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INTRODUZIONE 
 
Il presente lavoro di tesi è rivolto allo studio di un particolare processo cognitivo 
all’interno del contesto sportivo/artistico. Tale processo, definito priming, è una 
forma di memoria inconscia che implica un cambiamento della capacità di una 
persona di identificare, produrre e classificare un elemento a seguito di un incontro 
precedente con tale elemento oppure con oggetti connessi. 
Nato per dimostrare la possibile influenza di fonti esterne sulle rappresentazioni 
mentali, il priming è stato a lungo studiato nel corso degli anni assumendo diverse 
interpretazioni e applicazioni. Si è passati dall’applicazione del priming al solo 
campo della percezione sociale, all’utilizzo dello stesso in altri fenomeni importanti 
della psicologia sociale, quali il comportamento, la personalità, la motivazione. 
Ancora oggi si cerca di esplorare tale fenomeno in nuovi ambiti di studio in virtù 
delle conseguenze positive che può portare. 
Il processo di priming è molto semplice da applicare: si presenta uno stimolo prime e 
si misura l’effetto che questo ha sulla percezione e sull’identificazione di un 
successivo stimolo target. Un fattore importante che va a influenzare l’elaborazione 
degli stimoli prime è il contesto, ovvero tutti quei fattori ambientali che essendo 
legati allo stimolo costituiscono una ricca fonte di informazione per la sua 
elaborazione. In particolare, possono manifestarsi due effetti di contesto, 
assimilazione e contrasto, a seconda del fatto che lo stimolo target sia assimilato o 
contrastato dallo stimolo prime precedentemente innescato. 
Il presente studio mira ad analizzare gli effetti delle performance esterne sulla 
percezione delle abilità individuali in ambito sportivo/artistico. Lo stimolo prime 
consisterà, dunque, in alcune performance sportive/artistiche allo scopo di valutare 
l’effetto che la loro visione ha sulla formazione di un’impressione riguardo le proprie 
abilità.
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Dunque, nel primo capitolo viene affrontato il fenomeno del priming partendo 
dall’analisi dei processi cognitivi e dei sistemi di memoria per arrivare alle 
caratteristiche del priming, dei suoi effetti e dei suoi paradigmi sperimentali.  
Nel secondo capitolo sono analizzati i due principali effetti di contesto che possono 
manifestarsi come conseguenze del priming. Tali effetti vengono affrontati non solo 
in relazione all’influenza contestuale in generale, ma anche in rapporto a due 
fenomeni sociali in cui essi possono manifestarsi, ovvero la social comparison e 
l’impression formation. 
Nel terzo capitolo vengono affrontate le metodologie sperimentali alla base di una 
ricerca empirica. Vengono discusse, dunque, le variabili da utilizzare in una ricerca, 
le relazioni che possono manifestarsi, i disegni di ricerca che possono essere attuati. 
Infine, sono presentate le tecniche statistiche per l’analisi dei dati, soffermandosi 
maggiormente su quelle che poi saranno attuate nella ricerca in esame. 
Il quarto capitolo è dedicato alla fase sperimentale della ricerca. Vengono, perciò, 
esplicitati gli obiettivi specifici della ricerca, le ipotesi definite, il disegno di ricerca 
individuato, e, soprattutto, i risultati della analisi effettuate che hanno permesso di 
dimostrare l’efficacia dell’effetto di priming. 
Infine, nel quinto capitolo vengono tratte le conclusioni di tale lavoro e indicate 
alcune possibili implicazioni per il managerial decision making.
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CAPITOLO 1 
PRIMING E SISTEMI DI MEMORIA 
 
 
 
 
 
 
 
 
Introduzione 
Il priming è una forma di memoria inconscia che implica un cambiamento nella 
capacità di una persona di identificare, produrre o classificare un elemento a seguito 
di un incontro precedente con tale elemento oppure con oggetti connessi (Schacter, 
Dobbins e Schnyer, 2004). 
A differenza delle altre forme di memoria cognitiva, il priming è una forma di 
memoria inconsapevole. Esso sfrutta il meccanismo automatico dell‟attivazione degli 
schemi mentali: lo stimolo sensoriale del priming attiva una particolare situazione, 
un tratto caratteriale, ecc., e, senza l‟intervento della nostra volontà, la nostra 
memoria reagisce con uno schema mentale corrispondente, che andrà a influenzare le 
nostre decisioni, interpretazioni e comportamenti rispetto a ciò che ci accade attorno. 
Nel presente capitolo viene presentato il fenomeno del priming partendo dall‟analisi 
dei sistemi cognitivi, soffermandosi in particolare sul processo di memorizzazione. 
Dopo un primo escursus generale, il fenomeno del priming viene approfondito 
presentando tipologie, meccanismi, effetti e modalità che lo caratterizzano.
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1.1 I processi cognitivi 
«Tutto quello che sappiamo della realtà è stato mediato non solo dagli organi di 
senso, ma da sistemi complessi che interpretano continuamente l’informazione 
fornita dai sensi, i processi cognitivi» (Neisser, 1967). 
I processi cognitivi sono alla base della teoria psicologica del cognitivismo. Il 
cognitivismo è una forma di sapere a carattere multidisciplinare, che ha come oggetto 
lo studio dei sistemi intelligenti, tra cui naturalmente la mente umana. La teoria 
cognitiva pone al centro del suo interesse il soggetto attivo che opera nel mondo, non 
grazie a stimoli e apprendimenti, ma sviluppando le proprie capacità mentali.  
Il cognitivismo considera la mente umana come un elaboratore di informazioni 
provenienti dall‟ambiente. Il principale oggetto di studi del cognitivismo è, quindi, la 
mente come sistema complesso di regole, indipendente dai fattori biologici, sociali, 
culturali, emozionali, etc. In tale prospettiva, la ricerca su cui il cognitivismo si 
concentra è l‟analisi dei processi di raccolta e trattamento dell‟informazione 
(Eysenck e Keane, 2006). 
Si inizia a parlare di Cognitivismo solo a partire dal 1967, anno di pubblicazione di 
Psicologia cognitivista di U. Neisser, ma il movimento si era già affermato da 
almeno un decennio. È infatti a partire dagli anni ‟50 che si comincia ad abbandonare 
la pretesa di studiare solamente il comportamento oggettivabile e misurabile (teoria 
comportamentista), e, anche per l'influenza diretta o indiretta di altre discipline 
(linguistica, cibernetica, teoria dell'informazione), si comincia ad ammettere la 
possibilità di formulare delle ipotesi sul funzionamento della mente, intesa come 
insieme di processi e di funzioni. Dunque, con l‟avvento del cognitivismo l‟oggetto 
di studio della psicologia si sposta dal comportamento osservabile ai processi 
cognitivi. 
Il cognitivismo si pone l‟obiettivo di studiare le trasformazioni subite 
dall‟informazione nel passaggio fra stimolo e risposta, problema lasciato aperto e 
irrisolto dai comportamentisti, che consideravano il momento fra la presentazione di 
uno stimolo e l‟emissione di una risposta come una scatola nera (o black box), 
insondabile e non conoscibile scientificamente (Nicoletti e Rumiati, 2006).
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Al contrario, i cognitivisti sostengono che la mente umana funziona come un 
elaboratore attivo delle informazioni che le arrivano dagli organi sensoriali: la 
conoscenza non deriva semplicemente dall‟esperienza, bensì dall‟azione attiva del 
soggetto conoscente, che interagisce con l‟ambiente circostante. A differenza di 
quella comportamentista, la prospettiva cognitivista ritiene che il soggetto non si 
limiti a recepire passivamente le sollecitazioni ambientali, bensì che verifichi 
continuamente la congruenza fra il proprio progetto comportamentale e le condizioni 
oggettive esistenti. Ne consegue che, per i cognitivisti, l‟organismo umano è un 
sistema complesso che elabora l‟informazione sensoriale compiendo scelte tra gli 
stimoli in entrata, trasformando i dati selezionati e immagazzinandoli in modo rapido 
ed efficace al fine di raggiungere decisioni che sono frutto di quest‟elaborazione. Tali 
decisioni non sono predeterminate in partenza dal semplice stimolo sensoriale, come 
voleva, invece, il modello comportamentista (Eysenck e Keane, 2006). 
In definitiva, il cognitivismo si muove nella direzione di riconoscere sì un valore 
all‟esperienza, ma a condizione di comprendere la natura attiva dei processi di 
apprendimento, che diventano dunque nucleo centrale della teoria stessa. 
 
1.1.1 Tipologie di processi cognitivi  
Un processo cognitivo, come visto precedentemente, è la sequenza dei singoli eventi 
necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto di conoscenza. 
L‟acquisizione della conoscenza procede attraverso molteplici percorsi culturali ed 
intellettuali fra loro interconnessi, determinati dalle particolari comunità sociali a cui 
si appartiene e dalle particolari esperienze cui si è sottoposti. 
Possiamo distinguere i processi cognitivi in:  
 Percezione: elaborazione degli stimoli provenienti dagli organi di senso. 
Affinché avvenga una percezione è importante che i sensi raccolgano delle 
informazioni e successivamente che il cervello rielabori quelle informazioni 
attribuendo loro un significato (Biederman, 1990). A differenza della 
sensazione, la percezione è selettiva, costruttiva e interpretativa. Infatti, la 
percezione non dipende interamente dalle informazioni che provengono dai
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sensi; essa è modificata dalle aspettative, speranze, paure, bisogni e memorie 
che costituiscono il proprio mondo interiore. I sensi eseguono il lavoro 
preliminare, ma è il cervello a determinare l‟output definitivo. Per quanto 
dipendente dai sensi, la capacità percettiva esiste fin dalla nascita, e viene poi 
alimentata dall‟apprendimento e dalle esperienze. 
 Attenzione: fenomeno per mezzo del quale viene elaborata attivamente una 
quantità limitata di informazione a partire dall‟enorme entità di cui si viene a 
disporre attraverso i sensi, i ricordi immagazzinati e altri processi cognitivi. 
L‟attenzione agisce focalizzando le risorse mentali limitate sulla 
informazione e sui processi cognitivi più salienti in un certo momento. Non si 
può, infatti, prestare attenzione a tutto, ma solo a un numero limitato di 
informazioni, e solo l‟informazione a cui si presta attenzione ha accesso alla 
nostra consapevolezza, mentre la restante informazione è come se non 
esistesse; cioè, ciò cui non si presta attenzione viene subito dimenticato. Il 
fenomeno dell‟attenzione e delle sue caratterizzazioni verrà affrontato nel 
dettaglio successivamente.  
 Pensiero: attività della mente che consiste nell‟elaborare ciò che si è appena 
verificato. Tale processo, che può essere sia conscio che inconscio, si esplica 
nella formazione dei concetti, della coscienza, delle idee, dell'immaginazione, 
dei desideri, di ogni raffigurazione del mondo. Il pensiero può assumere 
forme differenti. Johnson-Laird (1988) ha proposto una tassonomia secondo 
cui l‟attività di pensiero può essere sostanzialmente suddivisa in due macro-
categorie. La prima include le forme di pensiero non finalizzato, ovvero 
quelle caratterizzate da associazioni libere, attività creative, ecc. La seconda, 
invece, include le diverse forme di pensiero rivolte a una meta, come il 
ragionamento, i processi mentali volti alla soluzione di problemi e alla presa 
di decisione. Una particolare caratterizzazione del pensiero è quella di 
manifestarsi come la capacità di stabilire «che cosa segue a che cosa», cioè la 
capacità di ragionare. 
 Memoria: comprende i processi attraverso i quali l‟individuo acquisisce, 
conserva, recupera e utilizza conoscenze e abilità. La memoria entra in gioco
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quando viene immagazzinato nella mente ciò che è accaduto e le relative 
interpretazioni. L‟evento passato lascia una traccia che influenza l‟evento 
successivo. Lo studio della memoria concerne nell‟osservazione di come le 
tracce degli eventi si organizzano, nella fissazione o apprendimento, nella 
ritenzione e nel ricordo in cui si vede cosa il soggetto ha ritenuto e come 
(Schacter, 1985). Esistono diversi modelli generali della memoria, quali il 
modello associativo, il modello stimolo-risposta, il modello HIP (Human 
Information Processing), il modello costruttivistico, il modello 
pluricomponenti (Brandimonte, 2006). La memoria, data la sua complessità, 
può essere valutata in molti modi, ma principalmente in base alla modalità 
con cui viene richiesto ai soggetti di recuperare l‟informazione. Ciò può 
essere effettuato almeno in tre modi e cioè mediante rievocazione libera, 
rievocazione suggerita e riconoscimento. Esistono, inoltre, diversi tipi di 
memoria, ma ciò sarà trattato in modo approfondito in un successivo apposito 
paragrafo. 
 Linguaggio: sistema di comunicazione tra gli individui. Si tratta di una 
funzione che pervade l‟attività mentale e molte delle attività cognitive come il 
pensiero, la soluzione di problemi, i giudizi. Il linguaggio e il suo uso 
coinvolgono molti aspetti delle nostre capacità cognitive, e per tale ragione il 
linguaggio è stato oggetto di studio dei linguisti, che si sono soffermati sulla 
comprensione della struttura del linguaggio, e degli psicologi, che, invece, 
hanno concentrato il loro interesse sui meccanismi cognitivi alla base dell‟uso 
del linguaggio
 
(Chomsky, 1957, 1965). Esistono diversi tipi di linguaggio e in 
particolare il linguaggio di ogni individuo cambia struttura a seconda 
dell‟interlocutore o degli interlocutori che si hanno di fronte. La capacità 
degli individui di poter usare il linguaggio e le regole che lo governano è 
riconducibile alla competenza linguistica posseduta, ovvero alla conoscenza 
implicita delle regole che mettono in relazione suoni e significati e che perciò 
permette di generare frasi corrette ed evitare la produzione di quelle errate. 
Per quanto riguarda, invece, l‟esecuzione linguistica, cioè la capacità effettiva 
di usare il linguaggio, dipende non solo dalla competenza, ma anche da molti 
altri fattori cognitivi, situazionali, socioculturali.
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 Apprendimento: insieme di cambiamenti che un organismo mette in atto nel 
corso della sua esistenza per meglio adattarsi all‟ambiente esterno. Le regole 
generali alla base del processo di apprendimento derivano dagli studi dei 
comportamentisti. In particolare, il condizionamento classico studiato da 
Pavlov (1927), e il condizionamento operativo descritto da Skinner (1938), 
analizzarono il fenomeno dell‟apprendimento negli animali. È importante 
notare che non ci si trova in presenza di apprendimento ogni qualvolta si 
osserva una risposta adattiva dell‟organismo all‟ambiente, ma è necessario 
poter osservare quella data risposta in un momento successivo a quello che 
l‟ha provocata la prima volta. In altre parole, si può dire che il fenomeno 
dell‟apprendimento si verifica quando si osserva un comportamento adattivo 
successivo a quello messo in atto in concomitanza della prima esperienza. È 
possibile distinguere due forme di apprendimento: esplicito e implicito. 
L‟apprendimento esplicito è tipicamente caratterizzato da processi attivi 
poiché gli individui attivano delle strategie per lo più consapevoli e 
volontarie. In questo caso vengono messi in atto dei processi attivi volti alla 
individuazione e all‟estrazione della struttura di una qualche informazione 
presentata. L‟apprendimento implicito, invece, è caratterizzato da processi 
passivi in cui gli individui sono esposti a qualche informazione e 
acquisiscono conoscenza da quell‟informazione semplicemente in virtù 
dell‟esposizione (Nicoletti e Rumiati, 2006). L‟apprendimento di 
informazioni e la loro organizzazione nelle conoscenze già possedute è 
favorita anche dai processi meta-cognitivi, cioè i processi di pensiero di 
ordine superiore che svolgono la funzione di controllo degli altri processi 
cognitivi coinvolti nell‟apprendimento.
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1.1.2 Elaborazione delle informazioni: percezione e attenzione   
La posizione assunta dal cognitivismo nei confronti dello studio dell'attività mentale 
si traduce concretamente nell'affermarsi della concezione del comportamento umano 
come risultato di un processo cognitivo di elaborazione delle informazioni articolato 
e variamente strutturato.  
La vita quotidiana si svolge in un ambiente particolarmente ricco di informazioni e di 
stimoli. Si vive nella società dell‟informazione (Castells, 1996), nella 
sovrabbondanza informativa, e si è continuamente sottoposti a una sinfonia di colori, 
suoni, odori, simboli e stimoli di altro genere. Molti di essi non vengono 
letteralmente percepiti, quindi grandissima parte dell‟informazione rimane 
inutilizzata.  
Secondo la tesi di Beck e Davenport (2002), posta l‟abbondanza di stimoli e 
d‟informazione, l‟attenzione svolge un ruolo fondamentale nell‟intero processo 
cognitivo. È l‟attenzione dedicata che fa di un‟informazione disponibile una 
informazione interessante. È l‟attenzione che da valore a tutti gli oggetti materiali e 
immateriali che si percepiscono costantemente. 
L‟attenzione è necessaria, dunque, perché si può prestare attenzione solo a un 
numero limitato di input sensoriali; in quanto essere umani, si può prestare attenzione 
solo a porzioni di mondo, ma mai al mondo intero, e praticamente solo quello cui si 
presta attenzione diverrà parte della propria esperienza consapevole, sia essa visiva, 
acustica o di altra natura sensoriale. 
Ecco, quindi, il ruolo dell‟attenzione: selezionare, filtrare, attivare istante per istante 
le informazioni che sono pertinenti agli scopi che ci si è prefissati e/o alle attività che 
si stanno svolgendo, abbandonandone altre che saturerebbero pericolosamente il 
proprio sistema cognitivo a scapito dell‟efficienza con cui si intende portare a 
termine quello di cui ci si sta occupando. 
Diversi autori si sono occupati della definizione di modelli che illustrano gli stadi 
dell‟elaborazione dell‟informazione attraverso i vari processi cognitivi coinvolti. Tra 
i vari modelli proposti dai cognitivisti, è rilevante il modello di Norman e Bobrow 
(1976), che descrive il flusso delle informazioni dal momento del segnale fisico dello 
stimolo sensoriale in entrata fino all‟eventuale archiviazione dello stimolo nella 
memoria a lungo termine.
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Quando nell‟ambiente in cui ci si trova avviene un qualche cambiamento, come la 
comparsa di un oggetto, o la presentazione di un suono, o la diminuzione della 
luminosità e così via, gli organi di senso registrano questi nuovi stimoli e li 
trasmettono al cervello. Ogni sistema sensoriale è però in grado di registrare soltanto 
una determinata forma di energia fisica.  
Il processo attraverso il quale i diversi tipi di energia fisica vengono tradotti in 
segnali nervosi è la trasduzione. Attraverso tale processo, il cambiamento ambientale 
registrato dall‟organo di senso viene tradotto in segnale energetico e trasmesso al 
cervello. È a questo punto che si può provare una sensazione del cambiamento 
ambientale a cui si ha assistito, si crea cioè una relazione tra stimoli esterni e 
sensazioni interne (Nicoletti e Rumiati, 2006). 
Lo stimolo, registrato dagli organi di senso, viene codificato, organizzato, 
riconosciuto e interpretato tramite il processo dell‟elaborazione, che trasforma la 
sensazione in percezione. La percezione può essere definita, appunto, come 
l‟elaborazione delle sensazioni elementari convogliate dagli organi di senso. Si tratta, 
dunque, di un processo che implica il riconoscimento e l‟interpretazione degli stimoli 
registrati dai nostri sensi. 
L‟elaborazione degli stimoli è fondamentale per impedire che tutti i segnali presenti 
nell‟ambiente accedano alla memoria anche quando non sono necessari per il 
compito che si sta svolgendo. Tale filtraggio viene messo in atto dall‟attenzione o, 
più precisamente, dal funzionamento delle varie componenti del sistema attentivo. 
Tuttavia, non sempre l‟elaborazione delle informazioni richiede l‟impiego di risorse 
attentive. Molti esperimenti (Broadbent, 1958; Libet et al., 1982) hanno infatti 
Fig. 1.1: Rappresentazione grafica del modello di elaborazione dell‟informazione attraverso i vari 
               processi cognitivi coinvolti (Norman e Bobrow, 1976) 
Segnali fisici 
Trasduzione 
sensoriale 
Registro 
sensoriale 
Riconoscimento 
Memoria a 
breve termine 
(MBT) 
Memoria a  
lungo termine 
(MLT)
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dimostrato che le caratteristiche elementari di uno stimolo come il colore, la forma o 
il movimento, vengono rilevate senza far intervenire l‟attenzione; vengono, cioè, 
automaticamente percepite in modo inconsapevole.  
Da ciò deriva che è possibile individuare diversi livelli di attenzione e 
consapevolezza, schematizzati nella figura 1.2. 
 
 
Fig. 1.2: I diversi tipi di attenzione e consapevolezza (Schneider e Shiffrin, 1977) 
L‟attenzione agisce focalizzando le risorse mentali limitate sull‟informazione e sui 
processi cognitivi più salienti in un certo momento. Quando l‟attenzione è orientata, 
intenzionale, cioè consapevole, significa che si è coscienti di ciò a cui si presta 
attenzione. La coscienza è, infatti, il fenomeno per mezzo del quale non solo si 
elabora attivamente l‟informazione, ma si è anche consapevoli di fare ciò. I benefici 
dell‟attenzione sono particolarmente salienti quando si fa riferimento ai processi 
attentivi coscienti. Questi tipi di processi attentivi vengono definiti processi 
controllati (Schneider et al., 1984). 
Quando, invece, l‟informazione che è disponibile per l‟elaborazione cognitiva è 
correntemente fuori dalla consapevolezza cosciente si trova a un livello preconscio di 
consapevolezza. In questo caso, si presta attenzione a qualcosa in maniera non 
intenzionale oppure si percepisce un qualcosa senza però l‟utilizzo di risorse 
attentive. Questi tipi di processi attentivi vengono definiti processi automatici 
(Tulving, 1985). 
Consapevolezza 
(Awareness) 
 
Comportamenti 
non attentivi 
 
Attenzione non 
intenzionale 
 
Coscienza 
(Consciousness) 
 
PROCESSI CONTROLLATI 
PROCESSI AUTOMATICI
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Nei processi automatici si ha una dissociazione tra l‟oggettiva percezione dello 
stimolo e la consapevolezza soggettiva della percezione avvenuta. In poche parole, si 
tratta di una percezione in assenza di consapevolezza, che porta a percepire uno 
stimolo non avvertibile in maniera cosciente perché troppo debole, troppo confuso, o 
troppo rapido (Eich, 1984). Una forma di elaborazione preconscia è il fenomeno 
della percezione subliminale, in cui appunto una persona elabora mentalmente 
particolari stimoli senza essere consapevole di farlo. Per gli psicologi cognitivi la 
percezione subliminale è un interessante esempio di una classe più ampia di 
fenomeni, definiti con il termine di priming (fenomeno che affronteremo nel 
paragrafo 1.3). Gli stimoli preconsci pur non ricevendo attenzione vengono 
comunque immagazzinati e possono essere richiamati in un secondo tempo. Quando 
necessario, quindi, essi passano da un livello preconscio alla consapevolezza conscia. 
In conclusione, si può dire che sia che siano consapevoli sia che siano inconsapevoli 
le informazioni percepite vengono elaborate e conservate; entrano cioè a far parte 
della memoria degli individui. 
 
1.1.3 Effetti attentivi  
Nell‟utilizzare il termine attenzione si fa riferimento ai meccanismi mentali che 
permettono di dare valore a tutto ciò che viene percepito. I riflessi di tali meccanismi 
possono essere genericamente definiti come effetti attentivi. 
Tra gli effetti attentivi più rilevanti rientrano quelli relativi alla Change Blindness 
(cecità al cambiamento) e all‟Attentional Blink (riflesso di ammiccamento 
attenzionale), (Dell‟Acqua e Turatto, 2006). 
La Change Blindness (CB) consiste nell‟incapacità di notare cambiamenti evidenti 
che hanno luogo nella scena che si osserva. Tale fenomeno fa, quindi, riferimento al 
fatto che in determinate circostanze un osservatore risulta “cieco” nei confronti di 
cambiamenti che hanno luogo, anche ripetutamente, nella scena che sta osservando. 
La mancata rilevazione del cambiamento, che non riguarda necessariamente piccoli 
dettagli o piccoli particolari della scena ma zone importanti ed estese della stessa, 
non è dovuta a un‟anomalia del sistema visivo, ma è la conseguenza del suo
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“normale” modo di operare. Ma allora quali sono le condizioni nelle quali risulta 
essere difficile notare il cambiamento che si sta cercando di notare?  
In linea generale, un cambiamento sarà notato con difficoltà, o non lo sarà affatto, se 
il segnale transiente corrispondente non è in grado di catturare l‟attenzione. In 
particolare, tale situazione si verifica se il cambiamento ha luogo mentre sono 
presenti altri eventi visivi di disturbo (Turatto et al., 2002).  
Il fenomeno della Change Blindness è importante per quanto riguarda la 
consapevolezza visiva. A tal riguardo, l‟attenzione gioca un ruolo fondamentale, 
perché consente a certe informazioni di essere fissate in modo stabile in qualche 
forma di memoria visiva (Luck e Vogel, 1997). Gli esperimenti sulla Change 
Blindness hanno messo in luce il ruolo dell‟attenzione nella visione consapevole per 
quanto riguarda la percezione del cambiamento. Senza attenzione non c‟è 
consapevolezza del cambiamento, un risultato che dimostra quanto sia importante 
l‟attenzione per la percezione consapevole. 
L‟Attentional Blink (AB; Raymond, Shapiro e Arnell, 1992), consiste nella scarsa 
accuratezza nel rilevare/identificare il secondo di due stimoli presentati in 
successione quando questo segue il primo dopo un breve intervallo di tempo. 
La procedura sperimentale classica, che consente di osservare un effetto AB, prevede 
la presentazione visiva seriale rapida (Rapid Serial Visual Presentation; RSVP) di 
sequenze di stimoli nella stessa posizione spaziale, di norma il centro del monitor del 
computer. Ogni sequenza RSVP è di regola preceduta da un punto di fissazione che 
scompare a prova iniziata. All‟interno di ogni RSVP vengono inseriti due stimoli 
target (convenzionalmente denominati T1 e T2). Gli stimoli T1 e T2 possono essere 
definiti da caratteristiche fisiche, semantiche o da una combinazione di queste 
caratteristiche. In paradigmi standard, la principale manipolazione sperimentale 
sistematica riguarda l‟intervallo temporale di presentazione tra i due target (stimulus 
onset asynchrony; SOA), che viene manipolato variando il numero di distrattori 
interposti tra T1 e T2. Il compito dei partecipanti consiste nel prestare attenzione a 
ogni RSVP e, nella maggior parte dei casi, nell‟identificare/rilevare T1 e T2 alla fine 
della prova mediante la pressione di tasti contrassegnati sulla tastiera del computer.  
Quando viene richiesto ai partecipanti di eseguire un compito di questo tipo, in cui 
devono prestare attenzione sia a T1 che a T2, ciò che di norma si osserva è la
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stabilità nell‟accuratezza di risposta a T1 al variare del SOA tra i due target, a fronte 
di un marcato decremento dell‟accuratezza di risposta a T2 quando il SOA tra T1 e 
T2 è inferiore ai 500-600 ms. L‟intervallo di tempo che va tra i 200 e i 600 ms dopo 
la presentazione di T1 può essere considerato la «finestra temporale critica» perché si 
possa osservare un effetto AB. Nello specifico, l‟effetto AB consiste nel decremento 
della prestazione al diminuire del SOA tra T1 e T2.  
Sono diversi i modelli teorici formulati al fine di fornire una spiegazione dell‟effetto 
AB. La principale linea di soluzioni suggerite invoca come causa dell‟effetto AB sia 
la presenza di un collo di bottiglia (bottleneck models) nel flusso di elaborazione 
degli stimoli determinato da un sistema a stadi di elaborazione a capacità limitata 
(Chun e Potter, 1995; Jolicoeur e Dell‟Acqua, 1998). 
Seppur questi due effetti attentivi vengono considerati gli effetti maggiori che 
potenzialmente sono in grado di fornire utili indicazioni riguardo al fenomeno 
attentivo e a quanto e cosa si vede in assenza di attenzione, in realtà esistono anche 
molti altri effetti attentivi, alcuni dei quali si manifestano in contesti CB e AB, che 
possono essere classificati in base alla natura della stimolazione.  
In particolare, è possibile distinguere: 
1. Modalitá sensoriale uditiva  
- effetto cocktail party (Cherry, 1953): innata capacità del nostro cervello di 
riuscire a organizzare in maniera logica e comprensiva un suono unico su cui 
pone l‟attenzione, rispetto a un insieme di altri suoni che si sovrappongono a 
esso. Cherry (1953) era interessato a capire come le persone siano in grado di 
seguire una conversazione, mentre molte persone parlano contemporaneamente. 
Egli scoprì che questa capacità si basa sull‟identificazione di differenze fisiche 
dei messaggi uditivi (e.g., sesso, intensità della voce, localizzazione del 
parlante). L‟individuazione di queste differenze permette di isolare la 
conversazione che interessa. Tale fenomeno è stato chiamato “Cocktail party” 
proprio perché una festa è il luogo tipico dove si verifica, ma nella rumorosa 
società attuale tale effetto si può riscontrare in tutti gli ambienti affollati e chiusi 
in cui si svolgono molte conversazioni contemporaneamente. Il brusio generato 
dalle conversazioni, nonostante nel suo insieme sia più alto di volume, non 
impedisce di comprendere quello che la persona con cui si sta conversando sta