Introduzione 
 
  
 Argomento di questa tesi è il fenomeno delle riscritture di testi classici del 
canone letterario occidentale ad opera di scrittori provenienti da nazioni che 
sono state dominio degli imperi coloniali europei. In particolare verranno 
analizzati due romanzi: Foe (1986) di John Maxwell Coetzee e Mister Pip 
(2007) di Lloyd Jones. Il primo è una riscrittura del Robinson Crusoe (1719) 
di Daniel Defoe, mentre il secondo ruota attorno a Great expectations 
(1860) di Charles Dickens. 
 Il primo capitolo sarà un inquadramento teorico delle questioni affrontate. 
In primo luogo verterà sui legami tra letteratura, ideologia e istituzioni e in 
modo particolare sul concetto di discorso, introdotto da Michel Foucault, e 
di discorso coloniale, ripreso invece da Edward W. Said. Verrà quindi 
introdotto il postcolonialimo, alla luce delle principali teorie a riguardo. 
Partendo dalla frattura coloniale e dai rapporti di potere tipici 
dell'imperialismo – con particolare attenzione all'impero britannico – per 
arrivare poi alla decolonizzazione e al dibattito tuttora in corso sul discorso 
postcoloniale, sulla creolizzazione e sulla diaspora. Il punto di vista sarà 
prevalentemente focalizzato sulle implicazioni culturali e letterarie della 
relazione coloniale e postcoloniale; sull'identità e sulla definizione del 
soggetto alla luce della scrittura; sul modo in cui la letteratura ha 
“rispecchiato” e rimodellato fenomeni squisitamente politici, ideologici, 
economici e sociali. 
 Si analizzerà quindi il concetto di canone letterario, alla luce sia di teorie 
occidentali, ed eventualmente eurocentriche, che postcoloniali. Quindi verrà 
preso in esame il concetto e il mito del classico, con particolare attenzione 
alle implicazioni ideologiche e politiche del termine e soprattutto sull'uso 
che istituzioni e autorità fanno di questo concetto, nel tentativo di definire 
5
un'identità nazionale e un'alterità da contrapporvi. Sarà poi presa in esame la 
teoria della riscrittura postcoloniale del classico occidentale, un filone 
decisamente ricco e fertile di queste letterature, in modo particolare di 
quelle in lingua inglese. 
 Infine verrà presentato un quadro delle principali posizioni teoriche sulla 
World Literature, oggetto di studio della Letteratura comparata molto in 
auge soprattutto nelle università anglo-americane. Presentando una visione 
globale e mondiale della letteratura, la Letteratura Mondiale si candida a 
naturale concorrente del postcolonialismo per quanto riguarda la 
comprensione e l'analisi dei fenomeni letterari e culturali su scala planetaria, 
nel tentativo di superare il limitato approccio nazionale allo studio della 
letteratura. 
 Nel secondo capitolo si analizzerà la figura di John Maxwell Coetzee, il 
principale scrittore sudafricano, vincitore del premio Nobel nel 2003, la cui 
opera presenta sistematici riferimenti all'imperialismo e al colonialismo. 
Verrà quindi introdotto brevemente il Robinson Crusoe, universalmente 
riconosciuto come prototipo del romanzo realistico moderno, e il suo autore, 
Daniel Defoe, inserendoli nel contesto storico dell'Inghilterra del XVIII 
secolo. La figura storica di Defoe e il suo primo romanzo, il Crusoe, 
insieme a Lady Roxana, or the fortunate mistress (1724), saranno centrali 
nella complessa struttura di Foe, di cui verrà eseguita un'analisi 
approfondita, alla luce dei principali contributi in merito, soprattutto da 
parte della critica anglosassone. 
 Il terzo capitolo sarà invece dedicato alla figura di Charles Dickens, autore 
canonico per eccellenza, e al suo capolavoro, Grandi speranze, romanzo già 
analizzato da Said che ne ha svelato gli insospettabili, quanto sotterranei, 
riferimenti al colonialismo. Mister Pip, di Lloyd Jones, scrittore 
neozelandese, finalista al Booker Prize, è un romanzo che ruota intorno 
all'incontro tra una bambina, nata e cresciuta in un piccolo villaggio delle 
Isole Salomone, e il capolavoro di Dickens, ad opera del misterioso ed 
enigmatico Mr Watts, sullo sfondo della guerra civile che ha insanguinato la 
Nuova Guinea nei primi anni '90. Il romanzo tocca numerosi temi di grande 
6
interesse, tra cui l'incontro interculturale, la narrazione, l'identità ibrida 
tipica del mondo postcoloniale. 
 Nell'ultimo capitolo si condurrà una comparazione tra le due opere prese in 
esame rispetto ai punti di riferimento teorici tracciati nel primo capitolo. In 
modo particolare verranno comparati gli approcci dei due romanzi ai 
concetti di classicità, diaspora e creolizzazione, realismo e Storia, 
femminismo postcoloniale. L'ultima parte riprenderà il dibattito tra 
postcolonialismo, postmodernismo e letteratura mondiale, mantenendo i due 
romanzi sempre come termine di confronto e paragone.
7
Capitol o primo 
 
 
Canone, postcol onialismo e Weltliteratur 
 
 
 
1.1 -  Letteratura, realtà, discorso. 
 
 Un antichissimo dibattito, tuttora quanto mai vivace, è quello che vede 
impegnati i fautori di due visioni contrapposte della letteratura. I primi la 
vedono come il luogo per eccellenza dell‟evasione dalla realtà, della fuga in 
un regno totalmente altro, lo spazio deputato al culto delle forme e in modo 
particolare del bello; la lettura come esperienza della bellezza e del piacere, 
come sopraelevazione rispetto alla bassezza e banalità del quotidiano fino al 
raggiungimento di una sfera superiore, di armonia e perfezione. La seconda 
invece, al contrario, vede la letteratura come mezzo di conoscenza e 
interpretazione della realtà, strumento che renda i lettori consapevoli e in 
grado di intervenire nell‟agone dell‟esperienza, educati in vista di una 
prassi, di un‟azione. L‟arte e la cultura non risiedono in una sfera separata da 
tutte le altre attività umane, ma sono strettamente connesse alla politica, 
all‟economia e alla società. La letteratura non solo è influenzata da tutto ciò 
che la circonda, ma nel migliore dei casi si propone di far conoscere e di 
modificare queste realtà. Semplificando, possiamo dire che la prima visione 
punta a un superiore fine estetico, la seconda invece, etico. 
 La storia di questo dibattito può facilmente risalire fino ai greci e forse 
ancora prima. Nel primo gruppo potremmo comprendere alcuni lirici come 
Mimnermo, Catullo, il romanzo alessandrino, lo stilnovismo, l‟Arcadia, il 
neo-classicismo come il neo-gotico, fino ai romanzi popolari e di genere 
8
contemporanei. Nel secondo gruppo potremmo mettere l‟epica, Virgilio, la 
satira latina, Dante, V oltaire, Sartre. 
 Tuttavia ci accorgiamo immediatamente che si potrebbero portare numerose 
obiezioni a una simile classificazione. È abbastanza difficile in effetti 
trovare un esempio puro di escapismo letterario, come anche di realismo 
tout court. Anche le opere più svincolate dalla realtà, saranno sempre 
prodotti storicamente determinati e inseriti in un contesto politico, culturale 
e sociale. E allo stesso modo, anche i testi più oggettivi e documentaristici, 
non saranno mai del tutto privi di strumenti retorici e poetici, di immagini, 
figure e metafore. Di fatto, questa distinzione tra una letteratura “pura” e 
poetica e una realista e impegnata è un mito, non sussiste davvero se 
analizziamo da vicino le singole opere: 
Ciò che qui tengo a sottolineare è che il consenso generalizzato, nelle società liberali, sulla 
nozione che il “vero” sapere sia fondamentalmente non politico (e, inversamente, che un 
sapere politico non sia “vero” sapere) oscura l‟enorme importanza, anche se spesso difficile 
a descriversi e dimostrarsi, delle circostanze politiche per il prodursi del sapere umano in 
ogni sua forma
1
.  
La letteratura come forma di sapere non si produce in un vuoto politico e 
sociale, nella torre d‟avorio della solitudine creativa, ma prende sempre le 
mosse a partire da un dove e quando, da un contesto, che ne determina la 
natura. Le opere letterarie, anche quando non fanno esplicitamente 
riferimento a contesti sociali, politici ed economici, sono sempre, più o 
meno indirettamente, influenzate da quei contesti. 
 Le due posizioni possono essere ricondotte a momenti ben precisi nella 
storia della critica letteraria occidentale. René Wellek
2
 e il New criticism 
possono certamente essere considerati i principali esponenti dello studio 
intrinseco del testo, inteso come “macrostruttura stratificata di segni e 
significati”
3
, fenomeno culturale da analizzare solo in quanto testo, a 
                                                 
1
 Edward Said, Orientalismo, trad. it. Roma, Feltrinelli, 1999, p. 19 
2
 René Wellek – Austin Warren, Teoria della letteratura, trad. it., Bologna, Il Mulino, 
1999 
3
 Franca Sinopoli, La storia comparata della letteratura, in Armando Gnisci (a cura di), 
Letteratura comparata, Roma,  Mondadori, 2002, p. 12 
9
prescindere da ogni implicazione fattuale, storica, sociale e politica, con gli 
strumenti propri della retorica e della critica testuale. Wellek si batteva 
contro gli eccessi dello storicismo e del positivismo, per un ritorno a 
valutazioni più propriamente estetico-formali delle opere e non solamente 
storico-letterarie. È il close reading, la lettura ravvicinata del testo a scapito 
di ogni inquadramento più generale del discorso e di ogni larga 
contestualizzazione; il ritorno dell‟ars gratia artis: l‟opera si giudica per i 
suoi meriti speficici, estetici, artistici, e non per fatti extra-testuali, come i 
rapporti con la realtà e con la storia. Dagli anni ‟50 a oggi, la letteratura 
comparata e la teoria letteraria faranno numerosi tentativi per conciliare 
queste due posizioni, l‟approccio estrinseco e quello intrinseco al fatto 
letterario, senza che si sia peraltro giunti a soluzioni universalmente 
riconosciute.  
 Dagli anni ‟60 in poi, sarà il post-strutturalismo a incaricarsi di una visione 
della letteratura attenta alle relazioni con la società e con le istituzioni. In 
modo particolare Michel Foucault ha avuto una grandissima influenza sulla 
fondazione del postcolonialismo, grazie alle sue indagini sui rapporti tra 
autorità, società e cultura e in particolare con la nozione di discorso. Che 
cos‟è il discorso? 
Foucault intendeva per discorso più o meno un sistema di enunciati, tramutati in significati, 
attraverso cui gli individui percepiscono, apprendono e classificano la realtà sociale. Per 
mezzo dei discorsi, i gruppi dominanti producono nei ceti sociali subalterni un sistema 
arbitrario di valori e conoscenze, esperito dai soggetti come un vero e proprio regime di 
verità. (…) l‟ordine culturale della modernità europea si è costituito precisamente per 
mezzo di definizioni discorsive, quali ragione/sragione, savio/pazzo, onesto/delinquente, 
normale/deviante, le cui finalità essenziali erano quelle di stabilire le diverse forme 
dell‟identità e dell‟alterità socio-culturale.
4
 
Il discorso è un sistema, attraverso cui il potere, ubiquo e pervasivo, 
stabilisce ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è giusto e ciò che è 
sbagliato; tutto viene inserito in una logica binaria da cui non è possibile 
fuoriuscire. Qualunque tipo di enunciato, anche un testo letterario quindi, si 
                                                 
4
  Miguel Mellino, La critica postcoloniale. Decolonizzazione, capitalismo e 
cosmopolitanismo nei postcolonial studies, Roma, Meltemi, 2005, p. 67 
10
confronta immediatamente con il senso comune, con quello che la società 
considera vero, attendibile, e in base a ciò viene giudicato ed eventualmente 
sanzionato. Il criterio viene prima della realtà giudicata, il discorso informa 
la realtà e non il contrario. “Truth is what counts as true within the system of 
rules for a particular discourse; power is that which annexes, determine, and 
verifies truth. Truth is never outside power, or deprived of power, the 
production of truth is a function of power (…)”
5
. Il potere controlla la verità, 
anzi, è il controllo della verità. Tramite la verità, si determina ogni forma di 
conoscenza e di sapere nella società, si ha potere di veto su ogni enunciato e 
atteggiamento. Appare chiaro come la letteratura, in quanto espressione di 
enunciati linguistici per eccellenza, sia strettamente legata al potere, benché 
questa relazione sia offuscata e mistificata. L‟ordine del discorso non 
stabilisce solo ciò che viene detto o scritto, ma anche le regole in base a  cui 
si parla o si scrive; non solo ciò che viene considerato vero o falso, ma 
anche ciò che viene considerato bello o brutto, appropriato o inappropriato: 
Tutte le idee, tutti i campi della conoscenza, sono strutturati e determinati dalle “leggi di un 
certo codice della conoscenza” (Foucault, 1972). Quindi nessun soggetto è “libero” e su 
ogni enunciato influisce un ordine o un codice predeterminato. È in questo senso che 
Foucault ha dichiarato la morte dell‟autore, perché nessun individuo è l‟unica fonte di un 
enunciato.
6
 
Attraverso Foucault, ma anche Lacan, Saussure e Althusser, va in crisi 
l‟ideale umanista del soggetto, libero di esprimersi liberamente, unico 
responsabile delle proprie azioni. Il soggetto, secondo Foucault, è 
“soggetto” alle leggi, alle istituzioni, secondo il senso del termine latino 
subiectum; il soggetto soggiace al potere.  
 
 
 
 
                                                 
5
  Bill Ashcroft - Gareth Griffiths - Helen Tiffin, The empire writes back, London, 
Routledge, 1989, p. 165 
6
  Ania Loomba, Colonialismo/postcolonialismo, trad. it. Roma, Meltemi, 2000, p. 49 
11
1.2  -  Identità e conflitti postcoloniali 
 
 Tuttavia, se gli individui e il loro modo di conoscere la realtà sono soggetti 
a regole, allora è possibile opporsi a queste regole, ribellarsi. Il soggetto può 
essere liberato dai vincoli a cui è sottoposto da parte dell‟autorità, 
servendosi di quegli stessi strumenti. Questo aspetto è stato particolarmente 
seguito da Edward W. Said, che ha applicato il concetto di discorso al 
contesto dell‟imperialismo coloniale e ai rapporti tra l‟Occidente e i suoi 
Altri. Seguiamo il ragionamento di Edward W. Said nell‟Introduzione a 
Cultura e imperialismo:  
Così come io la intendo, “cultura” significa in particolare due cose. Prima di tutto sta a 
indicare tutte quelle pratiche, come le arti della descrizione, della comunicazione e della 
rappresentazione, che godono di una relativa autonomia dalle sfere dell‟economia, del 
sociale e della politica, e che sovente assumono forme estetiche che hanno tra i loro 
principali obiettivi il piacere. (…) In secondo luogo, e in modo quasi impercettibile, la 
cultura è un concetto generale che racchiude in sé un fattore di perfezionamento e di 
innalzamento; in altri termini, è il serbatoio di tutto ciò che di buono una determinata 
società ha compreso e pensato (…). Con il tempo, la cultura finisce però per venire 
associata, spesso in modo aggressivo, con la nazione o lo stato; diventa ciò che differenzia 
“noi” da “loro”, quasi sempre con un certo grado di xenofobia. (…) Lungi dall‟essere un 
placido regno di gentilezza apollinea, la cultura può diventare un vero campo di battaglia 
(…). Ora, il problema di questo approccio è che spesso comporta non soltanto un 
atteggiamento di venerazione verso la propria cultura, ma anche il pensarla in qualche 
modo separata – perché lo trascende – dal mondo di tutti i giorni. (…) Così concepita, la 
cultura può diventare una sorta di area protetta e recintata: prima di entrarvi è bene 
controllare che la politica ne rimanga fuori
7
. 
 La cultura è un campo di battaglia in cui le identità nazionali, ma anche 
etniche, politiche e religiose, si confrontano, le une contro le altre, senza 
tuttavia che la maggior parte della gente si renda conto in modo esplicito di 
questo. Anzi, il sapere autentico è considerato “puro”, totalmente 
trascendente dalla realtà; la vera arte è quella che non ha nulla a che fare con 
questioni prosaiche come la politica. Si incoraggiano lo studio e la 
                                                 
7
  Edward W. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale 
dell’Occidente, trad. it. Roma, Gamberetti, 1999, p. 9, corsivo mio. 
12
promozione della cultura a livello nazionale, nelle scuole, nelle università, 
nei mezzi di comunicazione e altro ancora, perché questo rafforza il senso 
dell‟identità nazionale nell‟individuo, determina un valore positivo per il 
“noi” e di conseguenza un valore negativo per il “loro”. Si studiano gli 
autori della propria lingua e della propria nazione e ci si aspetta che ci si 
ispiri a quegli ideali e a quelle poetiche prima che a quelle di altri. La 
cultura viene posta su un piedistallo, viene museificata, venerata e 
cristallizzata. 
 Seguendo il pensiero di Foucault e Said, ci rendiamo conto che le cose 
stanno in modo ben diverso. Le istituzioni (statali-nazionali, imperialiste o 
colonialiste che siano) si servono della cultura per sostanziare il proprio 
progetto di dominio e la propria autorità, per assoggettare e controllare, per 
diffondere mentalità funzionali a garantire il proprio potere, per imporre a 
tutti un certo tipo di identità e facilitare un conflitto tra “noi” e “loro”. Al 
tempo stesso la letteratura diventa non solo forza modellante ma modello 
essa stessa, un volano, capace di trascinare e spingere ideologie e mentalità 
ben al di là di quelle che erano le intenzioni originarie dei gruppi al potere. 
Secondo la definizione di E. Bohemer: “(...) colonialist and postcolonial 
literatures did not simply articulate colonial or nationalist preoccupations; 
they also contributed to the making, definition, and clarification of those 
same preoccupations”
8
. La letteratura non serve solamente a inquadrare 
questioni di natura politica e sociale, ma è capace anche di plasmarle, di 
tematizzarle, di articolarle. Non è solamente imitazione, interpretazione, 
mezzo di conoscenza della realtà; a volte sta un passo avanti alla realtà, la 
anticipa, la definisce, la modella. Letteratura e potere formano così un 
binomio inscindibile quanto occulto, velato, mistificato. Un intricato nodo 
di autorità e cultura, ideologia e pratiche, immaginario e istituzioni, in una 
relazione reciproca e ambigua. Un nodo poco chiaro, occultato dall‟autorità, 
sempre tenuto nell‟ombra, ma sempre attivo e operante. Fino al punto in cui 
non è facile capire chi controlli chi. 
                                                 
8
  Elleke Bohemer, Colonial and postcolonial literature, Oxford, Oxford University press, 
2005, p. 5 
13
Tuttavia, se la letteratura è capace di consolidare e sedimentare l‟autorità 
nella mentalità collettiva, essa è anche in grado di sovvertirla, di fornire gli 
strumenti per la ribellione e la lotta. Questa è stata la grande conquista della 
letteratura postcoloniale, a partire da quello che potremmo considerare il 
primo intellettuale postcoloniale, Calibano: “M'hai insegnato a parlare, e 
questo è il frutto: so come maledirti, ora”
9
. Tutto il complesso degli 
strumenti di controllo e dominio, tutto ciò che forma l‟immaginario 
collettivo, il discorso coloniale secondo Said, può essere sovvertito e usato 
contro l‟autorità, può essere rivoltato a favore dei sottomessi, dei subalterni. 
“Le rappresentazioni culturali sono state centrali prima nel processo di 
colonizzazione di altre terre, e poi di nuovo nel processo di ottenimento 
dell‟indipendenza dai colonizzatori”
10
. Le armi dei più forti possono essere 
usate contro di loro e possono diventare un formidabile strumento di lotta, 
straordinariamente efficace proprio perché inaspettato. 
La percezione che gli europei ebbero di un mutamento di prospettiva, terribile e 
disorientante, nel rapporto tra Occidente e non-Occidente fu un fatto radicalmente nuovo, 
mai sperimentato né durante il Rinascimento europeo né al tempo della “scoperta” 
dell‟Oriente tre secoli più tardi. Basti pensare alle differenze tra un Poliziano che recupera e 
lavora sui classici greci negli anni intorno al 1460 o a due studiosi come Bopp e Schlegel 
che leggono i grammatici sanscriti verso il 1810, e un orientalista o un politologo francese 
che legge Fanon durante la guerra algerina del 1961 oppure il Discours sur le colonialisme 
di Aimé Césaire alla sua uscita, nel 1955 – cioè, subito dopo la disfatta francese a Dien 
Bien Phu. Non solo quest‟ultimo, sfortunato lettore è chiamato in causa dagli indigeni 
proprio mentre il suo esercito subisce gli attacchi dei nativi – un‟esperienza mai provata da 
nessuno dei suoi predecessori – ma si trova a leggere un testo scritto nella lingua di Bossuet 
e Chateaubriand che utilizza concetti presi da Hegel, Marx e Freud per incriminare la stessa 
civiltà che li ha prodotti
11
. 
L‟atto d‟accusa a un‟intera civiltà, mediante strumenti linguistici e 
concettuali che essa stessa ha prodotto, è un fatto radicalmente nuovo, mai 
verificatosi in precedenza nella storia. Ed è esattamente questo il senso del 
postcolonialismo della decolonizzazione. L‟atto postcoloniale è simmetrico 
                                                 
9
  William Shakespeare, La tempesta, in Giorgio Melchiorri (a cura di), Il teatro completo 
di William Shakespeare. Vol. VI. I drammi romanzeschi, Milano, Mondadori, 1981, p. 
883 
10
 E. Bohemer, op. cit., p. 5 
11
  Edward W. Said, op. cit., pp. 222-223  
14
e di senso opposto rispetto all‟atto coloniale. Quest‟ultimo consisteva nel 
detenere il dominio militare, culturale, ideologico e psicologico di una terra 
e di mantenerlo anche tramite pratiche epistemiche – il controllo della verità 
– in forza di strumenti culturali considerati nettamente superiori a quelli 
degli indigeni. L‟atto postcoloniale consiste invece nella risposta a queste 
pratiche e a questo dominio; significa appropriarsi di quel bagaglio 
concettuale, linguistico e filosofico per rivolgerlo poi contro i dominatori, 
attaccandoli con le loro stesse armi. Un fatto storico di straordinaria 
innovazione e di cui ancora dobbiamo registrare gli esiti. 
 La letteratura occidentale e in particolare i suoi classici, dunque, sono 
spesso stati al servizio della mentalità dominante, in quanto facenti parte del 
discorso coloniale, anche quando non trattavano esplicitamente di tematiche 
legate all‟imperialismo. Gli scrittori erano sempre inseriti nella mentalità 
della loro società e si facevano espressione di quelle istanze e di quella 
cultura. Anche nei casi di autori maggiormente sensibili e accorti su queste 
tematiche, la loro critica all‟imperialismo si accompagnava sempre alla 
riproposizione e accettazione del sistema. I testi veicolavano l‟idea che fosse 
perfettamente normale detenere territori al di là dei propri confini e sfruttarli 
per averne un beneficio economico. E si portavano diversi tipi di 
giustificazioni a questo: l‟impero poteva essere qualcosa di semplicemente 
inevitabile, se non addirittura necessario o giusto nei confronti degli 
indigeni, incapaci di giungere da soli alla civiltà e alla modernità. Compito 
della critica postcoloniale è proprio indagare queste dinamiche nascoste nei 
testi occidentali, per giungere a una loro più profonda comprensione, e a un 
più accorto e consapevole apprezzamento. Non solo, lo svelamento di 
questo inconscio coloniale presente nei testi è in grado di svelare anche il 
nostro inconscio; ci rivela che tipo di lettori e di persone siamo. Said porta 
l‟esempio di Conrad: 
Nella misura in cui sapremo cogliere, in Conrad, sia la critica all‟ideologia imperialista del 
suo tempo che una riproposizione della stessa, saremo in grado di definire qualche sia oggi 
il nostro atteggiamento: la proiezione o il rifiuto del desiderio di dominio, la tendenza a 
15
condannare o la forza di comprendere e rapportarci con società, tradizioni e storie altrui.
12
 
Perché il classico è un testo che sentiamo come “nostro”, sul quale ci siamo 
formati, che ci appartiene, che appartiene alla cultura e ai valori in cui ci 
identifichiamo e che formano la nostra identità. Se saremo in grado di 
riconoscere e accettare una critica portata a questi testi, allora saremo 
disposti all‟ascolto e al rispetto di voci “altre”. Avremo superato la 
concezione rigida e statica di identità, rinchiusa nel suo steccato, per 
approdare a una concezione più aperta, nomade e dinamica.   
 Questo per quanto riguarda il compito del critico. Lo scrittore postcoloniale 
deve però andare oltre. Gli scrittori indigeni hanno risposto ai testi degli 
occidentali, con le loro opere. Imparata la lingua e la “grammatica della 
poesia”, come direbbe Jakobson, è stato il momento di accedere finalmente 
alla parola, alla possibilità di parlare. E nel fare questo, molti autori hanno 
optato per delle riscritture, di vario tipo, di capolavori occidentali. A questo 
punto è comprensibile la densità simbolica e filosofica del gesto della 
riscrittura postcoloniale. Significa operare una frattura nel discorso, mettere 
in atto un vero e proprio cortocircuito semantico e anche politico. Ripetere il 
gesto di Calibano vuol dire dichiararsi liberi e ribelli, soggetti autonomi, 
padroni dei propri mezzi e del proprio destino e in aperta critica 
all‟occidente e ai suoi valori. 
 
 
1.3  -  Il canone della letteratura occidentale. 
 
 Di quali valori parliamo? In cosa consiste questo corpus di testi capace di 
fondare e consolidare un‟intera visione del mondo? “L‟obiettivo quindi è la 
letteratura, nel senso dei romanzi delle poesie, e anche, sebbene fino a un 
certo punto, lettere, testi teatrali, saggi e libri di viaggio”
13
. Parliamo sia di 
romanzi di genere, d‟appendice, di genere, capaci di rispecchiare 
                                                 
12
  Ivi, p. 17 
13
  Elleke Bohemer, op. cit., p. 5 
16