IV
doping va costruita fornendo delle basi giustificative sulle quali poter portare
avanti una valida ed adeguata politica antidoping. Va curata in prima battuta la
fase preventiva, attraverso un costante impegno educativo ed informativo,
diretto a sensibilizzare non solo gli sportivi, ma anche l’intera opinione
pubblica. Negli anni si sono susseguiti svariati tentativi di dare una definizione
certa ed univoca di doping, evidenziando però un fallimento su quasi tutti i
fronti.
La pratica del doping si configura senza dubbio come un comportamento
plurioffensivo, in quanto lede da una parte i principi di lealtà e correttezza
sportiva, alterando la normale e sana competizione sportiva tra i partecipanti,
dall’altra parte, contestualmente, danneggia e pregiudica il bene dell’integrità
psicofisica di atleti e sportivi, costituendo in questo modo una seria e grave
minaccia alla salute pubblica.
Il doping deve essere considerato un fenomeno sempre più dilagante e non
adeguatamente controllato; un fenomeno che, oltre a produrre rilevanti effetti sul
piano economico-sociale, implica un ben più grave problema etico-sanitario,
legato all’illecita manipolazione del corpo umano e alle pericolose conseguenze
per la salute. Per queste ragioni nel fornire una definizione etico sociale del
doping è indispensabile tener conto di entrambi questi aspetti: doping inteso
quindi sia come frode e azione deprecabile verso la comunità sportiva, sia come
pericolo per la salute non solo dell’atleta, ma anche di quella pubblica.
Nella presente tesi, la prima parte è così dedicata all’illustrazione dell’iter
formativo del concetto di doping, all’esplorazione del cambiamento e
dell’estensione del suo significato, citando come esempi alcuni tentativi di
definizione portati avanti non solo dall’ordinamento sportivo, ma anche da
quello statale, e ragionando appunto sull’importanza di definire in modo corretto
il fenomeno doping.
Mi sono soffermato poi a descrivere brevemente gli effetti delle più diffuse
sostanze dopanti e delle pratiche mediche maggiormente utilizzate a questi
V
scopi, evidenziando anche come la ricerca farmacologica, medico scientifica e
tecnologica continui a sfornare nuove tecniche e nuovi prodotti (l’ultima
frontiera è rappresentata dalla NESP e dalle varianti di EPO) sempre più efficaci
e sempre meno rilevabili in laboratorio. Le conseguenze dell’assunzione e
dell’utilizzo di queste sostanze e pratiche vietate può provocare effetti collaterali
davvero nocivi per la nostra salute. In questo senso il fenomeno del doping è
stato accostato senza troppi dubbi e problemi ad una gravissima malattia
degenerativa del sistema nervoso, la sclerosi laterale amiotrofica, che in questi
giorni è stata portata alla ribalta delle cronache come male sportivo conseguenza
anche della scarsa informazione e sensibilizzazione sui reali sviluppi che porta
l’uso di sostanze illecite e pericolose per l’organismo umano.
Oltre ad esporre le origini storiche e il percorso evolutivo del doping ho ritenuto
opportuno dedicare un’ampia parte alla descrizione delle principali cause che
conducono a far uso di sostanze e pratiche vietate. Così come non può esservi
dubbio sul fatto che il mondo dello sport attualmente si trova al centro di grandi
interessi economici (tant’è vero che qualcuno, talvolta, parla del calcio come
della più importante azienda nazionale) non si possono certo trascurare i forti
legami col mondo politico, che ha da sempre intravisto nello sport uno
strumento diplomatico e di potere molto importante, e con l’intero tessuto
sociale (società farmacodipendente, distorsione della reale informazione da parte
dei media, crollo degli antichi valori sportivi tra il pubblico e le massa di
appassionati). In questo discorso rientrano anche gli aspetti psicologici che
inducono un atleta ad intraprendere il percorso del doping: bisogno costante di
autoaffermazione, ricerca esasperata di successo e fama, delusioni e fallimenti
che possono creare insicurezza di eccellere, disturbi della personalità non solo
patologici, ma anche legati al sostrato socio-culturale in cui si agisce.
Lo sport rappresenta, senza dubbio, ai giorni nostri una fonte irrinunciabile di
grande interesse per l’intera collettività, così che va protetto e regolamentato nel
migliore dei modi. Non solo scienza e tecnologia, ma anche diritto. Nei capitoli
VI
successivi si è cercato innanzitutto di individuare ed esaminare attraverso quali
strumenti l’ordinamento sportivo e quello ordinario affrontano questo crescente
fenomeno, ponendo particolare attenzione allo strumento della repressione
penale.
È emerso che, mentre l’ordinamento sportivo ha sempre cercato di condurre una
costante lotta al doping, con più o meno efficaci interventi di tutela e
prevenzione (a questo scopo sopra tutti il Regolamento dell’attività antidoping 5
giugno 2001 adottato dal CONI ed applicato dalle Federazioni Sportive
Nazionali), l’ordinamento statale si è occupato seriamente del problema solo a
partire dagli ultimissimi anni. È infatti negli ultimi dieci anni, causa il dilagare
forse inaspettato e così repentino del fenomeno doping che ha provocato un forte
allarmismo sociale, anche alla luce dei numerosi casi saltati fuori a raffica, che
gli studiosi del diritto hanno prestato maggiore attenzione alla materia ed hanno
evidenziato la presenza di un vuoto normativo, cercando di colmarlo con
l’introduzione della nuova legge antidoping 376/2000.
Tutto quello che ha preceduto la vigente normativa è una serie di interventi
legislativi e di proposte di legge non uniformi, rimasti di fatto inattuati e superati
ampiamente dal grado evolutivo ed espansionistico del fenomeno in questione.
Un primo vero e proprio intervento in materia di doping si è avvertito con la
legge antidoping 1099/71, che prevedeva inizialmente reati di natura
contravvenzionale puniti con la semplice ammenda e al massimo con anche una
sanzione di tipo disciplinare. In seguito la normativa antidoping è stata
depenalizzata (legge 689/1981), così che tutti gli illeciti penali, previsti in
materia di doping, sono stati trasformati in illeciti amministrativi. In attesa della
recente legge 376/2000, la possibilità di attribuire rilevanza penale ai fatti di
doping dipendeva in questo modo dalla riconducibilità di tali fatti ad ipotesi
delittuose, previste da singole leggi o dallo stesso codice penale (riferimenti
specifici al Testo Unico in materia di stupefacenti, D.P.R. 309/1990, e alla legge
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riguardante la tutela della correttezza nello svolgimento delle competizioni
agonistiche, legge 401/1989).
D’altra parte, l’opportunità di sanzionare penalmente i fatti di doping è emersa
con evidenza laddove si è considerato, da un lato, le devastanti conseguenze per
l’organismo, derivanti dall’uso di tali sostanze, dall’altro, il fatto che chi ricorre
al doping vi è spesso indotto da soggetti qualificati per le loro cognizioni
tecnico-scientifiche, come i medici di fiducia e i preparatori atletici.
Con la nuova legge antidoping l’Italia, oltre a colmare il vuoto normativo, ha
adempiuto agli impegni assunti in campo internazionale con l’adesione alla
“Convenzione contro il doping”, firmata a Strasburgo il 16 novembre 1989 e
ratificata in seguito con legge 522/1995. Inoltre la nuova legge antidoping è
stata l’occasione per introdurre nuove autonome figure di reato consistenti nella
somministrazione, nell’uso (doping autogeno) e traffico di sostanze dopanti,
dotando così anche l’ordinamento statale di idonei strumenti per la lotta al
doping.
Purtroppo però si è osservato che anche quest’ultimo intervento legislativo in
materia ha suscitato molte perplessità e lasciato aperti molti dubbi. Su tutti
situazioni di conflittualità tra ordinamento e giustizia sportiva da una parte e
ordinamento e giustizia statale dall’altra. Dopo un’attenta osservazione si evince
che la legge si presenta come troppo rigorosa, e quindi destinata sostanzialmente
a non esser applicata in concreto e a trascinare nel disuso anche quanto di
positivo contiene. Più che tutelare la salute dell’atleta, il legislatore ha
mantenuto come obiettivo principale quello di controbattere il reato di frode
nelle competizioni sportive.
Serve dunque, sia in campo nazionale che internazionale, una nuova, repentina
ed attenta revisione della politica antidoping. La recente Conferenza di Losanna
del 1999 ha sottolineato ancora una volta la necessità di una maggiore
cooperazione tra autorità pubbliche e sportive, sia a livello nazionale che
internazionale. L’istituzione di un’agenzia mondiale contro il doping (WADA) e
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la conseguente proposta di un Codice Antidoping mondiale unico sembrano
essere un primo importante passo verso questa ristrutturazione della politica
antidoping.
Il doping nuoce alla salute ma il doping uccide anche lo sport, minando la sua
credibilità e lo spettacolo che questo è in grado di fornire.