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Capitolo 1: consumi e globalizzazione 
1.1 Dal consumo dei pochi al consumo di massa: dal consumo dei bisogni a quello  
irraggiungibile dei desideri. 
Consumismo è un termine usato per descrivere gli effetti dell’identificazione della 
felicità personale con l’ acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali. 
Gli oggetti sono diventati talmente pervasivi nella nostra vita da sostituirsi 
progressivamente agli affetti e alle relazioni umane. Il consumismo è la manifestazione 
del bisogno cronico di acquistare continuamente nuovi prodotti e nuovi servizi con 
scarso riguardo all’effettiva necessità che si ha di essi, alla loro durata, alla loro origine 
e alle  conseguenze ambientali della loro creazione e smaltimento. Il materialismo è una 
variabile sociale fondamentale per comprendere le dinamiche consumistiche attuali. 
Consumare è la pratica sociale principale dell’attuale società ed è lo specchio che 
riflette l’immagine della indefinibilità ed eterogeneità dell’ epoca postmoderna e dell’ 
individuo urbano bombardato da migliaia di segni, simboli e stimoli: per rendersene 
conto basta osservare la mania per lo shopping e la smania odierna per gli acquisti.  
Con l’ avvento della globalizzazione si sguscia l’era del consumo di massa. La 
globalizzazione ha smantellato lo stato-nazione,  “costituito da un rapporto di potere di 
uomini su uomini, fondato sul mezzo dell’uso della forza legittima  e cioè considerata 
come legittima”, (Weber,1921, pp.396-402) e la società del consumo ha preso il posto  
della società razionale del xix secolo. All’ homo  Oeconomicus  smithiano  si 
sostituisce  l’ uomo del consumismo moderno  e l a società dell’800,  tecnologica, 
efficiente e razionale, in cui la figura della fabbrica dominava nell’immaginario 
collettivo, smette di esistere ed oggi è la post-modernità a risucchiare il mondo. E’ 
all’800 che bisogna però guardare per comprendere la società contemporanea. E’ 
infatti,  durante questo periodo, che appaiono per la prima volta spazi dedicati al 
consumo: i passage parigini. I passage parigini si offrono come luoghi dove trascorrere 
il tempo libero e dove consumare desideri e sono alla base dei centri commerciali 
odierni. I grandi magazzini nascono secondo la logica dei passage parigini. Le forme 
del sogno sono, quindi,  quelle rivenienti dal suo passato perché “ogni epoca sogna la 
successiva nella forma della precedente”, (Benjamin, 1982). Tuttavia c’è una differenza 
evidente tra i grandi magazzini e i passage parigini e consiste nel fatto che i passage 
sono rivolti ad una sola classe sociale dominante, la borghesia, mentre i grandi 
magazzini sono pensati come spazi per il consumo di massa. Si passa quindi da un
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consumo elitario- borghese ad un consumo globale: dal consumo dei pochi a quello di 
massa. Questo passaggio è di peculiare importanza: oggi cultura alta  e cultura bassa 
tendono a miscelarsi e scompaiono i confini tra cultura di elite e cultura popolare. L’ 
ibridazione del locale con il sovranazionale, l’ intreccio delle diversità e degli stili e 
l’impastarsi dei bisogni ai desideri  sono elementi centrali dell’ organizzazione caotica 
del consumo globale. I desideri diventano un nuovo criterio di scelta per il consumatore  
mettendo in crisi quello consolidato dei bisogni. In passato  il concetto di bisogno era 
principio fondante per comprendere le scelte consumistiche, mentre la categoria del 
desiderio era relegata ad una dimensione soggettiva e secondaria. Attualmente questa 
situazione sembra essersi capovolta e i desideri sono materia prima per la costruzione 
della domanda sociale. La domanda è divenuta volatile, mutevole, precaria e 
frammentata ma non per questo meno importante ed è in questa ottica che i desideri e i 
bisogni non sono più separabili. I desideri non possono essere più considerati una 
particolare sezione dei bisogni. I desideri, sommandosi, strutturano la domanda 
consumistica contemporanea e le esigenze del consumatore globale. A questo proposito 
è utile cogliere la differenza tra il bisogno e il desiderio. Essa consiste nel fatto che il 
bisogno ha un oggetto visibile (per esempio il cibo) ed è generalizzabile, mentre il 
desiderio non possiede un oggetto unico e universale. Il desiderio infatti fonde esigenze 
e sogni ed è diversificato a seconda di chi lo esprime. ”Il bisogno ha degli oggetti, il 
desiderio non ne ha. Il soddisfacimento del bisogno è tangibile, misurabile, si può 
valutare. Niente di tutto questo per il desiderio. Né soddisfacimento, né pause, ma una 
ricerca senza fine e senza oggetto reale”, (Chalas,1992, p. 155). I desideri non  
implicano il loro soddisfacimento, mentre i bisogni sono incentrati sulla risposta, è 
questa la notevole differenza tra una società dei bisogni e una società dei desideri. La 
società dei desideri corre verso una meta in continua ridefinizione, che muta a seconda 
delle circostanze e delle occasioni, una meta ossessivamente reinventata e ricostruita. 
La società di oggi è quella dei desideri. E’ la società che si desidera avere e quindi 
società dei pensieri. Immaginata prima e vissuta poi, reale in quanto dimensione fisica e 
irreale in quanti sfera cognitiva. “ Il desiderio diviene molla di comportamento, in vista 
del suo soddisfacimento, dell’individuo, il quale, distaccato da tutti gli altri, in una 
dinamica che vedrà una progressiva caduta dei meccanismi ideologici, una volta 
conseguito l’oggetto dei propri desideri, prima ancora di gustarlo, sarà nuovamente 
impressionato sul piano emotivo e attraversato dalle dinamiche del desiderio in un 
percorso inscindibile tra società e consumo che costituirà dunque esso stesso lo stimolo
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all’azione incessante degli uomini, meccanismo di strutturazione dei sogni e nello 
stesso tempo di una competizione senza fine”, (cit. Rauty).     
 1.2 La città comunica i consumi tra globale e locale 
Obiettivo ormai costante nella società post-contemporanea è la messa a valore del 
patrimonio architettonico, non come semplice reperto storico o monumento del passato, 
ma come nuovo elemento consumistico. Importante è innanzi tutto la fama e il nome del 
progettista: è’ l’era dell’architettura griffata. Le griffe progettuali danno valore aggiunto 
alle griffe del prodotto. Design e progetto devono contenere e comunicare la cifra, l’ 
identità del produttore  e valorizzare la merce prodotta. Alcuni grandi produttori si 
avvalgono, cosi, delle firme di noti architetti: “come Luca Cordero di Montezemolo, 
proprietario della Ferrari, che utilizza la firma del conosciuto architetto Renzo Piano per 
rafforzare il marchio dell’automobile”, (Amendola, 1997, p. 84). Le catene di 
franchising, banche, hotel, ristoranti  propongono modelli architettonici e stilistici in 
grado di trasmettere e far comprendere velocemente all’ eterogeneo ed immenso  
pubblico sociale la propria funzione, essenza e il proprio fine. Comunicare con il 
consumatore, attirarlo e sedurlo  è essenziale e l’architettura diviene strumento di 
comunicazione e seduzione. Luogo centrale della seduzione è la città post- 
contemporanea. E’ nella città  del terzo millennio che l’ architettura prende piede ed  e’ 
la città ampolla del consumo. La città consumistica per antonomasia è quella post-
contemporanea: “sistema anarchico ed arcaico di segni e di simboli”, 
(Harvey,1990,p.83). Consumare è un imperativo che riguarda  non solo l’ ambito 
economico ma anche quello etico. Il rapporto tra consumo, città  e  architettura  diviene 
sempre più stretto:  basta pensare al video gioco SimCity  dove si possono costruire 
edifici, strade e piazze, inventando la propria città personalizzata. “ Chiunque può con 
un PC ed un software da sessanta dollari –SimCity- inventare e far vivere una città. Può 
scegliere le forme architettoniche, gli schemi urbanistici, i livelli di qualità della vita, i 
tipi di economia, i regimi politici. La città reale può essere oggetto di simulazione come 
la SimCity del gioco“, (Amendola, 1997, p. 32). Il cittadino postmoderno vuole una 
città su misura e desidera consumare velocemente e senza ostacoli  territori e spazi della 
città. La centralità urbana è sempre più segnata dal consumo e il centro e le periferie 
nascono e muoiono secondo logiche consumistiche. E’ la nuova città che comunica 
attraverso l’architettura, edifici, strade, negozi e  insegne, cosa consumare, perché 
consumare, dove consumare, in che ore consumare e cosa desiderare di consumare.
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Sembra  ormai che il modello della city comunicativa  sia  presente un po’ ovunque, in 
diversi paesi e continenti e pare esserci una forte somiglianza tra le diverse realtà urbane 
presenti nel globale: la nuova domanda sociale rivolta  alla città e le nuove forme di 
socializzazione nei confronti del postmoderno tendono in tutto il mondo ad omologarsi. 
Nelle metropoli odierne sfocia e diviene visibile la contemporaneità. La città  
postmoderna è intellettualmente  coerente con la società del terzo millennio: essa è  
espressione stessa della società e contenitore delle nuove forme di mobilità sociale, dei 
rapporti di network e degli intrecciati  sentieri consumistici. Ne deriva che la città ”si  
presenta insieme come un sistema territoriale locale e nodo di reti globali. Si nutre e 
vive di due spazialità, diverse e per certi aspetti tra loro contraddittorie, quella fisico 
territoriale della vita e delle interazioni di prossimità e quella sovra locale, virtuale, 
topologica dei flussi e delle reti”, (Fiorani, 2005, p.11). La città si pone cosi come 
nuovo luogo  di osservazione, per  comprende, partendo dal locale, tendenze sociali 
universali ed esigenze consumistiche globali. Essa diviene  il primo testo da sfogliare, 
dove si possono leggere comportamenti micro-interattivi  e analizzare dinamiche macro 
strutturali. “La città è il microcosmo nel quale si riflettono, spesso in anticipo sulle 
manifestazioni contemporanee, i mutamenti che si stanno determinano nel 
macrocosmo”, (cit. Park, 1936).  
1.3 La città comunicativa dal barocco al terzo millennio 
Come appena detto, la città si avvale dei disegni architettonici e della sua composizione 
urbanistica per parlare il linguaggio consumistico di massa. L’ architettura 
comunicativa, però, non è una tecnica o uno strumento utilizzato solo dalla città della 
globalizzazione,  ma  già  nel periodo barocco, l’architettura delle città, aveva lo scopo 
di rappresentare e di legittimare, attraverso imponenti monumenti, il potere  del principe  
o della chiesa. L’ arte dello stupire era una prerogativa necessaria per legittimare il 
potere e le parate e le feste barocche simulavano, attraverso il ballo e le maschere, la 
realtà esistente, incentrata sulla separazione dei ricchi dai poveri. “Tutto il mondo è 
teatro” era un espressione utilizzata per additare la società del tempo. La logica della 
città-teatro  è uno dei fattori principale che definisce la forma della città occidentale 
odierna. I palcoscenici della città contemporanea derivano esplicitamente dai 
palcoscenici urbani barocchi. La città nuova riprende dal barocco l’ importanza della 
finzione e della rappresentazione quotidiana e, quindi,  la specificità dei luoghi 
metropolitani come zone di recitazione sociale. La megalopoli globale è l’ erede diretta
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delle maschere barocche. Tuttavia la società del consumo, della telematica e delle reti 
digitali differisce, per alcuni aspetti, da quella precedente. Le griffe architettoniche 
odierne non legittimano nessun tipo di potere, ma inviano, informano, lanciano e 
trasmettono continui, indefiniti  ed inarrestabili segnali consumistici: basta pensare al 
moderno design degli hotel di lusso, con suite super costose ed extra accessoriate e 
attentamente disegnate, presenti nella stragrande maggioranza della capitali mondiali. 
La volontà di piacere e consumare si sostituisce alla volontà di potere e di 
riconoscimento propria del  barocco seicentesco. E’ diversa, anche, la concorrenza 
sempre più intensa tra  marche, forme comunicative,  progettisti e immagini: non è solo 
importante stupire, bisogna anche essere ricordati. Le applicazioni consumistiche 
devono colpire e nello stesso tempo diventare familiari: tutto deve essere riconoscibile e 
riconducibile al marchio (l’ arredo del esercizio, la strada in cui si trova, chi lo ha 
progettato, chi lo ha pubblicizzato, ecc.). Le citazioni, le firme dei creatori e i nomi dei 
pubblicisti vengono utilizzati, sempre più spesso, dalle multinazionali, da imprenditori, 
proprietari e giovani manager per dialogare, in maniera socialmente efficace, con il 
pubblico dei desideri: questi elementi aumentano il valore del prodotto rappresentando  
un segno di distinzione sociale e di competizione tra corporation, imprese e aziende. 
Inoltre, muta la realtà sociale e con essa valori, norme, ruoli e forme di socializzazione: 
nell’ epoca barocca la realtà  era raffigurabile, mentre in quella post-barocca il problema 
della raffigurazione è elemento centrale. La grande metropoli sfugge ad una lettura di 
insieme, si sottrae a qualsiasi tipo di categorizzazione o riassunto e le identità non si 
presentano immediatamente visibili. Le sue multi- dimensioni creano zone dove spazio 
e tempo tendono a comprimersi fino ad annullarsi: è la città locale e globale, organica e 
digitale, dove convivono passato e presente, “nella città nuova tutto è presente e 
contemporaneo in quanto non esiste più il passato  e non esiste più la distanza”, 
(Amendola,1988, pp.. 32-48). Il frammentario, il relativo e il temporaneo sconvolgono 
la centralità spaziali e sbriciolano la realtà visibile sconfinando nell’invisibilità globale. 
E’ questa la caratteristica distintiva della città post-contemporanea. E’ una città fatta di 
architetture dinamiche, in continua ricostruzione e rivalutazione, differente rispetto 
all’architettura pre moderna. Ed è questa nuova architettura che rispecchia l’ elasticità e 
l’ indeterminatezza  delle megalopoli moderne: la città dei re e della chiesa era statica, 
imponente e di pochi. Nella epoca del post-duemila, invece, tutti possono vivere la città, 
modificando e rimodellando la sua cartina territoriale, plasmando nuovi sentieri e 
costruendo nuove coincidenze: frequentare night o pub, periferie o centri storici, andare
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al cinema o al teatro, utilizzare i mezzi di trasporto o  l’automobile, ecc. E’ questo mix 
di opportunità e scelte a tessere la ragnatela a luci infrarosse dei percorsi globali. Lo 
spettatore passivo barocco lascia il posto all’attore confuso postmoderno: non è un caso 
che ”un numero crescente di individui, in particolare giovani, considera se stesso alla 
stregua di un attore e la propria vita un opera d’ arte in via di realizzazione”, ( Rifkin, 
2000, p.258).  Ognuno ritiene di avere gli strumenti culturali, o quantomeno il diritto, di 
dire la propria. Qualsiasi cosa viene tematizzata e messa in discussione, la politica, l’ 
arte, l’estetica, la morale, la religione, ecc. Si perde il confine tra attore e platea e questo 
lascia il posto ad un plebiscito di azioni, opinioni, impressioni e idee spontanee o 
intenzionali, molteplici, soggettive, incoerenti e incontrollate: l’incontrollabilità è un 
nodo intrecciato che unisce e soffoca la società delle differenze. L’ individuo post-
contemporaneo è un attore abituato ad indossare maschere e costumi sempre differenti 
e, a volte, in contrasto tra loro: “l’individuo postmoderno è militante per se stesso” e la 
città nuova esprime abbastanza chiaramente la difficile vicenda del problema 
dell’identità dell’uomo contemporaneo, (Bauman,1996, pp. 18-36). La prevedibilità e la 
banalità scompaiono nelle città-teatro. I ruoli della rappresentazione teatrale sono 
molteplici, precari, fruibili, riadattabili a seconda delle situazioni e dei contesti. Il nuovo 
protagonista metropolitano, per sopravvivere socialmente, deve sapere interpretare più 
copioni e recitare  più parti. Il suo repertorio deve essere ampio e facilmente applicabile 
alle svariate situazioni. La  quotidianità  del cittadino-attore è dettata da questa fruibilità 
e dai variopinti costumi che veste: “il  sé non è qualcosa di organico che abbia una sua 
collocazione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere, maturare e morire; 
è piuttosto  un effetto drammaturgico che emerge da una scena che viene 
rappresentata”, (Goffman, 1969).  La  città teatro di Goffman è  molto più  
individualista, complessa e diversificata rispetto a quella dei secoli precedenti. Nella 
città universale si inalano gusti e sensazioni  inusuali rispetto al passato, si impastano 
culture e religioni indefinite, immagini pubblicitarie e personaggi pirandelliani : ”la città 
è certamente il luogo dove si dà spettacolo, l’espressione immaginale più sfrenata”, (cit. 
Maffesoli). Non solo si perde la distinzione tra attore e platea, ma sfuma anche il 
confine  tra rappresentazione teatrale  e realtà sociale, tra palcoscenico e dietro le quinte, 
si disgrega la barriera sociale tra ribalta e retroscena, (Goffman, 1963).