ciò ha fatto emergere (a volte anche drammaticamente) tensioni nuove tra ciò che
si presenta nella realtà effettuale dei cittadini e della società nel suo complesso, e
ciò che il diritto e la “teoria” espongono, sia nei momenti descrittivi sia in quelli
prescrittivi. Di queste tensioni (o divaricazioni) può essere esempio illuminante e
sintomo preoccupante il senso di sfiducia nei confronti della politica (oltre che
degli uomini politici) che da qualche decennio si fa sempre più evidente proprio
nelle nostre società.
Da qui la necessità di interrogarsi sul significato attuale di istituzioni quali
la cittadinanza e il parlamentarismo, non solo in quanto istituti giuridici positivi,
ma, in senso più ampio, come forme del rappresentarsi e dell’agirsi di una
società, e sui possibili significati alterativi. Necessità confermata dalla percezione
condivisa che questi significati siano vacanti tanto nel discorso comune, dominato
sempre più da conformismo e rassegnazione, quanto nell’analisi “dotta”, nel
discorso accademico prevalente, che a mio avviso appare troppo spesso ripiegato
su stesso, nella riproposizione di modelli interpretativi insufficienti, quando non
addirittura fuorvianti.
Questo approccio critico non si intende assolutamente come rifiuto della
eredità che la tradizione del pensiero politico e filosofico ci tramanda, tradizione
che ha innervato (riflettendola e stimolandola) la trasformazione delle società
occidentali dall’epoca della Grecia antica fino ai giorni nostri. Il tentativo è anzi
quello di raccogliere proprio questa capacità del pensiero di rapportarsi
all’evoluzione del reale, cercando di riconoscere le inibizioni che esso sembra
porsi - o lascia imporsi - nella nostra epoca. Epoca che qualcuno
significativamente etichetta come postmoderna, indicando con questa espressione
l’allontanamento dall’epoca moderna (con l’esaurirsi di molti dei suoi tratti tipici,
nonché di molte sue certezze), e, al contempo, l’incapacità della società
contemporanea di definirsi altrimenti che per negazione della precedente.
In questa prospettiva, la presente ricerca si propone appunto come ricerca di
proposte teoriche e pratiche che azzardino con coraggio nuove premesse, o che
tentino di sviluppare con coerenza le conclusioni che antiche intuizioni meritano.
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In realtà esiste una vasta area della filosofia contemporanea che cerca di ripensare
le categorie teoretiche ed epistemologiche, e infine anche etiche e politiche,
necessarie a ragionare sulle tematiche più varie dell’esperienza umana, che
trovano nell’ambito politico una giuntura, una interconnessione, spesso invisibile,
ma sempre presente. Il secolo XX è stato innegabilmente un secolo “violento”, sia
nella sua corsa “verso e attraverso il progresso”, sia nelle manifeste ed epocali
crisi politiche, culturali, ed etiche. Tra le varie figure di pensatori originali che
hanno avuto la sensibilità per “leggere” (spesso in anticipo, quasi profeticamente)
i segni e la portata dei mutamenti che segnavano il mondo, e che hanno avuto la
forza di trarne una lezione costruttiva, si trova quella di un autore, scomparso di
recente, che in Italia pare essere poco conosciuto, Cornelius Castoriadis.
Castoriadis è stato un personaggio notevole nella cultura francese della
seconda metà del secolo scorso, che ha per molto tempo animato dalle retrovie
teoriche alcuni dei movimenti e dei soggetti politici più radicali della sinistra
parigina
1
, e che si è ricavato poi un posto ben preciso nel panorama del pensiero
politico contemporaneo
2
.
In realtà ciò che qui si intendere raccogliere e proporre della sua figura e
della sua opera intellettuale è soprattutto la coerenza tra la serrata critica della
tradizione filosofica occidentale e la proposizione di nuovi concetti e chiavi
interpretative di quell’ambito particolare che egli chiama sociale-storico. Il
tentativo di Castoriadis di riflettere sulle società umane, sulla loro storicità, e su
ciò che le rende possibili, si mostra infatti, innanzitutto, come tentativo di capire
cosa impedisce all’“ontologia ereditata” di cogliere il particolare modo d’essere di
1
Basterà ricordare che la rivista “Socialisme ou Barbarie”, che egli fondò nel 1949
insieme con Claude Lefort, e che prendeva le distanze tanto dalle derive del mondo
capitalista occidentale, quanto dalle barbarie dell’ideologia marxista e della sua
affermazione nella burocrazia sovietica, ispirò alcuni dei leader del movimento
studentesco del 1968, come Daniel Cohn-Bendit.
2
Può essere indicativo notare che con le posizioni filosofiche di Castoriadis si è
confrontato a più riprese un autore di riconosciuta autorevolezza nel mondo accademico,
e oggi noto anche nei dibattiti mediatici, come Jürgen Habermas. Cfr. J. Habermas, Il
discorso filosofico della modernità, Trad. It. di E. Agazzi, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp.
327-335.
9
questa dimensione (il sociale-storico), e cosa, quindi, impedisce di pensare e
praticare la politica come attività “speciale” (poiché non riducibile o assimilabile
alle altre attività umane) e insieme non specialistica, poiché rimessa
potenzialmente a tutti (e non quindi ad esclusivo appannaggio di “caste” di saggi,
esperti e tecnici).
Ciò che Castoriadis vuole comunicare non è una nuova teoria della giustizia,
non è una ricetta di proposte operative ragionevoli ed efficaci nell’affinare le
istituzioni politiche, né tantomeno una gratuita critica distruttiva del pensiero e
della realtà esistenti. Ciò che egli comunica è un invito pressante - o forse una
disperata invocazione - affinché tutti vogliano e possano praticare l’autonomia,
ovvero la libertà di controllare lucidamente il senso del proprio pensare, del
proprio volere, e del proprio agire. La sua vera “utopia” sembra quindi essere la
più illuministica delle “Città della Libertà”, una società autonoma composta di
uomini autonomi (liberi), che si sia liberata dall’eteronomia istituita. Anche la
nostra “civiltà occidentale”, che sembra aver oramai liquidato religioni,
metafisiche, e ideologie, corre sempre di più il rischio di assoggettarsi a dei nuovi
assoluti, certo più “presentabili” ma anche più subdoli nel penetrare
l’immaginario sociale lasciando (quasi) intatta una parvenza di libertà. La
filosofia di Castoriadis non cerca fondamenti (naturali, sovrannaturali, razionali,
storici). Cerca coraggiosamente di prendere sul serio l’intuizione moderna (e,
molto tempo prima, greca) che l’Uomo è creatore di se stesso, che il “destino” di
una società non è altro che l’opera comune degli uomini che sono quella società
(con il carattere tragico che ciò comporta).
Se la domanda da cui parte la ricerca qui avviata è “quali spiragli di
sovranità possono essere praticabili oggi dal cittadino?”, l’intento non è certo
quello di dare una risposta operativa a tale domanda, quanto piuttosto quello di
delucidare - usando un termine caro a Castoriadis - ciò che essa comporta, quanto
cioè essa stessa sia già, se approfondita, una forma di “pratica della cittadinanza”,
quanto da essa possa scaturire.
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CAPITOLO 1
CITTADINANZA E DIRITTI
1.1. Cittadinanza, diritti, disuguaglianza.
Il tema della cittadinanza è tornato ad essere d’attualità in Italia all’inizio
degli anni novanta del secolo appena concluso, grazie all’interesse di numerosi
studiosi, che vi hanno trovato la possibile chiave di volta per riformulare la teoria
democratica. Questo interesse condiviso, e il dibattito che ha suscitato, hanno però
messo in luce che la nozione di “cittadinanza” era usata attribuendole, a seconda
dei casi, significati diversi e valori politici divergenti. Risulta dunque necessario,
prima di avviare una qualsiasi riflessione teorica, procedere a una preliminare
chiarificazione concettuale. In questo senso riteniamo utile partire nel nostro
ragionamento avvalendoci di un breve volume di J.M. Barbalet
3
, dedicato
interamente all’analisi e alla discussione delle tesi di Theodor H. Marshall, il
sociologo inglese considerato l’ideatore stesso della nozione moderna di
cittadinanza.
Marshall, soprattutto nella sua celebre opera del 1950, “Citizenship and
Social Class”
4
, tenta di spiegare la nascita e l’evoluzione della cittadinanza,
concentrandosi sulla relazione tra essa e lo sviluppo del sistema di classe tipico
delle economie capitalistiche. La sua tesi, in breve, è la seguente: via via che il
capitalismo si evolve come sistema sociale e che la struttura di classe si sviluppa
al suo interno, la cittadinanza moderna cambia; e dall’essere un sistema di diritti
3
J. M. Barbalet Cittadinanza. Diritti, conflitto e disuguglianza sociale, Torino, Liviana, 1992.
Trad. it. F. P. Vertova, introduzione e cura di D. Zolo. Edizione originale J. M. Barbalet
Citizenship. Rights, struggle and class inequality, Open University Press, Milton Keynes, 1988.
4
T. H. Marshall, Citizenship and social class, in T. H. Marshall, Class, Citizenship, and Social
Development, Chicago, The University of Chicago Press, 1964, trad. it. parziale Torino, UTET,
1976.
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