6 
INTRODUZIONE 
 
 La ricerca sociale che ho inteso svolgere nella presente tesi 
riguarda l’analisi delle politiche di sicurezza adottate negli ultimi anni nel 
comune di Sezze (LT) e la relazione esistente tra queste ultime e il 
fenomeno migratorio. Le politiche per l’immigrazione degli ultimi venti 
anni in Italia si sono caratterizzate attraverso la promulgazione di tre 
leggi principali: la legge Martelli del 1989; la legge Turco-Napolitano del 
1998 e la legge Bossi-Fini del 2002. I tre provvedimenti legislativi sono 
nati in risposta ad una differente tematizzazione del fenomeno 
nell’opinione pubblica e possono essere definiti, rispettivamente, 
attraverso le tre seguenti parole chiave: emergenza, integrazione, 
sicurezza. La legge Martelli è nata per rispondere all’emergenza di 
regolamentare il fenomeno migratorio che in Italia cominciava ad 
assumere dimensioni sempre più consistenti; successivamente,  la legge 
Turco-Napolitano, ha assunto un significato che intendeva coniugare 
integrazione e sicurezza e, infine, la legge Bossi-Fini ha marcato ancora 
di più il tema della sicurezza legato al fenomeno migratorio 
(Franceschetti, 2011). Per questi motivi, nell’analisi delle politiche di 
sicurezza, ho approfondito il tema dell’immigrazione che nel comune di 
Sezze assume la peculiarità di essere la più consistente in termini 
percentuali, rispetto a tutti gli altri comuni della provincia di Latina. 
 Un altro aspetto rilevante per capire le politiche di sicurezza nel 
contesto setino è la connotazione politica che ha caratterizzato le sue 
giunte comunali nel corso degli anni. Il Comune di Sezze fin 
dall’immediato secondo dopoguerra è stato governato, quasi 
ininterrottamente, da giunte di sinistra e specificatamente, dal 1955 fino 
al 1990, a guida comunista. Successivamente si sono alternati sindaci
7 
socialisti e del partito democratico della sinistra, tranne che nel breve 
periodo, tra il 1994 e il 1995, in cui ha svolto le funzioni di sindaco un 
commissario di governo; poi, di nuovo, dal 1995 al 2003, la città è stata 
amministrata da un sindaco del PDS
1
. Dal 2003 al 2006 c’è stata un’unica 
finestra in cui si è interrotta la guida della sinistra con l’elezione del 
sindaco Lidano Zarra, peraltro anche lui proveniente dalle file del PSI
2
, 
appoggiato da una serie di liste civiche che si contrapponevano al 
candidato proposto dai DS
3
 (ex PDS). Esperienza anche questa che si 
interrompeva anticipatamente per lo scioglimento del consiglio comunale 
e la conseguente nomina, per la seconda volta nella storia politica setina 
del dopoguerra, del commissario prefettizio. Dal 2007 tornava ad essere 
eletto il candidato degli ex comunisti italiani, il Dott. Andrea Campoli del 
Partito Democratico.  
Senza entrare ulteriormente nel dettaglio della cronologia delle 
giunte comunali setine e del loro colore politico, ciò che risulta 
opportuno sottolineare è la lunga tradizione di sinistra che nel comune di 
Sezze ha senz’altro influenzato le politiche locali. Infatti, il primo 
capitolo, inquadra teoricamente le diversificate politiche di sicurezza, 
nonché la loro evoluzione storica, differenziandole, a seconda 
dell’approccio ideologico, di destra o di sinistra. 
Nel discorso sulla sicurezza pubblica, in particolare a partire dagli 
anni ’90, le tematiche riguardanti le politiche migratorie e l’eventuale 
diretta incidenza sui livelli di criminalità conseguenti alla crescente 
presenza di stranieri nel contesto sociale italiano hanno assunto un ruolo 
centrale nel dibattito pubblico. In effetti, nelle campagne elettorali, sia a 
livello amministrativo locale che a livello nazionale, si è andata 
                                                 
1
 Partito democratico della sinistra 
2
 Partito socialista italiano 
3
 Democratici di sinistra
8 
consolidando una certa retorica sulla sicurezza che, in alcuni casi 
specifici, ha condizionato notevolmente l’esito delle elezioni. La 
sicurezza come bisogno primario che, nell’ambito di un più generico 
mutamento sociale della società contemporanea, sembra assumere una 
rilevanza sempre maggiore nelle aspettative e nella percezione dei 
cittadini.   
Nel secondo capitolo mi sono concentrato su alcuni dati statistici 
che riguardano i flussi migratori e la consumazione dei reati, riportando 
le valutazioni critiche degli studiosi sociali in relazione a tali dinamiche. 
Sul tema non vi è affatto una visione univoca, alla realtà sociale italiana 
sono applicabili teorie che rilevano incidenze criminali maggiori negli 
stranieri, rispetto agli autoctoni (Barbagli, 2008) e altre che spiegano le 
dinamiche criminali legandole alle trasformazioni della struttura 
economica post-industriale che hanno interessato i paesi occidentali 
(Melossi, 2002). I dati statistici, sull’andamento dei flussi migratori, 
sull’andamento demografico e sui livelli di criminalità, riguardanti 
specificatamente il territorio del comune di Sezze sono stati riportati con 
maggior dettaglio affinché gli stessi potessero essere commentati nel 
momento in cui si sono affrontate precise tematiche con una serie di 
testimoni privilegiati, individuati nell’ambito politico-istituzionale, 
dell’associazionismo e del mondo religioso setino. Per questo nell’ultima 
parte del secondo capitolo sono state riportate una serie di tabelle tra le 
quali è opportuno rimarcare quella che si riferisce all’indice di delittuosità 
(numero di denunce per ogni 10.000 abitanti) e l’incidenza della presenza 
straniera rispetto alla popolazione autoctona. In particolare ho raccolto 
in modo particolareggiato i dati statistici utili ad affrontare il tema 
dell’immigrazione e della sicurezza, nella consapevolezza che il mero 
dato statistico non è sufficiente ad inquadrare il fenomeno in analisi.
9 
Esso va interpretato anche sulla base delle conoscenze dei testimoni 
privilegiati che conoscono e vivono il fenomeno sociale di cui si parla.  
Per tutti questi motivi ho deciso di approfondire tali questioni 
affrontandole attraverso le interviste a dodici testimoni privilegiati. 
Interviste che poi sono state sottoposte ad un’analisi di tipo 
qualitativo/ermeneutico. 
Accogliendo il concetto di cultura nella definizione di Max Weber 
secondo il quale «la “cultura” è una sezione finita dell’infinità priva di 
senso dell’accadere del mondo, alla quale viene attribuito un senso e 
significato dal punto di vista dell’uomo», risulta indispensabile per il 
sottoscritto dichiarare il proprio punto di vista rispetto all’oggetto di 
ricerca. Innanzitutto è utile precisare che lo scrivente, essendo nato e 
vissuto a Sezze, è stato in prima persona coinvolto nel mutamento 
sociale, demografico, economico e politico della cittadina, dagli anni ’70 
in poi. L’approccio dal quale è partito si basa sulla convinzione che la 
politica può e deve governare tutti i fenomeni che riguardano la vita dei 
cittadini ponendosi l’obiettivo di raggiungere un modello che tenda alla 
realizzazione di un’armonica convivenza civile. Ciò può essere raggiunto 
solo indagando e “svelando” le caratteristiche del fenomeno oggetto di 
analisi attraverso la raccolta delle opinioni, delle esperienze e anche delle 
posizioni ideologiche di tutti. Posizioni ideologiche con le quali bisogna 
confrontarsi per poterle capire e tenerle nella giusta considerazione. 
Il presente lavoro di ricerca termina con delle valutazioni finali 
che, lungi dall’essere espressione critica soggettiva delle affermazioni rese 
dagli intervistati, vuole invece essere il tentativo di una sintesi delle loro 
idee. Anziché evidenziare le diverse impostazioni e proposte di soluzione 
ai problemi, intende trovare il filo logico che, in maniera trasversale, 
accomuna e “svela” le problematiche sociali legate alla sicurezza urbana e
10 
all’immigrazione. Questo perché è mia personale convinzione che ciò 
che è convergente negli interessi dell’intera comunità setina, autoctoni e 
immigrati, cattolici e ortodossi, ecc. è il perseguimento di una sempre 
maggiore armonia sociale, raggiungibile solo attraverso strumenti 
amministrativi e di governo, realistici e concreti, che il livello politico 
deve sintetizzare individuando la strada, condivisa, ed efficace al 
raggiungimento dello scopo.
11 
Capitolo 1 
 
Il quadro teorico delle politiche di sicurezza 
 
 
 
 
 
 
Stemma del comune di Sezze 
(foto estrapolata dal sito http://www.comune.sezze.lt.it/pagina22_lo-statuto.html)
12 
1.1 La sicurezza pubblica 
 
Negli ultimi anni la questione della sicurezza ha occupato 
importanti spazi nei programmi elettorali di pressoché tutti gli 
schieramenti politici, sia di destra che di sinistra. Prima di approfondire i 
differenti approcci alla questione, bisogna partire dal dato di fatto che, 
nonostante nella società contemporanea del mondo occidentale si 
registrino livelli di sicurezza che mai nella storia si erano raggiunti, la 
domanda del “bene” sicurezza continua ad essere tra le primissime 
istanze che la società civile chiede alla politica. Evidentemente il 
fenomeno è frutto anche della percezione oltre che degli effettivi stati del 
mondo ma ciò non significa che esso non sia reale sul piano sociale. ‹‹In 
questo, come in molti altri casi, appare pertinente il teorema di W.I. 
Thomas, secondo il quale se gli uomini definiscono reali determinate 
situazioni, esse sono reali nelle loro conseguenze›› (Battistelli, 2008: 15). 
Nell’ambito della sicurezza urbana la percezione dell’insicurezza 
da parte dei cittadini italiani ha assunto un’importanza primaria, tale da 
coinvolgere in frequenti dibattiti i mezzi di comunicazione di massa, 
rivestendo un ruolo decisivo nelle agende di governo dei sindaci. D’altro 
canto, nel dibattito sociologico contemporaneo ‹‹il sentimento di 
insicurezza, così come l’incertezza, la paura, il rischio, sono altrettante 
categorie interpretative utilizzate per analizzare la “seconda modernità” 
ed i processi di globalizzazione ad essa connessi›› (Farruggia e Ricotta, 
2010:1). 
Abram Maslow definisce la sicurezza sociale come il più 
immediato dei bisogni umani e la colloca al primo posto, in un’ipotetica 
scala di priorità, quello imprescindibile, senza il quale tutti gli altri bisogni 
non hanno neanche l’opportunità di apparire (Farruggia e Ricotta, 2010).
13 
Essa può assumere due valenze: quella economico-sociale che 
riguarda la sfera della sopravvivenza, quindi legata alla necessità di 
doversi nutrire, vestirsi, possedere un alloggio; e quella strategica, relativa 
alla protezione fisica da eventuali possibili aggressioni (Battistelli, 2008). 
Su tale seconda valenza la sensibilità degli italiani risulta essere 
particolarmente preoccupata in relazione alla presenza degli stranieri sul 
nostro territorio come emerge da una ricerca sociologica  effettuata dalla 
Makno & consulting di Mario Abis che, unitamente al primo rapporto 
del Ministero dell’Interno sull’immigrazione in Italia, curato da Marzio 
Barbagli, veniva presentata in una conferenza stampa del 2008 dall’allora 
Ministro dell’Interno Giuliano Amato. 
La ricerca Makno, effettuata tra il 20 e il 25 febbraio 2008, veniva 
condotta secondo un criterio qualitativo basato sulla realizzazione di un 
intervista “aperta” effettuata a 4 focus group composti da 8 persone (4 
maschi e 4 femmine) aventi un’età compresa tra i 25 e i 44 anni, svolgenti 
le seguenti attività lavorative: piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, 
operai e casalinghe. I focus group venivano costituiti nelle città di 
Milano, Roma, Verona e Prato e, riportando sinteticamente il loro esito, 
emergeva che gli autoctoni in ordine al fenomeno in analisi richiedono:  
• Il rispetto della legalità da parte degli immigrati. Se 
trasgrediscono, revocargli i diritti/privilegi ed espellerli 
perentoriamente. Nessun indulto. 
• Nessuna precedenza agli immigrati rispetto agli italiani per quanto 
riguarda ammortizzatori sociali, scuole, asili, ospedali e pronto 
soccorso; al contrario, devono avere la precedenza prima gli 
italiani e poi gli immigrati in regola che pagano le tasse. 
• Più polizia dentro le città, pattuglie stabili numericamente 
dimensionate per poter efficacemente garantire ordine e sicurezza
14 
nei quartieri dove l’immigrazione impatta numericamente in 
modo più incisivo.  
• Più sicurezza nelle scuole e garanzia di qualità didattica secondo i 
curricoli prescritti (stabilire un numero massimo di studenti 
immigrati per classe). 
• Vigilare sui luoghi di culto, e di ritrovo in genere, soprattutto degli 
islamici, per prevenire il rischio attentati. 
• Più controlli nelle attività commerciali degli immigrati (ufficio 
d’igiene; licenze). 
• Disposizioni che comunichino chiaramente agli immigrati i fatti 
culturali salienti dell’Italia in termini di usi e costumi e norme 
igieniche di convivenza. 
Secondo le risultanze di detti focus group, l’immigrato potrà ritenersi 
integrato solo quando avrà un lavoro, un alloggio dignitoso, la volontà di 
adeguarsi alle leggi dello Stato italiano, rispetti la cultura e le usanze 
italiane e avrà acquisto la conoscenza della lingua italiana. 
La risposta a tali preoccupazioni si concretizza nella messa in campo 
di politiche di sicurezza che possono inquadrarsi ideologicamente 
secondo una prospettiva di sinistra o di destra. 
 
 
1.2 Il pensiero politico progressista di sinistra 
 
La criminologia realista di sinistra nasce nel Regno Unito a metà degli 
anni ’80 ponendosi l’obiettivo di offrire risposte pragmatiche e orientate 
all’azione per affrontare la paura della criminalità, della violenza e del 
disordine sociale che si riscontrava sempre più significativamente nei 
cittadini comuni. La criminalità iniziava così ad essere considerata come
15 
un serio problema sociale e politico, in particolare per i soggetti più 
vulnerabili della classe operaia. L’attenzione così si spostava dal soggetto 
deviante alla vittima e, attraverso l’analisi dell’esperienza di queste ultime, 
si potevano mettere in evidenza delle diagnosi locali sulla criminalità 
(Farruggia e Ricotta, 2010).   
La visione progressista di sinistra italiana per lungo tempo è stata 
improntata al ridimensionamento del fenomeno di insicurezza sociale 
percepito dai cittadini, non considerandolo come prioritario tra i 
problemi sociali da risolvere. Infatti, fin dal secondo dopo guerra, la 
sinistra italiana concentrò la sua attenzione sui fenomeni di criminalità 
organizzata che, nelle zone più arretrare del Paese, si saldava con 
politiche reazionarie che si coalizzavano contro quelle forze sociali che 
rappresentavano il mondo operaio e quello contadino, mentre la 
microcriminalità veniva dipinta come una sorta di necessità determinata 
dalla povertà delle classi più umili. In epoca post-industriale però il 
quadro è cambiato, le organizzazioni criminali di tipo mafioso hanno 
affinato i loro metodi operativi rendendoli più occulti mentre l’ambito 
microcriminale moltiplicava la propria visibilità. L’allarme sociale, infatti, 
oggi sovviene di più da quei reati maggiormente molesti quali gli scippi, i 
borseggi, i furti in appartamento, eccetera. Questi crimini, classificabili 
come “minori” sotto l’aspetto prettamente giuridico, non lo sono dal 
punto di vista sociale. Ad essi si aggiungono poi altri fenomeni che 
contribuiscono ad accrescere la condizione di insicurezza nei cittadini 
che riguardano gravi delitti come le rapine a mano armata negli esercizi 
commerciali e nelle abitazioni isolate, ma anche l’aumento degli atti di 
inciviltà, come schiamazzare, spintonare i passanti, abbandonare i rifiuti, 
imbrattare i muri, eccetera. Questi ultimi comportamenti non si 
concretizzano sempre in vere e proprie fattispecie di reato ma fanno
16 
riferimento alla teoria di Wilson e Kelling del “vetro rotto” sulla base 
della quale si ipotizza che, se in una strada appare una finestra con il 
vetro rotto, si genera una situazione di degrado urbano la quale, se non 
viene prontamente sanata, produrrà un’escalation negativa che 
incrementerà in maniera esponenziale il fenomeno, tanto da far 
presupporre che ben presto saranno rotti anche i vetri delle altre finestre. 
In sostanza, secondo tale teoria, la constatazione di una situazione 
degradata da atti vandalici induce alla reiterazione di questi ultimi da 
parte di coloro che hanno tali tendenze devianti che inciderebbero sulle 
condizioni situazionali del luogo aumentandone le potenzialità di futuri 
scenari per azioni criminose (Battistelli, 2008). 
Gli autori degli atti di inciviltà, provenendo tendenzialmente da 
soggetti che presentano caratteristiche di marginalità sociale, come quella 
di appartenere ad una minoranza etnica, continuano ad essere guardati 
con una maggiore tolleranza dai progressisti, rispetto ai conservatori 
(Battistelli, 2008).  
Quindi le “finestre rotte” al pari di altri fenomeni di degrado urbano 
quali la sporcizia abbandonata sulle strade, graffiti sui muri, atti di 
vandalismo e prostituzione, secondo tale teoria, metterebbero in moto 
un circolo vizioso di degrado urbano che inciderebbero nella 
trasformazione della popolazione residente incoraggiando attività di tipo 
criminale. Per questa ragione la repressione e la “tolleranza zero” rispetto 
a tali fenomeni, apparentemente minori, può essere in grado di fermare 
l’escalation verso forme più gravi di disagio urbano. Robert Sampson, in 
polemica con la teoria di Wilson e Kelling, attraverso un approfondito 
studio effettuato nella città di Chicago, mostra come la teoria delle 
“finestre rotte” e la criminalità sia mediata dall’efficacia collettiva, ovvero 
dalla capacità di mobilitazione di un’area o di un quartiere su questioni di
17 
interesse comune. In sostanza Sampson propone come alternativa alla 
“tolleranza zero” quale soluzione esogena alle problematiche di degrado 
urbano, un soluzione di tipo endogeno che, attraverso il rafforzamento 
dell’efficacia collettiva delle comunità di quartiere interessate al 
mantenimento delle condizioni di vivibilità, possano essi stessi effettuare 
il controllo sociale necessario allo scopo (Melossi, 2002). 
Si possono inquadrare nell’approccio progressista tutte quelle 
politiche di sicurezza che si concentrano sull’insieme delle condizioni 
sociali ed economiche come gli interventi per i giovani, le politiche per 
l’occupabilità, quelle abitative aperte anche agli immigrati nell’ottica di 
una loro integrazione nel tessuto sociale con lo scopo ultimo di 
rafforzare e responsabilizzare i destinatari di dette politiche. Queste 
politiche possono essere rivolte anche al contesto locale/ambiente fisico 
con interventi finalizzati al recupero della coesione comunitaria e di spazi 
affinché si ottenga un complessivo miglioramento della qualità della vita, 
delle relazioni sociali con progetti di mediazione dei conflitti, di 
rivitalizzazione e riqualificazione degli spazi e dell’arredo urbano 
(Farruggia e Ricotta, 2010). 
 
 
1.3 Il pensiero politico conservatore di destra 
 
Il pensiero critico della sociologia della devianza degli anni ’60 e ’70 
che attribuiva alla struttura sociale la spiegazione dei fenomeni criminali 
viene messo in discussione negli Stati Uniti di Ronald Reagan 
teorizzando una visione fondata sull’approccio individualistico attraverso 
le cosiddette teorie della scelta razionale. Secondo tale prospettiva la 
criminalità è ritenuta ineliminabile, un fenomeno quasi fisiologico della
18 
società contemporanea, prodotto da scelte egoistiche dei singoli individui 
o dei gruppi che devono necessariamente essere represse altrimenti 
queste ultime potrebbero intaccare negativamente la struttura morale 
della società. In quest’ottica la difesa dei cittadini “per bene” diventa la 
priorità per alcuni sindaci statunitensi tra i quali l’italo americano 
Rudolph Giuliani che a New York mette in campo una politica di 
sicurezza con la caratteristica di “tolleranza zero” nei confronti della 
criminalità ma anche di tutti quei fenomeni sociali che, pur non 
rappresentando dei veri e propri reati, vengono considerati di degrado 
urbano e sociale che, secondo l’ipotesi delle inciviltà, rappresenterebbero 
un terreno fertile per la proliferazione dei reati (Farruggia e Ricotta, 
2010).   
Il pensiero conservatore non focalizza l’attenzione sulle cause della 
devianza sociale ma tende a fotografarla nella sua reale e attuale 
consistenza puntando a neutralizzarla o contenerla nei modi più 
pragmaticamente efficaci (Battistelli, 2008). 
L’applicazione pratica di queste politiche si concretizza nella 
cosiddetta prevenzione situazionale che, concentrandosi sul contesto in 
cui i fenomeni criminosi avvengono, mira a ridurre al massimo le 
opportunità di realizzazione e al tempo stesso ad aumentare i rischi per la 
maggior parte dei potenziali autori dei reati. Questo modello preventivo 
basa la sua filosofia sul presupposto della scelta razionale del soggetto 
deviante che sarà tanto più scoraggiato quanto più costosa risulterà la 
scelta deviante. In quest’ottica il territorio dovrà quindi essere 
manipolato e controllato attraverso le sorveglianze formali, le ordinanze 
dei sindaci che proibiscano determinati comportamenti, come ad 
esempio la vendita di bevande alcoliche e/o cibi da asporto, la 
realizzazione di un arredo urbano di tipo dissuasivo, la