quattro  macrocategorie  professionali  di  dipendenti  dell’Amministrazione 
Pubblica   (insegnanti, impiegati,  personale  sanitario, operatori).  In 
controtendenza  con  gli  stereotipi  diffusi  nell’opinione  pubblica,  i  risultati 
hanno dimostrato che la categoria lavorativa degli insegnanti è soggetta ad una 
frequenza di patologie psichiatriche  pari a due volte quella degli impiegati, 
due  volte  e  mezza  quella  del  personale  sanitario  e  tre  volte  quella  degli 
operatori.
Nel terzo capitolo viene affrontato il processo di Coping; partendo dai primi 
studi sull’argomento si procede con l’analisi delle sue caratteristiche e delle 
sue diverse forme; in particolar modo vengono riportate le strategie di coping 
in riferimento alla categoria degli insegnanti e gli  studi relativi al possibile 
legame tra insorgenza del burnout e utilizzo di particolari strategie di coping.
Il  quarto  capitolo  presenta  la  ricerca  che  è  stata  svolta,  soffermandosi  su 
obiettivi ed ipotesi, metodo utilizzato e analisi quantitative svolte. 
Infine,  nel  quinto  ed  ultimo  capitolo,  vengono  presentati  i  risultati  di  tale 
ricerca che si prefigge  innanzitutto di esplorare la realtà degli insegnanti di 
scuola media e superiore del territorio padovano e leccese, con l’intento di 
verificare  o  meno  la  presenza  di  burnout  nel  campione,  e  l’eventuale 
associazione tra la sindrome e l’utilizzo di particolari modalità di coping. 
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Capitolo 1
BREVE INTRODUZIONE AL BURNOUT
1.1. Dallo stress al concetto di Burnout
Lo stress è oggi considerato un ingrediente fisso della nostra vita quotidiana, 
tanto in ambiente domestico-familiare quanto sul luogo di lavoro.
Il termine stress venne adottato nel secolo scorso in settori ben lontani dalla 
psicologia  e  dalla  medicina;  inizialmente,  infatti,  fu  utilizzato  in  fisica  e 
ingegneria  per  indicare  la  tensione,  lo  sforzo  cui  venivano  sottoposte  le 
strutture metalliche di una costruzione.
Solo  successivamente  fu  introdotto  nell’ambito  delle  scienze  biologiche  e 
psicologiche  per  indicare  una  serie  di  stimoli,  gli  stressor,  che  agendo 
sull’individuo a livello fisiologico, psicologico e comportamentale, erano in 
grado di produrre una reazione di difesa da parte di quest’ultimo (Pellegrino, 
2002).
Hans  Selye  (1979)  definì  lo  stress  come:  “  Una  reazione  aspecifica 
dell’organismo a  qualsiasi  stimolo  esterno  e  interno,  di  tale  intensità  da  
provocare  meccanismi  di  adattamento  e  riadattamento  atti  a  ristabilire  
l’omeostasi”.
In origine, quindi, si riteneva che lo stress fosse un semplice comportamento 
di risposta a uno stimolo quando questo minacciava di alterare l’omeostasi, 
l’equilibrio cui tende a mantenersi un organismo.
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La psicologia moderna, prendendo spunto da queste premesse, ha polarizzato 
la  propria  attenzione  sugli  aspetti  cognitivi  ed  emotivi  della  risposta  allo 
stress che si presenta in tal senso come unica, individuale, e legata al contesto 
storico del soggetto, alle sue caratteristiche di personalità, alle vicende della 
propria vita.
Esiste,  oramai,  un  ampio  consenso  sul  fatto  che  all’origine  dello  stress 
concorrano  una  molteplicità  di  fattori  come  la  risposta  fisica,  mentale  ed 
emotiva che ciascun individuo oppone all’incontro con stimoli ambientali o 
relazionali, come conflitti, tensioni, sollecitazioni etc. (Lodolo D’oria et al. 
2002).
Lo  stress  possiede  anche  dei  risvolti  positivi  in  quanto  rappresenta  uno 
stimolo all’azione, ma è soprattutto la capacità individuale di adattamento ad 
esso (reattività) a consentire la suddivisione degli episodi in  distress  (stress 
nocivi) e eustress (stress positivi).
Una  o  più  condizioni  stressogene  (distress),  se  particolarmente  intense  o 
protratte  nel  tempo,  possono  indurre  l’ormai  nota  Sindrome  del  Burnout.  
1
(Maslach, 1982).
1
 Il termine  traducibile in italiano come scoppiato, bruciato, esaurito, è un termine che 
compare per la  prima volta negli  anni Trenta nel  gergo dell’atletica professionale per 
indicare il fenomeno per il quale un atleta, dopo alcuni anni di successi, si esaurisce e non 
è più in grado di dare nulla dal punto di vista agonistico.
10
1.2. Il burnout
Il concetto di burnout apparve, originariamente, nelle opere dello psicologo 
clinico Herbert Freudenberger (1974) con la seguente definizione:
“Uno  stato  di  affaticamento  e  frustrazione  nato  dalla  devozione  ad  una  
causa, un modo di vita o una relazione che hanno mancato di riprodurre la  
ricompensa attesa”.
L’autore utilizzò il termine per descrivere una sindrome che caratterizzava il 
personale  di  istituzioni  socio-sanitarie,  una  condizione  sperimentata  dalle 
cosiddette  helping professions, cioè quelle professioni dedite all’aiuto degli 
altri come medici, infermieri e insegnanti.
Queste attività lavorative presentano problematiche diverse dalle altre, poiché 
hanno la finalità di soddisfare bisogni e richieste di pazienti o clienti, e questo 
comporta  l’utilizzo  non  solo  di  competenze  tecniche,  ma  soprattutto  il 
coinvolgimento di se stessi e delle proprie abilità sociali.
Freudemberger definì tali professioni come “worn out” (Byrne, 1998), cioè 
logorate,  non più  capaci  di  svolgere  adeguatamente  i  loro  compiti,  e  alle 
volte, addirittura, di avere cura dei loro utenti (Dworkin et al. 2003), infatti i 
professionisti apparivano depressi, isolati e affrontavano il proprio lavoro con 
cinismo, negatività e senza alcun interesse (Gates, 2007).
Successivamente  furono  proposti  differenti  modelli  per  spiegare  questo 
fenomeno,  tra  questi  quello  che  riuscì  a  imporsi  e  che  viene  tuttora 
riconosciuto dalla comunità scientifica è il Modello psico-sociale.
Rientrano in questo gruppo tutte le teorizzazioni che definiscono il burnout 
come  un  processo  di  reazione  negativa  al  lavoro  che  può  svilupparsi  in 
11
soggetti  che  non  riescono  ad  utilizzare  strategie  positive  di  coping  e  di 
interazione  con  la  propria  realtà  lavorativa.  Si  ricorda  a  tal  proposito  il 
modello proposto da Chermiss (1980) nel quale il burnout è descritto come 
una modalità di coping  utilizzata per difendersi da situazioni difficili  che 
porta  l’operatore  a  sviluppare  cambiamenti  negativi  del  proprio 
atteggiamento fino al ritiro emotivo e al disinvestimento del lavoro.
È in questo filone che troviamo i contributi di Cristina Maslach, psicologa 
sociale, che alla fine degli anni ’70, con il fine di indagare quali modalità 
venissero messe in atto in risposta a emozioni molto forti, condusse studi su 
alcuni  professionisti  dell’ambito  sanitario,  come  medici,  psichiatri  e 
infermieri (Maslach, 2004; Schaufeli & Enzmann, 1998).
L’autrice  constatò  che  se  alcune  situazioni  lavorative  potevano  sembrare 
gratificanti, altre invece, come il contatto con pazienti difficili o in fin di vita, 
erano fonte di stress e affaticamento.
Nell’esperire  tali  stress,  i  professionisti  apparivano emotivamente  logorati, 
esprimevano  un  interesse  molto  distaccato  nei  confronti  degli  utenti  e 
un’accentuata riduzione della realizzazione personale, vale a dire dubitavano 
delle proprie capacità.
Maslach realizzò, quindi, che lavorare in situazioni d’aiuto e di cura poteva 
rappresentare il focolare del fenomeno del burnout (Maslach, 2004). Queste 
conclusioni posero le basi per lo studio e la ricerca sul disturbo.
Ciò che bisogna ricordare, prima di affrontare in dettaglio il fenomeno,  è che 
quando  parliamo  di  burnout  non  ci  riferiamo  ad  un  sintomo  dello  stress 
lavorativo,  ma  al  risultato  finale  che  l’inadeguata  gestione  di  tale  stress 
determina (Altun, 2002).
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Tuttavia uno dei problemi che emerge nello studio del fenomeno, è che non 
esiste  ancora  una  definizione  di  burnout  che  sia  universalmente  accettata 
(Byrne, 1998).
Gli studiosi sono costretti, perciò, ad utilizzare quelle che Dworkin chiama 
“definizioni caratteristiche”. Tali definizioni non sono altro che un elenco di 
sintomi  riguardanti  un  particolare  disturbo,  nonché  alcune  cause  e 
conseguenze del fenomeno in esame.
Tuttavia  questo  genere  di  definizioni  porta  con  sé  numerose  difficoltà  e 
pericoli; Schaufeli ed Enzmann avvertono, infatti, come la lista dei sintomi 
identificati  per  il  burnout,   sia  tutt’altro  che  corta:  gli  autori  ne  hanno 
catalogati circa 132!  
Il rischio che si corre in questo caso è che con burnout si identifichi un po’ 
tutto e alla fine non significhi più nulla ( Schaufeli & Enzmann, 1998).
Detto  ciò,  quando  parliamo  di  burnout  ci  riferiamo  ad  uno  stato  di 
esaurimento fisico, mentale ed emotivo, caratterizzato da alienazione mentale 
e perdita di competenza ed empatia (Schaufeli & Peeters, 2000). 
Maslach e Leiter (1999) per meglio spiegare le conseguenze a lungo termine 
del  disturbo  parlano  di  erosione  dell’anima,  proprio  per  focalizzare 
l’attenzione  sul  logoramento  ed  esaurimento  psicologico  caratteristico  dei 
soggetti in stato di burnout; da ciò si deduce la natura del processo, inteso 
come processo di erosione psicologica (Hallman, 2003).
 Si parla di processo transazionale, invece, intendendo il burnout come un 
processo innescato da uno squilibrio tra risorse e richieste che perdura nel 
tempo, i  cui  esiti  sono sensazioni di  tensioni  e ansia e il  cambiamento di 
atteggiamento nei confronti degli utenti (Santinello, 2001).
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Tuttavia,   la  definizione  di  burnout  più  spesso  citata  è  quella  offerta  da 
Maslach e Leiter (1997):
“Burnout  è  una  sindrome  da  esaurimento  emotivo,  depersonalizzazione  e  
ridotta realizzazione personale che può verificarsi in soggetti che svolgono  
un determinato tipo di lavoro”.
 
1.2.1. Le dimensioni del Burnout
Esaurimento emotivo
E’ considerata la prima componente del burnout secondo Maslach. Si riferisce 
ai sentimenti di sentirsi svuotato rispetto alle risorse fisiche e psicologiche 
(Maslach,  2008).  Tale  caratteristica  fu  riscontrata  in  professionisti  che 
sembravano  non  presentare  adeguata  forza  personale  ed  emotiva  per 
compiere il proprio lavoro. La loro motivazione intrinseca era svanita, così 
come il loro zelo, entusiasmo, ideali e interesse; lo stesso valeva per la qualità 
e la quantità del loro lavoro (Maslach, Jackson & Leiter, 1996).
Inoltre, questi soggetti si presentavano come depressi, disillusi e scoraggiati.
Depersonalizzazione
E’ la  seconda  componente  del  burnout  e  ne  rappresenta  la  dimensione 
interpersonale (Maslach, 2008).
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 In questa condizione l’operatore cerca di evitare il coinvolgimento emotivo 
con un atteggiamento burocratico e distaccato o con comportamenti di rifiuto 
o palese indifferenza verso l’utente. Il distacco dai clienti, nonché il cinico e 
freddo  atteggiamento  non  sono  altro  che  un  tentativo  di  affrontare 
l’esaurimento e la delusione (Maslach, Jackson & Leiter, 1996).
La percezione nei confronti degli utenti è cinica e disumana caratterizzata da 
negativismo, pessimismo, ridotta empatia (Schaufeli & Enzmann, 1998). 
Questi lavoratori si sentono stancati dalle persone che hanno bisogno di cure, 
sostegno e attenzione; così come esperiscono ostilità anche rispetto a colleghi 
e supervisori (Taris, Van Horn, Schaufeli & Schreurs, 2004).
Realizzazione personale
E’ la terza componente del burnout nonché la dimensione di autovalutazione. 
Viene intesa  come la  fiducia  dell’operatore  nelle  capacità  di  continuare  il 
proprio lavoro e raggiungere risultati  positivi  (Maslach,  Jackson & Leiter, 
1996).
È  presente  in  misura  molto  ridotta  nelle  personalità  che  presentano  il 
disturbo, infatti si riferisce ai sentimenti di perdita di competenza, di risultati 
e produttività  dell’operatore nel lavoro (Maslach, 2008).
Le  tre  dimensioni  possono  essere  valutate  tramite  Il  Maslach  Burnout 
Inventory, il primo questionario relativo alla misura del burnout.
Inoltre, questo modello tridimensionale del disturbo deve la sua importanza al 
fatto  di  riuscire  a  collocare  l’individuale  esperienza  di  logoramento  nel 
contesto sociale del luogo lavorativo coinvolgendo non solo la concezione 
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che il soggetto ha di se stesso, ma anche quella che il soggetto ha degli altri  
(Maslach, 2008).
      Pertanto,  il  burnout  inteso  come  processo  nel  quale  un  professionista, 
precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo 
stress  e  alla  tensione  sperimentati  (Cherniss,  1983),  appare  come  una 
condizione  “inefficace  di  adattamento  a  uno  stress  individuale  eccessivo, 
caratterizzata  da  esaurimento  emotivo,  depersonalizzazione  e  ridotta 
realizzazione personale” (Maslach, 1997).
1.3.  Fattori individuali: la personalità del soggetto
Numerose ricerche hanno evidenziato come nell’insorgenza della sindrome 
un ruolo importante sia giocato dalla personalità del soggetto.
Data l’enorme varietà di tratti che determinano la personalità non è possibile 
individuare un “modello tipo” di soggetto a rischio di burnout: tuttavia,  si 
ritiene,  che  alcune  caratteristiche  di  personalità  (  Tabella  n.  1)  anche 
considerate  singolarmente,  possano  rendere,  in  determinate  circostanze, 
l’individuo più vulnerabile allo stress.
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