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non possono essere generalizzati all’intera popolazione
adolescenziale.
Com’era facile aspettarsi non esistono delle differenze
di “tratti di personalità” tra i ragazzi, ciò che li
contraddistingue è, perlopiù, il contesto socio-familiare
all’interno del quale vivono. Si parla di famiglie disagiate o
monoparentali in cui i rapporti risultano essere fortemente
compromessi e caratterizzati da poco affetto,
disapprovazione e stili educativi coercitivi e/o autoritari.
Un dato particolarmente interessante è la composizione
dei gruppi dei pari in cui questi ragazzi sono inseriti, che
risultano tra loro molto diversi.
Parliamo, infatti, di “gruppi violenti” per i penali;
“compagni di bravate” per gli amministrativi e “compagni”
per il gruppo di controllo.
È emerso, inoltre, un diverso atteggiamento dei ragazzi
nei confronti degli “operatori sociali” con cui, a vario titolo,
hanno a che fare.
“…I ragazzi penali si mostrano ben disposti a ricevere
aiuto esterno, mentre gli amministrativi, chiusi in sé stessi,
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estremamente diffidenti, preferiscono cavarsela da soli…”
(Lucà Trombetta, 2005, pag. 110).
Non si può comunque attribuire tutta la responsabilità
alla società,
né si può concludere che l’essere devianti sia una “scelta di
vita”! E’ più opportuno considerare la devianza come un
fenomeno multifattoriale.
Tanto si è detto sui fattori di “rischio” e
sull’opportunità di eliminarli per prevenire il fenomeno. Ma
“…la protezione non è evitare il rischio quanto piuttosto
imparare a starci dentro…” (Rutter, 1987,pag. 318).
La capacità di “resistere” alle avversità della vita,
superarle e uscirne fortificati è stata definita resilienza.
La letteratura ha dimostrato che un’eccessiva
protezione fa poco per sviluppare la resilienza (Olsson, Bond
et al.,2003).
Il concetto di resilienza, pur non escludendo
l’importanza dei fattori di rischio, suggerisce da un lato la
presa in carico della persona, e dall’altro la ricerca di fattori
di protezione a partire da un trauma.
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La resilienza è strettamente legata al contesto
ambientale. In base al trauma, alla cultura di riferimento, si
possono pensare e proporre strategie d’intervento.
Promuovere i fattori di resilienza significa fornire agli
adolescenti
degli strumenti adeguati per poter, all’interno del loro
contesto socio-culturale, rispondere a eventuali situazioni di
disagio.
La resilienza riconosce la persona nella sua unicità,
riponendo fiducia nell’individuo e nella comunità (Malaguti,
2003).
È proprio l’idea di “dare fiducia” ai “protagonisti” di questi
studi che, unita all’esperienza del tirocinio post-lauream in un
progetto di recupero della marginalità sociale, mi ha spinto a
“sperimentare” sul campo metodologie e interventi mirati a
promuovere la resilienza.
Parlare di prevenzione oggi rappresenta una scommessa
importante, soprattutto in un momento in cui anche la
Giustizia sembra interrogarsi sulle strategie più adatte per
rispondere alle esigenze della società.
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In che modo si sta passando da un modello di giustizia
retributiva ad uno riparativo? Quanto tutto questo trova
applicazione nelle aule di tribunale? E cosa possiamo fare
per contribuire alla rivoluzione culturale proposta dal
cambiamento di prospettiva?
La priorità accordata dal modello di giustizia riparativa
alle conseguenze del danno causato da un illecito, piuttosto
che alle pene adeguate per i colpevoli, agli occhi
dell’opinione pubblica, potrebbe sembrare una vera e propria
ingiustizia! In realtà la letteratura recente dimostra quanto
questo nuovo atteggiamento giuridico punti alla
responsabilizzazione degli autori di reato, scommettendo
sulla loro risocializzazione (Patrizi; De Leo; 2002).
Durante il tirocinio ho avuto l’occasione di partecipare
alle attività proposte all’interno del progetto Radici. Questo
progetto punta alla riqualificazione di alcune aree del
territorio Messinese, insistendo sulle risorse presenti e
responsabilizzando la comunità di riferimento.
Il confronto costante con gli operatori e lo scambio con
gli utenti mi ha permesso di crescere professionalmente e mi
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ha arricchito umanamente dandomi l’opportunità di riflettere
sulle responsabilità che ha chi lavora nel sociale.
Fare prevenzione non è semplice, ma risulta possibile
se si lavora in equipe con professionalità ed impegno.
Il presente contributo vuole essere anche la
testimonianza di un intervento che, iniziato nel 2005, sta
contribuendo alla realizzazione di “alternative possibili” in
un contesto socio-culturale in cui esistono poche opportunità
“altre”.
Nella prima e seconda parte del lavoro ho ripreso
brevemente alcune delle caratteristiche degli adolescenti e,
dopo un sintetico excursus sulle teorie criminologiche sulla
devianza, ho presentato il modello della giustizia riparativa,
sottolineando come questa diventa operativa attraverso la
mediazione e la prevenzione.
Nella seconda parte ampio spazio viene dato alla
spiegazione del “Progetto Radici” dando “voce” ai suoi
protagonisti.
Tanti sono gli interventi possibili ma, a mio avviso, è
fondamentale puntare sulla responsabilizzazione degli
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individui, ponendosi non come “portatori di saperi” ma,
semplicemente, come “compagni di viaggio”, con la
consapevolezza però che non basta un “buon progetto” per
risolvere il problema della devianza!
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CAPITOLO 1
La devianza in adolescenza
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1. Adolescenza: alcune caratteristiche
“…arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione, e adesso è questo giorno di
monsone col vento che non ha una direzione,guardando il cielo un senso di
oppressione, ma è la mia età dove si sa come si era e non si sa dove si và, cosa si sarà;
che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto, e
attraverso questo vetro vedo il mondo come una scacchiera dove ogni mossa che io
faccio può cambiare la partita intera. Ed ho paura di essere mangiato ed ho paura
pure di mangiare e mi perdo nelle letture ,…,galleggio alla ricerca di un me stesso con
il quale poter dialogare ma questa linea d’ombra non me lo fa incontrare...(Jovanotti,
1997)”
Jovanotti (1997), come numerosi altri artisti e scrittori, dedica una
canzone a quella particolare fase di vita, l’adolescenza, caratterizzata da
grande confusione e voglia di fare.
Come ho sottolineato, nel precedente studio, essa è di per sé un
processo di crescita difficile.
L’adolescenza, infatti, è sovente descritta come un periodo di grandi
e repentine trasformazioni in cui l’individuo è impegnato ad affrontare
compiti evolutivi specifici (Havighurst 1952, Erikson 1968, Coleman
1990, Palmonari 1997).
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La ricerca di una identità, i cambiamenti fisici, i nuovi interessi
personali e la costante ricerca dell’indipendenza rappresentano alcuni dei
“compiti di sviluppo universali”. Questi si definiscono per ogni ragazzo in
funzione dei propri rapporti familiari, sociali e contestuali (Palmonari,
1997).
I ragazzi cominciano a “scoprire” nuove emozioni, sensazioni che
condividono in “luoghi-altri” dalla famiglia.
Il gruppo dei pari rappresenta, quindi, un importante strumento di
crescita in cui l’individuo ha la possibilità di esprimersi in modo autonomo
dalla famiglia e di sperimentare il proprio senso di autoefficacia.
Le strategie di “coping” rappresentano un altro strumento che gli
adolescenti hanno per “far fronte a” tutte quelle situazioni problematiche
che si trovano ad affrontare. La letteratura ha evidenziato che queste
strategie di coping risultano stabili nel tempo (Seiffge-Krenke, 1984).
L’adolescente che vive con successo la ristrutturazione del sé ne
acquisisce un concetto chiaro , che è alla base dell’identità.
In generale è stato accertato che la maggior parte dei ragazzi affronta
con successo i compiti di sviluppo tipici di questa età (Bonino,1997).
Questo ciclo di vita, pertanto, potrebbe essere considerato un vero e
proprio “trampolino di lancio”, un’opportunità che permette ad ogni
ragazzo di essere pronto per affrontare le responsabilità della vita da adulti.
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La possibilità di affrontare con successo questo periodo di vita è
legato al contesto sociale entro cui il ragazzo cresce. Non tutti gli
adolescenti possono contare su figure di riferimento che fungano da guida
in questo percorso (Berti, 1991).
lcuni ragazzi possono trovarsi disorientati, privi di qualsiasi forma di
sostegno, e soli non riescono a superare con successo la “crisi
adolescenziale”.
I vissuti d vuoto e di solitudine rendono più fragile il ragazzo che
potrebbe, più facilmente di altri, farsi trasportare dai coetanei. Se il gruppo
di amici che frequenta risulta essere un gruppo “sano” l’adolescente riesce
a superare le proprie difficoltà; se, invece, a questo si sostituisce un
“gruppo violento” è più facile incorrere in percorsi devianti
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Per un approfondimento sull’importanza del gruppo dei pari nei percorsi di crescita difficili si rimanda
al precedente lavoro: Comportamenti a rischio negli adolescenti: una indagine con il MMPI-A, Il gruppo:
luogo del possibile pag.38.