4 
 
Introduzione 
 
«If there is not a product, you are the product», scrive Paolo Benanti, teologo e professore della 
Pontificia Università Gregoriana. Esiste un modo tramite il quale la comunicazione di prodotto può 
influenzare gli individui, modificando e condizionando soprattutto i comportamenti d’acquisto: ciò 
che può creare comunità può essere utilizzato per plasmare la comunità stessa
1
. 
Ai nostri giorni le persone si collegano alle informazioni, ai brand e tra di loro sempre e ovunque: 
siamo nell’era dell’Internet of Things (IOT), che ha mutato profondamente i concetti di comodità, 
velocità, prezzo, informazioni sui prodotti e interazioni con le aziende.  
La pubblicità non può che adattarsi a questa nuova realtà. Parole come digital advertising, digital 
word-of-mouth, social network marketing, influencer marketing caratterizzano un ecosistema fatto di 
touch point interconnessi, nel quale consumatori e brand interagiscono.  
«Sta cambiando il modo di fruire i contenuti e stanno cambiando le abitudini dei consumatori – dice 
Matteo Esposito, fondatore dell’agenzia di comunicazione Imille – oggi il target dell’advertising è 
composto principalmente dai millennials e dalle successive generazioni di nativi digitali. La 
pubblicità non solo deve rivoluzionare la sua semiotica ma ha a disposizione media diversi che ne 
caratterizzano in modo sorprendentemente nuovo il messaggio». 
Ed ecco che si può parlare di Advertising of Things: un nuovo modello di pubblicità personalizzata, 
interattiva, geolocalizzata, programmatica, che propone contenuti fruibili sui social e sul mobile e che 
mira a fornire prodotti e servizi a consumatori di cui analizza e conosce sempre di più intenzioni e 
pratiche
2
. 
Il digital advertising è in grado di raggiungere uno specifico consumatore in un preciso momento, 
basandosi su dati che indicano il suo interesse per il prodotto o la sua propensione all’acquisto.  
Gli strumenti di digital advertising permettono di evitare la dispersione causata dalla pubblicità 
tradizionale, perché i messaggi pubblicitari possono modificarsi e diventare su misura.  
Se nell’approccio tradizionale all’advertising l’azienda è protagonista con le sue azioni per 
convincere gli utenti ad acquistare un prodotto, nel nuovo scenario delineato dai digital media assume 
un ruolo centrale l’esperienza del prodotto sperimentata dal consumatore.  
Oggi l’utente di un prodotto non all’altezza delle aspettative non solo non lo compra, ma esprime le 
proprie lamentele in un passaparola digitale che può avere risonanza mondiale. 
 
1
 Benanti, 2019 
2
 Mardegan, 2016
5 
 
Ciò che il digital advertising può proporre è qualcosa di più della pubblicità in senso tradizionale; 
ovvero la possibilità per il consumatore di interagire direttamente con chi il prodotto lo crea e lo 
comunica. In quest’ottica le aziende devono porre al centro dell’attenzione le persone: l’ascolto e la 
soddisfazione dei desideri da un lato, la partecipazione e la creazione di bisogni indotti dall’altro. 
In uno scenario contaminato, caratterizzato dalla mancanza di confini netti tra esperienza online ed 
esperienza offline, comprendere quali siano gli strumenti del digital advertising in una logica di 
marketing di valore diventa prioritario, sia nel settore Business to Consumer che Business to 
Business.   
L’obiettivo del paper è quindi quello di offrire molteplici spunti di discussione integrando la 
prospettiva di aziende che investono in spazi pubblicitari digitali con quella dei publisher e dei 
soggetti mediatori, stimolando una riflessione critica sul tema, in modo da mappare lo stato dell’arte 
dell’advertising digitale a livello multisettoriale indentificandone best practices, trend e strumenti.
6 
 
1. Gli strumenti per il digital advertising 
 
Gli elementi chiave dell'advertising 3.0 sono la capacità di segnalare opportunità (affordance) e di 
produrre emozioni positive in grado di coinvolgere gli utenti (engagement), di mettere il soggetto al 
centro dell'esperienza (interazione e co-creazione) e di permettergli di condividerla con altri 
(condivisione).  
Per raggiungere questi obiettivi un ruolo cruciale viene giocato da strumenti multimediali e connessi, 
grazie ai quali è possibile monitorare le intenzioni e i comportamenti dei consumatori e offrire 
esperienze interattive e sociali in grado di dare valore a prodotti e servizi. 
 
1.1 Search advertising 
 
Con il suo miliardo di visitatori al mese, Google è il primo motore di ricerca del mondo – ne consegue 
che il principale strumento per fare search advertising è proprio Google AdWords. 
Il search advertising si basa su piattaforme che permettono all’advertiser di pagare per ogni singolo 
clic che la sua pagina riceve grazie agli annunci. Concretamente, è la pubblicità che compare nella 
parte superiore della pagina dei risultati quando un utente effettua una ricerca utilizzando un motore 
di ricerca. 
Ogni advertiser ha la possibilità di definire i propri annunci tramite keywords, ovvero parole legate 
al suo annuncio che potrebbero essere cercate dagli utenti del motore di ricerca. L’advertiser definisce 
un prezzo per ogni keyword, ovvero dice quanto è disposto a pagare per ogni clic sull’annuncio 
all’interno di una ricerca effettuata da un utente utilizzando la keyword in questione. Questo processo 
avviene tramite asta ed è chiamato “real-time bidding”. Ciò che l’advertiser utilizza è una Demand 
Site Platform (DSP), un tool che permette di selezionare gli elementi di una campagna, come i target 
di interesse ed i limiti di budget. La DSP si interfaccia con una Supply Side Platform (SSP), utilizzata 
dai publisher – come Google – per gestire i loro spazi disponibili per la pubblicità. Quando la 
campagna viene avviata, un software online si occupa di mediare tra DSP e SSP e di piazzare 
automaticamente le puntate. 
La scelta delle keywords è un processo delicato. Prendiamo il caso di un locale che prepara panini 
vicino alla stazione ferroviaria di Milano. Una keyword ottimale potrebbe essere “mangiare stazione 
Milano”: queste parole permettono di intercettare il bisogno di utenti che stanno cercando un posto 
dove mangiare in zona. Al contrario, la keyword “panini” è sconsigliata, perché troppo generica: 
potrebbe attirare utenti che cercano ricette, immagini o informazioni, ma non un ristorante. AdWords 
permette anche di escludere delle keywords. Per esempio, “mangiare pizza stazione Milano” potrebbe
7 
 
essere esclusa in quanto verrebbe digitata da un consumatore che ha già scelto di mangiare un cibo 
diverso da quello disponibile nel ristorante.  
In ogni caso, AdWords fornisce anche un “search terms report”, ovvero un documento che informa 
l’advertiser di quali keywords sono state cercate dagli utenti che hanno effettivamente fatto clic 
sull’annuncio: questo permette di eliminare le parole chiave non performanti. 
Una strategia differente è costituita dal Search Engine Optimization (SEO). Mentre il search 
advertising riguarda l’acquisto di annunci che compaiono sulle Search Engine Results Page (SERP), 
il SEO si riferisce all’ottimizzazione di un sito internet allo scopo di acquisire una maggiore 
probabilità che esso compaia tra i primi risultati non-pubblicitari di una ricerca, chiamati risultati 
organici. A (quasi) monopolizzare il mondo SEO è Yoast, plug-in gratuito di Wordpress in grado di 
stabilire quanto una pagina è SEO friendly utilizzando un segnale semaforico e analizzando densità 
di parole chiave, attributi alt, descrizioni Meta, slug.  
Il search advertising ha i suoi limiti. Spesso accade che persone o programmi automatizzati, chiamati 
bot, imitino il comportamento di un normale utente, cliccando gli annunci pubblicitari per generare 
finti risultati di efficacia.  
I casi di click-fraud ed impression-fraud sono sempre più frequenti e i players della pubblicità digitale 
stanno rispondendo con nuovi modelli di pricing. Le nuove frontiere del search advertising sono 
parole come programmatic advertising e retargeting.  
Nel programmatic advertising l’incontro tra domanda e offerta di spazi pubblicitari avviene in 
modalità automatizzata in base al target tipo, permettendo di identificare la pubblicità perfetta per 
l’utente perfetto. «Il programmatic comprende una serie di tecnologie che automatizzano l’acquisto, 
il posizionamento e l'ottimizzazione degli spazi pubblicitari a livello multimediale e multischermo, 
sostituendosi a metodi basati su sole capacità umane – spiega Giovanna Loi, Chief Marketing Officer 
della media investment company Group M – Tutto questo ha cambiato la meccanica delle transazioni 
media in un modo impensabile prima: si parla di “Learn Then Buy” piuttosto che di “Buy Then 
Learn”. Il programmatic consente di utilizzare la tecnologia per personalizzare i messaggi per un 
particolare utente, in un particolare momento, in un contesto specifico. Lo storytelling della 
comunicazione può seguire l’utente nei diversi momenti del suo customer journey. Non c’è più la 
logica del one-fits-all, ma messaggi ad hoc per singoli utenti». 
Il retargeting, invece, permette di raggiungere gli utenti che hanno visitato un certo sito in precedenza, 
mentre ne stanno visitando un altro, assicurandosi di inviare il messaggio pubblicitario ad un utente 
che ha già pianificato delle attività nei confronti dei prodotti pubblicizzati. 
Recentemente Google ha riferito che negli Stati Uniti vengono eseguite più ricerche sui dispositivi 
mobili rispetto ai PC e questa tendenza è assimilabile anche all’Europa. Poiché sempre più utenti