I. INTRODUZIONE
‹‹Il 22 giugno del 1897 la Regina Vittoria, in occasione delle celebrazioni 
del suo sessantesimo anno di regno, si recò nell’ufficio telegrafico della sua 
residenza ufficiale di Buckingham Palace, premette un pulsante elettrico e 
inviò così un suo messaggio di saluto a tutti i popoli dell’Impero britannico. 
Nel giro di due minuti, il messaggio regale fu ricevuto a Teheran, in Persia; 
altre poche diecine di minuti e aveva raggiunto il Canada, Città del Capo, le 
colonie dell'Africa Occidentale, i Caraibi, l’Australia.››
1
Si potrebbe tentare un esercizio intellettuale, ignorando per un attimo la 
protagonista e l’epoca della vicenda riportata: si resterebbe alquanto 
sorpresi dal constatare quanto questo aneddoto possa adattarsi ottimamente 
alla descrizione del sistema economico internazionale moderno e alla nostra 
concezione attuale di mondo globalizzato.
Se si definisce la globalizzazione come il risultato di una serie di 
processi economici, culturali e sociali che direttamente o indirettamente 
avvicinano popoli e territori molto distanti tra loro, viene del tutto naturale 
accostare lo sviluppo della globalizzazione alla diffusione di mezzi di 
comunicazione sempre più rapidi ed efficienti.
L’importanza che l’economia e soprattutto la comunicazione rivestono 
nella nostra società a cavallo tra secondo e terzo millennio (non a caso 
spesso definita “società dell’informazione”)
2
 portano spesso a giudicare 
anche il mondo passato tramite queste chiavi interpretative.
Sono queste le motivazioni che hanno portato alla stesura del presente 
lavoro, che analizza e approfondisce la nascita storica della nostra attuale 
“società dell’informazione”, collocandone le origini nel XIX secolo, sulla 
spinta delle grandi rivoluzioni industriali e delle innovazioni nel campo 
1
 Deaglio M., http://www.radio.rai.it/radio3/scienze/deaglio2.htm
2
 Ortoleva Peppino, Mediastoria, Milano, NET, p. 10
1
della comunicazione e dei trasporti, che avvicinarono notevolmente gli 
uomini del Diciannovesimo secolo. 
Condizione necessaria per la globalizzazione è l’annullamento o la forte 
riduzione, mediante tecnologie nuove, della distanza e dei suoi costi: 
telegrafo, ferrovie e navi a vapore rappresentarono le tecnologie della 
globalizzazione ottocentesca; telefono, televisione, Internet sono le 
tecnologie della nostra globalizzazione.
Le telecomunicazioni, intese come quel particolare tipo di 
comunicazione a distanza in cui la trasmissione del messaggio avviene 
senza che vi sia un trasporto fisico dell’informazione, possono essere 
rappresentate da vari strumenti che negli ultimi due secoli hanno avuto 
nascita e sviluppo. Possiamo pertanto includere nella categoria il telegrafo, 
il telefono, la radio, la televisione, le comunicazioni satellitari e la 
telematica, internet in particolare.
I successivi capitoli del presente lavoro approfondiranno l’insieme dei 
processi industriali e sociali che portarono a quella che può essere 
considerata la prima globalizzazione della Storia dell’umanità, in 
particolare di quell’homo oeconomicus che durante il XIX secolo recepì le 
scoperte scientifiche di numerosi scienziati che lavoravano spesso in 
maniera parallela ma indipendente, e le implementò come supporto alla 
propria attività economica. Strumento simbolo di questo rivoluzionario 
approccio e interesse alle telecomunicazioni fu il telegrafo, che avrebbe 
dominato le trasmissioni a distanza per oltre un secolo.
I primi due capitoli che seguiranno questa breve introduzione trattano 
argomenti di respiro internazionale e sono concettualmente inscindibili: in 
essi si esporrà dapprima una breve panoramica della storia dei trasporti e 
successivamente si analizzerà lo sviluppo storico delle telecomunicazioni, 
con particolare riferimento a quel Diciannovesimo secolo in cui esse 
2
cominciarono ad assumere rilevanza nell’uso comune. Le grandi 
innovazioni di quel secolo (il telegrafo, la ferrovia, la nave a vapore) 
segnarono la civiltà umana in profondità, modificando in un tempo 
relativamente breve la percezione che l’uomo aveva di sé e del proprio 
spazio e stravolgendo il rapporto tra le persone e il tempo, avvicinando i 
popoli, favorendo la mobilità internazionale e unificando gli stili di vita in 
tutto il mondo. Per non assumere i connotati di uno sviluppo casuale o 
anarchico, il progresso scientifico e tecnico necessitava però di una 
coordinazione, di un’armonizzazione legislativa, di una standardizzazione 
tecnica: sul piano politico l’impero britannico della Regina Vittoria, 
protagonista dell’aneddoto sopra riportato, poteva garantire questa 
unitarietà in virtù della propria estensione, ma non è difficile riconoscere in 
altre iniziative come la Convenzione di Parigi dell’Unione Telegrafica 
Internazionale,
3
 un’anticipazione del WTO, dell’UE o di altre 
organizzazioni sovranazionali che nel corso del secolo successivo avrebbero 
assunto il non semplice compito di gestire la globalizzazione e i vantaggi e 
le disparità che da essa derivano.
Dal quarto capitolo, il presente lavoro abbandona l’ambito internazionale 
per osservare più da vicino gli aspetti economici e organizzativi della 
creazione e gestione della rete telegrafica nazionale italiana, partita da 
premesse tutt’altro che positive, vista la frammentazione e le disparità 
regionali che si presentarono agli occhi dei primi amministratori del Regno 
unitario. Figure fondamentali come il direttore Ernesto d’Amico e il fisico 
Carlo Matteucci, considerati a più riprese i “padri” della telegrafia italiana, 
seppero guidare lo sviluppo dell’Amministrazione telegrafica garantendo 
all’Italia una rete efficiente e capillare vicina a quelle delle grandi potenze 
europee. L’espansione del servizio fu crescente fino agli anni Ottanta del 
XIX secolo, quando una gestione della rete molto meno lungimirante 
3
 Vedi infra , cap. III.5
3
subordinò il servizio telegrafico agli interessi politici dell’esecutivo: le 
politiche accentratrici del Presidente Crispi, che voleva sfruttare la rete 
come semplice fonte di denaro per le casse statali, ridussero al minimo gli 
investimenti, provocarono un netto stallo nel servizio e peggiorarono 
notevolmente le condizioni di lavoro e la professionalità dei dipendenti 
telegrafici, dimostrando l’incompetenza e l’inadeguatezza di una gestione 
meramente politica di servizi essenzialmente tecnici, un secolo prima che la 
“lottizzazione” dei pubblici servizi diventasse una prassi negativa della 
moderna pubblica Amministrazione italiana.
Il quinto capitolo è dedicato al lavoro femminile: il servizio telegrafico 
fu il primo settore della pubblica Amministrazione nel quale furono 
impiegate anche le donne. Inizialmente segregate in locali riservati e senza 
possibilità di comunicazione con i colleghi uomini, la loro assunzione nei 
primi decenni dell’Italia post-unitaria era soggetta a limiti di età e di censo 
ed era richiesta una parentela con altri dipendenti telegrafici nell’ufficio 
onde evitare situazioni considerate imbarazzanti sul luogo di lavoro. A 
lungo le donne telegrafiste vennero retribuite con salari molto più bassi dei 
colleghi uomini ed erano vincolate allo stato civile del nubilato, 
intendendosi il lavoro femminile incompatibile con le tradizionali 
incombenze familiari e domestiche riservate alle donne. Le lavoratrici 
furono protagoniste anche nel mondo sindacale dei primi anni del 
Novecento, combattendo dure battaglie civili per ottenere parità di diritti e 
contrastando le continue discriminazioni, non solo sul lavoro: il percorso 
delle lavoratrici nell’Amministrazione telegrafica, infatti, coincise in gran 
parte col cammino compiuto dalle donne nella Storia del nostro Paese.
Il sesto, conclusivo capitolo chiude il cerchio e porta sul tavolo 
nuovamente il tema della globalizzazione, in particolare analizzando la 
telegrafia sottomarina, vero motore del processo di riduzione delle distanze 
4
a livello mondiale. In questo capitolo si analizza l’esordio dell’impresa 
milanese Pirelli, che sfruttò le sue conoscenze in campo chimico per la 
costruzione e la posa di cavi sottomarini dapprima nei mari nazionali e poi 
anche per conto di altri Stati europei, accumulando conoscenze e 
competenze nella lavorazione della gomma che alcuni decenni dopo 
avrebbero consentito all’impresa guidata da Giovanni Pirelli di diventare 
un’azienda leader nel settore degli pneumatici. La Pirelli fu anche l’unica 
impresa europea del settore della telegrafia sottomarina a contendere 
almeno in parte il primato europeo della Eastern Telegraph, presieduta 
dall’imprenditore britannico John Pender, il quale riuscì a ottenere il 
controllo di gran parte delle telecomunicazioni mondiali, specialmente sulle 
più importanti direttrici tra la Gran Bretagna e i possedimenti coloniali. 
Analizzare la globalizzazione ottocentesca diventa quindi un modo per 
comprendere, anche da una prospettiva storica, i processi in corso nella 
nostra epoca caratterizzata da aumenti del benessere medio che nascondono 
però divari di reddito notevoli. Oggi la lingua universale è l’inglese, le 
tecnologie importanti sono statunitensi, la moda è italiana, le mete turistiche 
sono ormai consolidate e gli “esodi estivi” seguono precise direttrici che si 
ripetono sempre uguali ogni anno. 
La globalizzazione ottocentesca vide il trionfo della borghesia, che creò e 
diffuse ovunque la tecnologia meccanica inglese e l’industria chimica 
tedesca; gli uomini della borghesia si vestivano all’inglese e le donne alla 
francese, nei salotti tutti parlavano un po’ di francese e chi poteva 
concedersi il lusso della vacanza, si recava in villeggiatura in Italia (la 
pratica del Grand Tour si diffuse ampiamente tra i giovani rampolli delle 
ricche famiglie borghesi britanniche). Oltre un secolo prima del movimento 
No Global, come contraltare dell’egemonia culturale ed economica 
borghese si formò anche una classe di contestatori che leggeva Marx e 
5
Bakunin, la cui portata sovranazionale fu sottolineata appunto 
dall’organizzazione della Prima Internazionale nel 1864. 
Fattori produttivi che si spostano in tutto il mondo portano come 
conseguenza a prodotti che hanno un mercato mondiale e imprese che 
competono in questo mercato. Non a caso un marchio oggi simbolo della 
globalizzazione, la Coca-Cola, nasce proprio nel 1886, ma gli esempi 
possono continuare: la britannica Eastern Telegraph operò in condizione di 
monopolio pressoché assoluto nel settore della telegrafia sottomarina nel 
Mediterraneo, le macchine per cucire Singer si trovavano ai primi del 
Novecento in ogni parte del mondo, negli stessi anni in cui le italiane 
Officine Savigliano costruivano ponti di ferro in ogni angolo d’Europa e la 
francese Renault possedeva stabilimenti in Russia.
Nel XIX secolo i cavi telegrafici sottomarini che trasportarono il 
messaggio della Regina Vittoria erano usati ogni giorno per trasmettere 
ordini di acquisto e di vendita di titoli di ogni genere, spostando 
istantaneamente il capitale finanziario in ogni parte del mondo in maniera 
non molto diversa da quello che si fa oggi. Anche il lavoro si muoveva: lo 
sviluppo dei piroscafi che attraversavano l’Atlantico trasportò milioni di 
persone (e di lavoratori) dall’Europa all’America, precursori dei migranti di 
oggi che cercano condizioni di vita più favorevoli muovendosi dai Paesi 
meno sviluppati ai Paesi più ricchi.
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II. UNA BREVE STORIA DEI TRASPORTI
1. Il trasporto su strada
‹‹Si può ben dire che Napoleone si muovesse alla stessa velocità di 
Giulio Cesare››.
4
 Così si esprimeva, lo storico francese Fernand Braudel, 
descrivendo la situazione dei trasporti europei agli inizi del XIX secolo.
In quell’epoca, soltanto pochi decenni prima che treno e telegrafo 
rivoluzionassero i concetti stessi di trasporto e comunicazione, i sistemi di 
trasporto interni si rivelavano sostanzialmente invariati rispetto 
all’antichità, basandosi unicamente sull’utilizzo di animali da tiro o da 
soma. Il primo segnale del cambiamento avvenne durante il XVIII secolo 
con lo sviluppo in molti Stati europei di un sistema stradale sempre più 
efficiente
Nel 1780 regolari servizi di diligenze univano le principali città 
d’Europa: in quegli anni occorrevano quattro giorni da Londra a 
Manchester, ma nel 1830 bastavano già trentasei ore. In Inghilterra la 
clientela era abbondante e molte imprese private si contendevano il 
servizio, ma l’assenza di un’organizzazione centralizzata poneva alcune 
difficoltà: solo il 6% delle strade britanniche era in buono stato e la 
riscossione dei pedaggi era inefficiente, minata da frodi ed evasioni.
 5
Sul continente, la Francia possedeva un sistema stradale molto più 
avanzato di quello inglese: le ambizioni imperialistiche di Napoleone 
vedevano nella costruzione di un vasto ed efficiente sistema di direttrici 
strategiche, che collegassero Parigi con le frontiere, uno strumento 
necessario per realizzare la piena egemonia della Francia in Europa. Esempi 
di queste opere sono la strada per la Vandea, le strade alpine in direzione del 
4
 Braudel F., “Civiltà materiale, economia e capitalismo” (1979, trad. italiana 1987), Torino, 
Einaudi
5
 Habakkuk H. J., Postan M. (1965), Te Cambridge Economic History of Europe, 
Volume VI: Te Industrial Revolutions and after (1965), p.235
7
Sempione e del Moncenisio, le strade per l’Illiria e i Balcani o per la 
Renania. La costante ed efficiente manutenzione del manto stradale 
(finanziata dalle tasse e non dai pedaggi come avveniva oltremanica) 
restava però un problema difficile da risolvere anche in terra francese.  Nel 
1800, dopo otto anni di guerre e rivoluzioni che prosciugarono le casse 
statali, le strade napoleoniche versavano in pessime condizioni, logorate dal 
passaggio continuo degli eserciti e dei loro carriaggi: la conclusione delle 
ostilità non incoraggiò la ripresa del traffico, che nei primi decenni del 1800 
fu notevolmente scarso (la strada più frequentata non vedeva passare più di 
650 t di merci al giorno)
6
 e anche nei casi migliori alle diligenze francesi 
non era consentita una velocità più alta di quelle inglesi.
Le ambizioni politiche di Napoleone portarono a un sistema stradale più 
razionale della spontanea casualità delle strade inglesi, ma di fatto erano le 
esigenze economiche e industriali a promuovere un alto livello di 
manutenzione delle strade: essa era infatti migliore laddove 
l’industrializzazione era più avanzata. Le ambizioni dell'imperatore 
francese si dovettero scontrare con la realtà dei trasporti a cavallo tra XVIII 
e XIX secolo, un'epoca in cui spostare merci via mare costava ancora un 
ventesimo del trasporto su strada:
7
 fino all’avvento della ferrovia il mare 
conservò la sua schiacciante superiorità, a causa della perfezione ormai 
raggiunta nella marineria a vela.
2. I trasporti ferroviari
Ad aprire all’uomo la dimensione della velocità fu l’invenzione della 
macchina a vapore.  Pur innovando radicalmente anche il trasporto 
marittimo e fluviale, carbone e vapore furono i simboli di un progresso 
6
 Ibidem, p 238
7
 Pavese C. (1997), “I trasporti e le comunicazioni”, in Toninelli P. A. (a cura di), Lo 
sviluppo economico moderno dalla rivoluzione industriale alla crisi energetica (1750-
1973, Venezia, Marsilio, p. 304
8
tecnologico che permise di rivoluzionare i trasporti terrestri e la concezione 
dello spazio e del tempo.
I primi binari di legno comparvero in Inghilterra già ai primi 
dell’Ottocento; essi erano adibiti al trasporto dei carrelli da miniera, trainati 
da macchine termiche fisse mediante funi, una tecnologia che trovò facile e 
rapido sviluppo in Inghilterra data la grande abbondanza di combustibile 
fossile. Prima dell’invenzione della locomotiva, la ferrovia fu dapprima un 
fenomeno essenzialmente locale, adibito al servizio delle miniere. Le prime 
locomotive comparvero già nel 1800, ma la macchina fu perfezionata da 
Stephenson solo nel 1825 e quattro anni dopo entrò in servizio sulla linea 
Liverpool – Manchester, convenzionalmente nota come la prima moderna 
ferrovia, coprendo la tratta in novanta minuti, a una velocità tripla rispetto 
alle diligenze trainate da cavalli.
8
Industriali e commercianti videro nella ferrovia l’unico modo per 
liberarsi degli abusi monopolistici dei proprietari dei canali (diffusissimi su 
tutto il territorio inglese) e nella prima metà dell’Ottocento si assistette a 
una vera e propria esplosione delle ferrovie, che ebbero un tumultuoso 
sviluppo, affidato dapprima all’improvvisazione dei privati e ben presto 
sottoposte al coordinamento di un organismo centrale (1842). Il tentativo di 
porre un freno alla proliferazione anarchica degli investimenti ferroviari 
privati non rallentò minimente l’espansione delle ferrovie generando una 
vera e propria railway mania che raggiunse l’apice nel 1850. Per ogni 
distretto industriale britannico la presenza di una linea ferroviaria divenne 
un obiettivo politico ancor prima che economico. 
 
8
  Ibidem, p. 313
9