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CAPITOLO 1 
Capitale umano e problemi di misurazione 
 
 
 
1.1 Il significato di capitale umano 
 
Quasi tutta la storia del pensiero economico si è sviluppata trascurando 
l‟analisi di una variabile fondamentale per ogni economia nazionale quale il 
capitale umano; si tratta di  uno dei modi per accumulare input da impiegare 
nella produzione e si realizza tipicamente attraverso la rinuncia da parte 
degli individui a consumare parte del loro reddito presente per acquisire 
maggiori capacità di produrre reddito in futuro. 
Di recente si è data molta importanza a questo aspetto dell‟intero processo 
produttivo poiché oggi, più che in altri momenti storici, si pone l‟accento 
sulla qualità del lavoro. 
In termini generali, il capitale umano comprende quelle conoscenze, abilità 
e competenze che migliorano non solo le modalità di lavoro, quanto anche
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le condizioni di vita personali e sociali, sia in termini economici che di 
benessere complessivo. 
L‟istruzione, un corso di computer, le spese mediche, l‟essere puntuali e 
onesti, sono anch‟esse forme di capitale, nel senso che migliorano le 
condizioni di salute o la propria retribuzione.  
Per questo, il premio nobel per l‟economia nel 1997 Gary Becker afferma 
che sostenere che le spese dedicate all‟istruzione, alla qualificazione 
professionale, alla salute, ecc. sono veri e propri investimenti in capitale è 
pienamente in linea con l‟idea in genere condivisa di capitale.  
Sempre Becker afferma che“… le attrezzature, gli impianti in un’impresa 
sono necessari, ma è altrettanto fondamentale che ad utilizzare gli 
strumenti di lavoro ci siano persone capaci, sia fra i lavoratori, che fra gli 
imprenditori … La crescita risulta impossibile in assenza di una solida 
base di capitale umano. Il successo dipende dalla capacità di una nazione 
di utilizzare la sua gente …”. 
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Il capitale umano è alla base del sistema delle relazioni interpersonali, 
formali e informali, che contribuiscono alla crescita economica e generano 
il capitale sociale di una comunità, di un territorio, di un Paese. 
Fenomeni come l‟emigrazione e conseguente fuga dei cervelli (brain 
drain), la non valorizzazione dei talenti o l‟insufficiente spesa pubblica per 
                                                           
1
 Fornara P. Il sole 24 ore (novembre 2006)
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la scuola, costituiscono alcuni esempi d‟impoverimento del capitale umano 
con conseguenze sullo sviluppo economico di un territorio. 
Essendo il capitale umano un‟ attività complessa e multi sfaccettata, una 
condizione per misurarla meglio è migliorarne la sua comprensione e 
definizione. 
Fu Adam Smith il primo degli economisti classici ad introdurre il concetto 
di capitale umano nella sua opera, madre dell‟economia politica, “La 
Ricchezza delle Nazioni” nel 1776, ove propose l‟analogia tra gli uomini e 
le macchine produttrici, sostenendo che l‟allevamento degli uomini, come 
la produzione delle macchine, richiede l‟impiego di risorse economiche e 
quindi risulta errato considerare per il calcolo della ricchezza nazionale il 
valore di queste ultime e trascurare quelle degli uomini
2
.  
Il problema sollevato da Smith fu successivamente considerato da altri 
teorici da Bentham a Mill, ma un contributo fondamentale lo si deve a 
Marshall che a questo riguardo affermava che il più prezioso dei capitali è 
quello investito negli esseri umani e definì il capitale umano come 
quell‟insieme che comprende le energie, le facoltà e le abitudini che 
contribuiscono direttamente all‟efficienza produttiva degli uomini 
3
. 
Il più tenace assertore dell‟inclusione dei capitali nella ricchezza fu 
comunque Corrado Gini che associava il valore monetario dell‟uomo, o 
                                                           
2
 Mastrodonato A., (1991) 
3
 Lovaglio P., Vittadini G. (2004)
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capitale umano, al reddito da lavoro, cioè con riferimento all‟uomo-
produttore al netto delle risorse spese per il mantenimento e la formazione.  
Dal concetto teorico di capitale umano si passa ad un concetto operativo 
ove si specifichi l‟apporto del fattore produttivo lavoro alla produzione, 
provando che l‟incremento della produzione nazionale statisticamente non è 
spiegabile con l‟evoluzione quantitativa dei fattori produttivi impiegati, ma 
risulta determinata da fattori di ordine qualitativo, dal progresso tecnologico 
e ultimamente dall‟evoluzione “razionale” del fattore lavoro. 
Secondo Schultz, gli aumenti medi del reddito nazionale americano tra il 
1889 e il 1919 (3,5%) e tra il 1919 e il 1957 (83,1%) eccedono di gran 
lunga l‟aumento delle risorse impiegate come fattori materiali nel processo 
produttivo, ossia gli aumenti di materie prime, energia, macchinari utilizzati 
nel processo produttivo, colture e terreni coltivabili, forza lavoro come 
quantità di ore lavorate. 
J. Kendrick nella metà degli anni ‟70 considerò il capitale umano come 
fattore produttivo, costituito dal valore complessivo di quella parte della 
popolazione in età lavorativa che partecipa al processo produttivo. 
L‟autore suddivise i capitali in: 
a) capitali materiali tangibili, ossia tutte le spese per beni durevoli di 
imprese e famiglie per il mantenimento e la crescita; 
b) capitali umani tangibili, ossia i costi per produrre fisicamente esseri 
umani (spese di allevamento fino all‟età lavorativa);
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c) capitali materiali intangibili, costi di attività di ricerca e sviluppo; 
d) capitali umani intangibili, spese per il miglioramento della qualità e 
della produttività del capitale umano tangibile (spese per istruzione, 
formazione professionale, mediche e sanitarie e per mobilità settoriale e 
territoriale degli occupati). 
Altri autori hanno messo in evidenza il legame tra capitale umano e 
contabilità nazionale.  
Lenti, ad esempio, negli anni ‟60, sosteneva che la capacità produttiva dei 
mezzi materiali si esaurisce nel tempo, mentre quella dei mezzi umani si 
trasmette, almeno in parte, da generazione a generazione. Per questo, la 
caratteristica del capitale umano delle conoscenze che si sedimentano nel 
tempo va adeguatamente valutata per lo sviluppo economico di un Paese. 
La complessità degli aspetti che attengono al capitale umano è reperibile 
nello schema di analisi illustrato in Figura 1.1.  
Lo stock di capitale umano accumulato da ciascun individuo si situa nella 
parte centrale e mette in luce sia i contenuti con valore di mercato, sia i 
contenuti con valore “non valutabile” direttamente, ma rilevante per 
l‟individuo. 
Nella valutazione del capitale umano, tuttavia, risultano importanti anche 
taluni aspetti che costituiscono gli input o gli output della creazione del 
capitale umano, in particolare da un lato gli investimenti/costi sostenuti per 
la creazione del capitale umano nella fase di formazione, e, dall‟altro, gli
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output che si otterranno come rendimento dell‟investimento in capitale 
umano, tipicamente i flussi di reddito. 
 Input e/o output sono talvolta utilizzati come proxy dello stock di capitale 
umano, anche perché consentono di considerare direttamente i valori 
economico/finanziari con i quali si misura la bontà di un certo investimento. 
Un‟ulteriore dimensione da considerare è il tempo, guardando al passato 
(backward looking) o al futuro (forward looking), per riportare al presente 
valori storici o attesi. Il tempo, come si vedrà meglio di seguito è una 
variabile che incide sul capitale umano ancor di più che su altri 
investimenti, dal momento che il tasso suo di obsolescenza è estremamente 
rapido non segue solo parametri puramente finanziari. 
Questa figura, pur utile per definire alcuni oggetti di fondo, non considera, 
o sottostima, una serie di aspetti importanti legati al capitale umano e alla 
sua misurazione. Per esempio la figura 1.1 è impostata unicamente su 
fondamenti microeconomici, mentre per la creazione del capitale umano 
sono decisivi anche gli aspetti macroeconomici relativi al funzionamento 
del sistema scolastico e della formazione professionale e alle istituzioni che 
lo governano.
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Figura  1.1: Il processo di creazione del capitale umano
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Concludendo, molte sono le sfumature di significato che i vari autori hanno 
dato del capitale umano ai vari livelli (di individuo, famiglia, impresa, 
Paese), per questo sembra utile, in questo contesto, riferirsi a quella più 
                                                           
4
 Nosvelli M. (2009)
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generale riportata in un noto lavoro dell‟OECD del 2001, dove per capitale 
umano si intendono “le conoscenze, le capacità, le competenze e gli 
attributi individuali che facilitano il benessere personale, sociale e 
economico”, concetto che è stato abbracciato anche dal Consiglio 
dell‟Unione europea nella risoluzione del 25/11/03 che  indica lo sviluppo 
del capitale umano come fattore fondamentale per la coesione sociale e la 
competitività nella società dei saperi. La  risoluzione, guarda al capitale 
umano come una risorsa strategica per lo sviluppo dell‟Europa e specifica 
che le politiche in materia di istruzione e formazione degli Stati dovrebbero 
essere orientate verso una valorizzazione della personalità di ogni individuo 
lungo tutto il corso della vita e verso una maggiore partecipazione dei 
cittadini alla coesione sociale e allo sviluppo economico. 
 
 
1.2 Il capitale umano e la famiglia 
 
Fino agli anni cinquanta gli economisti hanno del tutto trascurato lo studio 
del comportamento delle famiglie in quanto fino ad allora ci si limitava a 
considerare solo il punto di vista numerico del fenomeno ( il numero dei 
matrimoni, dei divorzi...). Invece l‟approccio economico contribuisce a 
fornire spiegazioni relative ai vari problemi riguardanti la famiglia.
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G. S. Becker suggerisce un modello che consente di analizzare direttamente 
il ruolo della famiglia nelle decisioni di investimento in capitale umano. 
L‟ipotesi introdotta da Becker è che ogni individuo possa finanziare la 
propria istruzione  a tassi di interesse crescente (la curva di offerta di 
finanziamento è inclinata positivamente); inizialmente la famiglia può 
fornire direttamente mezzi finanziari ad un tasso nullo, mentre a livelli più 
elevati di investimento l‟accesso a fonti esterne di finanziamento diventa 
progressivamente più costoso. Sotto tale ipotesi, a parità di condizioni, la 
famiglia può avere un ruolo essenziale nel determinare il livello ottimo di 
istruzione per cui il tasso di interesse (costo di finanziamento 
dell‟investimento ) eguaglia il tasso interno di rendimento. Tale modello 
suggerisce un‟interessante spiegazione al problema delle diverse scelte di 
investimento in capitale umano in famiglie diverse. In un altro modello, 
Becker con Tomes affronta un altro problema: la determinazione dei fattori 
che inducono la famiglia ad investire in capitale umano dei figli. In un 
modello a due periodi si assume che i genitori abbiamo preferenze 
altruistiche nel senso che la loro utilità è determinata non solo dal consumo 
attuale, ma anche dalle capacità di consumo dei figli nel futuro. 
Introducendo l‟ipotesi che le possibilità di guadagno futuro dei figli, e, 
quindi, le loro capacità di consumo siano una funzione dell‟ammontare di 
capitale umano accumulato nel primo periodo, i due economisti concludono
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che il processo di ottimizzazione di utilità intertemporale indurrà i genitori 
ad investire parte del reddito in istruzione dei figli.  
La famiglia ha dunque un ruolo nel determinare la distribuzione 
intergenerazionale di reddito attraverso i trasferimenti; tuttavia occorre 
considerare un altro problema: il family background, con cui si intende non 
solo l‟aspetto economico favorevole per i figli ricchi, ma anche la maggiore 
propensione all‟istruzione dei figli per via di tradizioni familiari o in 
generale per influenza dell‟ambiente in cui essi si trovano. In ogni caso vi è 
sempre la combinazione tra abilità, che determina la domanda di 
investimento, e l‟opportunità, che determina l‟offerta di finanziamento. 
 
 
1.3 L’ istruzione e la formazione 
 
Il concetto di capitale umano, pur essendo stato presentato da vari autori 
non è mai stato sviluppato all‟interno di una solida struttura teorica, 
almeno fino alla metà del „900 grazie ai lavori pionieristici di Jacob 
Mincer (1958), Theodore Schultz (1961) e Gary Becker (1964), favoriti 
dallo stimolante clima di ricerca dell‟Università di Chicago. L‟ipotesi 
alla base della teoria del capitale umano si collega alla possibilità di 
valutare l‟istruzione, e in generale la formazione, come bene al quale 
può essere attribuito un prezzo di mercato, in quanto si tratta di un
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investimento effettuato dal soggetto in vista dell‟acquisizione e del 
miglioramento della propria capacità professionale (e quindi di una 
futura e più elevata retribuzione). L‟istruzione porta ad rendimento non 
solo privato ma anche sociale. Tra gli effetti indiretti dell‟istruzione 
ricordiamo il beneficio di nascere in una famiglia colta, infatti la 
correlazione tra istruzione dei genitori e quella dei figli è elevata. 
Ovviamente ad un aumento dell‟istruzione dei genitori è da attendersi 
un aumento dell‟istruzione e quindi del reddito per i figli. Tra i vari 
effetti esterni dell‟istruzione citiamo: 
 Creazione di un ambiente favorevole al progresso delle 
conoscenze (aumento della ricerca scientifica). Per esempio, 
Nelson e Phelps, hanno dimostrato che lavoratori più istruiti e 
addestrati innovano maggiormente e sono più capaci di 
utilizzare le innovazioni altrui e, quindi, il miglioramento del 
capitale umano fa aumentare la crescita, provocando 
un‟accelerazione del progresso tecnico.   
 Tendenza ad incoraggiare un comportamento più civile e 
responsabile 
 Economie di scala per migliori condizioni dei servizi 
 Tendenza ad una stabilità politica ed ad una migliore qualità 
dell‟Amministrazione 
 Migliore cura della salute
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Da questo punto di vista l‟istruzione deve essere considerata un bene di 
investimento. Tuttavia non si deve trascurare che spesso l‟istruzione 
può costituire un piacere in sé, arricchimento della personalità, di 
cultura, di possibilità di lavori più piacevoli, tutti benefici difficilmente 
quantificabili. Inoltre maggiore istruzione può voler dire cittadini più 
responsabili, più informati anche maggiore coesione sociale e stabilità 
dei valori democratici. 
Tuttavia la formazione scolastica, spesso, non è sufficiente per i datori 
di lavoro per cui è necessario che i lavoratori acquisiscano abilità e 
competenze particolari attraverso una formazione professionale che li 
può essere fornita mentre essi già lavorano. Questi programmi che 
rientrano nel cosiddetto on the job training servono proprio per garantire 
l‟aggiornamento continuo dei lavoratori.  
Ovviamente prima di avviare tali programmi, la ditta deve confrontare i 
differenziali di produttività dovuta alle nuove competenze e i 
differenziali di salario. La formazione professionale viene distinta in 
general training, se la produttività del lavoratore aumenta dello stesso 
ammontare sia nell‟azienda in cui egli lavora sia se lavorasse nelle altre 
aziende, e specific training se si tratta di un tipo di formazione molto 
specifica dell‟azienda in cui egli lavora e pertanto fa aumentare la 
produttività del lavoro solo nell‟azienda stessa. È chiaro che nel definire 
un programma di formazione l‟azienda deve porsi un problema di costi
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poiché esiste il rischio che, una volta realizzato tale programma, la 
nuova capacità professionale possa non essere utilizzata dalla stessa 
azienda, dato che, dopo aver acquisito nuove capacità professionali il 
lavoratore può abbandonare l‟azienda e, così, tali nuove capacità 
possono essere utilizzate in altre aziende.  
Al di là di questi aspetti micro, è certo che in termini macro se la 
formazione professionale è ben fatta, procura al fattore lavoro aumento 
di capitale umano, perché genera aumento di capacità, abilità e 
conoscenze. Pertanto è evidente il ruolo della formazione professionale 
nella teoria del capitale umano e la necessità di una valida politica di 
programmazione collegata a specifici piani di formazione scolastica 
rispondente ai bisogni del mercato del lavoro. 
 
 
1.4 Misurare il capitale umano: alcune tipologie di analisi 
 
1.4.1 Indicatori di capitale umano 
 
Gli indicatori di base utilizzati in letteratura per misurare il capitale umano 
si distinguono  in cinque gruppi omogenei
5
: 
                                                           
5
 Nosvelli M. (2009)