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Introduzione 
  
“C’è sempre un grano di logica nell’amore,così come c’è sempre un grano di logica nella 
follia.” 
Nietzsche 
“… Ciò che non mi distrugge mi rende più forte.” 
Nietzsche 
“Se volete capire l’artista,guardatene l’opera. Non si può capire e apprezzare Picasso 
senza studiarne i dipinti,e i serial killer pianificano il loro lavoro con la stessa accuratezza 
di un pittore. Per loro,si tratta di arte e non smettono mai di ritoccare e perfezionare”  
John Douglas,Profiler 
“C’è un parallelismo fra arte e omicidio. Entrambi sono una questione di estetismo. Ed 
entrambe ti danno una strana sensazione di essere come Dio... L’arte è creazione. 
L’omicidio è annientamento. Quando sei capace di padroneggiare questi strumenti,è 
come se tu entrassi in un mondo di potenza senza fine... Ti senti di aver raggiunto la vera 
essenza della vita... e forse è questo il motivo per cui così tanti assassini diventano artisti 
instancabili quando sono in prigione. Cercano di compensare il desiderio di uccidere con 
la potenza della creazione. Creazione e distruzione si sviluppano dalle stesse mani...” 
Nicholas Claux,Serial Killer 
 
Tanto si è detto e tanto si è scritto su Adolf Hitler. Ma qual è davvero 
la verità? Quali sono i motivi reali per i quali è diventato uno dei più 
grandi assassini di massa della storia mondiale?  
I motivi possono essere innumerevoli,tanti quante sono le sfumature 
dell’uomo.. Tanti quante sono,come ha detto una volta il mio 
relatore,le note dell’anima.. 
Tenteremo d’individuarli attraverso l’analisi del caso,il pensiero di 
alcuni autori che si sono occupati di lui,attraverso le sue parole e i suoi
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disegni,proveremo a fare un viaggio nella sua mente,così come si 
suppone sia stata,tenteremo d’inquadrare la sua personalità in qualche 
categoria esistente di disturbi,tenendo sempre ben presente che 
quando si parla di esseri umani nessuna categoria è assolutamente 
giusta o sbagliata.  
Racconteremo la sua vita utilizzando come chiave di lettura per 
interpretarla la sua passione per l’arte. 
Proprio quest’ultima potrebbe essere l’unica cosa reale della sua vita. 
E viene da chiedersi cosa sarebbe successo se fosse riuscito ad entrare 
all’Accademia di Belle Arti,a realizzare il suo sogno di diventare un 
grande artista. Se ci fosse riuscito il suo narcisismo,forse,sarebbe stato 
ripagato,e le sue  ferite risanate,e forse non avrebbe più avuto bisogno 
di sentirsi invincibile e onnipotente. 
L’arte permea la vita di tutti noi,in ogni forma possibile;essa è per 
alcuni parte integrante di sé,una parte inscindibile;per altri è un 
rifugio,una difesa;per altri è l’unico mezzo conosciuto per esprimere 
un’emozione,uno stato d’animo,per comunicare agli altri sé stessi. Per 
altri ancora è semplicemente passione.  
Pochissimi autori si sono occupati del rapporto di Hitler con 
l’arte,pochi hanno approfondito l’argomento. L’ultimo,in ordine di 
tempo è Ruben de Luca,uno dei massimi esperti europei sui delitti 
seriali. Nel suo libro dedica un ampio capitolo allo spietato 
dittatore,includendo anche la più completa raccolta dei suoi 
dipinti,illustrando una pionieristica teoria,che ai più potrebbe 
sembrare azzardata.
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Ma basta discostarsi un po’ dalla logica dominante ed aprire la mente 
a nuove ipotesi,anche alle più originali,per capire ed avvicinarsi un 
po’di più a quelle cose che noi vediamo così distanti,e di cui proviamo 
tanta repulsione.   
In realtà solo così ci si può accostare a menti con logiche 
“particolari”,al limite,come ad esempio possono essere quelle degli 
assassini seriali,ma non solo,anche a quelle dei malati di 
mente,diverse da quelle della  maggior parte della gente che si 
definisce “normale”,ma pur sempre logiche. 
Solo così si può tentare di “guardare nell’abisso”,come diceva 
Nietzsche,per tentare di capire il funzionamento di menti 
estreme,come quelle degli assassini seriali.  
Stando attenti però,perché  “se guardiamo troppo a lungo nell’abisso, 
anche l’abisso vorrà guardare in noi”.
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Capitolo 1 
HITLER: UNO TRA I PIU’ GRANDI ASSASSINI DI MASSA 
DELLA STORIA  
 
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1.1 Seme cattivo o infanzia violenta?  
Erich Fromm dice che: “quando una persona non riesce ad 
amare,non riesce ad esprimersi creativamente,allora vuole 
distruggere...” 
James Henry dice invece: “Immagina che per via di una 
menomazione,per crudeltà,per qualche disgrazia,una persona non 
abbia conosciuto altro contatto umano se non di tipo duro e 
violento,come potrebbe sentirsi a contatto con gli altri?”
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Ma è sempre così?Tutti gli assassini,seriali e non,hanno avuto davvero 
un’infanzia violenta? 
Secondo l’approccio dell’FBI se nell’infanzia si determinano certe 
condizioni,come l’abuso - sessuale e\o psicologico – o la mancanza di 
regole di vita accettabili,allora l’individuo utilizzerà la fantasia per le 
proprie gratificazioni; un altro autore direbbe invece che l’individuo 
resterà incentrato su di sè.  
Ma allora come mai alcuni individui,vittime di ogni tipo d’abuso che 
crescono in ambienti familiari degradati non intraprendono una 
carriera criminale violenta mentre altri si? 
Anche a questo si è cercato di rispondere nel corso degli anni 
attraverso diverse teorie,anche di tipo biologico.  
Secondo queste ultime i comportamenti devianti dipenderebbero da 
caratteristiche fisiche e biologiche degli individui. La più famosa tra 
queste è senza dubbio quella proposta da Cesare Lombroso secondo la 
quale esisterebbero i cosiddetti “delinquenti nati”,individui che 
presentano delle caratteristiche ataviche simili a quelle di certi animali 
e dell’uomo primitivo,che rendono impossibile il suo adattamento alla 
società civile e lo spingono a commettere reati. Altra teoria di tipo 
biologico è quella che vede nella scoperta del cromosoma Y 
soprannumerario (XYY) la spiegazione del comportamento violento. 
Quest’ultima spiegazione non ha trovato nessun fondamento e gli 
studi effettuati per dimostrarla si sono basati su un campione di 
detenuti violenti rinchiusi in carcere o in manicomio,senza
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nessun’analisi di tipo falsificazionista,e soprattutto senza prendere in 
esame gruppi di controllo di soggetti non internati. 
Quale di tutte le teorie elencate può essere applicata al caso che stiamo 
analizzando? Forse nessuna,o forse tutte. Cercheremo di dare una 
spiegazione,il più possibile logica,iniziando dall’analizzare la sua 
infanzia,o meglio,le notizie sulla sua infanzia,quindi i tratti del suo 
carattere e della sua personalità. 
 
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1.2 Le radici della malvagità 
Le notizie sull’infanzia di Hitler sono abbastanza univoche,anche se 
scarse visto che egli stesso fece di tutto per cancellare le tracce del suo 
passato. Le interpretazioni date al riguardo sono invece molte e assai 
discordanti.
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Il padre è stato descritto da qualcuno come un uomo fallito e 
violento,che lo picchia ripetutamente. Il suo rapporto con la madre è 
stato descritto invece come morboso. Altri,invece,descrivono la sua 
famiglia in modo diverso. 
La madre di Hitler si chiamava Klara ed era una semplice ragazza di 
campagna che lavorava in casa di suo zio Alois come cameriera. Alois 
divenne suo marito e padre di Hitler Quando rimase incinta aveva 
ventiquattro anni,Alois quarantasette.  
Si dice fosse una gran lavoratrice,che non si lamentava mai. 
Certamente il suo matrimonio non era felicissimo. Il marito era un 
uomo tutto d’un pezzo,figlio illegittimo che si era fatto da solo 
partendo dal nulla. Con duro lavoro e disciplina riuscì a raggiungere 
una posizione relativamente importante nel suo lavoro di funzionario 
delle dogane austro-ungariche,e assicurò alla sua famiglia un’esistenza 
rispettabile e quanto meno agiata. Di certo non era particolarmente 
interessato ai desideri di sua moglie,probabilmente era anche molto 
egoista,ma sicuramente non era molto diverso dagli esponenti medi 
della sua classe sociale. La moglie Klara era una tipica donna di quei 
tempi,sottomessa al marito,che si dedicava esclusivamente alla cura 
della casa e dei figli che amava profondamente. Forse le può essere 
mossa l’accusa dell’eccessiva devozione verso di loro. Hitler era il 
tipico cocco di mamma. Lei non lo rimproverava mai,lo ammirava 
tantissimo,per lei il figlio non sbagliava mai,e probabilmente non lo 
capì nemmeno mai.
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Questo atteggiamento,secondo Fromm,fu probabilmente la causa del 
narcisismo di Hitler e della sua passività. Questo modo di fare 
probabilmente ha accresciuto sempre di più la sua sensazione di essere 
meraviglioso e grandioso.  
Se mai lei lo deludeva o faceva qualcosa che lui non si aspettava si 
lasciava andare a  violenti scoppi di rabbia incontrollati. Forse lui non 
tollerava neanche tanto tutto questo attaccamento,forse gli dava 
fastidio essere osservato così da vicino senza essere capito 
davvero,anche se però,allo stesso tempo,pretendeva assoluto 
“rispecchiamento”. 
Il giovane Hitler,comunque,fu l’unico a godere di quest’amore fino 
alla nascita di suo fratello,che avvenne quando lui aveva 5 anni. La 
madre smise di viziarlo,consapevole del fatto che il figlio cresceva e 
voleva in qualche modo responsabilizzarlo. Tutto questo è dimostrato 
da varie testimonianze sui suoi atteggiamenti d’incoraggiamento verso 
il figlio durante tutto l’arco della sua vita. 
Alcuni psicoanalisti hanno avanzato l’ipotesi che questo cambiamento 
della madre fosse stato un evento molto traumatico nella vita del 
giovane Hitler.  
Ma se anche fosse andata così,egli trovò subito il modo di riprendersi.  
In quel periodo il padre non c’era quasi mai perché aveva un nuovo 
incarico di lavoro in un’altra città e Hitler era finalmente libero di 
esprimersi senza limiti. Certo la madre non lo adorava più come 
prima,e di questo deve averne di certo risentito.
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Scrive B.F. Smith nella sua biografia: “Per un intero anno,Adolf visse 
nel paradiso di un bambino di 5 anni,giocando e azzuffandosi con i 
coetanei […] sembra avesse una predilezione per le guerre tra 
cowboy e indiani […] Quell’anno di combattimenti per Hitler fu molto 
importante perché fu un anno di fuga,nella libertà quasi totale […]” 
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Questa fase s’interruppe bruscamente quando il padre si dimise dal 
servizio e l’intera famiglia si trasferì ad Hafeld,dove Adolf,all’età di 6 
anni,cominciò la scuola. ”Adolf si ritrovò improvvisamente confinato 
in un cerchio limitatissimo di attività che richiedevano responsabilità 
e disciplina..”
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Alla scuola elementare andò molto bene,sia per via del fatto che 
avesse un intelligenza superiore alla media dei compagni,sia per lo 
status familiare al quale apparteneva,per cui riusciva ad avere ottimi 
voti senza sforzo. Quindi neanche questo periodo sembra averlo 
turbato particolarmente,né lo mise alla prova. 
I problemi veri iniziarono quando dovette andare alla scuola superiore. 
Qui non era superiore a nessuno,era trattato nello stesso modo degli 
altri,e per ottenere dei risultati doveva impegnarsi,cosa a cui lui non 
era minimamente abituato. 
L’insuccesso fu netto;al primo anno fu bocciato,in seguito cambiò 
scuola ma i risultati rimasero scarsi fino al completo abbandono,anche 
se alla fine riuscì a prendere il diploma.