2
 
But we [“the men of 1914”] were not the only people with something to be 
proud about at that time. Europe was full of titanic stirrings and snortings — a new 
art coming to flower to celebrate or to announce a “new age”... The months 
immediately preceding the declaration of war were full of sound and fury and ... all 
the artists and men of letters had gone into action...
3
 
 
Everything in art was a turmoil — everything was bursting.
4
 
 
These new masses of unexplored arts and facts are pouring into the vortex 
of London. They cannot help bringing about changes as great as the Renaissance 
changes.
5
 
 
Questo “turmoil” di cui parlano Lewis, Nevinson e Pound prende avvio 
principalmente dal settore figurativo, per poi estendersi, tramite un singolare 
processo di interazione, alle altre espressioni artistiche. Fondamentali sono 
soprattutto le sollecitazioni provenienti da Parigi; oltre alle convergenze tra i 
generi, infatti, altro carattere distintivo del Modernismo è la sua dimensione 
internazionale, lo scambio continuo che travalica ogni frontiera, l’apertura e il 
confronto verso quanto avviene altrove:  
 
Conspicuous in the age of Modernism [was] an unprecedented 
acceleration in the intellectual traffic between nations… with Paris as a notable 
magnet… There was an avid search for the new arts, a great sense of the 
transition of forms. In this climate, international exchanges and unacknowledged 
borrowings flourished. Translations increased, startlingly in number and gratifyingly 
in quality… Cross-fertilization of ideas, not only among the separate nations of 
Europe (and America) but also among the various arts of literature, music, painting 
and sculpture, was on a scale as never before…, [in] a frenzy of forms and artistic 
energies variously expressed and variously justified…
6
 
 
Così è dalla capitale francese che giungono a Londra la nuova pittura 
post-impressionista, il cubismo e lo stesso futurismo italiano, il cui Manifesto 
                                            
3
 Wyndham Lewis, Blasting and Bombardiering — An Autobiography (1914-1926), London, 
John Calder, New York, Riverrun Press Inc., (1937) 1982, pp. 253, 35. 
4
 C.R.W. Nevinson, citato in New York Times (25 maggio 1919), p. 13. 
5
 Ezra Pound, “Affermations VI”, The New Age XVI (11 febbraio 1915), p.411. 
6
 Malcolm Bradbury and James McFarlane, Modernism (1890-1930), Harmondsworth, Penguin 
Books Ltd., 1976, cfr. pp. 199-201. 
  
 
3
programmatico esce su Le Figaro del febbraio 1909; è lì che, tra il primo e il 
secondo decennio del Novecento, intellettuali di paesi diversi — anche 
d’oltreoceano — compiono frequenti viaggi, se non addirittura soggiorni di vero 
e proprio tirocinio estetico.
7
 
Nella pratica artistica europea degli anni Dieci e Venti, questo forte e 
generalizzato impulso al cambiamento assume modi e aspetti diversi, più o 
meno apertamente dichiarati. Il punto estremo della voglia di provocazione e di 
rottura è costituito dai gruppi di avanguardia, una congerie di movimenti non 
sempre chiaramente distinti ma con il comune intento di opporsi alla cultura 
tradizionale con il suo intero sistema di valori, e di incarnare invece “il moderno” 
— un sentimento efficacemente riassunto dalla laconica esortazione di Pound 
(“Make it New!”),
8
 e dall’altra sua famosa affermazione consegnata alla rivista 
The Egoist: “To the present condition of things we have nothing to say but 
merde… We artists who have been so long the despised are about to take over 
control”.
9
 
Alla base dell’operato delle avanguardie c’è infatti la coscienza della 
frattura, la lacerazione netta con un passato avvertito ormai come estraneo:  
 
L’avanguardia si presenta [...] sia sotto forma di negazione e distruzione di 
ogni legame con la tradizione, la memoria, i valori del passato, sia sotto forma di 
rifiuto del presente, del gusto e dei valori dominanti nella società in cui si trova a 
                                            
7
 Tra i tanti artisti presenti, o comunque di passaggio, a Parigi in quegli anni, tutti fondamentali 
esponenti di movimenti d’avanguardia, dobbiamo ricordare almeno Wyndham Lewis, T.S.Eliot, 
Ezra Pound, Roger Fry, Gertrude Stein, Harold Monro, Ford Madox Hueffer (poi Ford), 
T.E.Hulme, John Middleton Murry, Katherine Mansfield…; e, tra gli italiani, Amedeo Modigliani, 
F.T.Marinetti, Giorgio de Chirico e il fratello Alberto Savinio; da ricordare, infine, è l’imagista 
F.S.Flint che, tramite le tempestive rassegne su The New Age, The Poetry Review e Poetry and 
Drama, tra il 1912 e il 1914 tiene aggiornato l’ambiente inglese sui vivacissimi fermenti della 
cultura post-simbolista d’oltremanica. 
8
 Cfr. Ezra Pound, Make It New: Essays, London, 1935. 
9
 Pound, “The New Sculpture”, The Egoist I (16 febbraio 1914), pp. 67-8. 
  
 
4
operare, consumatrice sonnolenta di forme ripetute e complice dell’ordine stabilito, 
sia infine sotto forma di incessante e utopistica anticipazione di valori futuri.
10
 
 
Esse [le avanguardie] intervengono in modo “militante” nella dialettica della 
comunicazione artistica, in forme spesso aggressive e violente, ponendosi 
“all’avanguardia” nel vorticoso movimento della storia, al fine di infrangere le 
barriere che pesano ancora sulla società presente e di anticipare i segni di un 
futuro libero e vitale. Si tratta generalmente di esperienze di gruppo, che nascono 
dalla collaborazione di artisti e scrittori diversi (con uno scambio molto forte tra 
diverse competenze e diverse tecniche artistiche), i quali elaborano programmi 
comuni e si organizzano per imporli sulla scena culturale, con interventi che mirano 
a scardinare il mercato, a creare effetti di sorpresa e di turbamento, operando una 
rottura con le convenzioni tradizionali che regolano la visione e la comunicazione 
nel mondo borghese.
11
 
 
Dunque, qualsiasi concezione unitaria e rassicurante dell’esistenza viene 
attaccata: l’uomo del Novecento non può afferrare la realtà se non nei dettagli, 
si perde nei suoi labirinti; non ha più alcuno strumento conoscitivo per risalire 
dal particolare alla totalità, ma solo un insieme di esperienze spezzettate e 
caotiche. Gli si impone allora la necessità di operare consapevolmente sulla 
parola, per indagare da nuove angolazioni la relazione che lo lega al mondo: 
quello del linguaggio, della sua struttura e delle sue condizioni, diventa anzi il 
problema centrale delle avanguardie; i codici espressivi e persino il concetto di 
arte vengono sottratti alla continuità della tradizione e sottoposti alle stesse 
modificazioni sconvolgenti intervenute nei rapporti tra l’individuo e le cose, nello 
svolgersi stesso della vita e della storia: 
 
[Le avanguardie] si rivolgono anche contro tutto il contesto sociale, contro 
la ripetitività e l’immobilismo della cultura e della vita pubblica e privata: mirano a 
moltiplicare la libertà e l’energia vitale in ogni sfera dell’esistenza, a liquidare tutti i 
valori inerti, tutte le forme oppressive che ostacolano il libero sviluppo della vita e 
della cultura. Nella distruzione di tutti i valori costituiti, si arriva a mettere in 
discussione lo stesso valore puro dell’arte, il suo tradizionale carattere di oggetto 
assoluto, dotato di una sua “aura”, da godere nel supremo distacco della 
contemplazione estetica. Il godimento estetico tradizionale è per le avanguardie 
                                            
10
 R. Ceserani/L. De Federicis, Il materiale e l’immaginario: manuale e laboratorio di letteratura 
— La società industriale avanzata: conflitti sociali e differenze di cultura, Torino, Loescher, 
1993,  p. 5:533. 
11
 Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana — Il Novecento, Milano, Einaudi, 1991, pp.17-8. 
  
 
5
qualcosa di volgare e indecente, si identifica con il “consumo” materiale, che 
chiude le opere e il pubblico nel cerchio della più ottusa passività. Violentissima è 
così la battaglia contro tutti gli usi contemplativi dell’arte e contro gli atteggiamenti 
passivi e subalterni del pubblico: l’arte deve in realtà scuotere, spingere all’azione, 
scatenare energie; essa deve agitare e sconvolgere il pubblico e suscitare la sua 
più attiva partecipazione al processo artistico.
12
 
 
Di qui viene, allora, la sperimentazione radicale che investe ogni settore 
estetico, la ricerca tentata dai vari “-ismi” — post-impressionismo, 
espressionismo, cubismo, imagismo, futurismo, vorticismo, astrattismo, 
dadaismo, surrealismo… — di forme di espressione più efficaci (“the one 
common denominator of all these avant-garde movements was a thorough-
going revolt against representational art”);
13
 di qui l’elaborazione di linguaggi 
basati su principi di rivoluzionaria novità, e di una nuova sintesi tra spazio e 
tempo interiori ed esteriori (“any form in which an artist can express himself is 
legitimate, and the more sensitive perceive that there are things worth 
expressing that could never have been expressed in traditional forms”).
14
 Di qui, 
ancora, i contatti tra gruppi diversi, gli scambi polemici, le scissioni. 
Caratteristica di questi movimenti è infine la tendenza a promuovere il 
proprio credo attraverso quella che Marinetti chiama “l’arte di far manifesti”,
15
 
ossia altisonanti enunciazioni di principi estetici che quasi sempre, per incisività 
e originalità, sono addirittura superiori alle creazioni vere e proprie: 
 
                                            
12
 Ibidem, pp.19-20. 
13
 Robert H. Ross, The Georgian Revolt (1910-1922): Rise and Fall of a Poetic Ideal, 
Carbondale and Edwardsville, Southern Illinois University Press, 1965, p.18. 
14
 Clive Bell, “The English Group”, in Second Post-Impressionist Exhibition (Exhibition 
Catalogue), London, Grafton Galleries, 1912; citato in William C. Wees, Vorticism and the 
English Avant-Garde, Toronto and Buffalo, University of Toronto Press, 1972, p. 32. 
15
 Lettera di F. T. Marinetti a Gino Severini (autunno 1913), in Archivi del futurismo, a cura di 
Maria Drudi Gambillo e Teresa Fiori, 2 voll., Roma, De Luca, 1958-62, pp. 1:294-95. 
  
 
6
A great many of the movements did in fact assert themselves through 
documents of this kind: fusions of form and content;
16
 
 
The Manifesto… was essentially a new literary genre, a genre that might 
meet the needs of a mass audience even as, paradoxically, it insisted on the avant-
garde, the esoteric, the antibourgeois. The Futurist manifesto marks the 
transformation of what had traditionally been a vehicle for political statement into a 
literary, one might say, a quasi-poetic construct.
17
 
 
Accese dichiarazioni pubbliche ed esibizioni anticonformiste sono quindi parte 
integrante della produzione delle avanguardie, dominate da un concetto di arte 
come azione aggressiva e “radical performance”: “the new arts were not 
created but performed, enacted, demonstrated, thrown into the public eye, or 
the public face.”
18
 
Luogo privilegiato di questo confronto dialettico — e fenomeno peculiare 
del Modernismo — sono le riviste dette proprio “d’avanguardia”, per gli 
intellettuali strumento di aggregazione, palestra artistica e veicolo di diffusione 
del loro messaggio: 
 
Una rivista d’avanguardia, pur inserendosi nella stampa periodica 
d’informazione, non va confusa con questa. Essa tenta di segnare un punto 
particolare, un’avventura di cui appunto il gruppo, il movimento stabilisce le regole, 
le istanze di cui è foriero. Come tale, la rivista si muove praticamente senza 
mercato, ed è rivolta a coloro che possono comprendere il codice e il messaggio 
che questa trasmette. La direzione è affidata a quell’autore (o più autori) che in 
genere ne sostengono anche le spese e la cui funzione è quella di ricevere, 
coordinare, sollecitare il materiale, più unitario possibile, del gruppo. Vengono 
anche accolte le collaborazioni di coloro che operano in “scuole” affini e, 
specialmente alcune, dedicano ampio spazio ai cosiddetti precursori.
19
 
 
Si tratta di pubblicazioni dall’esistenza irregolare condotta ai margini della 
cultura ufficiale, che sostengono l’innovazione e la sperimentazione, e fungono 
                                            
16
 Bradbury/McFarlane, Modernism, cit., p. 202. 
17
 Marjorie Perloff, The Futurist Moment — Avant-Garde, Avant Guerre, and the Language of 
Rupture, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1986, pp. 81-2.  
18
 Bradbury/McFarlane, Modernism, cit., p. 193. 
19
 Gabriele-Aldo Bertozzi, Saggio sull’avanguardia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1989, p. 28. 
  
 
7
da centri di raccolta per gli outsiders dell’establishment culturale. Eppure le loro 
vicende, le idee, gli esperimenti e le personalità che trovano spazio sulle loro 
pagine, costituiscono una parte fondamentale della storia sociale e artistica del 
ventesimo secolo, essenziale al pieno raggiungimento di una consapevolezza 
estetica di cui quello statunitense è soltanto uno degli esempi: 
 
Since 1912 many [writers] have been published in the scores of literary 
magazines which have appeared and disappeared to the accompaniment of 
various forms of pretension, clamor, and editorial oratory. 
What is important about this fact is that the best of our little magazines 
have stood, from 1912, defiantly in the front ranks of the battle for a mature 
literature. They have helped to fight this battle by being the first to present such 
writers as Sherwood Anderson, Ernest Hemingway, William Faulkner, Erskine 
Caldwell, T. S. Eliot — by first publishing, in fact, about 80 per cent of our most 
important post 1912 critics, novelists, poets, and storytellers. Further they have 
introduced and sponsored every noteworthy literary movement or school that has 
made its appearance in America [as well as in Europe] during the past … years. 
… Many have been pale, harmless creatures. [A few] of them have taken a 
decisive part in the battle for modern literature, or have sought persistently to 
discover good artists, or to promote the early work of talented innovators, or to 
sponsor literary movements.
20
 
 
Pur coscienti di non poter mai raggiungere un’ampia diffusione, e dunque 
sempre minacciate dallo spettro del fallimento (quella economica è infatti una 
delle ragioni più frequenti della brevità della loro vita), le riviste d’avanguardia 
intenzionalmente rinunciano ad assecondare i gusti del pubblico e pubblicano 
invece autori sconosciuti e alternativi: 
  
A little magazine is a magazine designed to print artistic work which for 
reasons of commercial expediency is not acceptable to the money-minded 
periodicals or presses. … Many editors now contend that “advance guard” is a 
better name for their magazines than “little”. Coming into use during the First World 
War, “little” did not refer to the size of the magazines, nor to their literary contents, 
nor to the facts that they usually did not pay for contributions. What the word 
designated above everything else was a limited group of intelligent readers: to be 
such a reader one had to understand the aims of the particular schools of literature 
that the magazines represented, had to be interested in learning about dadaism, 
vorticism, expressionism, and surrealism. In a sense, therefore, the word “little” is 
vague and even unfairly derogatory. 
                                            
20
 Frederick J. Hoffman, Charles Allen, Carolyn F. Ulrich, The Little Magazine — A History and a 
Bibliography, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1946,  pp.1-2. 
  
 
8
The commercial publishers — the large publishing houses and the big 
“quality” magazines — are the rear guard. In a few instances they are the rear 
guard because their editors are conservative in taste, slow to recognize good new 
writing; but more frequently the commercial publishers are the rear guard because 
their editors will accept a writer only after the advance guard has proved that he is, 
or can be made, commercially profitable. Whatever the reason for their 
backwardness, few commercial houses or magazines … can claim the honor of 
having served the advance guard banner.
21
 
 
Sicuramente, uno dei meriti principali di queste riviste è il loro spirito di 
rivolta contro le istituzioni, custodi della tradizione e del gusto popolare, anche 
se poi la conquistata libertà produce spesso disordine, contraddizioni e aspre 
polemiche. Si assiste così alla nascita di pubblicazioni tanto entusiaste 
nell’annunciare i propri intenti (per esempio la distruzione delle modalità 
espressive tradizionali, oppure la divulgazione di teorie e pratiche letterarie 
innovative e anticonvenzionali) quanto incapaci di presentare frutti davvero 
originali oltre i primi, pochi numeri; talvolta, addirittura, esse compaiono sulla 
scena comunicando già al pubblico la data della loro cessazione — come 
avviene ad esempio per Secession, nel cui primo editoriale si legge: 
 
The Director pledges his energies for at least two years to the continuance 
of Secession. Beyond a two year span, observation shows, the vitality of most 
reviews is lowered and their contribution, accomplished, become repetitious and 
unnecessary. Secession will take care to avoid moribundity.
22
 
 
Similmente, i responsabili di The London Aphrodite annunciano la prossima 
chiusura della rivista sulla base del riscontro che “there has never yet been a 
literary periodical which has not gone dull after the first half-dozen numbers.”
23
 
Lo scopo di un periodico d’avanguardia può dirsi comunque raggiunto 
quando riesce a dare un minimo di visibilità al suo ideatore (o ideatori), 
                                            
21
 Ibidem, pp. 2-3. 
22
 “Editorial”, Secession, I, n.p. (primavera 1922). 
23
 “Editorial”, The London Aphrodite, V, 400 (aprile 1929). 
  
 
9
divulgandone ideali e creazioni; ed è appunto in questa ottica che i loro editoriali 
rivestono talvolta un’importanza fondamentale, venendo compilati sotto forma di 
manifesti, cioè dichiarazioni programmatiche dei movimenti a cui fanno capo: i 
quali assumono dunque la fisionomia di vere e proprie scuole estetiche — se 
non addirittura politiche — che trovano nelle rispettive riviste uno specifico 
organo di diffusione, un’amplificazione al loro messaggio di libertà e di 
indipendenza. 
 
 
  
 
 
10
§ 2.   Alcuni periodici d’avanguardia in lingua inglese 
 
The English Review e The New Age 
Relativamente al panorama britannico, anche prima del 1910 sono 
presenti sulla scena editoriale little magazines importanti che però non possono 
essere considerate propriamente d’avanguardia. Ad esempio The English 
Review, fondata nel 1908 da Ford Madox Heuffer (in seguito Ford), pubblica la 
grande prosa “creativa” del tempo (gli ancora inediti Lawrence e Lewis, oltre a 
Hardy, James, etc.), ma non ha un ruolo di effettiva rottura con la tradizione, 
che, anzi, vi convive insieme alle novità. Allo stesso modo, la fondamentale The 
New Age, nata già alla fine del secolo precedente nell’ambiente dei socialisti 
riformatori, non può dirsi del tutto indipendente, e infatti riceve ampi consensi 
anche tra gran parte dell’intellighenzia. Eppure, soprattutto sotto la guida di 
Alfred Orage (1907-1922), questa rivista opera un influsso essenziale sulla 
produzione artistica inglese in genere, presentando ai lettori le ultime scoperte 
in campo letterario e figurativo e dando spazio dialetticamente anche a 
posizioni antitetiche: “For the decade 1910-1920, no other magazine equalled 
the New Age for its blend of literature and social criticism, or for its sense of 
timelessness and a concomitant awareness of tradition”.
1
 Lo stesso Orage, un 
anno prima di abbandonarne la direzione, sottolineerà il suo carattere di 
apertura verso le novità, affermando che essa “introduced new ideas and 
endengered new points of view”,
2
 accogliendo moltissimi giovani (tra cui 
Katherine Mansfield, John Middleton Murry, Flint, Hulme); contribuendo alla 
                                            
1
 A. Sullivan (ed.), British Literary Magazines. Vol.1: The Victorian and Edwardian Age (1837-
1913), Westport (Cnn.) and London, Greenwood Press, 1984, p. 254. 
2
 A. R. Orage, The New Age, XXVIII, 17 marzo 1921. 
  
 
 
11
divulgazione di Nietzsche, Bergson e Freud e alla diffusione del post-
impressionismo, del futurismo e degli autori russi; seguendo infine sulle sue 
pagine l’intera vicenda del movimento imagista, con la pubblicazione, tra l’altro, 
della famosissima definizione poundiana “As for Imagism” nel 1915. Solo dopo 
lo scoppio della guerra, come avviene per molte altre pubblicazioni tra le più 
innovative, The New Age tornerà a rifarsi più esplicitamente alla tradizione, 
propugnando meno anarchia e un generale rappel à l’ordre. 
 
 
The Poetry Review e Poetry and Drama 
Solo parzialmente indipendenti sono anche The Poetry Review e Poetry 
and Drama fondate entrambe da Harold Monro: la prima, che bilancia 
l’entusiasmo per le novità con ripetuti appelli alla tradizione, ha forse il suo 
momento più importante nella pubblicazione nell’agosto 1912 del saggio di Flint 
“French Contemporary Poetry”, in cui, oltre al resoconto dei vari “-ismi” 
provenienti da Parigi, compare un entusiastico elogio di Martinetti e dei futuristi 
che — come vedremo — segna un momento storico nell’affermazione del 
movimento italiano in Inghilterra. La seconda rivista, maggiormente curata e 
impegnativa, e di intenti sicuramente più innovativi sebbene non rivoluzionari, 
cerca di tenersi al passo con i contemporanei movimenti europei e americani 
senza perdere di vista gli inglesi anche minori, ma si occupa quasi 
esclusivamente di poesia. Su di essa imagismo e futurismo sono per esempio 
ampiamente documentati, con addirittura un intero numero dedicato 
all’avanguardia italiana (settembre 1913), la cui portata viene però 
successivamente ridimensionata (dicembre 1913). 
  
 
 
12
 
 
Rhythm e The Blue Review 
Rhythm, curata da John Middleton Murry e, a partire dal quarto numero, 
Katherine Mansfield — e che dopo nemmeno due anni di pubblicazione (estate 
1911-marzo 1913) tenta di sopravvivere alle difficoltà finanziarie con il nuovo 
nome di The Blue Review (marzo-luglio 1913) — è invece un esempio di little 
magazine completamente indipendente, “the first literary periodical to come 
direcly out of that new mood of artistic euphoria and commitment to artistic 
change that immediately preceded the First World War”.
3
 Nata espressamente 
come elegante rivista d’élite sotto il segno di un individualismo antiborghese, 
essa vuole “to produce a contact right across the arts”,
4
 sostiene il culto del 
nuovo e del moderno, la libertà dell’artista e l’ideale di un’arte non 
rappresentativa bensì pura (nel numero dell’autunno 1911 Murry pubblica 
anche una recensione, comunque negativa, dell’Estetica crociana); 
entusiasmandosi inoltre per Bergson, favorendo la conoscenza a Londra degli 
scrittori russi, e diffondendo tra i suoi lettori il fauvismo, Van Gogh, Gauguin, 
Kandinskij, Derain, Picasso e Debussy: l’interesse e la divulgazione dei risultati 
più innovativi raggiunti nel campo figurativo internazionale, anzi, sono forse la 
caratteristica principale di questa rivista, che alcuni citano come la prima ad 
aver introdotto in Inghilterra la pittura picassiana.
5
 Tuttavia, pur tenendosi 
sempre vicina alle avanguardie, e pubblicando continui aggiornamenti sui più 
                                            
3
 Malcolm Bradbury, “Rhythm and The Blue Review”, Times Literary Supplement, 25 aprile 
1968, p. 423. 
4
 Ibidem, ivi. 
5
 Cfr. per esempio Antony Alpers, The Life of Katherine Mansfield, New York, Viking Press, 
1980, p. 148. 
  
 
 
13
interessanti eventi culturali, ben presto Rhythm non riesce a mantenere l’iniziale 
promessa di originalità riguardo alla produzione di nuovi testi, riducendosi più 
che altro alla compilazione di recensioni o di supplementi. 
 
 
The Egoist 
Maggiore rilevanza, nel panorama delle little magazines inglesi, riveste 
The Egoist, “An Individualist Review”. Questo è il nome che la pubblicazione 
femminista The New Freewoman assume quando (dal gennaio 1914) le 
curatrici Dora Marsden e Harriet Shaw Weaver chiamano Ezra Pound a 
dirigerne la sezione letteraria. Da questo momento l’interesse artistico della 
rivista diventa nettamente predominante su quello sociale e filosofico originario, 
con un accento sempre più marcato sulle novità e sulla sperimentazione delle 
avanguardie, anche figurative: molti sono, tra gli altri, gli articoli sull’imagismo, il 
vorticismo e il futurismo, sebbene in quest’ultimo caso non sempre del tutto 
entusiasti.  
Uno dei meriti maggiori di Pound rispetto alla rivista è lo stretto legame 
che, attraverso essa, egli riesce a stabilire con molti artisti emergenti e con altre 
riviste d’avanguardia americane — quali Poetry e The Little Review — 
coerentemente con il suo programma di diffondere i principi della scuola 
imagista e di scoprire e dare voce ai nuovi talenti: il Portrait e lo Ulysses di 
Joyce e Tarr di Lewis, ad esempio, vengono serializzati sull’Egoist stessa 
(Ulysses anche sulla Little Review), e persino pubblicati (insieme a The 
Calyph’s Design di Lewis e Prufrock and Other Observations di Eliot) attraverso 
la Egoist Press, la casa editrice allestita presso la redazione del periodico con 
  
 
 
14
la collaborazione di Richard Aldington. In seguito alla partenza di quest’ultimo 
per il fronte nel 1917, Eliot ne prende il posto come co-direttore letterario; la 
rivista assume allora, sino alla conclusione dell’attività nel 1919, una fisionomia 
meno innovativa (del resto auspicata già anche da Aldington), e ciò, in effetti, 
non per un processo di involuzione, quanto piuttosto per una metamorfosi insita 
nello stesso modernismo inglese, in generale diventato con la guerra meno 
ribelle e individualista. Del resto, com’è noto, proprio la riflessione critica di Eliot 
contribuisce maggiormente a riaffermare nella cultura anglosassone il valore di 
quella tradizione rinnegata durante gli anni frenetici dello sperimentalismo; ed è 
appunto grazie a questo avvicendamento di direttori che le pagine di The Egoist 
possono testimoniare, 
 
Issue by issue, the development of a brilliant young critic’s principles and priorities. 
In brief reviews of new works, most of which he did not admired, Eliot began to 
articulate his prerequisites for successful writing and his priorities as a critic. […] 
“Tradition and the Individual Talent”, published in the final issue of The Egoist, 
remains Eliot’s best-known and most influential statement of the need for broad 
cultural awareness in contemporary literature. The preceding issues of The Egoist, 
to a considerable extent, show how the ideas which Eliot would continue to argue 
first took shape.
6
 
 
 
 
Poetry  
Altre importanti riviste d’avanguardia in lingua inglese sono le due 
americane Poetry and The Little Review, come abbiamo visto collegate a 
Pound e all’Egoist. La prima, fondata nel 1912 a Chicago da Harriet Monroe, e 
a tutt’oggi sorprendentemente attiva e pronta ad accogliere le novità, dopo un 
                                            
6
 Small Presses & Little Magazines of the UK and Ireland, compiled by Peter Finch, Cardiff, 
Oriel, 1993, pp.144-45. 
  
 
 
15
primo numero dalla fisionomia ancora un po’ incerta, già dal secondo si schiera 
apertamente a favore del rinnovamento e della sperimentazione, assumendosi 
il compito di offrire visibilità ai nuovi autori pubblicando la migliore poesia 
contemporanea, di qualunque genere o stile: 
 
The Open Door will be the policy of this magazine — may the great poet 
we are looking for never find it shut, or half-shut, against his ample genius! To this 
end the editors hope to keep free of entangling alliances with any single class or 
school. They desire to print the best English verse which is being written today, 
regardless of where, by whom, or under what theory of art it is written. Nor will the 
magazine promise to limit its editorial comments to one set of opinions.
7
 
 
Grazie anche alla guida di Pound — che, vedendovi un congeniale 
mezzo di promozione dell’imagismo negli Stati Uniti, riesce a introdursi nel suo 
consiglio direttivo come corrispondente dall’Europa (“[he will] keep readers 
informed of the present interests of the art in England, France and elsewhere”)
8
 
— Poetry si batte “to encourage the revolution in American verse, … the fight for 
a new poetry”.
9
 Per questo si fa sin dall’inizio strenua sostenitrice del verso 
libero e della poesia imagista, e nel corso degli anni raccoglie intorno a sé un 
cospicuo gruppo di intellettuali anticonvenzionali, tra cui vale la pena di 
nominare almeno Wallace Stevens, Edgar Lee Masters, Marianne Moore, Edna 
St. Vincent Millay e Sherwood Anderson per il periodo sino al 1920, e W. H. 
Auden, Ernest Hemingway e Steven Spender per il decennio successivo. Su 
questa rivista fanno inoltre la loro prima apparizione americana autori inglesi del 
calibro di D. H. Lawrence e Robert Frost, Rupert Brooke e James Joyce, 
mentre anche T. S. Eliot vi pubblica le sue prime poesie importanti.  
                                            
7
 Poetry (Chicago) I, 2 (novembre 1912), p. 64. 
8
 Ibidem, ivi. 
9
 Hoffman/Allen/ Ulrich, The Little Magazine, cit., p. 39.