in una nuova rivalutazione della “thecnè” (un risvolto di questa nuova 
mentalità, sul piano della legge, può essere rappresentato dal fatto che, 
recentemente, è venuto meno l’uso dell’aggettivo “ausiliarie” accanto alla 
denominazione “professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e 
riabilitative”). 
La realtà complessa in cui si opera esige che la fisioterapia sia allo stesso 
tempo tecnica, metodica empirica, teoria ed educazione, senza che tra 
questi aspetti vi sia contrapposizione. 
  
1.1.2 Concezione storica e  conseguenze sociali del concetto di  
“disabilità” 
  
I disabili sono da sempre stati emarginati in quasi tutte le epoche storiche.  
Si individuano le guerre mondiali come gli eventi che hanno portato una 
nuova attenzione al problema degli invalidi.  
La legge 1312/21, ha finalmente istituito i primi trattamenti pensionistici ed 
ha comportato studi su provvedimenti atti a favorire l’inserimento dei 
mutilati nel mondo del lavoro.  
La Costituzione (art. 3 e 38) sancisce, come principio fondante la 
Repubblica, la pari dignità sociale impegnando lo Stato a rimuovere gli 
ostacoli all’uguaglianza dei cittadini e prevedendo il diritto all’assistenza e 
 -16-
al lavoro. In seguito ci sono stati provvedimenti innovativi, ma anche altri 
con un profilo simile a quelli della prima metà del secolo. 
Nel 1992 è stata approvata la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione 
ed i diritti civili delle persone handicappate (legge 104). Essa esprime un 
nuovo approccio alla disabilità, con l’obiettivo del “recupero funzionale e 
sociale delle persone affette da menomazioni fisiche, psichiche e 
sensoriali”.  
La legge 68/99 è relativa al diritto al lavoro delle persone invalide. 
Attualmente si parla più frequentemente, anche se non ancora a sufficienza, 
dei diritti del disabile. 
Ora faremo un’analisi veloce di quello che è stato il ruolo del portatore 
d’handicap nella cultura occidentale e quale è stata l’evoluzione dei 
provvedimenti a suo favore. 
Tornando indietro nei secoli, nel mondo ellenico, la forza e la bellezza 
erano considerate ideali da raggiungere e l’uomo doveva tendere alla 
perfezione. La religione confermava questi concetti con l’adorazione di 
Venere, dea della bellezza, ed Ercole che simboleggiava la forza fisica. 
Sparta si fondava sulla potenza militare e presupponeva dedizione alle 
leggi dello Stato. Non c’era spazio per i deboli: i bambini venivano educati 
rigidamente, dovevano sopportare la fatica e il dolore e i neonati deformi o 
storpi venivano uccisi, lanciati dal monte Taigete.  
A Roma nel V sec. la situazione non era molto diversa fatta eccezione per 
gli invalidi di guerra che godevano di assistenza e di onori.  
Risalgono al 1600 i primi grandi asili e durante l’illuminismo si cercò di 
approfondire scientificamente la conoscenza degli handicappati per 
rafforzarne la diversità. Pinel, medico francese, era uno dei sostenitori 
dell’irrecuperabilità del disabile che, in quei secoli non aveva il valore di 
persona umana (buffoni, gobbi, nani di corte che intrattenevano i 
 -17-
commensali dei banchetti più per la loro deformità che per la loro 
goffaggine).  
Nel XIX sec, la borghesia cominciò a proporre nuovi modelli:  il profitto 
diventa valore fondamentale e di conseguenza, chi non è in grado di 
produrre e di partecipare al progresso viene escluso dalla società. Durante il 
nazismo furono attuate molte ingiustizie sul piano politico e sociale, ma si 
possono individuare le guerre mondiali come l’inizio di una nuova 
attenzione al problema degli invalidi. L’Italia si trovò di fronte a migliaia di 
mutilati e lesionati midollari. I portatori di handicap erano tollerati ma, allo 
stesso tempo allontanati ed affidati ad istituzioni ed opere pie assistenziali.  
La legge n°1312/21 istituì i primi trattamenti pensionistici e comportò studi 
sui provvedimenti che favorissero l’inserimento del mutilato nel mondo 
lavorativo. Evidentemente, il meccanismo di “riconoscenza” verso coloro 
che avevano combattuto per lo Stato italiano influì sull’attenzione sociale.  
Lo Stato, inoltre, ha riconosciuto il diritto/dovere di istruzione anche per 
questi individui con la riforma della scuola media inferiore (1962) e 
l’istituzione della scuola materna statale (1968), nelle quali sono previste 
classi differenziali o speciali per bimbi e/o ragazzi”diversi”. 
 Negli anni ’70 ci sono state innovazioni perché si è cercato di applicare i 
principi istituzionali di promozione, integrazione e assistenza. 
La legge 482/68, disciplina l’assunzione obbligatoria degli invalidi civili, di 
guerra e per le cause di servizio, dei ciechi e dei sordomuti presso le 
aziende private e le amministrazioni dello stato. La legge 118/71 introduce 
provvidenze economiche ed assistenza sanitaria protesica e specifica a 
favore di mutilati ed invalidi civili. Il decreto legislativo 509/88, all’art. 2 , 
prevede l’approvazione da parte del Ministro della Sanità, di una nuova 
tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le 
malattie invalidanti, sulla base della classificazione internazionale adottata 
dall’OMS. L’elaborazione è affidata ad una commissione di cui fanno parte 
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esperti clinici, medico-legali, ministeriali e rappresentanti di categoria. La 
diagnosi alla base della valutazione deve esprimere chiaramente l’entità 
della perdita anatomica e/o funzionale, la possibilità di ripristinare 
totalmente o parzialmente la funzionalità, l’importanza che il danno ha 
nell’esercizio dell’attività lavorativa. La legge quadro per l’assistenza, 
l’integrazione ed i diritti civili delle persone handicappate (legge 104/92) 
presenta un nuovo approccio. La normativa è centrata sulla persona nella 
sua globalità indipendentemente dallo stato e dal tipo di handicap, 
favorendo uno sviluppo rispettoso delle peculiarità proprie e cerando di 
rimuovere tutte le situazioni di ostacolo. Al primo comma, lettera c), 
dell’art.1, viene espressamente sostenuto l’obiettivo di un “recupero 
funzionale e sociale della persona affetta da menomazioni fisiche, 
psichiche e sensoriali”, assicurando servizi e prestazioni utili alla 
riabilitazione. L’art. 5 chiarisce che il sostegno e l’aiuto è garantito anche 
alle famiglie di soggetti disabili. In continuità con tale impostazione c’è la 
legge 68/99 relativa al diritto al lavoro delle persone invalide. L’elemento 
di grande innovazione è la previsione di un collocamento mirato dei 
disabili, inteso come “…quella serie di strumenti tecnici e di supporto, che 
permettano di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro 
capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti 
di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi 
connessi con gli ambienti, gli strumenti  e le relazioni interpersonali sui 
luoghi quotidiani di lavoro e di relazione” (art.2). L’art. 3 determina i 
criteri in base ai quali stabilire i posti che i datori di lavoro pubblici e 
privati sono tenuti a riservare ai soggetti sopra menzionati. Tale norma 
disciplina anche i sevizi del collocamento obbligatorio, l’avviamento al 
lavoro, le convenzioni, gli incentivi, le sanzioni e le disposizioni finali e 
transitorie. Annualmente sono emanate nuove norme ed alcuni punti della 
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Finanziaria sono destinati ad interventi a favore delle persone con 
invalidità.