5
servizi possa dotarsi, nello stato ospitante, «di una determinata infrastruttura (ivi 
compreso un ufficio o uno studio), se questa infrastruttura è necessaria al 
compimento della prestazione»
4
: vale a dire che l’attività temporanea può esercitarsi 
per mezzo di una struttura permanente senza configurare uno stabilimento ex art. 43 
TCE. 
Quanto detto fin qui vale per tutti i lavoratori autonomi e non solo per gli 
avvocati. Tuttavia, il legislatore comunitario, viste le peculiarità della professione 
forense sulle altre, ha emanato delle direttive specifiche in materia di stabilimento e 
prestazione di servizi degli avvocati
5
. 
1.1. Brevi cenni sulle direttive servizi e diplomi 
La prima (in ordine cronologico) direttiva in materia di libera circolazione 
degli avvocati è la n. 77/249/CEE del 22.3.1977
6
 «intesa a facilitare l’esercizio 
effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati»
7
. Tale direttiva, a 
differenza delle direttive corrispondenti in materia sanitaria, «enfatizza il momento 
della prestazione, relegando in secondo piano il ‘riconoscimento’ in senso stretto»
8
. 
Qui, infatti, oggetto del mutuo riconoscimento è la qualifica di avvocato così come 
attribuita dai singoli ordinamenti nazionali: l’art. 2 della direttiva, infatti, non 
definisce chi è avvocato ai sensi della direttiva, ma si limita ad elencare, stato per 
stato, le diverse denominazioni riconducibili alla professione. Gli artt. 4 e 5 della 
direttiva, poi, distinguono tra attività giudiziali e stragiudiziali: quanto alle prime, è 
previsto che l’attività dell’avvocato prestatore a) sia soggetta alle stesse condizioni 
                                                           
4
 CGCE 30.11.1995, Gebhard, cit.. 
5
 Questo è l’ordine logico delle materie, anche se il legislatore comunitario ha legiferato un po’ 
confusamente ed in ordine sparso: la direttiva servizi, come vedremo, è del 1977, quella diplomi - che 
attiene ad un aspetto particolare del diritto di stabilimento - è del 1989 e la direttiva stabilimento è del 
1998. La confusione (e l’enorme ritardo: tali direttive dovevano - in teoria - essere adottate nel 
periodo transitorio, cioè entro il 31.12.1969) è dovuta alle forti resistenze degli ordini professionali, 
per cui ci sono voluti addirittura diciott’anni per arrivare all’emanazione della direttiva stabilimento. 
Nel frattempo, all’inerzia del legislatore ha supplito lo judicial activism della CGCE che, fin dal caso 
Reyners (CGCE 21.6.1974 in causa 2/74, Raccolta 1974, 631), ha riconosciuto effetti diretti agli artt. 
43 (ex art. 52) e ss T/CE. 
6
 Per i profili problematici della l. 9.2.1982 n. 31 che ha attuato la direttiva in Italia, VICICONTE, 
L’avvocato e l’Europa, GIUFFRÈ, Milano, 1999, 177. 
7
 Nel preambolo della direttiva. 
8
 GREPPI, Stabilimento e servizi nel diritto comunitario, Digesto IV, Discipline pubblicistiche, XIV, 
UTET, Torino, 1999, 518. 
 6
richieste agli avvocati dello stato membro in cui si effettua la prestazione «ad 
esclusione di ogni condizione di residenza o d’iscrizione ad un’organizzazione 
professionale», e b) debba essere prestata nel rispetto delle regole deontologiche 
dello stato ospitante e di quello d’origine (principio della doppia deontologia). In 
sede di attuazione, la direttiva ha previsto che gli stati possano dettare altre 
condizioni, tra le quali l’obbligo di agire di fronte all’autorità giurisdizionale di 
concerto con un professionista abilitato secondo le regole locali
9
. Per le attività 
stragiudiziali, l’avvocato resta soggetto solo alle regole professionali dello stato di 
provenienza, mentre quelle dello stato ospitante si applicano solo in parte 
(incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e le altre attività, segreto 
professionale, riservatezza nei rapporti fra colleghi, norme sul conflitto di interessi, 
disciplina della pubblicità). 
L’altra direttiva, la n. 89/48/CEE, «relativa ad un sistema generale di 
riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni 
professionali di una durata minima di tre anni», ha sostanzialmente esteso alle 
professioni il principio del mutuo riconoscimento elaborato dalla CGCE nella 
giurisprudenza del Cassis de Dijon
10
: un diploma, che abiliti all’esercizio di una 
professione nello stato membro in cui è stato conseguito, abilita il cittadino 
comunitario ad esercitarla in qualsiasi altro stato membro
11
. Il riconoscimento della 
formazione non è automatico, qualora non vi sia sostanziale corrispondenza nei 
contenuti formativi e/o professionali: in questo caso il riconoscimento può essere 
subordinato a meccanismi di compensazione per bilanciare il deficit di formazione. Il 
riconoscimento dei diplomi è limitato ai fini professionali ed è irrilevante per i titoli 
accademici. 
                                                           
9
 Secondo l’interpretazione della Corte – e coerentemente con la ratio che ispira tale previsione – 
l’avvocato prestatore di servizi, al quale la legge nazionale di attuazione imponga di agire di concerto 
con un collega locale per le attività di rappresentanza e difesa in giudizio, può limitarsi ad eleggere 
domicilio presso un avvocato stabilito: CGCE 25.2.1988 in causa 427/85, Commissione c. Germania, 
Raccolta 1988, 1123 e CGCE 10.7.1991 in causa 294/89, Commissione c. Francia, Raccolta 1991, 
3591. 
10
 CGCE 20.2.1979 in causa 120/78, Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, 
Raccolta 1979, 649. 
11
 Si basa sul principio della c.d. fiducia reciproca fra gli stati membri, per cui il cittadino europeo 
abilitato ad esercitare una professione in uno stato si presume che abbia la formazione necessaria a 
svolgere la medesima professione in qualsiasi altro stato membro. 
 7
1.2.  La direttiva stabilimento 
La direttiva diplomi, tuttavia, riguarda solo un aspetto del diritto di 
stabilimento: essa prevede, infatti, la possibilità per il professionista comunitario di 
veder riconosciuta la propria formazione in un qualsiasi stato membro, al fine di 
integrarsi completamente nell’organizzazione professionale di quello stato, 
iscrivendosi – se necessario e al pari di un cittadino di quello stato – ad un albo 
professionale dopo avervi superato una prova attitudinale o un tirocinio di 
adattamento. Tale sistema ha avuto uno scarso successo tra gli avvocati: nel periodo 
1991–1995 solo 620 avvocati si sono stabiliti in un diverso stato membro
12
. Il fatto è 
che gli stati membri hanno perlopiù tradito la ratio della direttiva: dal momento che 
si tratta di avvocati già abilitati nel paese d’origine, non dovrebbero, contrariamente 
a quanto (quasi sempre) avviene, essere sottoposti alla stessa prova attitudinale che 
devono superare coloro che – senza altro titolo precedente – intendono accedere alla 
professione
13
. Chiaramente, per un avvocato abilitato è molto più attraente la 
prestazione transfrontaliera di servizi
14
 che ricominciare da capo con il tirocinio e 
l’esame di stato: questa possibilità può interessare al massimo dei giovani avvocati, 
freschi di studi e disponibili a sottostare ad un periodo ulteriore di formazione, 
generalmente poco o punto retribuito. Si aggiunga che gli avvocati migranti sono 
solitamente più interessati all’attività di consulenza (in particolare nel diritto del 
proprio paese di provenienza o nel diritto comunitario e internazionale) che a quella 
giudiziaria, che richiede necessariamente l’iscrizione ad un ordine professionale 
nello stato ospitante. Di conseguenza, sono anche poco interessati al titolo 
professionale del paese ospitante
15
. Insomma, la direttiva diplomi lascia priva di 
                                                           
12
 Di questi, 378 erano avvocati migranti tra Regno Unito e Irlanda, per i quali è previsto il 
riconoscimento immediato, senza alcuna prova attitudinale. Analogamente, 15 avvocati tra belgi e 
lussemburghesi sono stati accettati direttamente in Francia. Dei 340 avvocati che, invece, hanno 
dovuto sostenere la prova attitudinale solo 214 l’hanno superata: Commissione delle Comunità 
europee, Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di applicazione del sistema 
generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore, Bruxelles, 15.2.1996, COM(96) 46. 
13
 SALVEMINI, La direttiva sulla libertà di stabilimento degli avvocati, RIDPC 1999, 810. 
14
 La libera prestazione di servizi è stata molto gradita dagli avvocati europei, tanto da diventare 
talvolta fonte di abusi da parte di avvocati che, di fatto stabiliti, non volevano sottostare alle 
condizioni imposte nello stato ospitante per l’accesso alla professione e pertanto si facevano passare 
per prestatori di servizi. 
15
 Stando così le cose, già prima della direttiva stabilimento molti avvocati hanno avuto la possibilità 
di stabilirsi in paesi nei quali l’attività di consulenza non è riservata agli avvocati nazionali: è il caso, 
per esempio, del Belgio (l’ordine di Bruxelles ha istituito una "lista B" dove, a determinate condizioni, 
 8
disciplina la situazione a) degli avvocati che vogliano esercitare il loro diritto di 
stabilimento senza per ciò diventare membri di un ordine professionale del paese 
ospitante e b) degli studi legali associati che vogliano trasferire la loro sede (o aprire 
agenzie, succursali o filiali) in un altro stato membro. 
Per questo, dopo la lunga gestazione di cui dicevamo
16
, la Comunità ha 
emanato la direttiva 5/98/CE. 
I principi cui si ispira la direttiva sono espressi a chiare lettere nei 
considerando: libertà di stabilimento con il titolo d’origine, doppia iscrizione (sia 
all’ordine professionale di origine che a quello dello stato ospitante) e doppia 
deontologia (con conseguente sottoposizione al potere disciplinare di entrambi gli 
ordini professionali), trattamento nazionale (in particolare, per l’esercizio della 
professione come lavoratore dipendente e in forma collettiva). Una grande novità è la 
possibilità di assimilazione (art. 10 dir. 98/5/CE): dopo tre anni di pratica «effettiva e 
regolare» del diritto dello stato ospitante "ivi compreso il diritto comunitario», 
l’avvocato migrante – se lo vuole – può ottenere il titolo professionale di 
quest’ultimo stato, senza sottostare alle condizioni della dir. 89/48/CEE. L’onere di 
dimostrare questa attività triennale incombe sull’interessato. In caso in cui l’avvocato 
migrante, stabilito da almeno tre anni, eserciti da meno tempo il diritto dello stato 
ospitante, dovrà anche fornire la prova della sua conoscenza del diritto di 
quest’ultimo stato (conoscenza che, dopo tre anni di attività, si presume). In tale caso 
l’autorità (id est l’ordine professionale) dello stato ospitante, per poter «verificare il 
carattere regolare ed effettivo delle attività esercitate», potrà anche convocare 
l’avvocato migrante per un colloquio «che non avrà mai le caratteristiche di una 
prova di qualsivoglia genere»
17
. 
                                                                                                                                                                    
possono iscriversi con il proprio titolo d’origine gli avvocati stranieri che vogliano prestare attività di 
consulenza), della Danimarca, dei Paesi Bassi, del Regno Unito, della Svezia, dell’Italia, della 
Germania (ove vige il divieto per gli avvocati stranieri di praticare il diritto tedesco): SALVEMINI, op. 
cit., 817 in nota. 
16
 Sulla genesi della dir. 5/98/CE si vedano DAL-DEFALQUE, La direttiva stabilimento, RF 1999, 503 e 
ss. e SALVEMINI, op. cit., 812 e ss.. 
17
 SANTARONI, Esercizio della professione di avvocato nell’Europa comunitaria, NLCC 1998, 1076.