Introduzione  
La simulazione della risposta non lineare di un sistema strutturale sog-
getto ad azione sismica è uno fra i più importanti obiettivi dell’odierna 
ingegneria sismica strutturale. I terremoti intensi deformano la struttu-
ra oltre i limiti convenzionali di elasticità dei singoli elementi che la 
compongono con una escursione a carattere ciclico. La conoscenza delle 
zone “preferenziali” della struttura nelle quali si prevede la concentra-
zione di deformazione, e dunque di dissipazione energetica, consente un 
progetto mirato a contenerne nel modo più sicuro ed efficiente il dan-
neggiamento progressivo e quindi ad assicurarne un livello di sicurezza 
idoneo alla destinazione d’uso. In queste zone avviene quella che comu-
nemente è denominata “plasticizzazione”.     
La risposta del sistema strutturale è pertanto fortemente condizio-
nata dal comportamento in ambito non lineare delle parti degli elementi 
strutturali che si “plasticizzano” durante il sisma. Nell’ottica di una 
formulazione analitica della risposta strutturale la maggiore difficoltà 
sta nel carattere ciclico delle escursioni in campo non lineare: un model-
lo numerico che sia accurato ed efficiente deve essere in grado di coglie-
re il comportamento isteretico dei materiali utilizzati e di tener conto 
dei fenomeni di degrado progressivo nei cicli di carico, scarico e ricarico, 
sia in termini di rigidezza che di resistenza.  
Lo studio presente in questa tesi è pertanto volto alla definizione, 
attraverso il software OpenSees, di un elemento beam-column da utiliz-
zare per la simulazione della risposta non lineare di strutture in c.a. che 
sia in grado di cogliere i fenomeni che maggiormente condizionano il 
comportamento non lineare, quali ad esempio il confinamento del calce-
10  Introduzione 
 
struzzo ad opera delle armature trasversali, il degrado della resistenza e 
rigidezza, la fessurazione, l’instabilità a compressione delle armature 
compresse e la rottura per fatica ciclica delle barre. 
In particolare il modello a fibre si candida ad essere il miglior com-
promesso tra facilità di implementazione e accuratezza dei risultati spe-
cie se applicato ad un elemento beam-column la cui formulazione è ba-
sata sulla flessibilità. 
Attraverso la simulazione di prove sperimentali condotte su singoli 
pilastri soggetti a carichi ciclici e tramite il confronto dei risultati nu-
merici di tali simulazioni con i risultati sperimentali riportati in lettera-
tura, si è verificata l’attendibilità e la precisione raggiungibile con le 
applicazioni che utilizzano tale modello numerico.  
La buona corrispondenza raggiunta tra i risultati numerici e quelli 
sperimentali ha rappresentato infine la base per il progetto di future 
campagne di indagini sperimentali, da svolgere presso il Laboratorio Uf-
ficiale Prove Materiali del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambien-
tale (DICA), volte allo studio del comportamento non lineare di pilastri 
in c.a. quando questi sono armati con acciai aventi differenti proprietà 
meccaniche.
Capitolo 1  
IL MODELLO A FIBRE   
1. Introduzione sui modelli analitici  
In letteratura esistono differenti modelli numerici, sviluppati nel 
corso degli anni e ad oggi in continua evoluzione, che consentono di ri-
solvere il problema della modellazione del comportamento non lineare in 
modo più o meno preciso e quindi a spese di alti o bassi oneri computa-
zionali. Vale comunque la semplice regola per la quale al maggiore gra-
do di precisione del modello numerico corrisponda sempre un aumento 
notevole dei parametri da gestire (resistenze dei materiali, aderenza, 
instabilità, fatica, degrado, fessurazioni, ecc.), con la conseguenza di un 
alto rischio di ottenere un risultato poco affidabile, per quanto possa es-
sere preciso. Di contro modelli meno accurati richiedono pochi parametri 
e nella maggior parte dei casi procurano un risultato affidabile anche se 
non molto preciso. 
Tali modelli, formulati nel corso degli ultimi decenni per simulare il 
comportamento non lineare delle strutture in calcestruzzo armato, si 
possono raggruppare in tre categorie, distinte per ordine crescente di 
grado di precisione e complessità (Taucer et al.
32
):  
 Modelli Globali: la risposta non lineare della struttura è con-
centrata a dei gradi di libertà prescelti. Per esempio, per un 
edificio multipiano la risposta è rappresentata assegnando 
un grado di liberta ad ogni impalcato in direzione orizzonta-
le. Per ciascuno dei gradi di libertà è assegnata una legge ta-
12 Capitolo 1 
 
glio di piano-deriva di piano con andamento isteretico. L’uso 
di questo modello è plausibile in fase di predimensionamento 
del telaio in quanto consente di avere una stima della mas-
sima deriva e della richiesta di duttilità. 
 Modelli agli elementi finiti discreti: la struttura è modellata 
come un insieme di elementi collegati tra loro (elementi 
beam-column), dotati di una propria formulazione capace di 
coglierne il comportamento isteretico medio, cioè relativo alla  
sezione. Sono possibili due tipi di formulazione: a) non linea-
rità concentrata (lamped nonlinearity), b) non linearità dif-
fusa a tutto l’elemento beam-column (distribuited nonlinea-
rity member models). 
 Modelli agli elementi finiti: travi, pilastri, nodi, ecc. sono di-
scretizzati in un elevato numero di elementi finiti ed il com-
portamento non lineare dei materiali è assegnato al livello di 
legami tensione-deformazione. Con questi modelli è possibile 
tener conto dei fenomeni locali quali ad esempio del confi-
namento, della perdita di aderenza della barra con il calce-
struzzo, delle fessurazioni, di fenomeni particolari quali 
creep, temperatura, ecc).      
Generalmente con il secondo tipo di modellazione si ottengono dei 
risultati che sono il miglior compromesso tra semplicità ed accuratezza 
per l’obbiettivo posto, cioè la simulazione della risposta sismica di una 
struttura in c.a., in quanto riesce a fornire informazioni relative 
all’escursione in campo non lineare relativo al singolo elemento struttu-
rale (ad esempio una trave o un pilastro). Il terzo tipo di modellazione è 
ancora oggi proibitivo per la simulazione di intere strutture per via degli 
alti oneri computazionali richiesti al calcolatore, ma lo si utilizza per 
studiare fenomeni “locali” che interessano porzioni limitate della strut-
tura (ad esempio i nodi trave pilatro, le zone critiche delle travi e dei pi-
lastri, fenomeni particolari: fessurazione, aderenza barra – calcestruzzo, 
ecc.). Nel seguito si focalizzerà l’attenzione sui modelli discreti.
Il Modello a fibre 13 
2. Modelli agli elementi finiti discreti 
Da un punto di vista cronologico i primi sviluppi riguardavano i 
modelli a plasticità concentrata ai quali successivamente seguirono 
quelli a plasticità diffusa. Il comportamento non lineare delle strutture 
intelaiate si localizza agli estremi di travi e pilastri, pertanto uno dei 
primi approcci con questi metodi fu quello di ipotizzare cerniere agli 
estremi degli elementi beam-column modellate come molle non lineari.  
Nei casi più complessi si aumentava il numero di molle nella cerniera in 
modo da caratterizzare più non linearità (flessione, flessione biassiale, 
taglio, sforzo normale, ecc). Uno dei primi modelli che effettivamente  
poteva essere adattabile alle strutture in calcestruzzo fu introdotto da 
Giberson (1967); esso sostanzialmente si compone da un elemento a 
comportamento elastico con due molle rotazionali non lineari agli 
estremi. Il comportamento non lineare della trave veniva pertanto “trat-
tato” dalle molle, assegnando ad esse a priori una appropriata legge 
momento-rotazione in grado di rappresentare, teoricamente, anche il 
comportamento isteretico del calcestruzzo armato.  
Si è pertanto assistito ad un continuo sviluppo e miglioramento di 
relazioni costitutive per le cerniere plastiche in modo da renderle in 
grado di cogliere un numero sempre più alto di fenomeni 
28,32
: degrado 
ciclico della rigidezza per flessione e taglio (Clough e Benuska 1966, Ta-
keda et al. 1970, Brancaleoni et al. 1983), fenomeno del “pinching” (Ba-
non et al. 1981, Brancaleoni et al. 1983), rotazioni rigide ai nodi per 
perdita di ancoraggio delle barre (Otani 1974, Filippou e Issa 1988). In-
tegrazioni successive ebbero lo scopo di generalizzare il comportamento 
della cerniera plastica ad esempio introducendo l’interazione sforzo 
normale – momento flettente (Hilmy e Abel 1985, Powel e Chen 1986). È 
interessante notare il modo in cui il modello di Lai et al. (1984) distin-
gua le non linearità delle barre di acciaio da quella del calcestruzzo
34
: 
alle estremità si hanno dei tratti non lineari (inelastic element) a cui si 
collegano due tipi di molle, distinte cioè per il calcestruzzo (una sola 
molla centrale)  e per i ferri da disporre ai quattro angoli; questa formu-
lazione consente l’interazione con lo sforzo normale.
14 Capitolo 1 
 
 
Figura 1. Modello elemento beam - column a plasticità concentrata (Lai et al. 1984) 
 
Il vantaggio dell’uso delle cerniere plastiche sta nella sua semplicità 
grazie alla quale il numero di dati è ridotto, con risparmio notevole di 
oneri computazionali, garantendo inoltre un’analisi molto stabile dal 
punto di vista numerico. D'altronde per taluni aspetti rappresenta una 
eccessiva semplificazione rispetto agli elementi reali in c.a.
34
: 
 Le cerniere plastiche hanno lunghezza nulla mentre nelle 
strutture reali si assiste ad una “diffusione” della plasticità 
anche alle sezioni adiacenti a quelle terminali.  
 La loro posizione nell’elemento deve essere fissata a priori. 
 È necessario definire per ogni cerniera uno o più legami co-
stitutivi in grado di evidenziare i vari aspetti del comporta-
mento ciclico delle membrature. Tuttavia tali leggi sono for-
temente influenzate dalla storia di carico e dalle precedenti 
escursioni in campo inelastico, e richiedono una preliminare 
“taratura”.
Il Modello a fibre 15 
Altri autori (Taucer et al.
32
) evidenziano infatti la stretta relazione tra i 
parametri che definiscono le leggi costitutive delle cerniere plastiche con 
la legge di carico e il livello di deformazioni inelastiche. Questa modella-
zione, inoltre, non è in grado di rappresentare in modo soddisfacente il 
comportamento softening del calcestruzzo.  
Una ulteriore classe di modelli a plasticità concentrata sono i mo-
delli con danno (damage model) che sono stati originariamente svilup-
pati per analisi di strutture in calcestruzzo o in acciaio soggette a cari-
chi ciclici o sismici. Il principio di funzionamento si basa 
sull’introduzione di un indice di danno, determinato in funzione della 
dissipazione energetica. Come anche specificato da Valipour H. R.
34
, re-
centemente questi modelli sono stati combinati con quelli classici basati 
sulle leggi della plasticità con il risultato di modelli ibridi in grado di es-
sere utilizzati anche per la simulazione del collasso progressivo di telai 
multipiano (es. nel caso delle demolizioni). 
2.1. Sistemi a non linearità continua 
I modelli a plasticità diffusa, o a non linearità continua, sono una 
evoluzione dei precedenti modelli in quanto il comportamento inelastico 
può prendere piede in una generica sezione dell’elemento strutturale. 
Dal punto di vista numerico, il generico elemento si modella discretiz-
zandolo in un numero finito di sezioni posizionate in determinati punti 
(denominati punti di controllo o di integrazione) e la risposta si ottiene 
tramite integrazione numerica “pesata” nelle singole sezioni della stes-
sa. Il comportamento non lineare della singola sezione può essere deri-
vato con la teoria classica della plasticità, ragionando in termini di ri-
sultante delle tensioni o deformazioni oppure derivata direttamente per 
mezzo di una discretizzazione in fibre della sezione.  
Anche per questi modelli si è assistito ad una evoluzione passando 
da modelli poco accurati (Otani, 1974), che approssimavano l’elemento 
beam-column come due mensole speculari unite a cui vengono assegnate 
agli estremi liberi le leggi costitutive in termini di spostamento e rota-
zione, ma che tuttavia non erano generali in quanto le deformazioni ine-
lastiche erano sempre dovute a molle non lineari alle estremità, a mo-
delli meno semplificati (Soleimani 1979, Meyer 1983), nei quali le zone
16 Capitolo 1 
 
con deformazioni inelastiche si estendono gradualmente in base alla 
storia di carico mentre la presenza di cerniere agli estremi serve solo a 
considerare le rotazione rigida all’interfaccia trave-pilastro con il nodo.  
Questa tipologia di modello fu successivamente ampliata introdu-
cendo l’effetto dello sforzo assiale e del taglio sul comportamento istere-
tico delle zone inelastiche (Roufaiel e Mayer 1987). Fra i primi modelli 
rientrano quelli che si basavano su una suddivisione dell’elemento in 
sub-elementi ciascuno dei quali è idealizzato come una molla non linea-
re rappresentante uno specifico comportamento, come ad esempio la 
flessione, il taglio e la perdita di aderenza delle barre (Takayanagi e 
Schnobrich 1979, Filippou e Issa 1988). 
La formulazione dell’elemento beam-column a plasticità continua 
può seguire due approcci, l’uno il duale dell’altro: 
 Formulazione basata sugli spostamenti, o sulla rigidezza 
 Formulazione basata sulle forze, o sulla flessibilità 
Nella prima si introducono nel problema delle funzioni di forma che 
interpolano gli spostamenti nodali dell’elemento, mentre nel metodo del-
la flessibilità si utilizzano delle funzioni di forma interpolanti le forze 
nodali. È da sottolineare, infine, che in letteratura sono presenti anche 
metodi misti che utilizzano entrambe le interpolazioni (Zienkiewicz e 
Taylor, 2000).  
Nei paragrafi successivi si illustreranno i principi che stanno alla 
base delle due formulazioni introdotte in modo da chiarirne le differenze 
che si ottengono quando queste sono applicate a casi concreti. A tale 
scopo si introduce il generico elemento beam-column da prendere come 
riferimento per tutte le successive considerazioni e la cui rappresenta-
zione si trova in Figura 2: esso è orientato arbitrariamente nello spazio 
e si ipotizza che i gradi di libertà ad ogni nodo siano sei e che le defor-
mazioni consentite siano solo quelle dovute a flessione e a sforzo assiale. 
In Figura 2 sono indicati, inoltre, il sistema di riferimento globale XYZ 
ed il rispettivo riferimento locale all’elemento xyz: l’asse x coincide con 
l’asse baricentrico dell’elemento. Sono illustrati gli spostamenti nodali e 
le corrispondenti forze nodali, in particolare: u,v,w sono gli spostamenti 
mentre x, y, z sono le rotazioni orientate secondo le direzioni del
Il Modello a fibre 17 
sistema di riferimento locale; inoltre N, V, T rappresentano 
rispettivamente la forza assiale, le forze di taglio e la coppia torcente. Il 
tutto si può raggruppare in forma vettoriale definendo il vettore degli 
spostamenti, d, e delle forze nodali, f, che possono essere definiti nel 
modo seguente: 
,
TT
A B A B
d = [d d ] f = [f f ] 
cioè separando per comodità le quantità relative ai nodi A e B 
dell’elemento: 
1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 2
,
TT
x y z x y z
u v w u v w           
   
AB
dd 
1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 2 2
,
TT
y z x y z y z x y z
N V V T M M N V V T M M     
   
AB
ff
Per semplicità di trattazione si considera che la torsione sia indipenden-
te dalle altre sollecitazioni e dunque verrà esclusa d’ora in poi in tutte le 
considerazioni che seguiranno. I vettori d ed f saranno quindi, nel segui-
to, privati dei termini x e Tx e dunque la dimensione dei vettori è ridot-
ta da 12 a 10 componenti (5 per ciascun nodo).  
In Figura 2 sono anche illustrate la terna delle sollecitazioni (forza 
assiale e due momenti flettenti) e delle deformazioni interne 
(deformazione assiale e due curvature flessionali) relative alla generica 
sezione; anche queste si possono scrivere in termini vettoriali, cioè 
introducendo il vettore delle deformazioni ε(x), ed il vettore delle 
corrispondenti sollecitazioni σ(x): 
                ,
TT
x z y z y
x x x x x N x M x M x        
   
εσ 
Il campo degli spostamenti delle sezioni è definitivo, in virtù delle ipote-
si fatte in precedenza, dallo spostamento assiale u(x) in direzione assia-
le e dagli spostamenti trasversali v(x) e w(x) diretti secondo gli assi y e z 
del sistema locale. In termini vettoriali si introduce quindi anche il vet-
tore degli spostamenti, nel continuo, dell’elemento:  
       
T
x u x v x w x 
u