5 
 
Il lavoro è stato strutturato in cinque capitoli.  
Il primo capitolo si divide in due parti: la prima parte si apre con una 
disamina sul tradizionale rapporto banca-cliente, rapporto spesso inficiato 
dall’esistenza di asimmetrie informative che influiscono negativamente 
sulla capacità della banca di analizzare il merito creditizio della clientela 
stessa. Solo l’instaurazione di un reciproco rapporto di fiducia tra impresa e 
banca può consentire a quest’ultima l’accesso a dati necessari alla 
valutazione, superando di fatto anche i problemi legati alla selezione 
avversa (adverse selection) degli affidamenti, nonché quelli derivanti da 
comportamenti opportunistici dell’affidato nel corso della vita del prestito 
(moral hazard). Seguono poi delle riflessioni sul concetto di rischio di 
credito, termine che a prima vista può apparire scontato, ma che in realtà 
racchiude in se diversi significati che devono essere analizzati e chiariti. 
Primo fra tutti il fatto che esso non significa soltanto possibilità di 
insolvenza di una controparte (credit default risk), in quanto anche il 
semplice deterioramento del merito creditizio di questa, che determina una 
riduzione del valore di mercato della posizione creditoria detenuta, deve già 
considerarsi una manifestazione del rischio predetto (credit spread risk). Si 
analizzano quindi le sue due componenti fondamentali, la perdita attesa e 
inattesa (che assume la maggiore rilevanza), entrando nel merito dei 
benefici apportati dalla diversificazione al portafoglio prestiti della banca.  
La seconda parte entra invece nel merito dell’ Accordo di Basilea, tema 
quanto mai attuale data l’entrata in vigore, nel 2008, delle novità introdotte 
dall’elaborazione del Nuovo Accordo sul Capitale (Basilea 2), a cui peraltro 
le banche devono già adeguarsi per essere pronte a recepirle e a metterle in 
pratica. Vengono posti in evidenza i limiti della precedente formulazione 
del 1988 (che si basava su requisiti minimi di capitale applicati 
uniformemente a tutte le banche, senza tenere conto della rischiosità dei 
 6 
 
singoli portafogli né delle attività fuori bilancio) ed analizzati i principi 
cardine del Nuovo Accordo, strutturalmente organizzati in tre Pilastri.   
Nel secondo capitolo si affronta il concetto di rating, e in particolare quello 
di rating interno, che è la più importante innovazione apportata dalle nuove 
regole dell’ Accordo sul Capitale, in quanto rappresenta il miglior incentivo 
per le banche a valorizzare il patrimonio informativo accumulato nel corso 
delle relazioni creditizie, e a migliorare la qualità dei processi di controllo 
dei rischi.  
Si passano così in rassegna i principali elementi che caratterizzano un 
sistema di rating interno, che consente tra le altre cose di ottenere una più 
stretta correlazione tra la rischiosità dell’impresa affidata e il capitale 
necessario alla banca per coprire il rischio. Si mettono in evidenza i benefici 
della selezione individuale della clientela, che integrerà il merito creditizio 
con più ampie valutazioni prospettiche in termini di potenziale 
contribuzione del cliente al valore generato dalla banca (remunerazione del 
capitale assorbito), ma individuando al contempo alcuni aspetti critici di 
non secondaria importanza.   
Nel terzo capitolo vengono presentati i risultati di una serie di analisi 
condotte da Centri Studi di primaria importanza, tese a verificare gli effetti 
dell’introduzione della normativa. Trattasi di simulazioni condotte sui 
bilanci di campioni di imprese (analisi quantitative) attraverso quali si 
perviene a diversi gradi di giudizio (rating) associati ad altrettanti 
probabilità di default. L’obiettivo è capire il grado di rischio delle imprese 
del Sistema Italia e gli effetti di tale rischiosità in termini di impegno di 
patrimonio di vigilanza che la nuova normativa comporterà. 
Il quarto capitolo, il più complesso, cerca di fare il punto sullo stato di 
avanzamento dell’implementazione del Nuovo Accordo e sugli effetti attesi 
da banche, imprese e istituzioni nel contesto economico mondiale e, più 
 7 
 
nello specifico, in quello italiano. L’obiettivo di fondo è quello di 
individuare le aree oggetto di valutazione e le fonti informative che la banca 
può utilizzare ai fini dell’assegnazione del rating. Capire come le banche 
andranno a valutare le imprese è fondamentale sia per individuare le leve 
gestionali sulle quali agire per migliorare il rating dell’impresa, sia per 
tracciare alcune linee guida che le imprese possono seguire nell’ impostare 
la propria politica delle garanzie.  
Viene presentata un’analisi dettagliata delle conseguenze che Basilea 2 
porterà specificatamente nel rapporto banca-impresa, evidenziando le 
logiche che guideranno questi due attori verso la strada che permetterà di 
rispondere con successo ai cambiamenti richiesti, e di cogliere le 
opportunità che le trasformazioni in atto presentano.   
Nel quinto e ultimo capitolo viene presentata un’analisi quantitativa 
dell’impresa Alpha, volta:1) al monitoraggio di una serie di indici 
(cruscotto aziendale) per verificare il suo equilibrio economico, finanziario 
e patrimoniale; 2) a definire le azioni da intraprendere volte a contrastare 
eventuali punti di debolezza che frenerebbero la sua capacità di generare 
flussi di reddito e finanziari in grado di sostenere la realizzazione degli 
obiettivi strategici, e che porterebbero quindi, a un giudizio negativo di 
rating in base alle normative del Nuovo Accordo. 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I PARTE
 9 
 
 
CAPITOLO I  
BASILEA 2 
PARTE PRIMA 
DAL MERITO DI CREDITO AL RISCHIO DI CREDITO 
 
1.1 Riflessioni sul concetto di rischio di credito 
 
Secondo la teoria economica la banca è una impresa che nella sua attività 
sviluppa un’esperienza specifica nella valutazione del merito di credito e 
nella gestione degli affidamenti, il che la mette in condizione di svolgere un 
ruolo quasi unico nella selezione e nell’allocazione delle risorse del mercato 
del credito. E’ ormai nota l’esistenza di asimmetrie informative che, 
secondo Akerlof1, possono portare al fallimento del mercato per l’effetto di 
una selezione avversa degli affidamenti2, ma anche maggiori rischi 
derivanti da eventuali comportamenti opportunistici da parte dell’affidato 
nel corso della vita del prestito stesso. 
Tutto ciò espone la banca al rischio di credito, cioè il rischio che il 
finanziato sia inadempiente o addirittura insolvente3, con conseguente 
                                                          
1
 Cfr. G. AKERLOF , The market for lemons: qualitative uncertainty and the market mechanism, 
in Quarterly Journal of Economics n. 84, 1970 
2
 In sostanza si accordano crediti a condizioni non proporzionate al rischio a cui ci si espone: in 
presenza di condizioni troppo restrittive rispetto a tassi di credito eccessivamente alti, la banca 
corre il pericolo di cedere rischi più contenuti alla concorrenza più a buon mercato (perdita di 
clienti), innalzando automaticamente il peso dei gravi rischi insiti nel portafoglio crediti. 
Viceversa, se i tassi di credito sono troppo modesti, risultano appetibili agli occhi dei debitori della 
fascia di solvibilità più bassa (clienti in perdita), con l’effetto di deteriorare ulteriormente la 
struttura del portafoglio. 
3
 Si ha inadempienza quando il debitore non realizza la prestazione al momento dovuto, nel luogo 
dovuto e secondo le modalità stabilite. L’insolvenza invece è una situazione di inadempienza 
definitiva, a fronte del quale il creditore può richiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 
1453 c.c. 
 10 
 
necessità di misurare tale rischio con metodologie più o meno sofisticate 
che rientrano tra i criteri di valutazione dei fidi. Prima di addentrarci nelle 
questioni relative al merito di credito, è opportuno soffermarci sul concetto 
di rischio di credito. L’importanza di tale rischio è dovuta a ragioni note in 
ambito accademico e riconducibili: 
 ξ al peso che l’attività di erogazione del credito assume rispetto al 
totale delle attività detenute in portafoglio; 
 ξ alla rilevanza delle perdite su crediti nella determinazione del 
risultato economico delle banche;  
 ξ alla attenzione che l’Autorità di vigilanza ha da sempre riservato al 
controllo del rischio di credito; 
 ξ al crescente interesse degli investitori alle performance delle 
istituzioni creditizie. 
Secondo la classica definizione, per rischio di credito s’intende “la 
possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una 
controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una 
corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione 
creditoria”4. Questo porta a considerare che per rischio di credito non si 
intende solo la possibilità di insolvenza di una controparte (credit default 
risk), ma anche il semplice deterioramento del merito creditizio di 
quest’ultima è una manifestazione del rischio predetto (credit spread risk). 
A sua volta le componenti del rischio di credito sono essenzialmente due:  
la perdita attesa (o Expected loss, EL) e la perdita inattesa (o Unexpected 
loss, UL).  
                                                                                                                                                               
 
4
 Cfr. A. SIRONI, I rating interni e i modelli per la gestione del rischio di credito, Tematiche 
istituzionali, Banca d’Italia, aprile 2000. 
 11 
 
La perdita attesa, in quanto stimata a priori, è già compresa negli 
accantonamenti prudenziali e nella determinazione del tasso d’interesse per 
i titoli di debito o per i prestiti, nell’ambito dell’attività di pricing che deve 
riflettere in modo adeguato il profilo di rischio di un impiego. Proprio per 
questo essa non costituisce il vero rischio di un’esposizione creditizia, ma si 
configura più come un elemento di costo “fisiologico”, che tiene conto del 
rischio medio di insolvenza della controparte, quantificato dallo spread che 
misura il premio rispetto ad un investimento privo di rischio. 
Analiticamente la perdita attesa è il valore medio della perdita che una 
banca si attende di subire con riferimento ad un credito o a un portafoglio di 
crediti in un definito arco temporale. La perdita inattesa non è altro che il 
grado di variabilità del tasso di perdita attorno  al proprio valore atteso.5 
 
Esempio 1 
Si consideri una banca con un portafoglio di 100 crediti da 1 euro con 
probabilità di insolvenza (PD) dell’1% e perdita, in caso di insolvenza 
(LGD), del 100%. La perdita attesa (valore statisticamente normale) è 
quella che prevede che un cliente su 100 fallirà e cagionerà una perdita di 1 
euro. La perdita inattesa si verifica se, in un anno di recessione, potrebbero 
fallire più prenditori di fondi, per esempio 7, causando una perdita inattesa 
di 6 euro su una perdita totale di 7 euro. 
 
La perdita attesa è espressa come funzione di quattro elementi: 
I. la probabilità di insolvenza del debitore - PD (Probability of 
Default): deriva a sua volta dalla capacità di merito creditizio del 
                                                          
5
 Cfr. A. RESTI, Misurare e gestire il rischio di credito nelle banche: una guida metodologica, 
2001. 
 12 
 
debitore, cioè dalla sua capacità di reddito, dalle condizioni 
economico-finanziarie, dalla qualità del management, ecc; 
II. la perdita in caso di insolvenza - LGD (Loss Given Default): dipende 
dai “valori di liquidazione” del patrimonio dell’impresa affidata, ma 
anche dalla natura del finanziamento e dalle garanzie che lo 
assistono; 
III. l’esposizione al momento dell’insolvenza - EAD (Exposure at 
Default);6 
IV. la scadenza del prestito - M(Maturity).7 
Le due componenti del rischio di credito (perdita attesa e perdita inattesa) 
rappresentano aspetti diversi di manifestazione di perdite, che producono 
implicazioni diverse sulle politiche di bilancio; la perdita attesa serve a 
determinare il livello adeguato di accantonamenti in conto economico, 
mentre la perdita inattesa ha il compito di garantire un adeguato livello di 
patrimonializzazione dell’istituzione creditizia. 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                          
6
 Cfr. A. BONIFAZI, Basilea 2: il nuovo merito del credito. Strumenti operativi per migliorare il 
rapporto Banca-impresa,  IPSOA, 2005. 
7
 La scadenza del prestito diviene fattore di rischio perché, quando le condizioni del contratto sono 
fissate per un lungo lasso di tempo e in tale intervallo le condizioni dell’affidato peggiorano 
sensibilmente, la banca non può rinegoziare le condizioni per compensare l’accresciuta rischiosità 
del credito erogato. Di fatto, pertanto, si manifesta una perdita.