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Introduzione 
 
Questo lavoro rappresenta l’ultima tappa di un percorso di studi intrapreso due anni fa, un 
percorso particolarmente ricco e multidisciplinare. Questo è il motivo per cui, sebbene il cuore di 
questa tesi riguarderà la comunicazione online degli e-store di moda, verranno inevitabilmente 
toccate anche materie come il marketing, la sociologia, l’economia aziendale e la storia dei 
media.  
La scelta dell’argomento di questa trattazione è ricaduta sul rapporto tra il mondo del fashion e le 
tecnologie della comunicazione e dell’informazione, per prendere in analisi sia l’e-fashion e 
come gli e-store di moda veicolino l’esperienza d’acquisto, sia la comunicazione online dei 
brand del fashion system.  
Mi sono chiesta in particolare fino a che punto l’esperienza di marca, la capacità di “vivere” il 
momento dell’acquisto – quella che ci elettrizza e ci fa sognare in un punto vendita, rendendo 
l’acquisto speciale – possa essere reinterpretata dal punto vendita online. Mi sono inoltre chiesta 
se il linguaggio virtuale sia davvero in grado di tradurre efficacemente l’identità dei brand, per 
far vivere al consumatore online un’esperienza d’acquisto completa ed appagante. Se la risposta 
è sì, attraverso quali modalità comunicative e codici espressivi avviene tale processo? 
Queste saranno le domande principali a cui cercherò di dare risposta nelle pagine che seguono. 
L’argomento è senz’altro attuale e tocca il rapporto delicato tra moda, consumatore e nuove 
tecnologie.  
La moda oggi si manifesta in quasi ogni aspetto della nostra quotidianità: il fashion non è solo 
ciò che indossiamo, un mero fatto di estetica, ma si esprime nelle nostre opinioni, nelle letture, 
nei film, nelle scelte per il tempo libero e, in altre parole, in tutto ciò che caratterizza i nostri 
gusti e la nostra identità.
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È certamente vero che le nostre opinioni, le nostre idee e la percezione che abbiamo di noi stessi 
influenzano il modo in cui viviamo la moda, ma è altrettanto vero che dalla moda siamo a nostra 
volta, inevitabilmente, influenzati. 
Proprio per questo motivo mi è sembrato particolarmente interessante indagare la relazione che 
intercorre tra chi offre la moda online – le aziende e i grandi brand – e chi la domanda, i 
consumatori-utenti della rete. L’incontro tra domanda e offerta di moda sarà perciò sotto i 
riflettori in questo lavoro, dove verranno analizzate in particolare le modalità comunicative con 
cui le aziende del fashion si relazionano ai consumatori. 
A fare da sfondo all’intera trattazione sarà il contesto postmoderno da cui prenderà avvio il 
primo capitolo.  
Per svolgere un’analisi approfondita del consumatore e delle modalità con cui esso si rapporta 
alle scelte di consumo è necessario infatti prendere in considerazione l’intero contesto sociale, 
culturale ed economico in cui egli si trova oggi a vivere. 
Ci renderemo conto di come le tradizionali strategie di marketing risultino obsolete e poco adatte 
ad un consumatore sempre più informato, mutevole e diffidente.  
Si fa necessariamente largo una nuova consapevolezza per le aziende, che ricostruiscono il 
rapporto con il proprio pubblico abbandonando la tradizionale idea di un consumatore come 
bersaglio di un’agguerrita strategia per spingerlo all’acquisto. Si fa strada, come vedremo, una 
nuova concezione del marketing orientata ad un nuovo consumatore. 
La tardomodernità porta inoltre con sé cambiamenti epocali nelle strutture economiche, sociali e 
politiche dell’intero pianeta. Ciò significa anche globalizzazione, mercati sconfinati e aperti a 
tutti, e quindi innovazione tecnologica. Saranno proprio le tecnologie della comunicazione e 
dell’informazione a favorire questo processo influenzando i modelli di business, la produzione 
culturale, le norme sociali e le pratiche comunicative in tutto il globo.  
La moda, come sappiamo, è innovazione e di conseguenza la tecnologia diventa un elemento 
portante per la svolta nei processi produttivi, commerciali e comunicativi delle aziende del
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fashion.  Quest’ultimo punto è particolarmente interessante poiché da un lato si affronterà lo 
sviluppo d’inedite opportunità commerciali, l’e-commerce e la nascita dei negozi online, 
dall’altro l’interesse per questo nuovo canale di vendita riguarderà la percezione che il 
consumatore ne ha. Si cercherà infatti di capire se e in che modo l’esperienza d’acquisto sia 
veicolata attraverso il canale online, e cosa renda tale esperienza coinvolgente – o meno – dal 
punto di vista emotivo. 
Da un’evoluzione storica dello strumento e-commerce e del suo utilizzo da parte delle aziende 
della moda si passerà infine all’analisi di alcuni casi concreti di e-store multi e monobrand di 
successo nel settore dell’abbigliamento online. Le case history serviranno a chiarire la teoria 
esposta nei primi tre capitoli e saranno un utile metro di valutazione dell’applicabilità di tale 
teoria a modelli di business reali.
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1. Da bersaglio a protagonista: il consumatore nell’era postmoderna 
 
 
1.1. Il consumatore tra postmodernità, individualismo e globalizzazione 
 
Prima di addentrarci nell’analisi del consumatore online e, in particolare, di come esso è in grado 
di soddisfare le proprie necessità di consumo attraverso l’uso delle tecnologie digitali, è bene 
chiarire alcuni concetti di portata fondamentale che fungono da base d’appoggio per lo sviluppo 
di questo discorso.  
Non si può parlare di consumatore e consumi, oggi, senza un riferimento al concetto di 
postmodernità. Allo stesso tempo non si può parlare di postmodernità (o tardomodernità) senza 
fare a sua volta riferimento al concetto di individualismo.  
Il termine postmodernità è ormai entrato a far parte del lessico abituale delle discipline più 
diverse, dalla sociologia al marketing, dall’economia alla filosofia e definisce efficacemente la 
società in cui viviamo oggi: multiculturale, sfaccettata, dominata dall’incertezza e 
dall’instabilità. Una tale incertezza si manifesta in primis nella difficoltà degli individui di 
definire chiaramente la propria identità, nel bisogno di ripensarsi continuamente, nella necessità 
di ricrearsi ogni giorno in modo diverso: la sichereit (la sicurezza esistenziale) di cui già parlava 
Zygmunt Bauman (Bauman, 1999) viene dunque meno: crolla la fiducia nelle istituzioni, la fede 
cieca nel progresso e nel mercato mentre, inesorabile, avanza la globalizzazione quale 
“formidabile acceleratore e amplificatore di fenomeni di trasformazione culturale, politica, 
economica e sociale” (Buffo, 2012).  
Il progresso, la “religione” dell’epoca moderna, non sembra più essere in grado di cambiare il 
mondo: “viene in questo contesto operata un inversione dal “progresso” al “regresso”, o 
quantomeno al riequilibrio dei valori di progresso attraverso un regresso che pone gli individui in 
tensione tra l’immaginario moderno e quello postmoderno” (Cova, 2012).
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Assume qui un ruolo nuovo il consumo, tanto da far parlare di “reincanto”: ovvero il passaggio 
dal giogo razionalista e moderno verso l’ affermazione di una piena rivendicazione dei sensi, 
postmoderna, dove la ricerca di informazione e l’accento sul processo di scelta del consumatore 
lascia il posto ad una prospettiva esperienziale che, come si dirà più avanti, fa emergere la 
gratificazione edonista del consumatore stesso.  
“Il mercato dunque depura attraverso un’offerta che si definisce “reincantata”, emozioni che 
provengono da proiezioni immaginarie e olistiche le quali non rispondono solo a dei bisogni ma 
attengono alla ricerca identitaria del consumatore” (Cova, 2012). 
Ed è proprio l’identità ad essere in gioco ora: il cittadino globale si trova infatti solo di fronte ad 
un mondo e ad una società in rapido cambiamento ed è in un tale contesto che l’individuo, in 
quanto cittadino e consumatore, si riappropria di sé stesso e della propria soggettività.  
Tale processo di emancipazione dell’io dalle costrizioni esterne, che ha avuto inizio a partire 
dagli anni Novanta del secolo scorso, raggiunge nei primi anni Duemila il pieno compimento e si 
esprime oggi con maggior chiarezza proprio nelle scelte di consumo (Fabris, 2003).  
 
“È la trasformazione degli stili di vita legata alla rivoluzione del consumo che ha permesso lo sviluppo 
dei diritti e desideri dell’individuo, il mutamento nell’ordine dei valori individuali. Si realizza un salto 
in avanti dell’ideologia individualista: il diritto alla libertà, in teoria illimitato ma fino ad ora 
socialmente circoscritto all’economia, alla politica, al sapere guadagna adesso i consumi e il 
quotidiano” (Lipovetsky, 1997). 
 
Citate a titolo di esempio, queste poche righe del sociologo francese Gilles Lipovetsky 
esprimono efficacemente la tendenza in atto dalla fine del secolo scorso, laddove si osserva una 
svolta epocale: il passaggio da consumi di massa, mercati globali e modelli di consumo 
omologati alle tendenze individualiste e soggettive di cui siamo oggi più che mai protagonisti.
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È necessario, ora, fornire una definizione del termine individualismo essendo utilizzato nei più 
differenti ambiti con diverse accezioni. È interessante, a questo proposito, citare la distinzione 
che Giampaolo Fabris (2003) fa tra individualismo e individualità, che rappresentano, secondo 
l’autore, le due modalità con cui si esprime la tendenza alla soggettività. 
Con il primo termine egli intende un atteggiamento eterodiretto o “other-directed”, incentrato 
solo ed esclusivamente sul proprio interesse, sull’egoismo e sul culto della personalità. 
Attraverso i consumi si esprimerebbe, perciò, la massimizzazione del vantaggio personale che ha 
come fulcro la cura del proprio corpo. 
Definita come “modalità autodiretta di espressione della soggettività”, l’individualità si esprime, 
invece, nella tensione alla creazione del sé con un forte orientamento a vivere senza dipendere 
dai modelli uniformi e stereotipati che sono imposti dai ruoli sociali.  
È la prima tendenza, secondo Fabris, a prevalere e l’individuo post-moderno, radicandosi sempre 
più nel privato, si rivolge soprattutto ai poli valoriali dell’edonismo e del narcisismo che più di 
altri consentono di valorizzare sé stessi e il proprio corpo e, attraverso i consumi – in particolare 
quelli di lusso – di appagare il proprio desiderio.   
Sembra, dunque, che il consumatore nella tardomodernità sia alla costante ricerca di un piacere 
“nuovo” che possa essere declinato in tutte le sue forme: un appagamento che coinvolga non solo 
i sensi, ma anche la sfera delle emozioni. Il soggetto non ricerca solo un benessere fisico 
immediato, ma anche una felicità psichica che lo coinvolga completamente consentendogli di 
immaginare mondi sconosciuti e vivere nuove esperienze. Dal puro e semplice desiderio per il 
possesso dell’oggetto, da venerare quasi fosse un feticcio, approdiamo alla centralità del valore 
dell’essere che contribuisce alla costruzione della propria identità e dell’universo di valori e idee 
che ci rappresentano agli occhi degli altri: questo passaggio fenomenologico segna l’evoluzione 
dagli anni Novanta agli anni Duemila (Buffo, 2012).  
L’esperienza di consumo, come si dirà meglio in seguito, diviene così la modalità privilegiata da 
parte dell’individuo per il soddisfacimento dei propri bisogni, e sono dunque i produttori a dover
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cercare di adeguarsi a questo trend, dovendo confrontarsi con soggetti sempre più informati, 
esigenti, e mutevoli, che certo sanno dare il giusto riconoscimento alla qualità dei brand ma 
anche punire implacabilmente chi non considerano all’altezza delle loro aspettative.  
Per chi produce è perciò  più che mai necessario saper rispondere alla sfida posta da un 
consumatore che non  solo è sempre più eclettico e incostante ma che è perennemente ed 
incessantemente alla ricerca del piacere; è il brand e non il prodotto, ora, ad essere al centro 
dell’attenzione (Codeluppi, 2000). 
Le marche devono essere in grado di fornire i più elevati standard di qualità, offrire servizi 
sempre più efficienti ed attivi 24 ore su 24, 365 giorni all’anno (qui il pensiero corre subito agli 
online shop, di cui si parlerà nel prossimo capitolo) e creare attorno a sé un mondo di esperienze 
gratificanti per permettere al consumatore, ora “edonista virtuoso” – ovvero esponente di una 
cultura critica che sa discriminare – di essere il protagonista delle proprie scelte di consumo e 
partner privilegiato di chi produce, e non più solo semplice cliente o peggio, bersaglio (Fabris, 
2003). 
È proprio attraverso il passaggio dal prodotto alla marca che si compie questo salto 
“esperienziale”.  
In una società dominata dalla velocità, in cui primeggia la rapidità dello scambio d’informazioni, 
grazie all’impulso che le tecnologie digitali e internet hanno dato alla comunicazione, non è più 
sufficiente informare il consumatore sull’esistenza di un prodotto ma è più che mai necessario 
esprimere un’identità, comunicare la propria personalità. “Pertanto le marche non possono 
limitarsi a denominare una certa linea di prodotti ma devono proporre uno stile di vita, 
un’estetica e addirittura una visione del mondo.” (Codeluppi, 2000). La marca diventa perciò un 
insieme di valori e significati costantemente in relazione con l’esterno e con gli individui che la 
circondano.   
Ciò diviene tanto più importante in un contesto globale come quello in cui ci troviamo oggi a 
vivere: gli strumenti della tecnologia digitale, l’enorme flusso di informazioni accessibili in