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   CAPITOLO  1  
 
  LA LINGUA DEI GIORNALI 
 
1. Caratteristiche generali 
Prima di iniziare un percorso di analisi sul linguaggio dei giornali, abbiamo la necessità di 
chiarire alcuni  elementi basilari per poter comprendere la specificità di questa particolare 
lingua, con la quale entriamo quotidianamente a contatto.  
Anzitutto una domanda sorge immediata: che cosa si intende, concretamente, per 
linguaggio? Un linguaggio si qualifica come specifico nel momento in cui si manifesta con 
una propria espressività lessicale, sintattica, stilistica, con modalità comunicative-strutturali 
che vengono espresse verbalmente in quello che è il lessico “tecnico” di ognuna delle arti 
o materie considerate. 
 Rispetto a questi lessici tecnici, in che modo si qualifica la lingua del giornale? Diverse 
sono le opinioni che devono essere tenute in considerazione. Uno solo è, però, il punto 
costante: pur nella sua varietà, il giornale esprime una propria specificità a livello 
linguistico.  
Secondo Maurizio Dardano, il giornale riformula, trascrivendo in un “discorso di secondo 
grado” o “derivato”, il “discorso primario” dei vari linguaggi specialistici, schiarendo e 
semplificando per il lettore comune. Oltre che nella mediazione del linguaggio politico ( 
fonte inesauribile di formazioni e materiali lessicali neologici, come mostra in un suo 
contributo I. Baldelli) o del linguaggio economico, il ruolo di riformulatore si coglie con 
particolare evidenza nei confronti del linguaggio della moda, della critica, o di forme di 
comunicazione spettacolare di grande presa sul pubblico, come lo sport e il cinema. Il 
ruolo di mediatore è particolarmente delicato e difficile nel rapporto con i linguaggi tecnici-
scientifici: secondo T. De Mauro i termini delle scienze filtrano a stento sulle pagine dei 
quotidiani, e lo fanno con significativi adattamenti. Fino a che punto tali adattamenti siano 
leciti e utili alla fruizione delle informazioni da parte del lettore, è una questione 
decisamente aperta e fonte di aspre discussioni.  
 Due sono le principali “scuole di pensiero” circa lo status di tale lingua: la prima afferma 
che  il linguaggio del giornale è di tipo settoriale e speciale, soprattutto per la “semplicità” 
sintattica della prosa degli articoli (a parte i tecnicismi interni). La seconda (B. Migliorini, 
G.L. Beccaria), diversamente, sostiene che tale lingua ingloba ed “esalta” la lessicalità 
delle più varie branche operative, culturali e sociali: in questo modo acquisisce la funzione, 
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di carattere antologico, di influenza linguistica (sia diacronica, sia sincronica) sul tessuto o 
sulla griglia della generalità dei parlanti.  
Qualunque sia la tesi prevalente, si intuisce con forza un elemento comune: la lingua dei 
giornali è da considerare un sistema aperto ed estremamente mobile, che si colloca in una 
posizione privilegiata. Convergono al suo interno due spinte fondamentali: le influenze 
della lingua comune dei parlanti e della lingua dei diversi ambiti settoriali. Allo stesso 
modo, dall’interno del sistema del linguaggio giornalistico, le medesime influenze si 
trasformano, acquistano un nuovo status ed escono nella “strada”, arricchendo la lingua 
standard. Le continue e vitali mutazioni in atto oggi nella lingua italiana, sono fortemente 
debitrici dell’azione dei mezzi di comunicazione. Le più vistose conseguenze si possono 
registrare nel lessico, ma anche a livello sintattico, morfosintattico e testuale. Analizzare il 
linguaggio dei giornali può essere uno strumento ausiliario alla comprensione dei 
movimenti linguistici, specchio di cambiamenti della società e della cultura. 
Da questa constatazione deriva, inoltre, una conseguenza importante: il giornale e i 
giornalisti in genere, hanno un forte potere. Dal potere deriva sempre la responsabilità, 
non solo nei confronti dei lettori, non solo verso la correttezza dell’informazione, ma anche 
nei confronti della lingua italiana.  
Cerchiamo, perciò, di scoprire quali sono le caratteristiche fondamentali della lingua dei 
quotidiani italiani, quali le tendenze in atto, quali le novità, gli errori e le conseguenze sulla 
nostra lingua comune.  
Anzitutto non è superfluo ricordare il fatto che è difficile parlare di un’unica lingua dei 
quotidiani: il giornale presenta al suo interno un altissimo grado di differenziazione 
linguistica. Gli opposti convivono:articoli di firme famose, scrittura di tipo letterario, con 
sintassi molto articolata, lessico ricco (talvolta aulico), tono spesso sostenuto. E nello 
stesso tempo: articoli anonimi, strutture sintattiche elementari o inaspettate, lessico 
burocratico e ricco di neologismi. E’ possibile incontrare un’alternanza tra andamento 
colloquiale e sostenuto, registro formale e informale, lingua e dialetto (spesso con funzione 
espressiva), stile burocratico (prevalente nella cronaca “nera”), lingua standard e 
sottocodici. Il giornale è in grado di adeguarsi a differenti esigenze comunicative, di 
giocare sulla compresenza di codici e sistemi diversi.  
In generale si può affermare che ogni quotidiano tende ad adoperare una lingua mista, né 
aulica né banale, lingua che permette di comunicare a qualsiasi tipo di utente. Come 
amava ricordare Montanelli, la lezione fondamentale che ha acquisito nel corso della sua 
carriera giornalistica, è stata l’esortazione a “scrivere pensando di rivolgersi e di farsi 
capire dal macellaio di Kansas City”. Chiarezza prima di ogni altra cosa. Le frasi 
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dovrebbero essere sempre brevi e di costruzione semplice, con la massima economia di 
coordinate, subordinate e incisi. Sarebbe opportuno spezzare il periodo con punti, isolando 
le proporzioni, senza spingersi fino al limite di una prosa singhiozzante. Scrivere in modo 
semplice senza scivolare mai nel banale e avendo cura di non costruire i periodi tutti in 
modo analogo o cominciandone due vicini con lo stesso articolo, verbo o avverbio. Il ritmo 
è,  inoltre,  un elemento fondamentale della prosa giornalistica: la capacità di interessare il 
lettore è vitale, e tale scopo deve essere raggiunto anche tramite una costruzione sintattica 
dei periodi che sia brillante, vivace, veloce.  
Per quanto riguarda l’apparato lessicale, medesime dovrebbero essere le regole: 
chiarezza e brillantezza anzitutto.  L’articolo dovrebbe essere leggibile e quindi dotato di 
una struttura lessicale che eviti accuratamente tecnicismi fini a se stessi, privilegiando 
termini appropriati, funzionali e immediatamente comprensibili. Questo non significa che la 
lingua deve presentarsi appiattita: caratteristica fondamentale del lessico del giornalista è 
l’innovatività. Per colpire il lettore vengono coniati continuamente neologismi: la loro utilità 
viene meno nel momento in cui si passa da un loro uso ad un abuso. Infatti stereotipi e 
frasi fatte andrebbero accuratamente evitate: purtroppo la fretta  e la mancanza di 
competenza su determinati argomenti, genera spesso banalizzazione.  
Una particolare attenzione va usata nell’uso delle frasi nominali (del genere fare irruzione 
per irrompere): vengono quasi tutte dal linguaggio burocratico, hanno lo scopo di“prendere 
le distanze” e sono considerate a torto più colte o segno di un linguaggio più “alto”. Sono 
da evitare tutte le parole gergali, a meno che non siano oramai entrate largamente 
nell’uso, ma si dovranno sempre usare le virgolette, o utilizzare una parola per prendere le 
distanze. Quando sia proprio impossibile farne a meno, perché sono usate in un discorso 
diretto virgolettato, o perché esprimono con precisione un concetto che non ha sinonimi, le 
parole gergali andranno spiegate. Le parole vanno anche messe assieme, e questo 
rappresenta un altro problema: l’ordine nel quale le mettiamo è fondamentale e a volte 
basta invertire due parole per dare alla frase un significato del tutto diverso.  
 Sul piano testuale bisogna fare molta attenzione al modo in cui l’articolo viene costruito. 
La costruzione del testo giornalistico richiede l’uso di diverse competenze comunicative e 
testuali. Una delle regole “canoniche” per la stesura di un pezzo è quella nota come regola 
delle 5 w, indispensabile all’articolazione dell’incipit dell’articolo, il lead. Esso ha 
un’importanza decisiva, poiché consente di far conoscere, in maniera rapida, le 
informazioni essenziali presenti nel testo, provocando nel contempo la curiosità del lettore. 
                                                                                                                                                            
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In realtà nel giornalismo italiano si è sempre fatto uno scarso uso del lead, preferendo 
fornire le stesse informazioni nell’apparato di titolazione, oppure offrendo una sorta di lead 
premettendo all’articolo un’introduzione, realizzata in corpo e giustezza differenti. Di segno 
opposto è il lead che ripropone le domande provenienti dalle 5 w  fornendo solo risposte 
parziali: si tratta di un modo funzionale alla creazione dell’interesse attraverso la 
suspense, ma può generare anche rigetto da parte del lettore che non trova risposte 
immediate ai suoi bisogni informativi. Il pezzo, poi, si costruisce effettuando un vero e 
proprio montaggio dei vari elementi che ne costituiranno la struttura narrativa. Non esiste 
una regola univoca per effettuare il montaggio del pezzo, anche perché essa si relaziona 
al tipo di notizia, alla collocazione nel giornale, al genere. Sicuramente sono più efficaci gli 
articoli che offrono un giusto equilibrio di elementi informativi ed elementi ridondanti, 
attraverso una scrittura “sintagmatica”, che si dipana scorrevole senza l’uso di particolari 
tecniche di concatenamento. Una scrittura paratattica è senz’altro più efficace di una 
scrittura ipotattica, a patto di non esagerare nel produrre un testo che si muove solo per 
giustapposizioni. Affinché sia possibile parlare di testo, devono essere, comunque, 
rispettati due requisiti fondamentali: la coesione e la coerenza.  
La coesione consiste nel rispetto dei rapporti grammaticali e della connessione sintattica 
tra le varie parti. Per quanto riguarda la coesione grammaticale si deve tener conto: della 
concordanza di numero, della concordanza di genere e dell’ordine delle parole. Andando 
oltre la misura dei sintagmi e delle frasi, e guardando ai periodi, incontriamo due 
fondamentali strumenti per garantire la coesione testuale: i coesivi e i connettivi. I primi 
sono i vari modi attraverso cui si può richiamare un elemento già espresso in precedenza. 
Possono essere: pronomi, sinonimi, iperonimi, nomi generali, riformulazione, ellissi. 
I connettivi sono invece elementi che assicurano la coesione di un testo garantendo i 
rapporti logici e sintattici tra le varie parti. Il limitato uso dei connettivi è tipico della scrittura 
giornalistica e si accompagna con uno stile rapido, che tende a singole frasi giustapposte o 
frasi nominali. I connettivi sono: congiunzioni, avverbi, complementi, ma anche frasi intere.  
La coerenza riguarda invece il significato di una frase ed è strettamente legata alla 
reazione del destinatario. Spesso alcuni settori linguistici appaiono ricchi di apparente 
incoerenza: lo scopo è quello di sconcertare le attese del lettore, come avviene nel 
linguaggio letterario o pubblicitario.  
 Altro aspetto centrale è la prospettiva, a sua volta strettamente legata alla tecnica e allo 
stile. Sono essenzialmente due le macro-tipologie in cui inserire le tecniche di scrittura: 
una tecnica “oggettiva” (che ha come referente un quotidiano che usi una strategia 
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complessivamente oggettivante) e una tecnica “soggettiva” (che si muove nell’alveo di 
strategie enunciative soggettivanti, tecniche narrativizzazione o di discorsivizzazione).  
All’interno dello stile e delle tecniche assume un ruolo pregnante il “punto di vista” 
utilizzato dal giornalista, il tipo di focalizzazione che il testo presenta. Il diverso punto di 
vista scelto è naturalmente correlato all’oggettività o alla soggettività della tecnica 
utilizzata. È possibile analizzare il testo giornalistico come un racconto; possiamo allora 
parlare di: focalizzazione a grado zero, focalizzazione interna, focalizzazione esterna.  
Quest’ultimo è il punto di vista prevalente nel reportage e nella cronaca “nera”, mentre la 
focalizzazione interna risulta estremamente efficace per rendere vivace e interessante un 
pezzo.  
Altro elemento da non dimenticare, nel momento in cui si voglia fare un’analisi della lingua 
del giornale, è la grafica. A prima vista  potrebbe sembrare un argomento complementare 
rispetto ad uno studio di carattere linguistico. Nel concreto, però, ci rendiamo conto come 
la grafica non sia un problema accessorio, ma sia parte integrante del testo giornalistico, 
che contribuisce a dare senso all’intero articolo e quotidiano.  
Già la testata rivela non solo la storia del quotidiano, ma anche il suo stile. I titoli sono 
gerarchizzati fra loro, le foto spesso si impongono interagendo con essi, mentre l’equilibrio 
fra spazi pieni o vuoti favorisce il risalto di titoletti-sommario che richiamano nuovi articoli 
interni. Il lettore naviga a vista, sfoglia il giornale con spirito d’indipendenza, salvo poi 
bloccarsi non appena trovi qualcosa che attira la sua attenzione. Non a caso la pagina si 
connota come immagine, si mostra come una forma visiva significativa,  percepibile nel 
primo istante di visione. Del resto il primo contatto con il giornale è sintetico-visivo più che 
linguistico, basandosi su una serie di elementi iconico-grafici che costituiscono la 
caratterizzazione di un determinato quotidiano.  
Si possono distinguere tre elementi: grafismo, grafica, progetto grafico. Il grafismo è il 
livello del segno, è la scrittura cui si fa corrispondere convenzionalmente un significato. La 
grafica, invece, utilizza le variazioni visive per evidenziare le relazioni fra segni e significati: 
essa è il sistema di organizzazione e selezione dei segni, è il linguaggio dell’immagine. Il 
progetto grafico è un momento progettuale, dinamico. Esso si può distinguere a sua volta 
fra schema d’impaginazione e layout. Funzionali ai diversi progetti grafici sono gli usi della 
fotografia, l’eventuale presenza di infografici, vignette satiriche, disegni occasionali. L’uso 
delle foto scontornate evidenzia un rapporto diretto fra l’immagine e la notizia, come pure 
la titolazione sovrapposta alla foto: una specie di recupero dell’oralità secondaria nel 
medium della scrittura. Più didascalico, invece, un uso delle foto contornate, come 
supporto al titolo o all’articolo.  
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Appare chiaro che la grafica del giornale può proporre o imporre al lettore adesioni al 
progetto editoriale complessivo e contribuire a produrre la stipula del contratto di lettura. 
Una grafica ordinata e pulita si connota anche come “neutra”, rispettosa del lettore, mentre 
una grafica disordinata, senza equilibrio fra pieni e vuoti, fra segni grafici e immagini, si 
mostra come capace di imporre al lettore le scelte di redazione.  
Persino la scelta del formato può contribuire a stabilire un rapporto col lettore. Più 
tradizionale nel caso del “lenzuolo” (cm 56 x 40), più aperto alla novità nel caso del 
“tabloid” (cm 47 x 31,5).  
In una posizione mediana fra codice visivo-grafico e lingua, si possono collocare i titoli. Il 
titolo del giornale è la risultante di una stretta interazione di strategie comunicative, di 
scelte e valenze iconiche, di tendenze stilistico-espressive particolarmente concentrate e 
catturanti. Dal titolo si può desumere non soltanto un’indicazione sul contenuto 
dell’articolo, ma anche sulle linee di strategia informativa e sullo stile di un determinato 
quotidiano. Nella configurazione stilistico-espressiva e per l’efficacia comunicativa della 
titolazione, ha grande rilevanza il rapporto fra i tre elementi costitutivi del titolo stesso: 
occhiello, titolo e sommario.  
Nei titoli la ricerca di brevità è una regola necessaria. La notizia va evidenziata in poche, 
incisive parole. Il titolo è la vetrina, la réclame dell’intero articolo. La grammatica e lo stile 
della titolistica sono caratterizzati da un uso impressivo-sintetico di tutta la gamma dei 
livelli linguistici. Ed ecco abbondare nel lessico neologismi, neoformazioni, motti, slogan, 
creazioni lessicali estemporanee (destinate perciò a scomparire in breve tempo), locuzioni 
poco comuni, tecnicismi; se per un verso essi contribuiscono in modo rilevante alla 
sinteticità dell’espressione, dall’altro cooperano ad attrarre l’attenzione del lettore. Allo 
stesso modo la sintassi del titolo spinge verso sinteticità e pregnanza. Se da un lato deve 
fornire la chiave interpretativa dell’articolo, dall’altro deve essere dotata di autonomia 
logica. Questa autonomia della sintassi del titolo rispetto a quella del giornale è 
particolarmente evidente nei “titoli asciugati” (Beccaria), costruiti, cioè, da una bipartizione 
in due elementi distinti: parola e frase nominale. Spesso la prima parola può essere un 
locativo o può designare l’intero argomento. In netto ribasso rispetto ai titoli nominali è 
quello “sensazionalistico” (Dardano), funzionale per impressionare evidenziando 
l’eccezionalità del fatto. Molto vitale risulta, invece, il titolo “gnomico” o “infinito-gerundio” 
(Beccaria). Attraverso l’uso dell’infinito si manifesta un forte indebolimento nella distinzione 
fra piano dell’evento e piano del commento. Altre tipologie della titolazione sono 
l’“informale-colloquiale” e il “titolo dialogico”. Nella prima categoria si fa ricorso a stilemi, 
formule, modi locutivi, esortazioni, costrutti interiettivi, espressioni col vocativo in posizione 
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finale o iniziale,  tipici del parlato. In questo modo si afferma una chiara valenza ironico-
brillante. Il secondo tipo di titolo è costituito da una dichiarazione di un personaggio o di un 
gruppo. Spesso si configura come una frase interrogativa diretta. Purtroppo, nella gran 
parte dei casi, si tratta di una sintesi, anche sommaria, della reale affermazione 
dell’interlocutore: lo scopo può essere il sensazionalismo, l’apparente disinvoltura, o 
l’ironia. Nel complesso possiamo notare come sia diventata sempre maggiore la 
prevalenza delle funzioni perlocutorie (tendenti a provocare un effetto sul lettore  
convincendolo, incoraggiandolo, scioccandolo ecc.) e di richiamo rispetto alla funzione 
informativa e referenziale. A questa evoluzione corrisponde anche una ridefinizione dei 
rapporti fra titolazione e inizio dell’articolo: talora il titolo tende a diventare esso stesso 
articolo-sommario, scavalcando la funzione informativa del lead. Si perde il carattere di 
referenzialità  e si accentua la funzione di richiamo, l’allusione, l’ammiccamento, la 
meraviglia, il divertimento, la spettacolarizzazione.  
 
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1.2. I generi  
Nel giornalismo moderno è estremamente difficile parlare di generi o almeno riconoscerne 
con nettezza la diversificazione formale. Si sono infatti sviluppati processi di sincretismo. 
La cultura della notizia ingoia tutto, si dilata e si restringe, adattandosi al variare dei tempi 
e delle circostanze.  
Una prima, anche se strumentale, suddivisione riguarda il trattamento della notizia: fatti e 
opinioni. Nel campo dei commenti il genere principe è l’articolo di fondo, che fin dall’800 
esprime la posizione del giornale su un dato argomento. È in prima pagina, in genere non 
firmato,ma da attribuire al direttore. Questo tipo di articolo rappresenta una tradizione che 
si può considerare conclusa. Oggi i quotidiani tendono ad offrire una pluralità di interventi 
firmati che esprimono il punto di vista della direzione del giornale o rappresentano un 
contributo individuale che non coinvolge la responsabilità della testata: editoriali e opinioni. 
Due sottocategorie di questi generi sono il corsivo e la rubrica. Il primo è un pezzo breve 
che varia dal polemico all’ironico, su una notizia o problematica che appassiona l’opinione 
pubblica: è un editoriale minimo. IL secondo è uno spazio fisso, affidato ad un opinionista 
autorevole, che non impegna la posizione del giornale, e la cui funzione è di stabilire un 
rapporto privilegiato tra l’opinionista e i lettori, secondo la formula del settimanale. Al di 
sopra della notizia c’è il servizio. Il passaggio da notizia a servizio avviene per 
aggregazione, nel senso che il giornalista accumula una serie di elementi informativi 
attorno al nucleo della notizia principale. In quest’ambito ci sono il resoconto e il reportage. 
Il primo è il racconto lineare dei fatti di cronaca. La semplicità del modello non va 
scambiata per facilità, in quanto bisogna dare al lettore la sintesi, e ciò richiede una buona 
conoscenza della materia trattata.  Diverso è il caso dell’inchiesta, anch’essa soggetta ad 
un’inevitabile crisi. Si può distinguere fra inchiesta investigativa, documentaria, 
interpretativa. Simile a quest’ultima è il reportage che però coinvolge un solo giornalista, il 
quale fa largo uso di “schemi cornice” e “schemi copione”: il reportage procede per 
dilatazione, non per aggregazione. E’ un ampio pezzo su una notizia già diffusa. Un 
genere che, al contrario, si sta sempre maggiormente sviluppando è l’intervista.