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INTRODUZIONE. 
 
  Definire la fantascienza come genere letterario è un compito reso non facile 
dalla sua stessa natura per così dire “referenziale”, così strettamente legata e in 
sostanza dipendente alla realtà storicamente determinata, o in altri termini, al 
paradigma di realtà
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 entro cui si inscrive nelle diverse epoche, nelle diverse 
società e culture di cui si fa specchio e strumento d’interpretazione, (da 
Luciano di Samosata, a Cyrano de Bergerac, a Isaac Asimov). In generale, 
possiamo dire che si tratta di un tipo di narrativa che ha come tema centrale, 
esclusivo e caratterizzante, l’impatto che una scienza o una tecnologia (attuale 
o immaginaria) avrà sulla società o sull’individuo. Il suo modo specifico è lo 
sviluppo di un intreccio logico-verosimile, con personaggi attendibili (in senso 
lato), partendo da un dato, un’ipotesi o un’intuizione di carattere più o meno 
plausibilmente scientifico
2
. 
  Il termine italiano fantascienza è un adattamento della corrispondente 
denominazione inglese science-fiction, ‘narrativa di scienza’, ed è stato 
introdotto nel 1952 dal primo direttore di << Urania>>, Giorgio Monicelli, 
durante la presentazione del romanzo Le sabbie di Marte
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 di A. C. Clarke, che 
definì un classico romanzo di “fanta-scienza”; in seguito, ha finito con il 
prevalere sulla traduzione alternativa ‘scienza fantastica’, adottata in 
precedenza dall’omonima rivista. 
  Quando in America Gernsback, nel 1926, inventa la parola per connotare il 
genere (prima scientifiction, poi la più scorrevole science-fiction), questo ha 
                                                 
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 Per questo concetto cfr. i saggi di di L. Lugnani e di G. Goggi, in AA. VV., La narrazione fantastica, 
Nistri-Lischi, Pisa, 1983. 
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 Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Lessico universale italiano, VII, Istituto Poligrafico dello 
Stato, Roma, 1971. 
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 Il libro descrive il viaggio inaugurale dell’astronave Ares ( prima nave di linea regolare fra pianeti ) e le 
lotte di un gruppo di pionieri del XXI secolo per colonizzare le rosse distese desertiche del pianeta Marte. 
Fu pubblicato nel 1951, prima che l’uomo fosse in grado di viaggiare nello spazio.
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ormai acquisito un proprio statuto e una fisionomia che è il prodotto di 
trasformazioni e consolidamenti avvenuti nell’arco di una tradizione che 
affonda le radici nel più lontano passato, e in cui pure si inscrivono testi di 
grande complessità e raffinatezza letteraria. Si tratta, fino all’Otto-Novecento, 
di opere sostanzialmente ascrivibili a vari generi e forme codificate (come la 
satira e l’epica), ma che adottano – nei loro procedimenti narrativi -  tematiche 
che oggi riconosciamo come caratteristiche della fantascienza; narrano vicende 
incredibili e stupefacenti Luciano di Samosata, Keplero, Cyrano de Bergerac, 
in epoche in cui la scienza (intesa soprattutto come progresso tecnologico) non 
compariva all’interno di testi letterari. In questi casi non è dunque corretto 
parlare di opere fantascientifiche a tutto tondo  poiché, per essere ritenute tali, 
esse devono includere una buona dose di plausibilità scientifica o tecnologica 
all’interno della narrazione; ciò che deve risultare evidente al narratario è il 
rapporto ossimorico tra l’incredibilità degli eventi inventati e la plausibilità, 
l’accettabilità dei ritrovati scientifici. Non deve mai venire meno l’elemento 
scientifico; non deve mai essere eclissato il novum, ovvero l’elemento che non 
ci si aspetta, che produce lo straniamento, lo smarrimento in chi legge: un lago 
verde, un cielo violaceo, numerosi satelliti all’orizzonte. Si è d’altra parte 
passati da narrazioni fortemente subordinate alla fantasia (la Storia vera di 
Luciano), a storie che lasciano più spazio all’aspetto scientifico (il Somnium di 
Keplero), in cui l’autore comincia a divagare su descrizioni dettagliate di altri 
pianeti o, addirittura, di alieni incontrati durante la straordinaria avventura. 
  Con il passare del tempo questo filone narrativo (o meglio, questo filone 
testuale) ha acquistato una forma sempre più definita, cominciando a marcare i 
confini con i generi affini che danno più rilievo all’inverosimile piuttosto che al 
plausibile (la fiaba e il fantasy). Più si diffondono le scoperte scientifiche e 
tecnologiche, più il soprannaturale all’interno di queste opere viene spiegato 
razionalmente, secondo leggi che la scienza ancora non conosce, ma possibili:  
è il “meraviglioso scientifico” ottocentesco, poi definito da Todorov 
“meraviglioso strumentale”. La magia non è più l’artefice di mutamenti
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incredibili o di impensabili resurrezioni, poiché ora saranno il magnetismo o 
l’elettricità a permettere esperimenti fuori dall’ordinario.  
  Parallelamente alle scoperte scientifiche e al progresso, la letteratura 
fantascientifica si fa sempre più largo nel panorama culturale; si diffonde il 
mito della scienza, osannata come eroina dell’avvenire tanto nelle accademie 
quanto nelle opere letterarie. Essa capovolge totalmente l’antica visione poiché, 
se le civiltà classiche immaginavano l’uomo indietreggiare nel futuro, con le 
spalle rivolte all’avvenire (sconosciuto), la società moderna invece lo 
immagina orientato verso il futuro, completamente proteso verso il progresso. 
  Così, il genere fantascientifico, partito come un essere informe e indefinito, 
meticcio di generi sospesi tra il fantastico, la fiaba e il mito, ha acquistato un 
aspetto sempre più chiaro, avvalendosi della plausibilità scientifica e di 
scoperte sensazionali succedutosi nei secoli. Laddove Luciano dovette ricorrere 
esclusivamente alla sua immaginazione, Keplero e Cyrano poterono far uso 
delle conoscenze astronomiche del tempo, per rappresentare lo sbarco lunare, 
avvalendosi entrambi della teoria copernicana, nel tentativo di scardinare le 
teorie aristoteliche circa l’unicità nel cosmo delle caratteristiche terrestri. La 
fantascienza ha accolto nel suo alveo il limo di vari generi letterari facendolo 
proprio, trasformandolo, assoggettandolo alle proprie esigenze: dalla fiaba, dal 
fantasy e, soprattutto, dal romance medievale ha filtrato l’immaginazione e 
l’aspetto fantasioso, trasfigurando gli antichi destrieri in navicelle spaziali; gli 
orchi e i draghi, in alieni dalle multiformi sembianze; il mago e l’alchimista, 
nella figura dello scienziato pazzo che crea in laboratorio il seme della sua 
follia. Dal romanzo gotico ha ripreso le ambientazioni notturne e terrificanti 
entro le quali si concretizzano orribili esperimenti, perpetuati al chiarore della 
Luna. 
  L’invenzione del termine che la designa avviene nel XX secolo, quando ormai 
da tempo molte opere ascrivibili in questo filone sono considerate classiche:  
Schelley, Poe, Verne, Wells.
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Nel mio studio saranno presi in considerazione questi vari elementi: la storia 
del genere, dai suoi primi germi agli sviluppi futuri; i contatti con i generi 
affini, come la fiaba, il romanzo medievale, la mitologia, il racconto 
scientifico; la ripresa dei topos tipici dei racconti d’avventure: il tema del 
viaggio, il rapporto con lo straniero, la ripresa del pensiero utopico. 
  Il mio lavoro prende in considerazione anche la fortuna che il genere ha avuto 
in Italia: per avere un quadro della situazione basti pensare che, laddove in 
America il neologismo science-fiction si afferma negli anni Venti, in Italia si 
arriverà al 1952 prima che  Giorgio Monicelli trovi il calco corrispondente al 
termine inglese.  
  Al centro dell’analisi ho posto due temi che hanno avuto larga fortuna 
nell’ambito fantascientifico: lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e la 
tematica del viaggio spaziale. Nel primo caso si vedrà come essa affondi le 
radici nella tradizione e in particolare nell’ancestrale desiderio dell’uomo di 
creare un essere simile a sé, scavalcando il processo della riproduzione 
naturale. L’uomo vorrebbe farsi Dio; o meglio, l’individuo prometeico 
vorrebbe sottrarre alla natura il segreto della conoscenza, e quando prova a 
sostituirsi alla divinità ecco che il frutto del suo esperimento risulta essere un 
mostro: è quanto accade al Golem o al mostro creato da Victor Frankenstein, 
antenati diretti dell’immagine più moderna del robot. Il frutto della 
trasgressione da parte dell’uomo non può che contenere un germe diabolico, 
pronto a far ribellare la creatura contro il suo creatore: è quanto accade con il 
Golem, con il mostro di Frankenstein e con i robot, gli uomini-macchina di 
Ĉapek, tutti affetti dal “morbo di Frankenstein”. Si dovrà aspettare Asimov e le 
sue Tre Leggi della Robotica per vedere rivoluzionata la figura dell’automa,  
trasformato in un essere innocuo per l’incolumità dell’uomo.   
  Per quanto riguarda il viaggio spaziale, si può dire che esso è la ripresa di uno 
dei temi fondamentali del romanzo d’avventura e cavalleresco; cambia 
l’ambientazione, ma resta la tensione conoscitiva: il desiderio dell’uomo di 
esplorare e conoscere terre nuove o, nel caso della fantascienza, pianeti ancora
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sconosciuti. La letteratura fantascientifica indaga il cielo, che è il nuovo altrove 
conoscitivo, e lo fa attingendo copiosamente alla tradizione: non più valli 
incantate, ma pianeti remoti; non più l’isola utopica collocata nella vastità degli 
oceani, ma un nuovo mondo collocato nell’immensità dello spazio. Nella 
maggior parte dei casi, ad aspettare l’esploratore, ci sono però gli abitanti di 
quella terra o di quel pianeta sconosciuto; ci sono gli alieni a complicare le cose 
i quali assumono la fisionomia universale del diverso, dell’altro, inquietante e 
il più delle volte ostile e pericoloso. È ciò che veniva raccontato già da Luciano 
di Samosata o da Cyrano de Bergerac, ed è ciò che viene narrato – con 
prospettive e con procedimenti nuovi ma assolutamente analoghi -  anche dagli 
scrittori moderni. 
  Nel complesso, organizzo questa mia tesi tracciando profili generali, però 
fondati sull’analisi di alcuni testi chiave della science-fiction moderna. Per 
quanto riguarda la tematica dell’uomo-macchina, il romanzo di Mary Shelley, 
Frankenstein, ossia il moderno Prometeo (il cui mostro creato in laboratorio 
rappresenta il capostipite dei futuri robot) e quello di Isaac Asimov, Io, Robot; 
per il tema del viaggio spaziale, il romanzo di H. G. Wells, I primi uomini sulla 
luna e Cancroregina di Tommaso Landolfi.
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PRIMO CAPITOLO 
 
 BREVE STORIA DELLA FANTASCIENZA. 
 
1.1 La fantascienza prima della “science-fiction”. 
  La letteratura fantascientifica moderna può essere considerata come la punta 
di un iceberg formato da una miriade di storie che affondano le radici in un 
passato remoto. 
  Jacques Sadoul, nel suo saggio La storia della fantascienza,
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 individua tra i 
precursori tutte quelle opere che contengono in nuce elementi di speculazione 
fantastica, definite invece da Franco Ferrini “falsi antenati"
2
. Certo, già tra 
questi, spicca Luciano di Samosata, che riuscì a cogliere la crisi morale del suo 
tempo trasformandola in critica beffarda nei confronti di intellettuali da 
strapazzo, predicatori ipocriti e in genere verso tutti i vuoti formalismi e le 
tradizioni insensate. L’originalità di Luciano si basa su una fantasia bizzarra, 
dove acquistano una dimensione comica le passioni, i vizi, le debolezze e le 
vanità dell’uomo; detestava i romanzi del suo tempo, che accumulavano 
incredibili avventure e peripezie per risolversi poi miracolosamente nel lieto 
fine. Il suo scopo è quello di metterli in burla, e per farlo inventa vicende 
assurde;  la sua fantasia si scatena nei racconti di viaggi che non si fermano 
neppure alle regioni più remote della Terra: sono viaggi spaziali. Motore 
fondamentale delle sue opere è la satira, un’ironia pungente ottenuta 
accostando elementi dissimili tra loro, come ad esempio una citazione mitica in 
                                                 
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 J. Sadoul, La storia della fantascienza, in L’immaginazione tecnologica. Teorie della fantascienza, a 
cura di Adolfo Fattori, Napoli, Liguori, 1980, p.23. 
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 Per Ferrini tutti i tentativi di assicurare alla science fiction illustri antenati si basano su un grosso 
equivoco di fondo: la fantascienza nascerebbe infatti da una tipizzazione dell’immaginario basata su una 
considerazione della scienza e della tecnica particolarissima e tipica della nostra epoca, ma non certo di 
quelle precedenti, che non conoscevano la scienza nel senso in cui la intendiamo noi.
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un contesto meschino al fine di ottenere un effetto stridente e dissacrante.
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 Tra 
le opere lucianèe che possiamo considerare precorritrici del genere 
fantascientifico, la Storia vera, risalente al 180 d. C circa. È un’ opera narrativa 
in due libri, in forma autobiografica con chiaro intento parodico. 
  In essa troviamo elementi che vanno dal folle volo nello spazio, allo specchio 
con il quale dalla Luna si vede la Terra; dagli occhi smontabili, all’incontro con 
i Seleniti. Certo, per Luciano la narrativa non è mai fine a se stessa, cosicché, 
anche quando scrive i due libri, lo fa per bollare tutti coloro che raccontano e 
descrivono ciò che è frutto della propria immaginazione, gabbandolo per pura 
verità. Dichiara che, per non mancare egli solo della libertà di inventare favole, 
non racconterà nulla di vero, ma lo farà più onestamente degli altri poiché, 
almeno, affermando di mentire, dice la verità. 
    Egli ha prodotto, con la Storia vera, una delle opere più curiose e 
affascinanti della letteratura greca, che potremmo definire il primo romanzo di 
fantascienza, essendo tra l’altro il primo testo in cui viene descritto un viaggio 
sulla Luna. Vi si narra l’avventura di un gruppo di persone, capitanate dallo 
stesso autore, che decidono di attraversare le colonne d’Ercole per vivere 
avventure strabilianti. Come dichiara lo stesso Luciano, si tratta di un’opera di 
evasione, destinata ad alleggerire la tensione morale di chi sia da troppo tempo 
immerso in una lettura che lo impegni seriamente; anche l’autore sembra 
volersi concedere una vacanza dello spirito e, quasi invidiando tutti gli scrittori 
che hanno narrato fatti e descritto personaggi incredibili con la pretesa di essere 
creduti, scatena egli stesso la sua fantasia, ma avvertendo i lettori che non 
dovranno credergli poiché non racconterà nulla di vero. L’intento parodistico 
insomma è chiaro fin dall’inizio. 
                                                 
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 La sua vena satirica fungerà da sostrato al progetto leopardiano delle Operette morali: l’idea di scrivere 
dialoghi satirici “alla maniera di Luciano” si riscontra nella carte leopardiane a partire dal 1819. Il comico 
in Leopardi scaturirà proprio dal rovesciamento delle leggi del mondo, tema questo tipicamente lucianèo.