7
riforma del diritto societario ha previsto per le società di capitali al fine di facilitare 
il reperimento di risorse finanziarie. In specie, nuove tipologie di azioni e 
strumenti finanziari dotati di particolari caratteristiche, la possibilità di conferire 
qualsiasi elemento suscettibile di valutazione economica e l’emissione di titoli di 
debito, rappresentano alcune delle innovazioni che caratterizzano, 
rispettivamente, la disciplina delle società per azioni e delle società a 
responsabilità limitata. 
Lo scopo del presente lavoro è quello di valutare se Basilea 2 costituisce 
esclusivamente una minaccia per le imprese o, piuttosto, può essere 
un’opportunità da cogliere quanto prima per migliorare, crescere e instaurare un 
nuovo rapporto con le banche. 
Il lavoro si articola in cinque capitoli.  
Nel primo capitolo viene fatta una breve descrizione del tessuto 
imprenditoriale italiano. Considerandone la peculiarità dell’elevata 
frammentazione, l’attenzione principale è stata rivolta alle PMI e agli elementi 
che ne caratterizzano il funzionamento e che costituiscono il punto di partenza 
per la valutazione degli effetti che il Nuovo Accordo potrebbe produrre su di esse. 
La trattazione delle grandi imprese è stata rimandata al capitolo 5. 
Nel secondo capitolo viene proposta un’ampia trattazione delle novità 
introdotte da Basilea 2, riportando i meccanismi che le banche dovranno adottare 
per calcolare il patrimonio da immobilizzare. 
Sulla base degli elementi dei primi due capitoli, nel capitolo terzo 
vengono analizzati i possibili effetti per le imprese, quali in razionamento del 
credito, la prociclicità, la concorrenza tra imprese, il rischio di uscita dal mercato 
per le imprese marginali e le maggiori difficoltà per le “start up” ad ottenere 
finanziamenti. 
Il quarto capitolo propone le novità introdotte con la riforma del diritto 
societario, cercando di evidenziare il loro contributo al ridimensionamento del 
possibile impatto negativo del nuovo Accordo nel nostro Paese. 
 8
Infine, nel quinto capitolo, viene completato il quadro descrittivo del 
nostro Paese. Attraverso lo sviluppo di un modello di scoring basato su indici di 
bilancio, viene proposta un’analisi del livello di solvibilità di buona parte dei settori 
dell’economia italiana. Il campione preso in considerazione ingloba quasi 
totalmente le grandi imprese. Ragion per cui, i risultati ottenuti possono essere 
considerati come un buon riferimento per valutare i punti di forza o di debolezza 
che contraddistinguono le grandi realtà imprenditoriali e che, di riflesso, 
influenzano il loro giudizio di affidabilità da un punto di vista finanziario, utile ai 
fini dell’analisi dell’impatto di Basilea 2 proposta. 
  
 9
 
    1.   IL TESSUTO IMPRENDITORIALE ITALIANO 
 
 
  La valutazione di quelli che saranno i possibili effetti del Nuovo Accordo di 
Basilea nel nostro Paese, non può prescindere da una preventiva analisi del 
tessuto imprenditoriale italiano. Tessuto fortemente caratterizzato dalla presenza di 
piccole e medie imprese. Ragion per cui in questo capitolo mi soffermerò nella 
descrizione di tali soggetti, attraverso un’analisi delle loro principali caratteristiche 
strutturali, cercando di cogliere gli elementi che contribuiscono ad aumentarne il 
livello di rischiosità nell’ottica di Basilea 2. 
L’economia italiana non è però solo piccole imprese. Numerosi sono i 
grandi gruppi, pubblici e privati, che hanno fatto la storia industriale del Paese. La 
trattazione delle grandi imprese viene rimandata al capitolo 5 dove, attraverso 
un’analisi  dell’affidabilità settoriale con l’ausilio di un modello di scoring basato su 
indici di bilancio, verranno valutati quelli che sono i principali elementi critici o di 
successo delle maggiori imprese che caratterizzano il nostro sistema. 
 
1.1   IL SISTEMA ITALIA 
 
Ad Agosto 2006 risultavano attive, in Italia, 5 754 289 imprese. In 
particolare: 
società di capitali    958 681 
s. di persone        1 146 157 
ditte individuali     3 490 855 
altre forme              158 584 
 10
17%
20%
60%
3%
s. capitali
s. di persone
ditte individuali
altre forme
 
               Fonte: “cerved”                
                
                 Su una popolazione di 57 milioni di italiani, ciò significa che esiste circa 
un’impresa per 10 abitanti. Si può dunque affermare, e i dati lo confermano, che il 
nostro paese è caratterizzato dalla prevalenza di imprese di piccole dimensioni. 
Questo stock è sostenuto da un saldo, tra nuovi ingressi e cessazioni, 
costantemente positivo negli anni. Le imprese di minori dimensioni hanno 
contribuito in misura rilevante ai fenomeni di nascita imprenditoriale; anzi, la quota 
maggiore di nuove imprese risulta non avere addetti: si tratta di imprenditori basati 
sul lavoro prevalente proprio o dei familiari.
1
 
Va quindi sottolineato che il tessuto produttivo nazionale si caratterizza 
per un’elevata frammentazione che può essere considerata come una sorta   di 
evoluzione strutturale. Nel periodo che va dall’immediato dopoguerra agli anni 
Settanta, era, infatti, predominante la grande impresa; si stava affermando la 
produzione di massa, concentrata principalmente nelle merci e servizi di base 
(trasporto e comunicazione, siderurgia, petrolchimica) e nei beni di consumo 
durevoli (elettrodomestici, auto). La congiuntura era favorevole alla grande 
impresa, capace di conseguire economie di scala grazie ad un lavoro molto 
                                                 
1
  Fonte: il “sole24ore” 
 11
parcellizzato e despecializzato. È, poi, iniziato il lento declino della produzione di 
massa, trasferita, in buona parte, dai Paesi industrializzati a quelli in via di 
sviluppo per diverse ragioni, tra cui la crescente richiesta di prodotti 
personalizzati e di qualità da parte di consumatori sempre più esigenti. 
Nello scenario sinteticamente descritto, le piccole imprese, che avevano 
mantenuto competenze artigianali e che erano in grado di svilupparle al meglio, 
hanno trovato nuovi spazi. 
Né va sottaciuto il sistema di valori che ha favorito il passaggio dal 
lavoro dipendente nella grande impresa a quello autonomo: il primato 
dell’individuo, il desiderio di autoesprimersi, il valore della famiglia che si 
identifica con la propria attività imprenditoriale. Quest’ultima è la notazione che 
spiega la scarsa presenza, nelle imprese di piccole dimensioni, di figure 
dirigenziali estranee all’ambito familiare dell’imprenditore; in queste realtà la 
funzione principale è quella produttiva, e tale funzione viene impersonata dal 
proprietario.  
Ulteriori fattori esterni, quali la pressione fiscale e la rigida 
regolamentazione del lavoro, vengono spesso citati per spiegare il mancato 
sviluppo dimensionale del sistema PMI. 
                1 .2       LA DEFINIZIONE DI PMI 
 
La determinazione della dimensione d’impresa riveste un ruolo 
fondamentale negli studi di economia aziendale e di microeconomia. La 
misurazione della dimensione aziendale viene utilizzata spesso per lo studio di 
diversi problemi: talvolta, ad esempio, viene utilizzata come obiettivo strategico 
d’impresa, oppure per la determinazione della dimensione ottimale, o ancora, per     
           il calcolo di indici statistici. 
La definizione appare difficoltosa poiché non esistono parametri 
quantitativi e qualitativi che consentono una definizione univoca. Tale definizione 
varia, come sostenuto da Zappa, in base al settore produttivo d’appartenenza e 
 12
allo scopo sottostante la classificazione. Possiamo considerare piccole imprese, 
ad esempio, quelle con un numero di dipendenti limitato, oppure con capitale 
investito ridotto. 
Differenti sono i parametri quantitativi e qualitativi utilizzati per la 
classificazione. I primi possono essere di natura quantitativo-monetaria (esempio 
il fatturato o il valore aggiunto), oppure di natura tecnica (capacità degli impianti), 
oppure di natura organizzativa (numeri di addetti, numero dei livelli direttivi 
compresi nell’organizzazione aziendale). È necessario, in ogni caso, considerare 
in parallelo taluni parametri qualitativi. 
Possono considerarsi PMI
2
, da un punto di vista qualitativo quelle: 
- gestite direttamente dal proprietario o, in modo indiretto, con 
l’ausilio di collaboratori non specializzati. In questo caso il 
proprietario preferisce svolgere tutte le mansioni direttive 
piuttosto che delegarle ad altri soggetti. La vita dell’impresa 
risulta condizionata in modo determinante dalla mentalità, dalla 
personalità e dagli obiettivi dell’imprenditore, mettendo spesso 
in pericolo la stessa sopravvivenza; 
- che hanno un potere di mercato nei confronti dei fornitori, 
clienti e concorrenti ridotto; hanno, infatti, una minore capacità 
di influenzare il prezzo e la quantità dei beni venduti, pur 
garantendo una migliore qualità del servizio/prodotto; 
- caratterizzate da elevata flessibilità, intesa come capacità di 
adattamento alle mutevoli condizioni ambientali ed ai bisogni  
                del mercato;   
- connotate da una ridotta formalizzazione delle diverse funzioni 
gestionali, con la conseguenza della mancanza di una vera e 
propria definizione delle responsabilità dei manager; 
                                                 
2
 Classificazione tratta da appunti dal corso di “strategia d’impresa” 
 13
- nelle quali vi è la possibilità, da parte dei manager, di 
instaurare rapporti diretti e personali con i dipendenti 
dell’azienda.  
Sebbene l’utilizzo di parametri qualitativi sia da preferire, risulta 
necessario l’utilizzo di parametri quantitativi per esigenze di automaticità e 
certezza.  
I parametri quantitativi più utilizzati per la classificazione delle imprese 
sono: 
a) Il capitale investito diverse sono le configurazioni utilizzate dal 
legislatore italiano. Nella legge n°623 del 1959 il capitale investito era definito 
come somma algebrica delle immobilizzazioni, al netto dei fondi ammortamento, 
più il capitale circolante netto. Erano considerate PMI quelle imprese con capitale 
investito fino a 6 miliardi di Lire. Numerosi però i limiti: 
- non si tiene conto dell’attività economica effettuata, in altri termini se è 
di tipo  labour intensive o capital intensive;  
- non sono considerati i beni in leasing e cioè non di proprietà; 
- non è considerata l’appartenenza ad un gruppo. 
Negli anni ’70 le norme diedero una nuova configurazione di capitale  
investito, definito come totale delle immobilizzazioni al netto dei relativi fondi 
ammortamento e delle riserve di rivalutazione monetaria, creando così benefici 
verso le imprese più anziane e quell’imprese che avevano fatto ricorso agli 
ammortamenti anticipati. 
b) Il numero degli addetti. È uno dei parametri più utilizzati anche a 
livello europeo. Infatti in Germania, in Francia, in Olanda e Belgio il limite 
occupazionale utilizzato vari da 50 a 200 dipendenti. Soffre però dei medesimi 
limiti del capitale investito perché influenzato dal tipo di attività. Nella legge n°623 
del 1959 si fissò un numero massimo di 500 dipendenti.  
c) Il fatturato. Il suo utilizzo presenta notevoli limiti perché si potrebbero 
classificare nella medesima categoria dimensionale due imprese situate a monte 
 14
e a valle del processo produttivo e , di conseguenza, con differenti dimensioni 
“reali”. L’utilizzo di tale parametro è inoltre sconsigliato per la presenza 
dell’inflazione, in particolare nei periodi in cui il tasso inflazionistico raggiunge le 
due cifre decimali. 
d) Il valore aggiunto. Può essere calcolato in due modi: 
- diretto: si sottraggono dal valore della produzione i beni ed i servizi 
acquisiti dall’esterno; 
- indiretto: si sommano all’utile netto le imposte sul reddito, gli oneri 
finanziari, le retribuzioni al personale e gli ammortamenti. 
L’utilizzo di tale parametro è consigliato da diversi studiosi, perché 
consente di riassumere in pochi dati l’efficienza aziendale. Nonostante ciò non è 
stato ancora utilizzato dal legislatore, nelle  norme di politica industriale, per 
mancanza di automaticità e semplicità di calcolo. potrebbe presentare dei limiti, 
come l’inclusione di proventi su titoli  che nulla hanno a che fare con  
l’attività caratteristica; inoltre non fornisce informazioni sulle partecipazioni non di 
controllo eventualmente detenute dall’impresa, se non le informazioni relative ai 
dividendi percepiti 
Nella realtà i parametri più utilizzati per la classificazione sono il numero 
degli addetti e il fatturato. 
La Commissione europea ha messo un po’ d’ordine nella classificazione 
delle imprese di piccole e medie dimensioni fissando una definizione che viene 
utilizzata dal 1° gennaio 2005 e, introducendo anche il concetto di 
“microimpresa”.
3
 
 
                                                 
3
  Cfr., Internet, www.ipi.it 
 15
 
Tabella: definizione di PMI 
Definizione di PMI  
Attività estrattive e manifatturiere  Fornitura di servizi  
Parametri di identificazione 
delle PMI  
PI  MI  PI  MI  
1  
Numero di DIPENDENTI 
Inferiore a  
50  250  20  95  
2  
FATTURATO (ml di euro) 
non superiore a  
7  40  2,7  15  
3  
TOTALE di BILANCIO (ml 
di euro) non superiore a  
5  27  1,9  10,1  
4  
INDIPENDENZA DA 
IMPRESE 
PARTECIPANTI  
Il capitale sociale o i diritti di voto non devono essere detenuti per il 25% o 
più da una impresa, o congiuntamente da più imprese, non conformi alle 
definizioni di piccola e di media impresa, secondo il caso.  
 
 
 
 
 
1.2.1   Nuova definizione per le microimprese e le PMI
4
 
                      
La Commissione europea ha  adottato una nuova definizione d’imprese  
di dimensioni ridottissime (microimprese) o piccole e medie (PMI) nell’intento di 
promuovere l’imprenditorialità, gli investimenti e la crescita, di agevolare 
l’accesso ai capitali di rischio, di ridurre gli oneri amministrativi e consolidare la 
certezza del diritto. Nello stabilire la categorie di microimprese e PMI la nuova 
definizione mantiene le soglie relative al numero di dipendenti, ma stabilisce un 
aumento considerevole del massimale finanziario (fatturato o volume totale del 
bilancio), principalmente per tener conto dell’inflazione e degli incrementi di 
produttività verificatisi dopo il 1996, data della prima definizione comunitaria di 
PMI.  
Nello specifico, questi i nuovi parametri: impresa di media dimensione è 
quella che, sempre con un numero inferiore a 250 dipendenti, ha un fatturato 
annuale minore o pari a 50 milioni di euro (era 40 milioni nel 1996) e un totale di 
                                                 
4
 “COMMISSION RECOMANDATION (2003/361/EC) of May 2003 concernig the definition of micro, small 
and medium – size enterprices” – pubblicata su “Official journal of the European Union”.     
 16
bilancio che non supera i 43 milioni di euro (27 milioni nel 1996); è invece di 
piccole dimensioni l’azienda con meno di 50 dipendenti, un fatturato minore o 
pari a 10 milioni di euro ( era 7 milioni nel 1996) ed un totale di bilancio sempre di 
10 milioni ( era di 5 milioni nel 1996); infine si considera di piccolissime 
dimensioni l’impresa con meno di 10 dipendenti, un fatturato inferiore o pari a 2 
milioni di euro (cifra in passato non definita), la stessa cifra indicata anche per il 
totale di bilancio annuale. 
 
         Tabella: Parametri della nuova definizione di microimpresa e PMI  
categoria  dipendenti  Fatturato  Totale di bilancio  
Medie  <250  ≤ € 50 milioni  ≤ € 43 milioni  
piccole  <50  ≤ € 10 milioni  ≤ € 10 milioni  
Micro  <10  ≤ € 2 milioni  ≤ € 2 milioni