4
artista nel corso dei secoli, ma anche la difficoltà ad identificarne con chiarezza la 
personalità.  
Bonifacio fu capace di straordinaria intuizione e prontezza nel ripensare con uno stile 
personale la lezione dei maggiori maestri a lui contemporanei, Giorgione, Palma, 
Tiziano, Lotto e Savoldo, e poi Pordenone da fine del terzo decennio, nonché Raffaello. 
Il suo spirito placido e prudente gli permise di riferirsi con serenità ai maggiori maestri, 
senza mai eccessi, ma sempre con curiosità e attenzione. La sua vocazione 
sostanzialmente artigianale, che recupera formule palmesche e tizianesche, e si 
specializza nel genere della Sacra Conversazione, poteva generare il rischio di 
stanchezza e ripetitività; ma la sua straordinaria inventività gli permise l’ ideazione dei 
bellissimi paesaggi con le rovine classiche, dei volti dolcissimi delle Madonne, dei 
raffinati abiti dell’ Adorazione dei magi per la Cassa del Consiglio dei Dieci, o del 
Banchetto del ricco Epulone, di particolari come lo storpio della pala dei Sarti.  
Mi sembra, quindi che la migliore interpretazione della figura di questo artista sia 
quella di Pallucchini (1944), il quale afferma che capire l’ evoluzione del pittore dalla 
fase giovanile, caratterizzata da un colorismo sciolto, pastoso e ricco di gradazioni 
luminose, a quella della maturità, che accoglie spunti dal mondo di Raffaello, e dalla 
tradizione tosco-romana, significa comprendere il nuovo orientamento della pittura 
veneziana tra il Trenta ed il Quaranta, e gli esordi di Jacopo Bassano, dello Schiavone, 
di Tintoretto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 5
 
 
 
 
 
 
 
 
REGESTO 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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 7
REGESTO DELLA VITA DI BONIFACIO DEI PITATI 
 
 
 
1491 
A questa data, negli  Anagrafi dell’ Archivio comunale di Verona, compare per la 
prima volta il nome di Bonifacio che è detto “aetatis annorum 4”. Si può quindi 
desumere che la sua data di nascita sia il 1487. 
Dal documento risulta anche che la famiglia era allora composta da Marco, 
trentasettenne, padre di Bonifacio, di professione armiger, da sua moglie Benvenuta di 
trent’ anni, dalla nonna paterna Margherita, sensantasettenne, e dal fratello di Marco, 
Antonio, trentenne. 
 
(A. S. Vr., Archivio Comune, Anagrafi Contradali, San Vitale, 1491, reg. 1170; A. S. 
Vr., Archivio Comune, Campione d’ Estimo, 1492, reg. 259, c. 267 r. ; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, p. 67) 
 
 
1501 
Bonifacio a quattordici anni è ancora residente a Verona insieme con la famiglia che 
è ora composta da: il padre Marco di cinquant’ anni, la madre Benvenuta di quarant’ 
anni, Bonifacio e il nipote di Marco, Domenico, quidicenne. Non abitano più con loro 
Margherita e Antonio. 
 
(A.S.Vr., Archivio Comune, Anagrafi Contradali, Isolo di sotto, 1501, reg. 486; 
Archivio Comune, Campione d’ estimo, 1502, reg. 260, c. 271 r.; cfr. G. LUDWIG, 
1901, XXII, p. 67) 
 
 
1505 
Marco vende al cugino Bernardo un pezzo di terra di un feudo vescovile a Belfiore d’ 
Adige. In questo documento ancora una volta è ricordata la composizione della 
famiglia: 
 
 
Matius de Pitati  ________________ 
                        |                            | 
                Ochidecane                 Bonifazio m. Margarita  
                        |                        __|_________________________________ 
                        |                        |                                   |               |               | 
                   Bernardo           Martius m. Benvenuta       Antonio      Nicolò     Samaritana 
                                                 | 
                                           Bonifazio 
 
Non ritroviamo più in documenti successivi il nome di Marco dei Pitati né del figlio 
Bonifacio; da ciò è possibile dedurre che la famiglia, all’ incirca in quell’ anno, si fosse 
trasferita a Venezia.  
 
(cfr. G. LUDWIG, 1901, XXII, pp. 67-68; cfr. S. SIMONETTI, 1986, p. 86: non riesce 
a reperire il documento citato e pubblicato da Ludwig). 
 8
1528, 7 ottobre  
La firma di Bonifacio, che compare come testimone nell’ atto delle ultime volontà di 
Samaritana Bondumier il 7 ottobre 1528, ci ricorda per la prima volta la presenza del 
pittore a Venezia: “Io bonifatio di Pitati veronese pictor al presente dela contra de S. 
Marcola in venetia testimonio pregado et zurado sotoscr” 
 
(A.S. V., Sezione Notarile, Testamenti, Bonifazio Solian, b. 940, c. 876; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, p. 69). 
 
 
1529, 29 dicembre;  1529, 24 gennaio (more veneto);  1529, 12 febbraio (more 
veneto) 
Il Consiglio dei Dieci ordina di pagare a Bonifacio, in tre rate da dieci ducati 
ciascuna, un quadro nella stanza della Cassa del Consiglio al Palazzo dei Camerlenghi; 
non viene però indicato il soggetto del dipinto. 
“Dentur pro faciendo quadro picturae pro camera camerarii Consilii X Rivoalti,- 
ducati 10”. 
“Solvat camerarius pro quadro picturae camere Consilii X existentis in officio 
camerariorum comunis, duc. 10”. 
“Bonifacio pictori pro resto illius quadri et ornamenti, quod est in camera predicti 
Consilii Rivoalti,- duc. 10”. 
 
(A.S.V., Capi del Consiglio dei Dieci, Mandati pagamento, rg. 1521-1547, c. 111 r., c. 
111 v., 112 r.; cfr. G. DELLA SANTA, 1903, p. 16). 
 
 
1530 
Il nome di Bonifacio risulta inserito nella Fraglia dei Pittori di quell’ anno 
 
(B.M.C., ms. Moschini XIX, Nota de’ pittori registrati ne’ libri della Veneta 
Accademia, trattone l’ anno 1532, c. 2 r; il manoscritto, conservato al Museo Correr di 
Venezia fu pubblicato da G. NICOLETTI in: “ Ateneo Veneto”, 1890, pp. 378-382; 
500-506; 631-639; 701-712; T. PIGNATTI, La Fraglia dei pittori di Venezia, in: 
“Bollettino dei Musei Civici Veneziani”, III, 1965, pp. 16-39; E. FAVARO, L’ arte dei 
pittori a Venezia e i suoi statuti, Firenze, 1975, p. 138) 
 
 
1530 
Sul gradino del trono del Cristo in trono e Santi, già nella prima stanza del 
Magistrato dei Governatori alle Entrate, sulla parete del Tribunale (ora Venezia, 
Gallerie dell’ Accademia, inv. n. 331) si legge la data MDXXX 
  
 
1531, 15 giugno 
Nel testamento di Ludovica Fondra Bonifacio compare come testimone e si firma: 
“Io bonifatio di Pitati veronese pictor” 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Daniele Giordano, b. 505, n. 347; cfr. G. 
LUDWIG, 1902, XXIII, p. 65) 
 
 9
 
1531, 29 settembre  
In una copia del XVIII secolo troviamo Bonifacio da Verona, Tiziano e Lorenzo 
Lotto nominati dall’ Arte dei Pittori fra i dodici aggiunti incaricati di assegnare un 
legato di cento ducati del pittore Vincenzo Catena a cinque donzelle da maritare. 
 
(A.S.V., Arte dei Depentori, b. 104, fasc. 1: Copie di scritture cavate dalla nostra 
Mariegola de Depentori in occasione della litte de Pittori, 1715; il documento è stato 
pubblicato parzialmente da G. LUDWIG, 1901, XXII, p. 69). 
 
 
1532 
M. A. Michiel vede in casa di Andrea Odoni  “La Trasfigurazione de S. Paulo fu de 
man de Bonifacio Veronese”, identificabile per alcuni studiosi con la Conversione di 
Saulo (oggi a Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 936). 
 
(cfr. M..A. MICHIEL, Notizia d’ opere del disegno pubblicata e illustrata da D. J. 
Morelli, edizione a cura di G. FRIZZONI, Bologna 1884, p. 160)  
 
 
1533 
Sulla pala ordinata dalla Scuola dei Sarti, con la Vergine, il Bambino, Sant’ Ombono 
e Santa Barbara, (ora Venezia, Gallerie dell’ Accademia cat n. 1305) compaiono la 
firma di Bonifacio e la data 1533. 
 
 
1533 
Data del Giudizio di Salomone che si trovava al centro della parete del tribunale nella 
seconda stanza del Magistrato del Sale, (ora Venezia, Gallerie dell’ Accademia, inv. n. 
54) 
 
 
1535, 17 febbraio (more veneto); 1536, 16 luglio 
Nel documento del 17 febbraio apprendiamo che: “maistro Paolo Intagliadoro sta a 
santa Sophia in Venetia se è convenuto et obligandosi è rimasto dacordo con il 
reverendo padre priore di Santo Andrea da Lio de far lo hornamento del Cenachulo co 
uno quadro per canto depinto per mastro Bonifazio depintore”. Bonifacio si firma 
come testimone: “ Io Bonifatio pictor sta a san Alvise”. 
Del 16 luglio è l’ ultimo pagamento a Mastro Paolo saldato dal vicario della Certosa 
tramite Bonifacio. 
Il Cenacolo menzionato si può identificare con l’ Ultima Cena della Pinacoteca di 
Brera (inv. nap. 100; inv. gen. 78; Reg. Cron. 139, in deposito presso il seminario 
arcivescovile di Venegono, Varese). Le due tele che stavano ai lati si trovano oggi a 
Venezia, Gallerie dell’ Accademia (inv. nn. 28 e 26) e rappresentano una i Santi Bruno 
e Caterina, l’ altra i Santi Girolamo e Beatrice.  
 
(A.S.V., S. Andrea alla Certosa, Busta Riceveri 1496-1591, b. 31; parzialmente 
pubblicato da G. LUDWIG 1901, XXII, p. 70 e con non completa indicazione 
archivistica) 
 
 10 
 
1536, 31 gennaio (more veneto) 
Bonifacio riceve dal Consiglio dei X dieci ducati come pagamento di un dipinto già 
sistemato nella stanza del Palazzo dei Camerlenghi dove risiedeva il cassiere di tale 
Consiglio. Non conosciamo però il soggetto dell’ opera. 
“Nos capita Illustrissimi Consilii vobis magnifico D. Joanni Francisco Mauroceno 
Camerario huius Cosilii dicimus et ordinamus che der debbiate al fidel nostro 
Bonifacio de pitatis ducati diexe per un quadro de pictura che è stato posto nel loco 
della cassa del predito consilio” 
 
(A.S.V., Capi del Consiglio dei Dieci, Notatorio, reg. 11, c. 167 r.; cfr. G. DELLA 
SANTA, 1903, p. 18). 
 
 
1537, 4 luglio 
Bonifacio è testimone al testamento di Lucia dal Gaulo insieme con Domenico 
Biondo. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Daniele Giordano, b. 505, n. 368; cfr. G. 
LUDWIG, 1902, XXIII, p. 65). 
 
 
1537, 19 ottobre  
Bonifacio è presente al testamento di Francesca Arlati. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Girolamo Canali, b. 109, n. 277; cfr. LUDWIG, 
1902, XXIII, p. 64). 
 
 
1538, 30 aprile 
Il pittore obbedisce a quanto chiesto dal Consiglio dei Dieci e presenta la sua 
condizione: denuncia di aver comperato, nel 1533, 15 campi di terra con una casetta in 
S. Zenone sotto la podestaria di Asolo. 
 
(A.S.V., Dieci Savi sopra le decime in Rialto, Condizioni 1537, b. 98, n. 732; cfr. G. 
DELLA SANTA, 1903, pp. 16-17) 
 
 
1539, 6 marzo 
In seguito alla morte del Pordenone, a cui la Scuola grande di Santa Maria della 
Carità aveva commissionato uno Sposalizio della Vergine per il proprio albergo, viene 
nuovamente bandito un concorso a cui partecipano Paris Bordone, Bonifacio dei Pitati, 
Giampietro Silvio e Vittor Brunello. Il vincitore è il Silvio 
 
(A.S.V., Scuola Grande S. Maria della Carità, Notatorio, 1531-1543, Registro 256, c. 
103v., 104r., 104v.; cfr. G. LUDWIG, 1905, XXXVI, p. 146; G. NEPI SCIRÉ, Appunti 
sul Silvio, in: “Arte Veneta”, XXIII, 1969, p. 210- 217; D. ROSAND, Painting in 
Cinquecento Venice: Titian, Veronese, Tintoretto, New Haven, Londra, 1982, pp. 234-
235). 
 
 11 
 
1540, 27 luglio 
Dichiarazione di Marino Manolesso in cui si parla di 43 ducati che Battista Nani 
consegna a Bonifacio, erede di Felice de Grassis, a nome delle sorelle Agnesina e 
Marina Nani. Non si può ricavare da qui la parentela tra Bonifacio e Felice de Grassis, 
tuttavia sappiamo che Marietta, moglie di Bonifacio, era stata precedentemente sposata 
a un De Grassis.  
 
(A.S.V., Giudici dell’ Esaminador, Preces; reg. 69, c. 93v.; cfr. DELLA SANTA, 1903, 
p. 18). 
 
 
1544, 10 agosto; 1544, 15 settembre  
Postille alla “condizione” dichiarata dal pittore il 30 aprile 1538. 
 
(A.S.V., Dieci Savi sopra le decime in Rialto, Condizioni, 1537, aggiunte stravaganti, b. 
112, nn. 711, 722; cfr. SIMONETTI, 1986, p. 88 nota 35). 
 
 
1545, 27 maggio 
Terzo pagamento da parte del Consiglio dei Dieci per due quadri collocati nella 
stanza della cassa del Consiglio, per dieci ducati a saldo di altri dieci ducati consegnati 
l’ anno prima. Sconosciuto il soggetto. 
“Già uno anno et più per il cassier all’ hora di questo consegio fo dato lo incarico, a 
bonifacio pittor di far doi quadri da esser posti nel loco, ove sta esso cassier all’ officio 
di Cmerlenghi ey li furon dati ducati 10 per parte di ducati 20, che così li fu promesso 
per tutti doi, quali essendo finiti è conveniente dargli li altri ducati diece, per haver essi 
quadri”.   
 
(A.S.V., Consiglio dei Dieci, Comuni, reg. 17, c. 30v.; cfr. G. LUDWIG, 1901, XXII, p. 
71). 
 
 
1547, 6 giugno 
Primo testamento del pittore. Bonifacio si dichiara figlio di Marco e abitante a S. 
Marcuola; chiede di essere sepolto a S. Alvise, dove riposano anche i genitori, 
accompagnato dalla Scuola di Sant’ Alvise e nomina la moglie Marietta sua erede 
universale; possiamo da ciò supporre che il pittore non ebbe figli. Nel documento viene 
anche ricordato Antonio Palma, marito della nipote di Bonifacio, Giulia; al loro figlio 
Marzio è destinata una parte dell’ eredità. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Francesco Bianco, b. 124 n. 125; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, p. 71). 
 
 
1547, 27 giugno 
Primo testamento della moglie di Bonifacio Marietta de Grassis in cui essa nomina il 
marito suo esecutore e dichiara di voler essere sepolta in Sant’ Alvise. 
 
 12 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Bianco Francesco, b. 126 n. 610; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, p. 73). 
 
 
1548, 28 settembre  
Il pittore firma il testamento di Cristina Mulazzo.  
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Girolamo Vettore, b. 528, n. 104; cfr G. 
LUDWIG, 1902, XXIII, p. 64). 
 
 
1549, 28 agosto 
Bonifacio sottoscrive il testamento di Eugenia Marsagnolo. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Bonifazio Solian, b. 938, n. 36; cfr. LUDWIG, 
1902, XXIII, p. 64). 
 
 
1551, 28 dicembre  
Bonifacio è testimone ad una procura delle monache di S. Alvise a Paolo Contarini. 
 
(A.S.V., S. Alvise, Manimorte, b. 24, fasc. Processo A; cfr. G. DELLA SANTA, 1903, 
p. 11). 
 
 
1553, 14 luglio 
Secondo testamento di Bonifacio che non muta le volontà espresse precedentemente. 
È presente come testimone Domenico Biondo. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Baldassarre Fiume, b. 417, n. 169; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, p. 72). 
 
 
1553, 26 luglio 
Terzo ed ultimo testamento dell’ artista in cui dichiara di essere veronese, della 
famiglia dei Pitati, e residente a Venezia in S. Marcuola nelle case delle monache di 
Sant’ Alvise; Marietta è ancora nominata sua erede universale. Di nuovo compare come 
testimone Domenico Biondo. 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Brunello Alvise, b. 265, n. 61; cfr. B. 
CECCHETTI, Saggio di cognomi ed autografi di artisti in Venezia, secoli XIV-XVII, in: 
“Archivio Veneto”, XXXIII, 5, 1887, pp. 203-214; G. LUDWIG, 1901, XXII, pp. 72-
73). 
 
 
1553, 19 ottobre  
Data della morte di Bonifacio letta da A.M. Zanetti nel necrologio della chiesa dei 
SS. Ermagora e Fortunato. 
 
(A.M. ZANETTI, Della Pittura veneziana..., 1771, ristampa 1972, p. 222). 
 13 
 
 
1558, 14 marzo; 1558, 28 marzo 
Testamenti di Marietta de Grassis vedova di Bonifacio che chiede di essere sepolta a 
Sant’ Alvise accanto al marito. A Nicolosia, figlia di Battista di Bonifacio, sono 
destinati 25 ducati per la sua dote e a suo padre altri 50; Virginia ed Ortensia, figlie di 
Antonio Palma ricevono ciascuna  25 ducati. Antonio Palma e suo figlio Marzio 
risultano i principali beneficiari del testamento. 
 
 (A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Matteo Solian, b. 889, n. 234; cfr. G. LUDWIG, 
1901, XXII, pp. 74-75). 
 
 
1566, 30 novembre  
Marietta rinnova il suo testamento. Mutano alcuni lasciti testamentari ed 
apprendiamo che Battista di Bonifacio abita nella casa di Marietta. Marzio, figlio di 
Antonio è nel frattempo diventato dottore 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Piero Contarini, b. 292, n. 537; cfr. LUDWIG, 
1901, XXII, pp. 75-76) 
 
 
1570, 16 aprile 
Ultimo testamento della vedova di Bonifacio in cui non mutano fondamentalmente le 
clausole degli atti precedenti di ultime volontà 
 
(A.S.V., Sezione Notarile, Testamenti, Contarini Piero, b. 292, n. 537; cfr. G. 
LUDWIG, 1901, XXII, pp. 77-78) 
 14 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
STORIA CRITICA 
 
 15 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 16 
CAPITOLO PRIMO: 
 
LA STORIA CRITICA 
 
 
 
Non è facile tentare di ripercorrere la storia della fortuna critica di Bonifacio dei Pitati. Nonostante sia 
stato un personaggio importante nella pittura veneziana della prima metà del Cinquecento, anello di 
congiunzione tra la vecchia generazione post giorgionesca che trova in Tiziano, Palma il Vecchio, e poi in 
Lotto e Pordenone i punti di riferimento, e la nuova, capeggiata da Jacopo Bassano, Tintoretto e 
Schiavone, pure fu un artista sempre misconosciuto e mal interpretato; la mancanza di notizie 
documentarie e di caposaldi cronologici per la ricostruzione del suo catalogo, almeno fino al 1533, ne 
hanno favorito il travisamento dell’ attività e perfino dell’ identità. 
Sicuramente, però, Bonifacio doveva essere un artista stimato al suo tempo, almeno a giudicare dalla 
testimonianza di Paolo Pino (1548)1, che lo ricorda tra i “valenti pittori” dell’ epoca accanto a Tintoretto e 
Paris Bordone, e dalla lettera che l’ Aretino gli indirizza nel 1548, in cui si comprende come la 
committenza privata veneziana ci tenesse a possedere le opere del pittore2.  
Fondamentale è l’ accenno del Vasari (1568)3 che al termine della vita di Sansovino ricorda Bonifacio 
Veneziano autore di una tavola con Cristo e gli apostoli nella chiesa dei Servi (ora alle Gallerie dell’ 
Accademia, inv. n. 342), e di un’ Adorazione di Dio Padre nella chiesa di Santo Spirito (ora alle Gallerie 
dell’ Accademia, inv. n. 415, attribuito a Polidoro da Lanciano). Proprio da questo momento iniziano 
infatti le difficoltà nell’ identificazione del pittore, della sua città natale, e delle opere a lui attribuibili. 
Guisconi (1561)4 e Lomazzo (1584)5 parlano di un Bonifacio da Verona autore di “assi” come Giorgione 
(Guisconi), e discepolo di Palma (Lomazzo), mentre Sansovino (1581) ricorda un Bonifacio artista 
veronese e autore di quadri per Santa Fosca, Santa Maria Mater Domini, Santo Spirito, e un Battista di 
Bonifacio Veronese che lavora per San Sebastiano6. Vasari, Ridolfi (1648), Boschini (1660, 1664, 1674) 
e Zanetti (1733, 1771)7 nominano invece Bonifacio come pittore veneziano. 
Ridolfi, Boschini e Zanetti sono per noi anche le tre fonti principali per la ricostruzione del ciclo 
decorativo nel Palazzo dei Camerlenghi, la commissione più importante della carriera del de’ Pitati, nella 
quale fu impegnato dal 1529 al 1553, anno della sua morte. Il Palazzo, sede di alcune magistrature con 
compiti di natura finanziaria, mantenne la sua funzione fino alla caduta della Repubblica veneta nel 1797, 
quando il soprintendente Pietro Edwards staccò i quadri dalle varie stanze. Le sue relazioni ci forniscono 
molte preziose notizie sullo stato di conservazione delle tele, e sulla loro sorte immediata, ma il senso 
della grandiosità del ciclo, dell’ impegno che la sua realizzazione aveva richiesto, viene bene descritta dai 
tre storiografi veneziani.  
Le testimonianze di Boschini e Ridolfi, oltre a quella di Martinioni (1663)8, ci aiutano anche a capire 
come nel corso del Seicento si cominciasse a formare un catalogo con un buon numero di dipinti legati 
alla figura di Bonifacio, che veniva sempre ricordato tra le maggiori glorie veneziane, accanto ai nomi di 
                                                                 
1
 PINO, 1548 (edizione a cura R. e A. PALLUCCHINI, 1946), p. 130. 
2
 ARETINO, 1543-1555 c. (edizione a cura CAMESASCA, 1957-1969), II, p. 239: dice Aretino di essersi 
recato in casa del cavalier “da Lezze”, ed aver potuto ammirare “alcune istoriette” di Bonifacio, che erano 
tenute con gran cura e grande orgoglio dal cavaliere; prosegue poi: “da che la signoria de la Sua 
Magnificenza sentì lodarle da quel gran giudizio che tutti i professori de l’ arte vostra vogliono ch’ io 
tenga, è la più stimata gioia che egli abbia”, e termina augurandosi di andare presto a trovare il pittore 
per vedere lo splendore delle nuove opere su cui stava lavorando.  
3
 VASARI, 1568 (edizione a cura BAROCCHI, BETTARINI, 1966-1987), VI, p. 198 
4
 GUISCONI, 1561 (ristampa a cura BATTAGGIA, 1861), p. 12 
5
 LOMAZZO, 1584 (edizione a cura CIARDI, 1974), II, p. 684 
6
 SANSOVINO, 1581, pp. 54r., 74v., 83v., 92v. Il dipinto in Santa Fosca è identificato dalla 
WESTPHAL, 1931, p. 134, n. 178, in una Madonna con donatore di ambito tintorettesco, situata nel coro 
della chiesa (cfr. LORENZETTI, 1956, p. 437). Nella chiesa di Santa Maria Mater Domini è ancora 
appesa l’ Ultima Cena di Bonifacio, mentre l’ Adorazione nella chiesa di Santo Spirito è la tela già 
nominata da Vasari. Di Battista di Bonifacio abbiamo notizie solo documentarie, poiché la Natività che si 
trovava in San Sebastiano, era perduta già nel Settecento (cfr. DELLA SANTA, 1903, p. 21) 
7
 RIDOLFI, 1648 (edizione a cura HADELN, 1914-1924), II, pp. 284-295; M. BOSCHINI, 1660, 
(edizione a cura A. PALLUCCHINI, 1966), p. 716; BOSCHINI, 1664, passim; BOSCHINI, 1674, p. 4a e 
pasim; ZANETTI, 1733 (ristampa Bologna, 1980), p. 31 e passim; ID., 1771, (ristampa, 1972), III, pp. 
221-230 
8
 G. Martinioni, 1663, passim 
 17 
Palma e di Tiziano. Ridolfi introduce lavori fondamentali come l’ Arcangelo Michele che sconfigge 
Satana in San Giovanni e Paolo, la Vergine con Sant’ Ombono e Santa Barbara per la scuola dei Sarti 
(ora Venezia, Gallerie dell’ Accademia, cat. n. 1305), il Miracolo del noce a Camposampiero, e tutta una 
serie di “recinti di letti, casse e simili cose poste in uso in que’ tempi per delitie delle habitationi, ov’ 
erano figurate historie sacre e profane” (p. 295). Lo scrittore si sofferma su alcune opere di collezione 
privata (oggi difficili da identificare) e, in particolare, sui sei pezzi in cui, dice, erano raffigurati i Tronfi  
ispirati al Petrarca (ora rintracciabili a Vienna, il Trionfo dell’ Amore, e il Trionfo della Castità, Vienna, 
Kunsthistorisches Museum, inv. nn. GG 1517 e 1521, e a Weimar, Trionfo della Morte, Weimar, 
Staatliche Kunstsausstellung, forse copia), e sui quattro Trionfi di Casa Barbarigo (identificabili con il 
ciclo delle Stagioni del museo di Budapest, inv. nn. 1040, 1069, 1070, 1071); ci offre inoltre un 
interessante elenco di altri lavori che provano come nelle collezioni delle più importanti dell’ epoca 
comparisse almeno un’ opera del maestro9.  
Nel corso del XVII secolo si approfondisce anche il processo di confusione attributiva non solo tra 
Bonifacio e gli allievi, ma anche tra Bonifacio, Giorgione, Palma il Vecchio e Tiziano, contribuendo a 
rendere i contorni dell’ artista sempre più indefiniti e fumosi almeno fino all’ inizio del ‘900. Dice 
Ridolfi: “Egli fu discepolo di Palma Vecchio e imitò alcuna volta così le opere sue, che rendono ambigui 
gli intendenti chi di loro ne sia l’ Autore; si dilettò non meno di seguire la via di Titiano, onde ne fece un 
misto dell’ uno e dell’ altro stile formando una soave maniera” (p. 284). Vengono dunque legati al nome 
del de’ Pitati lavori come quello del ciclo nella sagrestia di San Sebastiano, la Madonna in gloria tra i 
santi di Santa Maria Maggiore, la Missione dello Spirito Santo in Santa Chiara a Murano (di essa non si 
trovano più tracce dopo la descrizione di Zanetti del 1771)10. Era stato invece l’ accenno di Lomazzo ad 
un discepolato dell’ artista sotto Palma, e poi l’ attribuzione a Palma della Madonna del Carmelo in 
gloria con tre santi dell’ altare Cappello in Sant’ Antonio a Castello (Venezia, Accademia, inv. n. 1044, 
oggi data a Jacopo Pistoia) a dare il via ad una serie di errori: Ridolfi, ad esempio, assegna al bergamasco 
i due Cenacoli di Santa Maria Mater Domini e di San Silvestro (il primo certamente di Bonifacio, il 
secondo della sua scuola), nonché la Sacra Conversazione della chiesa di Santo Stefano, tuttora 
problematica11. Nonostante l’ amp io spazio dedicato al de’ Pitati nei testi del Seicento, vi sono poche 
informazioni utili per scoprire qualcosa di più sulla vita e il carattere di questo maestro, a parte un breve 
accenno del Ridolfi il quale dice il pittore morto a 62 anni e ce ne fa intuire un carattere piuttosto schivo e 
riservato: nelle pagine dedicate alla vita del Bassano, infatti, afferma che Jacopo, mandato dal padre a 
Venezia presso la bottega di Bonifacio ad imparare l’ arte, era costretto a spiare dal buco della serratura 
per apprendere i segreti del mestiere12.  
                                                                 
9
 Per il Miracolo del Noce, per i Trionfi di Vienna si legga la scheda della SIMONETTI, 1986, p. 109, n. 
36, pp. 117-118, nn. 62-63 con bibliografia precedente. Per il Trionfo di Weimar si può fare riferimento 
all’ articolo di G. F. HARTLAUB, Triumph und Melancholie (Zu einigen Bildern des Bonifazio), in: 
“Belvedere”, 1938/1939, pp. 10-16. Ancora la scheda della SIMONETTI può essere utile per quanto 
riguarda la storia e la bibliografia delle Stagioni di Budapest (p. 108, nn. 34, a, b, c).  
10
 Il ciclo di San Sebastiano comprende sette storie dall’ Antico e dal NuovoTestamento: Sacrificio di 
Isacco, Il passaggio del Mar Rosso, La scala di Giacobbe, il Castigo dei serpenti, la Natività,  il 
Battesimo di Cristo, la Crocifissione, ed è oggi attribuito ad autore fiammingo del circolo di Martin de 
Voss (cfr. C. VIRDIS LIMENTANI, Martin de Voss e la cultura veneziana, in: “Antichità Viva”, XVI, 
1977, pp. 3-14). La pala di Santa Maria Maggiore appartiene alle Gallerie dell’ Accademia (n. 309) ed è 
in deposito nella chiesa di San Giobbe con attribuzione a Jacopo Pistoia (cfr. M. PISTOI, Jacopo Pistoia, 
in: I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il Cinquecento, II, Bergamo, 1976, pp. 87-97). La 
Missione dello Sprito Santo era stata data alla scuola di Tiziano da BOSCHINI, 1664, Sestier di Santa 
Croce, p. 39.   
11
 RIDOLFI, 1648 (edizione a cura HADELN, 1914-1924), II, pp. 137-141. Per la Sacra Conversazione 
di Santo Stefano si veda la scheda relativa, per la Cena in Santa Maria Mater Domini si può leggere la 
scheda della SIMONETTI, 1986, p. 106, n. 27 
12
 RIDOLFI, 1648 (edizione a cura HADELN, 1914-1924), II, pp. 385-386: “Ma perché gli agi delle 
paterne case spesso infingardiscono, pensò di provederli di novello maestro col mandarlo a Venezia, in 
casa di parenti che il poterono con Bonifacio Venetiano, sotto la cui disciplina continuò le istituzioni 
apprese dal Padre; e raccontasi, che qual hor Bonifacio dipingeva, si riserrava in camera,e che Jacopo 
per il foro della chiave osservava il di lui fare, e che in questa guisa apparasse il modo del suo dipingere 
e col retrarre ancora dalle opere di quello si fece pratico in quella maniera, come lo dimostrano alcune 
sue pitture. Altri vogliono che con la sola erudizione del padre imparasse l’ arte e che studiasse poi dalle 
cose di Tiziano; ritraendo inoltre le carte del Parmegiano, donde apprese alcuna gratia negli atti delle 
figure”.