6
tubicino, ma, dopo pochi tentativi falliti mi rivolsi all’ostetrica che 
affacciatasi fra le gambe divaricate della signora borbottò: “Proprio 
una infibulata ti doveva toccare! Ci credo che non ti riesca!”. Non mi 
ricordo assolutamente com’era quella vulva, ero talmente turbata e 
confusa! Mi ricordo che non mi riuscì e che guardai gli occhi di quella 
donna in modo dispiaciuto. 
Era africana e non  parlava italiano, io non sapevo come fare a farle 
capire che mi dispiaceva di non averla potuta aiutare. Lei mi rispose 
con un sorriso. 
Un secondo incontro con una ragazza mutilata l’ho avuto durante il 
tirocinio in consultorio, non mi ricordo se frequentavo il secondo o il 
terzo anno di ostetricia. La donna che avevo di fronte era bianca di 
carnagione, non sicuramente africana, non era italiana, forse era 
dell’est europeo e aveva raggiunto il consultorio perché doveva 
effettuare un pap-test. Dopo averle chiesto alcuni dati che mi 
servivano per compilare la scheda per lo screening, lei si svestì nella 
parte inferiore e si accomodò sul lettino ginecologico per poter 
svolgere l’esame. Con mio grande stupore e perplessità mi accorsi che 
nella congiunzione superiore delle grandi labbra, sul clitoride, aveva 
una pallina nera metallica: un piercing. Il possedere un piercing in una 
zona così delicata è una forma di mutilazione genitale femminile e 
l’OMS lo afferma quando parla del IV tipo di MGF.  
Nel primo semestre del terzo anno la dottoressa Paola Marini 
(responsabile dei consultori della Val di Nievole) una mattina durante 
le sue lezioni del corso intitolato “Programmazione familiare e 
prevenzione delle malattie sessuali trasmesse”, ci presenta un 
 7
questionario anonimo che aveva come tema “Le Mutilazioni Genitali 
Femminili”, si trattava di domande sia aperte che chiuse, sulle 
conoscenze che noi studentesse avevamo sulle MGF. Sarei curiosa di 
rivedere oggi che cosa avevo scritto in quel questionario. La lezione 
quella mattinata fu più interessante di tutte le altre; la dottoressa 
Marini ci presentò per la prima ed ultima volta delle diapositive su 
queste pratiche per noi così assurde. Rimasi molto incuriosita e 
desiderai approfondire l’argomento: mi misi a leggere i due romanzi 
di Waris Dirie (Fiore del deserto e Alba nel deserto) che raccontano la 
storia della sua vita in Africa, dell’infibulazione che ha dovuto subire 
da bambina. Dopo qualche mese decisi che la mia tesi di laurea l’avrei 
svolta proprio su quest’argomento. 
I migliori input per il lavoro condotto li ho ottenuti dalla dottoressa 
Lucrezia Catania e suo marito, il dottor Omar Hussein Abdulcadir, 
responsabile del Centro di Riferimento di Prevenzione e Cura delle 
MGF di Careggi. Loro mi hanno permesso di visitare il centro e di 
passare una giornata lì  per farmi prendere consapevolezza di quante 
donne africane ci sono in Toscana e soprattutto, quante donne mutilate 
ci sono nella nostra regione! Nell’arco di 3-4 ore che sono stata in 
quell’ambulatorio, si saranno presentate una ventina di donne che 
avevano tutte una qualche forma di mutilazione genitale femminile. 
Con questa  tesi ho cercato di studiare quanto sia conosciuto e come 
sia affrontato il problema delle MGF, a fronte della nuova legge 
(legge n° 7 del 9 gennaio 2006), negli ospedali di Pistoia, Pescia e 
Prato che, sebbene non siano ospedali di primo livello, si trovano 
quotidianamente a confrontarsi con persone di ogni nazionalità e 
 8
cultura dato che oggi viviamo in una società multietnica e 
multiculturale e la pratica delle mutilazioni genitali femminili, 
nonostante sia vietata in molti paesi fra cui l’Italia, persiste. 
Nella prima parte del lavoro ho presentato il problema delle 
Mutilazioni Genitali Femminili dandone la definizione, parlando della 
terminologia, dell’epidemiologia, delle motivazioni che portano a 
perseguire la pratica, di chi esegue le MGF, in che modo e da quanto 
tempo. Un altro paragrafo è dedicato alle conseguenze e complicanze 
date dalle MGF sia a breve che a lungo termine, sia fisiche che 
psichiche, con maggior riferimento alle complicanze ostetriche, infatti 
il capitolo 2 è completamente dedicato al parto e al ruolo dell’ostetrica 
di fronte a questa problematica. La prima parte del lavoro si conclude 
con un capitolo sulla lotta alle Mutilazioni Genitali Femminili, alla 
legislazione in Africa e negli altri paesi con particolare attenzione  alla 
nuova legge che vieta le Mutilazioni Genitali Femminili in Italia. 
Nella seconda parte del lavoro possiamo trovare lo studio effettuato 
sulle cartelle cliniche dei reparti ginecologia e ostetricia degli ospedali 
di Prato, Pescia e Pistoia e l’indagine conoscitiva sul rispettivo 
personale sanitario. Nel primo capitolo della seconda parte troviamo i 
metodi e gli strumenti utilizzati nella ricerca. Nel secondo capitolo 
sono esposti i risultati, sia della revisione delle cartelle cliniche, sia 
dell’indagine sul personale sanitario. Nel terzo capitolo vengono 
discussi i risultati ottenuti dalla ricerca e nel quarto capitolo possiamo 
leggere quelle che sono le conclusioni, con la proposta innovativa che 
potrebbe risultare utile per migliorare il lavoro dei professionisti 
sanitari. 
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PRIMA PARTE 
1.LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI 
1.1 Definizione 
Ogni asportazione definitiva e irreversibile di un organo sano è una 
mutilazione. La vulva comprende l’insieme degli organi genitali 
esterni femminili che sono: il monte di venere, le grandi labbra, le 
piccole labbra, il clitoride, il vestibolo, il bulbo del vestibolo o bulbo 
della vagina, il meato uretrale o urinario, le ghiandole del Bartolini, le 
ghiandole vestibolari minori o periuretrali e l’imene. 
 
Figura 1. Genitali esterni normali 
 
 10
Quando questi organi sono normali, non c’è alcun motivo medico, 
morale o estetico per sopprimerli del tutto o in parte. 
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le MGF come 
tutte quelle procedure che comportano la rimozione parziale o totale 
dei genitali esterni femminili o altri interventi dannosi sugli organi 
genitali femminili tanto per ragioni culturali che per altre ragioni non 
terapeutiche”
1
  
1.2 Terminologia 
Il termine “Mutilazione Genitale Femminile” (che da ora in avanti 
chiamerò MGF) fu introdotto prima degli anni ’90 da alcune 
femministe che protestavano verso la dicitura allora in atto di 
“circoncisione femminile”, che veniva usata per indicare queste 
pratiche. Parlando di “circoncisone” però, si oscurano i gravi effetti di 
questa procedura. “Analoghi interventi sull’uomo includerebbero 
l’asportazione parziale o completa del pene piuttosto che la sola 
asportazione del prepuzio”
2
.  Nel 1990 la voce “mutilazione genitale 
femminile” fu adottata con molta autorevolezza dal Comitato 
Interafricano sulle pratiche che colpiscono la salute delle donne e delle 
bambine (Inter-African Committee) tenuto ad Addis Abeba (Etiopia) e 
nel 1991 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha 
raccomandato alle Nazioni Unite di adottare questa terminologia, che 
di conseguenza è stata ampiamente impiegata nei documenti 
                                                 
1
 Catania L., Abdulcadir O.H., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta 
del rito simbolico alternativo, Derive approdi, Roma 2005, p. 147. 
 
2
  Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali 
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 29. 
 
 11
dell’ONU”
3
. La parola “mutilazione”  è stata pensata per rafforzare 
l’idea di quanto questa pratica sia crudele nei confronti dei diritti 
umani delle donne e delle bambine, in realtà le comunità coinvolte 
non sono molto d’accordo sull’utilizzo di questo vocabolo, perché loro 
non sono nell’intenzione di mutilare le proprie bambine. Per questo 
motivo quando ci troviamo davanti a una donna proveniente da paesi 
soggetti a MGF, non sarebbe produttivo per quanto riguarda 
un’anamnesi accurata chiederle se ha subito una mutilazione genitale 
femminile, lei risponderebbe sicuramente di no. È meglio chiederle se 
nel suo paese vengono cambiati i genitali delle bambine e se lei ha i 
genitali modificati, oppure usare il termine “infibulazione o gudnin”. 
La terminologia impiegata (così come il tipo di MGF) varia a seconda 
del gruppo etnico coinvolto. “I termini più usati sono “circoncisione 
femminile” o l’espressione “aperta” o “chiusa” […] Altri utilizzano 
l’espressione “chirurgia rituale genitale femminile” che si riferisce alla 
natura non terapeutica delle procedure e presenta una connotazione 
meno emotiva rispetto all’espressione “mutilazione genitale 
femminile”.”
4
 
                                                 
3
  Unicef, Centro di ricerca Innocenti. Cambiare una convenzione sociale dannosa: la pratica 
della escissione/mutilazione genitale femminile. Giuntina, Firenze, Italia 2005, p. 10. 
 
4
 Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali 
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 29. 
 
 12
1.3 Classificazione 
L’OMS classifica a seconda della  gravità 4 tipi di MGF: 
I. È la forma di mutilazione meno grave. Consiste nella rimozione 
del prepuzio clitorideo con o senza l’asportazione  totale o 
parziale dell’asta clitoridea. Si può limitare a volte ad una 
piccola incisione sul clitoride da cui far stillare qualche goccia 
di sangue (“Sette gocce di sangue” Sirad Salad Hassan 1996). 
Questo tipo di MGF viene anche chiamato clitoridectomia o 
sunna. Il termine sunna è un termine che l’OMS vuole 
abbandonare perché dal punto di vista islamico sunna  è 
l’insieme delle parole, dei detti, dei gesti e dei comportamenti di 
Maometto. Nel Corano è vietata qualsiasi modifica dell’aspetto 
umano se non finalizzata a scopi terapeutici o preventivi 
nonostante sia ammessa la circoncisione maschile che è un 
dettame di Dio, così come per gli ebrei
5
.  
 La procedura più comune è quella di trattenere tra pollice e 
 indice il clitoride, tirarlo e tagliarlo con un movimento veloce 
 con un oggetto tagliente. L’emostasi viene fatta tamponando 
 la ferita con garze o altre sostanze o con punti di sutura.   
 “Un’analisi dettagliata della letteratura non individua alcuna 
 documentazione sulla circoncisione rituale, nel corso della 
                                                 
5
Crf.  Catania L., Abdulcadir O.H., Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la 
proposta del rito simbolico alternativo, Derive approdi, Roma 2005, p. 206. 
 
 13
 quale viene tolta solo la pelle intorno al glande della clitoride, 
 senza danneggiare la sensibilità dell’organo.”
6
 
 
Figura 2.  MGF di I tipo 
 
Figura 3. MGF di I tipo 
 
                                                 
6
 Tola V., Scassellati G., Mancuso S.,Mutilazioni genitali femminili. Dimensioni culturali e 
problematiche socioassistenziali, Poletto Editore, p. 12. 
 
 14
II. È l’escissione propriamente detta (chiamata anche tahara che in 
sudanese significa purificazione o khefad che in arabo significa 
riduzione). Consiste nell’asportazione del clitoride e di tutte o 
parte delle piccole labbra (o ninfe). 
 L’operazione viene fatta anch’essa con un rapido movimento e 
“l’emorragia viene arrestata con impacchi, bendaggi o punti di 
sutura circolari che possono o meno coprire l’uretra e parte 
dell’orifizio vaginale. Sono stati riportati casi di escissioni 
estese la cui cicatrizzazione avviene con la fusione delle 
superfici scoperte con una conseguente pseudo- infibulazione 
anche se le parti non sono state cucite”
7
. 
 
 
 
Figura 4. MGF di II tipo 
 
                                                 
7
 Morrone A., Vulpiani P., Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali 
femminili in Europa., Armando Editore, Roma 2004, p. 32.