5
Il capitolo primo ha il compito di dare una visione generale sul concetto di 
“crisi d’impresa”, si cercherà pertanto di offrire una panoramica attorno alla 
definizione di crisi d’impresa, nonché sull’individuazione e sull’analisi delle 
relative cause. 
Sulla base di tale premesse, il capitolo secondo focalizza l’attenzione sulle 
modalità di prevenzione e di individuazione degli stati di crisi. Solo da un valido e 
approfondito lavoro di individuazione si possono impostare diagnosi corrette e 
interventi risanatori appropriati. In tale ottica, vengono presentati i principali 
strumenti di diagnosi della crisi, tra cui l’analisi dei bilanci, dei quozienti di 
bilancio, finanziaria, di mercato e della formula imprenditoriale. 
Il capitolo terzo si concentra, invece, sulle soluzioni di risanamento 
dell’impresa in crisi, in particolare evidenzia le caratteristiche (vantaggi e anche i 
limiti) e l’iter formativo della soluzione stragiudiziale, vista come alternativa a 
quella giudiziale. 
La soluzione stragiudiziale, si concretizza mediante la realizzazione di un 
piano di risanamento. E’ nel quarto capitolo che si analizzano le caratteristiche di 
fondo del processo di turnaround e, in particolare il contenuto del piano di 
risanamento predisposto per consentire il ritorno dell’impresa a condizioni 
generatrici di valore. Più precisamente ci si focalizza sul c.d. piano industriale, il 
quale attraverso interventi di asset restructuring, interventi di razionalizzazione e 
di riposizionamento strategico, pone le basi per il ritorno alla redditività. 
  Il capitolo quinto si concentra sul piano finanziario, parte integrante del 
piano di risanamento stragiudiziale nonché parte integrata con il piano industriale, 
quest’ultimo rappresenta la base per la realizzazione del primo. La ristrutturazione 
finanziaria è stata trattata soffermandosi in modo particolare sugli interventi 
tecnici, che possono combinarsi, quali: consolidamento dell’esposizione debitoria, 
la riduzione dell’ammontare complessivo del debito e la conversione del debito in 
altre forme di finanziamento. 
 
 
                                                                                                                                 6
Capitolo 1 
LE CRISI D’IMPRESA: DEFINIZIONE, CAUSE, GESTIONE 
1.1 .   Le crisi : alcune definizioni 
Nella dottrina aziendale, il concetto di crisi è variamente definito
1
. 
Alcuni studiosi utilizzano questo termine come sinonimo di insolvenza, ossia 
l’impresa non è più in grado di far fronte alle proprie obbligazioni; altri 
considerano un’impresa in crisi quando essa giunge al fallimento o ad un’altra 
procedura concorsuale, ma nella sua accezione più diffusa tale concetto viene 
adottato allo scopo di indicare il momento conclusivo di un ciclo gestionale 
negativo, cioè quella situazione di decadimento graduale delle condizioni di 
gestione che trova la sua natura in manifestazioni pregresse (rilevanti squilibri di 
origine economica, patrimoniale e finanziaria). 
In tal senso, la crisi è vista come un evento eccezionale da affrontare con 
interventi terapeutici di carattere straordinario, e non come un evento ricorrente 
con il quale le imprese devono costantemente confrontarsi a causa dell’evoluzione 
del sistema aziendale-ambientale. 
 Al di fuori della dottrina aziendale si fa  ricorso ad un concetto di crisi 
ben più ampio: un’impresa è in crisi non solo quando consegue risultati economici 
negativi, ma anche quando la redditività del capitale investito è nettamente 
inferiore a quella ottenibile da investimenti alternativi. Sulla base di questa 
considerazione, essa appare, da un lato, un “problema quotidiano” della vita 
aziendale, il quale richiede necessariamente continue trasformazioni nelle 
modalità di gestione e nelle scelte poste in essere dall’impresa, dall’altro, un 
fenomeno che sollecita l’impresa a migliorare l’efficienza nell’uso delle proprie 
risorse. In quest’ottica, la crisi è vista sia come evento traumatico che può causare 
la fine dell’impresa, sia anche come momento di riflessione e di cambiamento. 
Essa, infatti, produce uno shock, un trauma che sconvolge il ritmo normale della 
                                                 
1
 Cfr. F. Venturelli, “La crisi d’impresa: diagnosi, gestione e modelli di risanamento”, Cacucci, 
Bari, 1998, pag. 40 e segg. 
                                                                                                                                 7
gestione e comporta un radicale mutamento delle risorse, riproponendo i problemi 
di revisione delle strategie e degli assetti strutturali in essere. La crisi finisce per 
essere così un momento di generale ripensamento delle prospettive aziendali, che 
può rimettere in discussione le funzioni dell’impresa e le stesse finalità 
imprenditoriali. Sotto questo aspetto la crisi rappresenta un evento da cui può 
derivare un rafforzamento dell’azienda stessa, con prospettive di sviluppo che 
sarebbero impensabili, negli stessi tempi e nella stessa entità, senza l’evento 
traumatico. “Paradossalmente, vivere una situazione di crisi può rappresentare, 
dunque, un’ opportunità per un’impresa. Infatti, il successo riduce la tensione 
gestionale e gli uomini, inconsapevolmente, tendono ad assumere un 
atteggiamento scarsamente reattivo di fronte agli eventi. Si può essere addirittura 
travolti dal proprio successo: sicuri e soddisfatti di un ricco e abbondante 
presente, non ci si sforza per porri le basi per un migliore futuro”
2
. 
Affinché una minaccia si tramuti in opportunità, è indispensabile che la 
crisi venga fronteggiata nell’ottica dello sviluppo, inteso non già e non solo quale 
crescita dimensionale, ma soprattutto come rafforzamento qualitativo della 
compagine aziendale. Dunque ogni crisi dovrà essere affrontata con l’obiettivo del 
raggiungimento di nuovi e migliori equilibri aziendali, perché un ritorno ai vecchi 
equilibri significa non saper cogliere il segno del cambiamento: l’atteggiamento 
non dovrà essere quello di chi guarda all’incidente di percorso da superare per 
ritornare all’equilibrio perduto, perché l’equilibrio d’arrivo non sarà mai quello di 
partenza.  
Per effetto della crisi, si possono registrare una serie di ricadute positive: 
nascono nuovi talenti, attingendo all’esterno o liberando potenzialità represse 
all’interno dell’organizzazione; emergono nuove potenzialità competitive; si 
sviluppano sistemi di prevenzione; vengono elaborate nuove strategie, una crisi 
costringe a mettere in questione anche i progetti migliori, la minaccia, 
l’incertezza, le pressioni, fanno emergere nuove considerazioni e strade da 
percorrere
3
. 
La crisi può e deve rappresentare uno strumento prezioso per favorire 
l’incremento della conoscenza del cambiamento, perché produce una comune 
                                                 
2
 Cfr. S. Doblin, “Rapidità d’azione per vincere la crisi”, L’Impresa, n.5, 1991 
3
 Cfr. G. C. Meyers, “Gestire le crisi”, Il Sole 24 Ore, Milano, 1988 
                                                                                                                                 8
sensazione di pericolo dinanzi alla quale le abitudini, la difesa di interessi 
particolaristici, le routine non esercitano più il loro effetto bloccante nei confronti 
dei processi innovativi. Essa è un’occasione unica per il consolidamento e lo 
sviluppo aziendale; il suo superamento accresce lo spirito di coesione del gruppo 
imprenditoriale e migliora la professionalità dei manager. Ciò non toglie che è pur 
sempre un evento dispendioso (perché ha già alle sue spalle la perdita di preziose 
risorse per l’azienda), grave (perché richiede l’impiego di nuove e più qualificate 
risorse) e rischioso (perché non è detto che, in ogni caso, possa essere fronteggiato 
e superato).  
1.2 .   Declino e crisi: un percorso evolutivo 
Il fondamentale obiettivo aziendale è l’accrescimento di valore del capitale 
economico. La variazione della dimensione del capitale economico può essere 
misurata con appropriate formule valutative; e quando, in seguito a tale 
misurazione, si palesano accrescimenti nulli o negativi della grandezza in 
questione, ciò significa che l’impresa non realizza adeguatamente la propria 
finalità istituzionale di autogenerazione nel tempo: è su tale base che risulta 
possibile distinguere due momenti di diversa gravità: il declino e la vera e propria 
crisi
4
. 
Si ha una situazione di declino quando l’impresa perde valore nel tempo, 
ossia distrugge valore con un’intensità tale e una tale tendenza nel tempo da 
compromettere la stessa sopravvivenza dell’impresa in assenza di azioni 
correttive. Si qualifica quindi per la sostanziale incapacità di realizzare i flussi di 
reddito attesi (non necessariamente di subire perdite), per l’aggravamento del 
livello di rischio delle strategie aziendali, per la natura non occasionale degli 
squilibri e per la necessità di interventi di ristrutturazione allo scopo di eliminarne 
le cause
5
. 
La crisi non è altro che l’evoluzione, inevitabile in assenza di interventi, 
del declino, è uno stato di grave instabilità caratterizzato da perdita di valore e di 
                                                 
4
  Cfr G. Bertoli, “Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore”, Egea, Milano, 2000 
5
  Cfr Masciandaro, Riolo, “Crisi d’impresa e risanamento. Ruolo delle banche e prospettive di 
riforma” Edibank, Milano, 1997 
                                                                                                                                 9
redditività che assumono una veste tangibile in quanto impattano negativamente 
sui flussi finanziari generando una situazione di insolvenza (incapacità dei flussi 
finanziari generati dall’impresa di far fronte alle obbligazioni in essere), caduta di 
capacità di credito per perdita di fiducia da parte degli stakeholders, dissesto 
(situazione tale per cui il valore delle attività è insufficiente a garantire il rimborso 
dei debiti). La crisi dunque è la fase conclamata del declino, cioè la conseguenza 
dell’accumularsi di risultati sfavorevoli di gestione, dovuto all’incapacità del 
gruppo imprenditoriale e manageriale di governare i complessi rapporti tra le 
dinamiche esterne ambientali e quelle interne aziendali. 
La distinzione tra declino e crisi è importante per spiegare come il declino 
può rappresentare un passaggio normale della vita di un’ impresa. 
Contemporaneamente, però, il confine tra declino e crisi è molto sottile: ritardi 
d’azione, interventi parziali, crescenti pressioni esterne possono facilmente 
vanificare i tentativi di turnaround e preludere a squilibri irreversibili. 
Il percorso che porta alla crisi è strutturato in quattro stadi, i primi due 
circostanziano la fase di declino, mentre i successivi due delimitano la crisi vera e 
propria. 
Il primo stadio è quello di incubazione del declino. Si manifestano 
inefficienze e squilibri di vario tipo, di origine interna oppure esterna (per 
esempio scarsa capacità del management, eccessivo indebitamento in rapporto al 
capitale proprio con conseguente gravoso ammontare degli interessi passivi, 
ecc..); 
Il secondo stadio è quello di maturazione del declino: che si manifesta 
nella perdita di capacità reddituale e di valore del capitale economico
6
; 
Il terzo stadio è quello delle ripercussioni delle perdite sui flussi di cassa e 
sulla fiducia. E’ il cosiddetto aspetto finanziario della crisi; la più saliente e tipica 
manifestazione esterna, che è talvolta confusa con le cause della crisi, della quale 
è invece generalmente una conseguenza. Le vere cause della crisi hanno radici 
economiche: inefficienze organizzative, decadimento dei prodotti, carenze di 
programmazione e di innovazione, esse incidono negativamente, in modo 
graduale, sulla vitalità dell’azienda, indebolendola sul piano finanziario. Quindi le 
                                                 
6
 Il capitale economico sintetizza non solo i flussi reddituali e di cassa che l’impresa attualmente 
produce, ma anche le potenzialità di produrre flussi positivi per l’avvenire. 
                                                                                                                                 10
crisi sono sempre dovute a fatti economici che successivamente si traducono in 
fatti finanziari. “Solo in due ipotesi, corrispondenti a due momenti di vita 
aziendale, l’aspetto finanziario della crisi assume carattere preminente ed 
autonomo: nella fase di avvio, qualora l’insufficienza dei mezzi propri 
(sottocapitalizzazione) può impedire il decollo delle imprese, e nella fase di 
sviluppo dimensionale, quando la crescita è superiore alla capacità finanziaria 
dell’imprenditore (overtrading).”
7
 
Il quarto stadio è quello dell’esplosione clamorosa, che lede più o meno 
tutti gli stakeholders
8
 dell’impresa: l’insolvenza e il dissesto ne sono le 
manifestazioni possibili, in ordine di gravità. Tutto l’organismo aziendale ne viene 
profondamente sconvolto, a tal punto che qualsiasi intervento riparatore appare 
problematico, spesso tardivo e con probabilità di successo assai ridotte. In ogni 
caso in condizioni di insolvenza
9
 sono necessari, per tentare il salvataggio, 
interventi profondi, che investano innanzitutto la struttura del capitale ed il 
management; anche in situazione di dissesto sono concepibili interventi intesi al 
salvataggio e al risanamento dell’azienda, ma tali operazioni non sono attuabili 
senza l’ampia disponibilità dei creditori a “cancellare” parte dei loro crediti, 
oppure senza il ricorso a procedure concorsuali. In quest’ultimo caso peraltro le 
probabilità di risanamento sono spesso compromesse dalla forte (e spesso 
irrecuperabile) perdita di immagine e di credibilità. 
                                                 
7
  Cfr F. Venturelli., “La crisi d’impresa: diagnosi, gestione e modelli di risanamento”, Cacucci, 
Bari, 1998  
8
 Con il termine stakeholders si fa riferimento a tutti quei soggetti portatori di interessi nei 
confronti dell’azienda. Essi condizionano la gestione aziendale, assicurandone, in alcuni casi, la 
prosperità e lo sviluppo oppure, in altri casi, facendosi portatori di minacce.  
Questi possono essere interni od esterni.  Gli stakeholders interni si distinguono in proprietari e 
non proprietari. I primi sono i soci detentori di capitale di rischio; i secondi sono i dipendenti o il 
management non proprietario. Gli stakeholders esterni rappresentano tutti i soggetti che operano al 
di fuori della sfera aziendale, quali i fornitori, i clienti, i concorrenti, lo Stato, ecc.. 
9
 <<Più precisamente l’insolvenza potrà essere giudicata di tipo “temporaneo” oppure di tipo 
“definitivo”. Nella prima ipotesi appare essenzialmente transitoria e reversibile, nella seconda 
appare, invece, di carattere irreversibile. Affinché  l’insolvenza possa essere considerata 
reversibile occorre che, pur in presenza di squilibrio finanziario (del quale danno piena evidenza i 
disavanzi desumibili dai preventivi di cassa a breve termine), l’azienda conservi un “capitale netto 
positivo” che tranquillizza sul fatto che il piano di turnaround può essere affrontato, rischiando di 
disperdere i capitali dell’imprenditore e non semplicemente gravando sui creditori, i quali, semmai 
potranno accordare una “tregua” per il pagamento dei debiti; ed inoltre delle “prospettive 
economiche positive”, in mancanza di queste non si generano né avanzi di cassa né crediti, ragion 
per cui non appare agevole il recupero dell’equilibrio finanziario.>> 
N. Angiola, “Crisi d’impresa. Modelli di analisi e di previsione”, Baldassarre, Santeramo in Colle, 
1998, pagg. 39-40