7
streets a man must go…” scritta da Raymond Chandler - maestro della letteratura 
hard-boiled statunitense - nel suo saggio del 1945 The Simple Art of Murder. 
Quella semplice frase isolava al suo interno due termini chiave della 
rappresentazione urbana del cinema di Scorsese: l’uomo e le strade. Mean Streets 
è stato il primo grande film su New York realizzato dal regista, e a partire da 
allora egli ne ha girati molti altri, delineando un suo personale ritratto della 
metropoli, rappresentando di volta in volta complessi microcosmi sociali oltre che 
i luoghi che costituiscono la struttura materiale della città.  
In questo lavoro prenderemo in esame  i luoghi e le epoche della New York di 
Martin Scorsese, per delineare una mappa immaginaria della città 
cinematografica:  tracciare una topografia dello spazio cinematografico significa 
esplorare una dimensione altra rispetto a quella della realtà fisica, e allo stesso 
tempo analizzare in che modo lo spazio immaginario è costruito a partire da 
quello reale.  
Il primo capitolo, ‘New York città cinematografica’,  si sofferma prevalentemente 
sulla natura del rapporto tra questa città e il cinema, tracciando un itinerario nella 
metropoli attraverso alcuni film – di registi americani e non – che hanno 
rappresentato, in modo talvolta inconsueto, New York.  
Il secondo e il terzo capitolo articolano invece il percorso vero e proprio nella 
New York di Martin Scorsese, mettendo in luce le modalità della rappresentazione 
della città. I film analizzati sono, nell’ordine, i seguenti: Gangs of New York, The 
Age of Innocence, Mean Streets, After Hours, Raging Bull, GoodFellas, Bringing 
Out the Dead, Taxi Driver.  
Il percorso è strutturato secondo una macro-suddivisione cronologica: il punto di 
partenza è la New York ottocentesca di Gangs of New York e The Age of 
Innocence, analizzati nel capitolo secondo: il confronto farà emergere la prima 
 8
complessa mappa della città, sulla quale si stratificheranno tutte le altre - reali o 
immaginarie. Il capitolo si sofferma tra l’altro sulle modalità della ricostruzione 
storica di un mondo scomparso quasi del tutto, e sulla particolare attenzione di 
Scorsese alle tematiche legate alla divisione sociale e territoriale di New York nel 
XIX secolo.  
Il terzo capitolo è un ‘Viaggio nella New York del XX secolo’. Questa parte, 
relativa alla rappresentazione della città moderna, è organizzata secondo una 
micro-suddivisione geografica, come fosse un vero tour della metropoli. Si 
traccerà una   mappa divisa in zone diverse: Little Italy, Bronx, Brooklyn e 
Queens, SoHo, Hell’s Kitchen e il distretto di Times Square.  
  
 
 9
Capitolo Primo
NEW YORK CITTA’CINEMATOGRAFICA 
 
1. New York e il cinema 
 
New York fu ritratta per la prima volta su un rullo di celluloide il pomeriggio 
dell’undici maggio 1896. Il cameraman, William Heise, si sistemò con la sua 
cinepresa Edison all’estremità sud di Herald Square, all’incrocio tra la 
Trentaquattresima strada, Broadway e la Sixth Avenue, nel cuore di Manhattan. 
Per circa 11 secondi riprese la gente che passeggiava all’incrocio con la 
Trentaquattresima strada, insieme agli omnibus e alle carrozze che percorrevano 
la via. Sullo sfondo era visibile l’elegante Herald Building, sede degli uffici del 
New York Herald.  
Il filmato, intitolato Herald Square, venne girato poche settimane dopo un evento 
che aveva elettrizzato il pubblico newyorkese: il 23 aprile 1896 al Koster and 
Bial’s Music Hall sulla Trentaquattresima strada – proprio vicino ad Herald 
Square - era avvenuta la prima proiezione di film realizzata con la nuovissima 
tecnologia vitascope di Edison.  
In questa prima fase di sviluppo del cinema americano New York ha una 
posizione centrale: le principali industrie cinematografiche stabiliscono le proprie 
basi nel centro di Manhattan, inoltre lungo la Broadway, a partire dalla primavera 
del 1896, i film venivano proiettati con i diversi sistemi che via via erano messi a 
punto: l’eidoloscope di Latham a maggio, il cinematografo dei Lumière a giugno 
e ad ottobre il biograph della American Mutoscope
1
.  
                                                 
1
 J.Sanders, Celluloid Skyline, Bloomsbury, London, 2001, pag.25. 
 10
Ma alla fine del primo decennio del 1900 New York stava già perdendo questa 
posizione di rilievo: molte società cinematografiche trasferivano i loro studi in 
California dove il clima più caldo e assolato permetteva di effettuare riprese 
all’aperto per la maggior parte dell’anno. Los Angeles si apprestava a diventare il 
maggiore centro di produzione cinematografica degli Stati Uniti. 
A partire da quel primo brevissimo film girato da Heise a Herald Square, migliaia 
di film sono stati ambientati e girati a New York  e molti di essi hanno segnato in 
modo indelebile la storia del cinema e l’immaginario collettivo. I film di registi 
come Elia Kazan, Billy Wilder, Woody Allen, Spike Lee e Martin Scorsese, per 
citarne solo alcuni, hanno nutrito l’immaginario collettivo e contribuiscono a 
creare un’altra New York, una New York di celluloide quasi reale quanto la vera 
New York.  
Sarebbe impossibile ripercorrere in poche righe la storia di tutti questi film:  
cercheremo piuttosto di effettuare un’esplorazione di New York attraverso alcuni 
film tra memoria, illusione ed evocazione. Questo percorso fornirà gli strumenti 
per analizzare la complessa mappa di questa città tracciata da Martin Scorsese 
nella sua opera. 
 
La città e la memoria 
 
In questa esplorazione di New York il punto di partenza per conoscerne i segreti 
non è la città reale, ma la città cinematografica.  Vedendo scorrere i fotogrammi 
di Herald Square, la prima pellicola realizzata sulle strade di New York, possiamo 
intravedere il New York Herald Building, un edificio progettato dagli architetti 
McKim, Mead & White che si ispirarono nientemeno che al rinascimentale 
Palazzo del Consiglio di Verona. L’edificio fu costruito nel 1894, due anni prima 
 11
della realizzazione del filmato di Heine, nel medesimo luogo in cui una volta 
sorgeva il P.T.Barnum Americam Museum, bruciato in un incendio nel 1865. 
Oggi nemmeno il New York Herald Building esiste più, perché fu demolito nel 
1920. Sin dalla primissima pellicola che documenta la città colpisce un dato 
importante dell’identità di New York: la sua incessante trasformazione, la 
stratificazione del futuro sul vuoto del passato. Il cinema cattura su pellicola 
eventi, immagini, storie inventate o reali, e questa sua funzione di memoria visiva 
assume un rilievo ancora più importante in una città in rapido mutamento fisico – 
oltre che etnico e culturale – come New York. Alcuni registi, Scorsese è tra 
questi, sono ben consapevoli di questa grande potenzialità del cinema e la 
sfruttano al massimo.  
Nel cortometraggio del regista italiano Nanni Moretti The Last Customer (2003), 
assistiamo alla distruzione di un edificio di Manhattan che ospitava la farmacia 
Alps e l’abitazione della famiglia italoamericana che la gestiva da due 
generazioni. Moretti ha voluto documentare la cancellazione di un edificio dal 
tessuto fisico di New York, ma non solo. Egli mostra gli ultimi giorni di attività 
della farmacia dei signori Gardini, le visite dei clienti affezionati del quartiere, che 
l’ultimo giorno prima della chiusura definitiva si scambiano abbracci e aneddoti e 
comprano gli ultimi prodotti. Il regista mostra la commozione dei proprietari, lo 
sgombero dei locali accompagnato dai ricordi del signor Gardini. Gli operai che 
demoliscono lo stabile – per far posto ad un grattacielo – non stanno eliminando 
soltanto un edificio di mattoni ma un luogo vissuto da persone che hanno lasciato 
una traccia della loro esistenza, quelle stanze hanno raccolto momenti felici o 
difficili e sono state per anni un punto di incontro e di riferimento per la comunità 
del quartiere. Tutto questo ora non è più rintracciabile nella struttura fisica di 
Manhattan, che ha perso per sempre un’altra infinitesima parte del suo tessuto per 
 12
dare vita ad un nuovo grattacielo. Moretti ha catturato il condensato di emozioni e 
ricordi che costituivano il tessuto immateriale di questo frammento di New York e 
ha immortalato per sempre il momento della sua distruzione su una striscia di 
celluloide, per conservarne la memoria.  
 
Talvolta sono i registi a decidere di eliminare – digitalmente – interi edifici dal 
profilo di New York. Dopo la tragedia dell’11 settembre, il regista Peter Chelsom 
ha deciso di cancellare le due torri del World Trade Center da tutte le immagini 
dello skyline di Manhattan presenti nel suo film Serendipity (2001). Scorsese ha 
seguito la direzione opposta nella scena finale di Gangs of New York (2002), 
mostrando con una serie di dissolvenze di dipinti che rappresentano l’evoluzione 
nel tempo del profilo di Manhattan. L’ultima immagine ritrae lo skyline con le 
torri gemelle che svettano all’orizzonte (Fig. 2). Nel suo commento audio al DVD 
del film, Scorsese spiega che quella serie di dissolvenze fu realizzata prima 
dell’11 settembre 2001, ed egli non ha ritenuto giusto revisionare il profilo di New 
York cancellando le due torri. Il suo film parla di gente che ha lottato per costruire 
la città, gente di cui oggi molti non sanno assolutamente nulla, di cui non resta 
niente o quasi. Per questo - a maggior ragione - ha desiderato conservare la 
memoria di una parte della città che ora è stata cancellata per sempre dalla sua 
struttura fisica.  
 
Chi si è spinto oltre nel lasciare una traccia di questo spaventoso vuoto che presto 
verrà sostituito da nuovi grattacieli è il regista newyorkese Spike Lee. Nel suo 
film  25th Hour (2003) ha voluto mettere bene in chiaro che stava rappresentando 
una New York post-11 settembre. Il romanzo da cui è tratto il film (The 25°hour 
di David Benioff) così come la sceneggiatura – scritta dallo stesso Benioff - erano 
 13
stati stesi prima dell’11 settembre 2001. Il film è stato girato dal 13 maggio 2002 
al 3 luglio 2002. Lee ha deciso di inserire volutamente riferimenti alla nuova 
realtà della sua città, fondendoli nel tessuto narrativo del film. Nella sequenza dei 
titoli di testa si vedono i “tower lights memorials” i potenti fari che per un mese 
soltanto hanno illuminato il cielo di New York in ricordo delle torri (Fig. 4 e Fig. 
5). 
Verso la fine della sequenza il campo si allarga e Lee  offre una veduta dello 
skyline di Manhattan ripreso dal New Jersey  e poi da Brooklyn (Fig. 3). La 
sequenza è stata girata in una notte sola, fino al momento dello spegnimento dei 
fari a mezzanotte. Più avanti nel film, all’interno del pub Brogan’s, sono esposte 
le foto dei pompieri dell’unità Rescue 5 di Staten Island che sono stati uccisi l’11 
settembre. Ma Lee si spinge ben oltre: nella scena girata all’interno dell’ 
appartamento di Slaughtery costringe a guardare nella voragine di Ground Zero, 
ben visibile dalla finestra del grattacielo in cui è girata la ripresa. Dapprima l’area 
devastata è sullo sfondo (Fig. 6), poi viene messa in primo piano, e Lee si 
sofferma sui lavori che procedono incessanti anche durante la notte: la rimozione 
delle macerie (Fig. 7), la ricerca di resti umani che possano essere identificati con 
l’esame del DNA
2
. Questo è un altro grande esempio di cinema che esercita 
consapevolmente la sua funzione di memoria per una città che cambia 
continuamente e drasticamente nella sua struttura fisica.  
 
Il cinema realizza la possibilità di rendere indelebili tracce che inevitabilmente 
svaniscono dal tessuto materiale della città (e non solo). La pellicola si trasforma 
nel supporto materiale di qualcosa di incorporeo: la memoria. C’è poi qualcosa di 
                                                 
2
 Lee non ha dovuto richiedere permessi per effettuare le riprese dal momento che non si trovava 
sul posto ma su un grattacielo affacciato su quell’area. 
 14
ancora più sfuggente ed etereo che il cinema ha il potere di catturare, se il regista 
si rivela un’illusionista abbastanza abile: lo spirito di New York.  
 
 
La città tra evocazione e illusione  
 
Nel numero 500 della rivista francese Cahiers du cinéma, del quale lui stesso fu 
curatore speciale, Scorsese ha scritto: 
…c’è qualcosa in New York, una sensazione che imbeve il 
soggetto trattato (qualunque sia) e finisce per influenzare il 
comportamento dei personaggi. Questa sensazione – una specie 
di elettricità sotto pelle – è indefinibile, ma chiunque viva in 
questa città sa di cosa sto parlando. Finisce perfino per 
contaminare i film su New York girati in studio. New York può 
essere definita con tanti di quegli aggettivi – volgare, magica, 
spaventosa, dinamizzante, spossante, prosaica – che ogni volta 
che in un film la si deve evocare, anche solo incidentalmente, 
finisce per imporsi. Non accetta di essere
 
solo un vago sfondo, 
come è Los Angeles in tanti film.
3 
   
Nel suo film New York, New York (1977) Scorsese ha evocato la magia di New 
York girando interamente a Los Angeles, California, nei vecchi studi MGM. La 
New York anni ’40 che Scorsese ha rappresentato in questa pellicola è in realtà 
una città mitica, esistita solo nei vecchi musical. Per ricreare questa illusione 
Scorsese ha voluto che i set fossero progettati da Boris Leven, scenografo di film 
come Shanghai Gesture e West Side Story. L’effetto finale è volutamente 
artefatto, e nonostante per buona parte del film i protagonisti, due musicisti uniti 
da una storia d’amore tormentata, siano in tournée al di fuori di New York, la  
sensazione è di essere proiettati proprio nella New York fittizia dei vecchi musical 
MGM e Warner Brothers. Questa città mitica è evocata anche grazie alla 
strepitosa colonna sonora: oltre al tema “New York, New York” di John Kander – 
                                                 
3
 M.Scorsese,Il bello del mio mestiere, Minimum fax, Roma, 2002, pag.50. 
 15
diventato un classico - ci sono pezzi dei più grandi compositori newyorkesi 
dell’epoca dei musical: George Gershwin, Jesse Greer, Richard Rodgers, Fats 
Waller. 
   
La musica è senz’altro un elemento fondamentale nella creazione di una 
sensazione newyorkese, può diventare il catalizzatore del condensato di 
sensazioni che costituiscono lo spirito della città. Il regista Jim Jarmusch compie 
un esperimento molto interessante da questo punto di vista nel suo Ghost Dog – 
The Way of the Samurai (1999). Il film narra la storia di Ghost Dog, un killer 
solitario che lavora per un mafioso italoamericano e vive secondo gli 
insegnamenti dell’ Hagakure, l’antico codice samurai giapponese. L’intera 
vicenda è ambientata nella periferia di New York ma il regista ha volutamente 
eliminato ogni riferimento esplicito alla sua città, che non viene mai nominata, e 
perfino le targhe di quasi tutte le auto che si vedono nel film portano la strana 
dicitura “Industrial State”. L’aspetto maggiormente interessante, dal nostro punto 
di vista, è l’impiego della colonna sonora composta da Rakeem RZA, uno dei più 
grandi artisti hip-hop della scena newyorkese.  
L’hip-hop è un fenomeno nato proprio a New York, nel Bronx, alla fine degli anni 
’70, quando i ragazzi bloccavano una strada alle due estremità per dare vita ai 
primi “block party”: allacciandosi abusivamente ad un lampione per le luci e il 
suono si facevano feste in cui un DJ pensava alla musica e un MC (sta per “master 
of ceremonies”) animava la serata: in questo modo è nata la musica rap. RZA, 
chiamato espressamente da Jarmusch per comporre la colonna sonora di Ghost 
Dog, è uno dei fondatori dello storico gruppo hip-hop newyorkese Wu-Tang Clan, 
collettivo rap di nove componenti che si è formato a Staten Island all’inizio degli 
anni ’90. RZA stesso, insieme ad altri componenti dei Wu-Tang Clan, appare nel 
 16
film in un cameo, e il nome di un locale mostrato nel film – Liquid Sword - porta 
volutamente lo stesso nome del primo disco di GZA the Genius, un altro 
componente del Clan. Il regista ha disseminato la pellicola di riferimenti al 
“gangsta rap” newyorkese creando una sua personale evocazione -in bilico fra 
reale e surreale- di una New York fantasma senza un nome preciso. La sottile 
malinconia di questo ritratto personale è resa attraverso le suggestioni della 
musica hip-hop che da quelle strade è scaturita.
4
 Evocare la città implica dare vita 
ad una visione personale. Per un regista significa tradurre visivamente qualcosa 
che è essenzialmente immateriale: un condensato di sensazioni, un’elettricità 
sottopelle, da trasformare in immagini che sappiano trasmettere allo spettatore 
quella stessa strana emozione, quella personale percezione dello “spirito” di New 
York.   
   
Nel film The Royal Tenenbaums (2001) il regista Wes Anderson segue una via 
particolare per tentare di distillare questa essenza intangibile. Anche questa è una 
pellicola girata a New York in cui la città non viene mai nominata: lo spettatore – 
anche quello non-newyorkese - la riconosce però immediatamente nel gioco di 
riferimenti ed echi cinematografici e soprattutto letterari (da Il Giovane Holden di 
Salinger ai romanzi di Fitzgerald) che richiamano proprio quella sensazione unica 
e indefinibile che, come ha affermato Scorsese, imbeve New York.  Il regista 
mostra la città evitando deliberatamente le vedute caratteristiche e i monumenti 
celebri: in una scena girata nella punta sud di Manhattan dispone scherzosamente 
                                                 
4
  New York, l’hip-hop e il cinema hanno sempre avuto un legame particolare, sin dal primo hip-
hop movie, Krush Groove(1985) di M.Schultz girato a New York con i maggiori interpreti della 
scena rap dell’epoca. Inoltre i più importanti artisti di rap politico della scena statunitense, ossia i 
newyorkesi Public Enemy, hanno composto nel 1998 la colonna sonora del film di Spike Lee He 
Got Game, su richiesta del regista stesso, e New York ospita dal 2002 l’Hip-Hop Odyssey 
International Film Festival, dedicato esclusivamente ai film che rappresentano e definiscono la 
cultura hip-hop e le comunità che la abbracciano. 
 17
uno dei protagonisti del film – l’indiano Pagoda - in modo che copra 
perfettamente la Statua della Libertà sullo sfondo, celandola agli occhi dello 
spettatore (il gioco continua anche nell’invenzione di tutti gli indirizzi citati nel 
film, con vie del tutto immaginarie come “100 Nord Trentesima Strada” o 
“Trecentosettantacinquesima Strada YMCA”).    
   
Altre volte invece New York viene indicata esplicitamente come il luogo della 
vicenda narrata nel film, ma la pellicola viene girata da tutt’altra parte: è il caso ad 
esempio del thriller Phone Booth (2003) del regista newyorkese Joel Schumacher, 
che si svolge a Manhattan in una sola giornata e, ad eccezione di una scena girata 
nella vera Times Square, per abbassare le spese è stato interamente realizzato 
sulla 5th Street a Los Angeles. Qui la troupe ha ricostruito la Cinquantatreesima 
strada ovest di Manhattan (tra Broadway e Eighth Avenue) dove il protagonista, 
interpretato da Colin Farrell, viene tenuto in ostaggio da un serial killer in una 
cabina telefonica per quasi tutta la durata del film. L’illusione è perfetta – sono 
stati creati anche speciali macchinari per “dosare” la luce californiana, più intensa, 
in modo che sembrasse più “newyorkese”- lo spettatore si trova trasportato ancora 
una volta, grazie alla magia del cinema, in una New York di celluloide, reale 
quanto quella vera, ma perfettamente finta. In quest’ultimo caso l’evocazione di 
Manhattan era l’unica possibilità per Schumacher, poiché il budget del film era 
limitato.  
Quando il budget limitato non permette di girare on location, i registi si trovano a 
dover necessariamente ricreare New York sfruttando a fondo il potere 
illusionistico del cinema: per concludere questa breve esplorazione della New 
York cinematografica va ricordata l’originale rappresentazione che ne dà la 
regista Julie Taymor in Frida (2002), il film che ripercorre la vita della pittrice 
 18
messicana Frida Khalo, moglie dell’artista Diego Rivera. La regista aveva pochi 
fondi a disposizione per le riprese newyorkesi del film, così ha sviluppato una 
soluzione visiva low-budget. Nella scena dell’ “assalto a Gringolandia” (come 
Frida definì il viaggio a New York compiuto da lei e Rivera), l’arrivo via nave e 
la loro visita della città nel 1933 sono ricostruiti attraverso foto in bianco e nero e 
ritagli di giornale composti in un collage, dentro al quale i due pittori si muovono 
come all’interno di una vera città, effetto realizzato grazie all’ausilio del blue-
screen.  
Nei film citati in questo paragrafo New York viene ricreata grazie all’illusione 
(New York, New York; Phone Booth; Frida) oppure viene raffigurata girando in 
esterni reali ma presentata come una città fittizia, addirittura senza nome (Ghost 
Dog; The Royal Tenembaums). In tutti i casi vediamo sempre e solo quello che il 
regista decide di mostrare: si tratta di viaggi guidati attraverso una New York 
cinematografica, ognuno dei quali offre una prospettiva diversa della metropoli, 
un percorso particolare.  
 19
 
2. Scorsese e la sua città: un italo-americano a New York   
   
Prima di introdurre questa esplorazione della città cinematografica è opportuno 
accennare al rapporto speciale che lega Scorsese a New York. Conoscere alcuni 
tratti della sua  storia personale e dell’ambiente in cui è vissuto è fondamentale 
per capire la rappresentazione che il regista dà della città, e per comprendere 
meglio il suo punto di osservazione. Non si ha intenzione di fornire qui una 
biografia dettagliata e schematica, ma si metteranno semplicemente in luce i punti 
chiave della relazione che lega questo artista e New York: dall’influsso 
importante delle strade in cui è cresciuto al suo impegno recente per uno dei 
monumenti simbolo della metropoli.  
 
 Vivere nel “mosaico della città
5
” 
 
Martin Scorsese è nato a Flushing, Long Island, il 17 novembre del 1942 e fino 
all’età di circa otto anni è vissuto a Corona, un tranquillo sobborgo del Queens. A 
causa di problemi economici la famiglia si dovette successivamente trasferire nel 
Lower East Side di Manhattan, in un tenement di Elizabeth Street, la strada di 
Little Italy dove erano nati e cresciuti i genitori di Scorsese, Charles e Catherine, 
entrambi figli di immigrati siciliani. Questa strada, denominata un tempo 
“Elisabetta Stretta” dai primi immigrati italiani di New York, era uno dei fulcri 
della comunità italo-americana di Little Italy insieme a Mott Street e Mulberry 
Street (si veda Fig. 18 per una mappa di Little Italy). 
                                                 
5
 L’espressione fra virgolette fa esplicito riferimento al titolo del volume di Mario Maffi Nel 
mosaico della città, Feltrinelli, Milano, 1992. 
 20
E’ interessante notare che la distribuzione degli immigrati italiani sulle strade 
rifletteva confini ben precisi: Scorsese ricorda che Elizabeth Street era abitata 
prevalentemente da siciliani
6
. I pugliesi si erano originariamente stabiliti a Hester 
Street, i calabresi a Mott Street tra Brome e Grand Street, i napoletani a Mulberry 
e Mott Street tra East Houston e Prince street
7
. La divisione territoriale era 
marcata, nel Lower East Side così come in molte altre parti di New York: i film di 
Scorsese riflettono spesso questo aspetto, e lo problematizzano. 
Se oggi si percorrono le strade di Little Italy, ci si rende immediatamente conto 
che il quartiere è molto cambiato: la parte sud è stata assorbita in buona parte 
dalla confinante Chinatown, mentre le strade più a nord – riunite sotto l’acronimo 
di NoLIta, North of Little Italy
8
 – sono oggi disseminate di numerose boutique 
alternative-chic. A partire dalla fine degli anni ’90 molti designer hanno iniziato a 
stabilirsi nel quartiere, spinti dagli affitti molto più bassi che nei vicini SoHo e 
TriBeCa. Oggi NoLIta è uno dei quartieri più trendy di Manhattan, e gli italiani in 
questa zona sono ormai meno di cinquemila
9
. L’identità italiana della zona si è 
decisamente diluita, ma esistono ancora tradizioni che vengono perpetuate per 
mantenerla in vita. Le feste come quella di S.Gennaro (che si tiene ogni anno a 
settembre) sono uno degli strumenti della comunità italo-americana di Manhattan 
per conservare la consapevolezza delle proprie origini.  
                                                 
6
 M. Scorsese, Scorsese on Scorsese, faber and faber, London, 1996, pag.3. 
7
 M. Maffi, Nel mosaico della città, op.cit.,pag.108. 
8
 NoLIta è compresa tra Houston e Grand Street, Lafayette Street e la Bowery. 
9
 Fonte www.nycvisit.com .