6
1.1 Il contesto storico 
 
1.1.1 Tra XI e XII secolo 
Rispetto al resto dell’Europa, solo in Italia c’erano scuole laiche: si tratta di scuole 
private e poco conosciute che non assursero mai a centri universitari. A Roma, 
Ravenna, Pavia, si insegnavano, assieme alle arti liberali, elementi di notariato e di 
diritto pratico, e, a partire dalla fine del X secolo, a Salerno si era sviluppata, un’attiva 
scuola medica.  
In tutti gli altri centri le scuole erano sotto il controllo completo della Chiesa e, sia per 
l’organizzazione che per le discipline insegnate, si fondavano sui principi dell’età 
carolingia. Ogni scuola era dunque collegata a un grande insediamento religioso: a 
un monastero, a una cattedrale, a una collegiata. 
La scuola era diretta da un magister scholarum chiamato scolasticus che poteva 
ricevere la collaborazione di qualche assistente ed era comunque subordinato 
direttamente al vescovo o all’abate. Queste scuole erano destinate in primo luogo 
agli oblati dei monasteri e ai giovani chierici (Arnaldi, 1974). Tuttavia era anche 
prevista l’apertura ad allievi estranei, per esempio chierici attirati dalla fama di un 
maestro illustre o giovani nobili cui i genitori volevano che s’impartisse una 
formazione intellettuale particolarmente curata. Il livello di queste scuole era 
complessivamente mediocre: molte impartivano un solo insegnamento elementare 
(leggere, scrivere, fare di conto) o si limitavano a preparare i giovani chierici 
all’assolvimento dei compiti liturgici. Solo alcuni centri “(…)si potevano davvero 
considerare sede d’insegnamento superiore, e non erano né molti né stabili, poiché 
spesso la loro buona reputazione era legata al soggiorno di un maestro celebrato e, 
alla sua partenza, tramontava” (Verger, 1999 : 64)
2
. 
All’inizio del XII secolo, dunque, le già poche scuole monastiche, come 
Montecassino o il Bec perdono il loro prestigio conquistato nel secolo precedente. 
Scarsamente uniforme era anche la loro distribuzione geografica: erano infatti 
presenti solo nelle città più importanti (scuole cattedrali) di alcuni Paesi europei. In 
Germania erano pressoché assenti, invece nell’Italia settentrionale e soprattutto nella 
regione tra la Loira ed il Reno, vi erano zone di attrazione per gli studenti (Arnaldi, 
1974). 
I programmi e i metodi di queste scuole erano in gran parte ancora quelli stabiliti 
dalla riforma carolingia. Alla base dell’insegnamento c’erano le sette arti liberali, al 
vertice la teologia. Ogni disciplina disponeva di alcune opere fondamentali, 
completate dalla lettura di auctores universalmente riconosciuti (Virgilio, Ovidio, 
Pisciano, Cicerone, Aristotele) nonché dalla lettura della Bibbia. Seguendo un 
metodo fisso, il maestro leggeva il testo da studiare (la lectio) e interrompeva a tratti 
la lettura con un commento che doveva precisare il senso letterale del passo (il 
sensus) e trarne poi quello profondo e nascosto (la sententia). La possibilità di 
focalizzarsi su una materia piuttosto che su di un’altra, dipendeva anche dalla 
notorietà della scuola e dei maestri. 
                                                 
2
 Verger J. Gli uomini di cultura nel medioevo, Il Mulino, Bologna, 1999 
 
 7
1.1.2 Il XII secolo: la rinascita delle Università 
Nel XII secolo si registra senz’altro un notevole fermento nel collezionare e 
trascrivere i manoscritti della Bibbia, dei Padri Latini e dei classici: una certosina 
opera di traduzione di migliaia di testi che si sviluppava spesso in centri differenti, 
come ad esempio nelle antiche scuole monastiche (Arnaldi, 1974). Lo sforzo dei 
traduttori del XII secolo riguardò senz’altro in primo luogo la filosofia e la scienza 
greca, le opere di Aristotele e dei grandi scienziati, Euclide, Archimede, Tolomeo; 
vennero tradotte le opere ed i trattati di molti autori arabi, trattati di matematica, 
astronomia, scienze e medicina; più trascurata fu la letteratura greca. Nel campo del 
diritto si incrementò molto il patrimonio di testi studiati nelle scuole grazie 
all’introduzione del nuovo Codice, del Digesto e delle Novelle. Nel contesto della lotta 
per le nuove investiture, ci fu quindi un improvviso risveglio dell’attività giuridica, 
specialmente in Francia e in Italia. I sostenitori dell’imperatore e i difensori delle 
libertà ecclesiastiche fecero continuamente ricorso tanto ai testi del diritto romano 
che a quelli del diritto canonico; di qui un intenso lavoro di ricerca, di critica e di 
riordinamento delle fonti del diritto. Si mise mano a tutte le collezioni di diritto, ai 
manoscritti autentici e ai codici antichi (Verger, 1992). 
L’incremento del corpus dei testi che maestri e scolari avevano a disposizione non è 
però sufficiente a spiegare la profonda trasformazione dell’organizzazione scolastica 
occidentale durante il XII secolo: i centri più attivi nel tradurre e diffondere i testi, 
come Toledo o la Sicilia, non hanno visto infatti sorgere scuole importanti. Occorre 
dunque considerare alcune  condizioni politiche e sociali in cui, a partire dalla fine 
dell’ XI secolo, sarà possibile collocare la nascita dell’università (Verger, 1992). 
La rinascita delle città fu una delle conseguenze del generale sviluppo demografico 
dell’Occidente. La popolazione urbana cresceva attingendo in primo luogo al 
serbatoio delle campagne circostanti. Le città del XII secolo non erano diverse dai 
villaggi solo per volume di abitanti. Esse si opponevano alla pianura circostante, 
articolata intorno ai signori dei castelli e ai grandi insediamenti monastici offrendo 
condizioni, sociali e politiche completamente nuove a coloro che vi si recavano per 
abitarvi. L’evoluzione delle città erano viste dai critici come delle maledizioni. 
Dall’altra parte una schiera di ottimisti , i quali sentivano come le condizioni di vita 
create dalle città e il contatto fra tanti uomini di origine diversa offrissero inaudite 
possibilità d’arricchimento non solo materiale, ma intellettuale e spirituale. In primo 
luogo “(…) la città comportava la divisione del lavoro e determinava il sorgere di 
attività commerciali e artigianali; l’appartenenza ad una professione diventava uno 
dei dati essenziali della coscienza di sé. La città dunque era anche corporazione, 
spesso chiamata universitas; gli uomini che erano addetti a uno stesso lavoro e che 
vivevano in contatto reciproco tendevano naturalmente ad associarsi per difendersi” 
(Verger, 1992 : 34)
3
. Non esisteva ancora una definizione giuridica precisa, ma 
grossomodo la corporazione si definiva da un parte per  la sua autonomia 
organizzativa interna, dall’altra per il riconoscimento della propria personalità morale 
da parte dei poteri pubblici, che rinunciavano di fatto a rivolgersi direttamente e 
individualmente ai membri della corporazione (Coppi, 1956). Ma la città significava 
anche  libertà: dopo aver raggiunto una certa importanza, le città tentavano (con 
mezzi più o meno leciti) di ottenere dal loro signore una certa autonomia, e inoltre 
garanzie giuridiche, fiscali, militari per i loro abitanti. Insomma l’influenza  del nuovo 
“movimento comunale” era fortissima sulla mentalità dei cittadini. 
                                                 
3
 Verger J. Le università nel medioevo, Il Mulino, Bologna, 1992 
 
 8
Queste profonde trasformazioni hanno avuto durante il XII secolo conseguenze 
importanti sulla vita scolastica occidentale, sia dal punto di vista pedagogico che da 
quello dell’organizzazione e del ruolo sociale. In un famoso testo, Guiberto di Nogent 
osserva che: 
 
 “una volta, e ancora negli anni della mia giovinezza, i maestri erano poco numerosi: 
nei paesi mancavano del tutto e se ne incontravano appena qualcuno in città. E 
anche quando se ne trovavano, la loro scienza era cosi misera che non la si 
potrebbe paragonare a quella dei chierici vaganti di oggi
4
”. 
 
Il passo sottolinea i due aspetti, quantitativo e qualitativo, del fenomeno in questione. 
Cominciamo con l’aspetto quantitativo: nel XII secolo le scuole si sono moltiplicate 
ovunque, almeno nelle città, poiché, come osservato in precedenza (Cfr par. 1.1), i 
grandi monasteri rurali tendevano a chiudere. Sebbene sia arduo fissare delle cifre, 
in alcune città possiamo senz’altro dire che la popolazione scolastica cominciava 
certamente a formare un gruppo importante e a porre problemi sociali specifici. A 
Parigi, un intero quartiere della città si trasformava nel quartiere delle scuole, intorno 
al “chiostro di Notre-Dame”.  
Un altro segno della crescita scolastica sono le nuove misure adottate nel 1119 dal 
III concilio Lateranense, che mostrano molto efficacemente come le istituzioni 
tradizionali rischiassero di essere travolte dalla moltiplicazione dei maestri e degli 
scolari. La Chiesa riconosceva che con la moltiplicazione degli allievi ed il 
miglioramento del livello scolastico le scuole capitolari da sole non erano più 
sufficienti, almeno nei centri più importanti; ma nello stesso tempo la Chiesa 
affermava il suo monopolio sulla scuola molto più nettamente che all’inizio del XII 
secolo, quando il problema non era molto sentito per la scarsità stessa delle scuole 
(Arnaldi, 1974). Per il momento si trattava di un monopolio locale, perché la 
cosiddetta licencia docendi conferita dallo  scolasticus aveva validità soltanto entro i 
confini della diocesi; invece nel Duecento il papato istituirà per le università una 
licencia ubique docendi, riconosciuta ovunque, che renderà temporanei i privilegi 
scolastici delle autorità diocesane. Ma ora importa osservare come la Chiesa 
affermasse in maniera del tutto perentoria il suo diritto a controllare tutta l’attività 
dell’insegnamento. Del resto, il III concilio Lateranense non regolava i problemi 
pratici posti dalla moltiplicazione degli allievi e dei maestri liberi dotati di licencia 
docendi. Toccava dunque a costoro organizzarsi per fissare con gli scolastici le 
condizioni pratiche di concessione della licencia, e per discutere il problema cruciale 
della remunerazione dell’insegnamento, vale a dire del lavoro
5
. 
Un secondo aspetto molto significativo della trasformazione delle scuole nel XII 
secolo è di natura qualitativa. Durante il XII secolo la pedagogia ed il contenuto degli 
studi avevano subito profonde modificazioni. Erano apparsi molti testi nuovi, anche 
grazie alle traduzioni; soprattutto i metodi e gli obiettivi stessi dell’insegnamento 
erano completamente cambiati in seguito ai progressi della dialettica. Lo studio non 
era più semplicemente funzionale alla lettura ed alla comprensione della Sacra 
Scrittura; grazie all’innovazione della dialettica – significativo l’apporto dell’Organon 
aristotelico al riguardo – si ricavavano dai testi un certo numero di problemi filosofici 
e scientifici che portavano l’uomo ad interrogarsi su stesso, sul mondo, su Dio 
                                                 
4
 De Nogent G. Histoire de sa vie (1053-1124), Bourgin G. Parigi, 1907, p.12 
 
5
 Questo punto verrà meglio analizzato più avanti con riferimento alla situazione dei casi di Bologna e 
Parigi 
 
 9
(Verger, 1992). Diventava dunque obbligatorio quasi il ricorso alla discussione 
dialettica per riunire intorno ad un determinato problema i necessari riferimenti. 
L’intellettuale prendeva coscienza della specificità sociale del suo lavoro, e quando 
non si lasciava ricondurre a quello del chierico addetto alla sua chiesa, egli scopriva 
anche che i metodi e le direzioni della ricerca e dell’insegnamento sono autonomi. 
 
 
 
 10
 
1.2 Le prime Università 
 
1.2.1 Il modello di Parigi 
Già nell’XI secolo c’erano scuole attive nel cuore di Parigi e nel chiostro di Notre-
Dame, la dimora dei canonici (che generalmente coincidevano con i maestri). Ai primi 
del XII secolo queste scuole si svilupparono considerevolmente, e l’arrivo ed il 
successo del canonico Abelardo sono una causa e un segnale insieme di questa 
situazione. Fecero storia le traversie che dovette subire dovendo emigrare i suoi 
insegnamenti sulla collina di Saint Geneviéve fuori dalla giurisdizione statale sotto la 
stretta dipendenza dell’abate locale. Era frenetica la vita culturale parigina di quei 
tempi; maestri e studenti affluivano da ogni parte del mondo, sicché già in queste 
scuole si affermava uno dei tratti originali della futura università, il carattere 
internazionale. Numeroso il gruppo inglese, tra i quali si contavano celebri maestri, 
ma c’erano anche scandinavi, tedeschi, italiani. L’opera di Abelardo e quella degli 
altri maestri attivi a Parigi fu molto importante (Verger, 1994). 
Il moltiplicarsi delle scuole pose presto dei problemi di carattere organizzativo; dalle 
istituzioni scolastiche cosi rimesse in discussione sarebbe venuta fuori, nei primi del 
Duecento, l’università parigina. Nonostante l’insufficienza delle documentazioni, si 
può affermare che la genesi dell’università di Parigi sembra caratterizzata da una 
duplice tendenza non senza contraddizioni. 
Da un lato si afferma il carattere ecclesiastico dell’università, dall’altro la tendenza 
alla laicizzazione delle scuole manifestatasi, prosegue nel XII secolo: i maestri liberi - 
e gli studenti -  non dipendevano direttamente dalla Chiesa (Verger, 1994). Essi si 
sentivano più vicini agli altri lavoratori della città che ai tradizionali ambienti 
monastici. Abelardo era un canonico di Notre-Dame ma ricavava l’essenziale del suo 
reddito dagli onorari e dai doni dei suoi allievi; lui stesso scriverà di avere dato inizio 
alla scuola ad lucrandam pecuniam. Ma un simile atteggiamento incontrava 
resistenze e comportava conflitti. Le resistenze venivano dalla Chiesa, che a nessun 
livello si rassegnava ad abbandonare il monopolio della scuola, riaffermato con forza 
dal III Concilio Lateranense. Scarsa era l’integrazione dell’ambiente scolastico col 
resto della società cittadina: il reclutamento conservava troppi caratteri particolari 
rispetto a quello delle altre attività. Ne derivava uno stato di tensione permanente fra 
scolari e borghesi che generava spesso conflitti violenti (Verger, 1994). Le taverne 
erano spesso teatro di risse sanguinose, seguite da interventi non meno brutali del 
capo della polizia del re e dei suoi sergenti, che si accanivano sugli scolari e i loro 
servi molto più volentieri che sui loro avversari. In simili condizioni, maestri e studenti 
capirono che era loro interesse restare nella Chiesa per sfuggire alla polizia e alla 
giustizia del re, e non si opposero quando le autorità ecclesiastiche si sforzarono di 
definire lo studente come un chierico. Tale tendenza fu confermata e completata 
negli anni seguenti da un certo numero di bolle pontificie che introdussero il beneficio 
del canone (con la pena della scomunica maggiore per chi mettesse una mano 
addosso a un chierico) e sottolinearono come, agli occhi del papato, gli studenti 
dipendevano solo dall’autorità ecclesiastica (Coppi, 1956). Può destare meraviglia, a 
posteriori, che maestri e scolari abbiano accettato una situazione giuridica che, 
mettendoli alle dipendenze della Chiesa, fece sentire ben presto i suoi effetti sul 
piano dell’autonomia e della libertà intellettuale. Ma in un primo tempo questa 
soluzione aveva garantito loro la condizione più facile e sicura: la sicurezza 
 11
personale e quella materiale erano garantite dalla Chiesa. Tanto meno sembrava un 
intralcio l’appartenenza al clero in quanto, grazie alla politica di larga vedute 
perseguita dal papato, ciò non poneva alcun ostacolo alla possibilità di organizzarsi, 
di fronte alle autorità locali, in corporazione autonoma, padrona del proprio 
reclutamento e dell’organizzazione del proprio lavoro. 
Non significa che le autorità in gioco volessero lasciarsi sfuggire l’influenza sulle 
scuole: lunga fu la disputa tra le autorità ecclesiastiche e i maestri parigini. 
Nonostante tutte le tribolazioni – su cui la documentazione è scarsa e frammentaria – 
si può avanzare l’ipotesi che la prima forma di associazione tra i maestri delle scuole 
parigine sia apparsa intorno al 1170-80, e che tale associazione abbia dovuto 
svilupparsi poco a poco (Arnaldi, 1974). Nonostante una carta concessa da Filippo 
Augusto nel 1200, queste associazioni non si erano date delle istituzioni precise o 
rappresentanti ufficiali (Coppi, 1956). Qual’era la posta in gioco per le parti in causa? 
Il cancelliere di Notre-Dame intendeva soprattutto difendere il diritto a concedere la 
licencia docendi secondo la sua volontà, mentre il vescovo voleva mantenere la 
giurisdizione sugli studenti. Ma ad essi mancarono gli appoggi esterni, ed il governo 
regio divenne progressivamente più diffidente nei confronti degli studenti e anzi 
divenne piuttosto incline nel tempo a limitare il progresso dell’autonomia 
universitaria. In compenso, i maestri e gli scolari di Parigi avevano un alleato 
onnipotente, il papa, e disponevano di armi efficaci, lo sciopero e la migrazione dalle 
scuole. Sono dunque comprensibili le ragioni che spinsero i papi del Duecento a 
mostrarsi più benevoli dei vescovi verso il moto di rinnovamento rappresentato dallo 
sviluppo delle università. Era anche un fortissimo veicolo di diffusione per la Chiesa 
accrescere, attraverso le università, un’immagine che riflettesse la cristianità nei 
grandi centri di studio. I maestri parigini in tutto questo seppero creare le istituzioni di 
cui avevano bisogno e successivamente cercarono di ottenere un riconoscimento 
ufficiale, tramite una bolla pontificia. Insomma le decisioni dei papi andarono 
generalmente nel senso auspicato dagli universitari. I maestri parigini conquistarono 
progressivamente quasi tutti i privilegi che, nell’ottica della giurisprudenza del tempo, 
definiscono una corporazione: l’università riuscì a attuare le istituzioni necessari alla 
sua sopravvivenza (1215) fino al riconoscimento da parte di Gregorio IX della prima 
vera e propria “Magna Charta dell’università” (1250). La prima esigenza della 
corporazione universitaria era il controllo del reclutamento, e si accordarono per la 
concessione della licenza senza chiedere né denaro né giuramenti individuali di 
fedeltà. La seconda esigenza consisteva nel diritto di darsi degli statuti che 
regolamentassero il funzionamento interno (organizzazione dell’insegnamento, 
assistenza reciproca, ecc), di esigere che i membri giurassero obbedienza agli statuti 
e di escludere i disobbedienti. La terza esigenza era il diritto di eleggere ufficiali per 
assicurare l’applicazione degli statuti e per rappresentare la corporazione davanti alle 
autorità esterne o presentarsi in giudizio per conto dell’università; dapprima informali, 
questi rappresentanti divennero ben presto ufficiali regolari (è del 1245 la nascita 
istituzionale della figura del Rettore). Infine, ogni corporazione doveva possedere un 
sigillo; simbolo della sua autonomia, per autenticare gli atti (Verger, 1992). Questa è, 
a grandi linee, la cornice entro cui è nata l’università di Parigi come istituzione. 
 
 
 
1.2.2 Il modello di Bologna 
Anche la ricostruzione storica della nascita dell’università di Bologna pone numerosi 
problemi. Secondo parte della storiografia essa è nata dalle scuole di notariato, il cui 
 12
insegnamento, tratto dalle arti liberali, era completato da nozioni pratiche di diritto 
tratte dal diritto barbarico (Bologna University Press, 1987). Erano anni in cui i codici 
giuridici stavano vivendo una significativa opera di rivisitazione e rinnovamento. A 
Bologna alcuni maestri approfittarono di questo momento per rinnovare in profondità 
la materia e le forme dell’insegnamento. L’organizzazione delle scuole bolognesi si 
trasformò completamente durante il XII secolo, non meno dell’insegnamento. 
Dobbiamo inoltre ricordare che Bologna si trovava geograficamente al centro del 
conflitto tra papi e imperatori, poiché era nella provincia di Ravenna, capitale 
dell’antipapa Guiberto, ma era anche vicina ai territori della contessa Matilde e allo 
stato della Chiesa. Ne risultarono un rapido indebolimento del potere imperiale sulla 
città e lo sviluppo del comune, a partite dagli anni 1116-20. Nato originariamente da 
un’associazione privata di protezione reciproca, il comune s’impadronì ben presto del 
potere in città (Annali di storia delle università italiane, Bologna, 1997). Un certo 
numero di gruppi sociali o professionali bolognesi, fra cui le scuole, si organizzò su 
quel modello lungo il XII secolo. Ogni maestro formò una societas coi suoi allievi, ed 
è probabile che, ad un livello superiore, l’insieme dei maestri si desse una forma 
generale d’associazione. I giuristi ottennero per sé la costituzione Habita, base di 
tutta la futura legislazione scolastica imperiale. La costituzione poneva gli studenti in 
viaggio sotto la salvaguardia dell’imperatore e proibiva che gli studenti stranieri 
fossero considerati responsabili dei debiti dei loro connazionali; inoltre gli studenti 
erano assoggettati unicamente alla giurisdizione del maestro o del vescovo (Bologna 
University Press, 1987). 
Mentre pareva che, come quella di Parigi, l’università bolognese si stesse 
strutturando sull’organizzazione corporativa dei maestri, quella che vide la luce nel 
Duecento fu una università degli studenti. Per capire la trasformazione è necessario 
riportare la situazione politica e sociale di Bologna alla fine del XII secolo. 
Il comune – notevolmente rafforzato in questi anni – richiese ai docenti l’impegno 
sotto giuramento di non andar mai a insegnare fuori Bologna, sia per diffidenza verso 
maestri in odore di ghibellinismo, sia per radicare nelle città le scuole, ormai divenute 
incontestabilmente fonte di prestigio e ricchezza (si pensi al motto: Bononia docet). I 
maestri accettarono, più o meno volentieri, privandosi del diritto di “secessione”, 
privilegio ritenuto fondamentale a Parigi. Negli stessi anni in compenso, gli studenti, 
almeno quelli stranieri, si raggrupparono per difendersi, visto che la garanzia 
imperiale non era più sufficiente; essi infatti non erano membri del comune, e quindi 
non potevano riceverne la protezione. Era dunque necessaria un’associazione che 
assicurasse la sicurezza reciproca e negoziasse col comune la concessione dei 
privilegi. Dopo varie incertezze le societas o universitates studentesche si ridussero 
a due, quelle dei Citramontani (gli italiani non bolognesi) e degli Ultramontani (i non 
italiani), a loro volta suddivise in un certo numero di “nazioni”; a capo delle università 
appaiono, alla fine del XI secolo, due rettori elettivi (Arnaldi, 1974). 
Questa particolare evoluzione incontrò la doppia opposizione dei maestri e del 
comune. Quelli obiettarono che gli studenti non potevano costituirsi da soli in 
università perché ogni corporazione doveva avere dei maestri, oltre che degli 
apprendisti. Il comune cercò di limitare l’autonomia dell’università esigendo che i 
rettori, come i maestri, giurassero di non lasciare Bologna. Ma fu tutto inutile: gli 
studenti godevano di un grosso potere nei confronti dei  maestri, molti dei quali erano 
laici e vivevano con gli onorari (collectae) versati dagli studenti, che quindi potevano 
facilmente obbligare i professori ad accettare le condizioni volute. Gli studenti 
seppero organizzare in modo efficace la loro azione anche verso il comune. Va detto 
che, diversamente da Parigi dove molti studenti erano giovanissimi e solo i maestri 
potevano prendere in mano l’organizzazione dell’università, “…a Bologna la maggior 
 13
parte della popolazione studentesca aveva più di venti anni; molti inoltre, soprattutto 
fra i tedeschi, appartenevano a famiglie ricche e anche nobili, e quindi avevano la 
maturità e la sicurezza necessarie a organizzarsi e a negoziare con il comune”
6
. 
D’altro canto gli studenti di Bologna – come i maestri di Parigi – ebbero l’appoggio 
efficace del papato, animato dalla stessa volontà ambigua di aiutare lo sviluppo 
dell’università pur mantenendola sotto il controllo della Chiesa. Nel 1219 Onorio III 
attribuì all’arcidiacono di Bologna il monopolio del conferimento dei gradi, ma 
contemporaneamente riconobbe agli studenti il diritto alla secessione e condannò il 
giuramento di residenza che il comune cercava di strappare ai rettori. Questi conflitti 
si placarono intorno al 1230, quando l’esistenza di numerose università in Italia tolse 
importanza al diritto di secessione; gli studenti accettarono dunque il giuramento di 
non lasciare lo studium di Bologna, che prestavano attraverso i rettori. Dal canto suo 
il comune, che nel 1228 era passato in mano al popolo, riconobbe agli studenti 
stranieri tutti i privilegi dei cittadini di Bologna; il comune ne proteggeva direttamente 
le persone e i beni, mentre ai rettori si riconosceva il diritto di appellarsi al podestà e 
al capitano del popolo, come facevano i capi delle altre Arti. Dunque intorno al 1230 
l’università di Bologna si era stabilizzata, forte dei suoi privilegi di origine imperiale, 
pontificia e comunale (Coppi, 1956). 
                                                 
6
 Universitates e università. Atti del convegno di Bologna del 1987, Bologna University Press