impazzita perché, non lasciandosi attrarre dal magnete divino, segue punti che 
lo portano continuamente al disorientamento: la fitta nebbia del consumismo e 
dell’indifferententismo, calata gradualmente nelle coscienze umane, ha 
disperso principi e valori cristiani, ossigeno puro per la famiglia umana. In 
questa era chiamata “post-moderna”,  bisogna “Dire Dio Oggi”: 
 “essendo stati costituiti responsabili, cioè capaci di 
rispondere alla chiamata di Dio, degli altri uomini e del 
mondo che ci è stato affidato”
3
 
 
è nostro dovere “Dire Dio Oggi”.  
 
Però in noi ci deve essere sempre questa consapevolezza; infatti   
         
    “La possibilità di Dire Dio, un Dio libero e trascendente, 
presuppone  il suo essersi posto in relazione con l’uomo, 
cioè la sua rivelazione”
4
 
 
 
Jüngel, chiarendone l’aspetto dialogico
5
 con il Trascendente sostiene che 
                        
     “Soltanto se la possibilità di accedere a Dio è aperta da 
Dio stesso,il pensiero troverà un modo per accedere a Dio.
6
 
 
Sostenendone la primordialità di Dio, sottolinea: 
              
                                                 
3
 C. Greco, Dire Dio Oggi. Presupposti, aporie, possibilità. Istituto Superiore di  Scienze 
religiose “ S. Giuseppe Moscati” Avellino 2008, p. 59. 
4
  Ib., pag.105. 
5
 C.C.C….,n.27. 
6
 E. Jüngel, Dio, mistero del mondo, Queriniana, Brescia 1982, p. 211. 
    
 
3 
     “Solo Dio può farci dire ciò a cui fa pensare la parola 
di Dio”
7
 
                 
Ma dove ci parla Dio, perché Dio parla a noi, come ci parla? 
 Nel fondamentale documento del Concilio Vaticano II, “ Dei Verbum, al 
n.4 viene affermato: 
     “Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per 
mezzo dei profeti, Dio alla fine, nei giorni nostri, ha parlato  
per mezzo del Figlio» (Eb. 1,1-2). 
     Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno che 
illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli  uomini 
e spiegasse loro i segreti di Dio (Gv. 1,1-18).Gesù Cristo 
dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli 
uomini”,«parla le parole di Dio» (Gv. 3,34) e porta a 
compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre. (Gv. 
5,36;17,4)
8
 
 
Il Card. D. Tettamanzi nella “prolusione” al  Convegno di Verona,   
focalizzando i veri contenuti della Speranza che va costruita all’interno della 
storia dell’umanità dice così: 
 
     “… esiste infatti in sintonia con “l’intellectus fidei”  un 
“intellectus spei”, un’intelligenza della speranza – una 
vera speranza è realtà che è nella storia e la costruisce e 
dunque non può non vedere,non leggere, non interpretare,  
non decidere, non toccare il vissuto dell’uomo- da cui 
deriva un “sapere della speranza” che si ripercuote sulla 
questione antropologica”
9
 
                                                 
7
 Ib., p.27 
8
 Dei Verbum, 4. 
9
 D. Tettamanzi, art. cit. in  Diario di Verona 2006, p. 45 
    
 
4 
 Poi quasi alla fine del suo intervento, focalizzando al massimo, il tutto 
sulla persona umana dice:  
    “C’è bisogno di una seconda fase nella Chiesa, che 
rimetta al centro la persona umana”.
10
 
Occorre sviluppare un’antropologia che,da un lato riconosca l’uomo 
quale opera di Dio come un “intero”, ma che dall’altro lato distingua in questo 
uomo ciò che è perituro da ciò che rimane. Senza ricadere con questo in quel 
retaggio della religione mistero-orfica, dove il concetto del corpo, quale carcere 
o tomba dell’anima, ne ha caratterizzato il dualismo greco, che a mio avviso, 
echeggia ancora nell’aria cristiana. Anzi bisogna sviluppare l’intuizione 
tomista che, fiutando l’unità nella formula aristotelica di “anima forma 
corporis”, trasformandola radicalmente, vi scorge quella stretta correlazione tra 
la “forma” e la “materia”: senza la “forma” la materia rimarrebbe una pura 
potenzialità e la forma diviene realtà soltanto se unita alla materia. 
 
   “nell’uomo lo spirito è tanto uno con il corpo che gli 
può attribuire,a pieno diritto, il termine di “forma”. E 
all’inverso; la forma di questo corpo è tale da essere 
spirito e, come tale, fa dell’uomo una persona"
11
   
  
Una persona che pregando non dica più: 
 
                                                 
10
 Ib.,  p. 46 
11
 Schneider, Some reflections, 23, cit, in J.RATZINGER; Escatologia, morte e vita eterna, 
Assisi 2008   
    
 
5 
Oh Signore non sono dego di partecipare alla tua 
mensa, ma dì soltanto una parola e l’anima mia sarà 
salvata, 
ma dica: 
Oh signore non sono degno di partecipare alla tua 
mensa ma dì soltanto una parola ed “io” sarò salvato. 
“ il superamento di questo dualismo obbligherebbe ad 
una nuova comprensione della morte. L’uomo muore come 
“tutto”(“totus”), ma non “totalmente (“totaliter)
12
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
12
 J.Ratzinger; Escatologia ,morte e vita eterna, Assisi 2008, p.243. 
    
 
6 
INTRODUZIONE 
Nel “Credo” noi recitiamo: « Aspetto la Risurrezione dei morti e la vita 
del mondo che verrà» (Dn. 12,2; Gv. 5,28-29; At. 24,15 ect) 
Ma crediamo veramente alla Risurrezione? E se ci crediamo come facciamo a 
dimostrarlo? 
E nel dimostrarlo come vogliamo comunicarlo? Certo che un assetto di 
domande del genere rasenta pienamente la filosofia “gorgiana” che 
sicuramente, avviandoci in quel processo di annichilimento, ma soprattutto in 
quella sfera del razionalismo, relativismo e per l’appunto nichilismo, ci porta a 
chiudere completamente e direttamente le porte in faccia al senso della nostra 
vita, della nostra esistenza, della nostra speranza. E direi che mi porta a 
chiudere anche questa “tesi”. 
Ma questa “tesi” non può “chiudersi” qui, anzi, deve trovare quel 
“linguaggio qualificato che possa permettere la  «disclosure» (I.T. Ramsey)” e 
mettersi in gioco con il concreto, con il reale e soprattutto con quegli 
interrogativi che, “fin dalle origini”, hanno sempre corrucciato l’esistenza 
dell’uomo; interrogativi di fondo del “da dove vengo”, “dove vado”, “chi 
sono”, “che sarà del mio domani” “sarò qui” ,“sarò là” , “sarò sotto due 
metri di terra o chissà dove?”.  
«Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte» sosteneva Paolo in 
Rm.7,24. 
E’ un grande mistero la vita! 
Però se riflettiamo bene sulla parola “mistero” ci accorgiamo, facendo 
una piccola indagine etimologica, che questa parola risale alla radice del 
    
 
7 
termine greco “misterion”
13
. In latino questo termine greco viene tradotto 
“sacramentum”, in italiano è semplice dedurlo, viene tradotto “sacramento”.   
Quindi se il “tradurre” non è il “tradire la Parola”, ecco, che iniziano 
ad aprirsi le porte della “conoscenza” direi ancor di più, di quella “sete 
insaziabile del sapere” che, nel cercare, dà “sapore” alla propria esistenza, alla 
propria vita. 
Si perché proprio «nel» “Sacramento” «col» “Sacramento” e «per» il 
“Sacramento” che inizia quella stupenda opera di salvezza, per tutta l’umanità, 
inaugurata da Gesù, Cristo “SS. Sacramentum”, incarnazione del Verbo di Dio, 
che “sulla Croce” “nella Croce” e “per mezzo della Croce” ha redento e 
continua a redimere l’intera umanità, attirandola a sé  in quel connubio tra  
cielo e terra che, nel Risuscitato, purificata da ogni macchia, trasfigurata, 
insieme a tutta la creazione, raggiunge la sua eterna “elevazione”
14
 nel Regno 
di Dio. 
 Il metodo che applicherò alla “tesi” sicuramente è quello teologico.
15
 
Un metodo che scaturisce dalla risultante del metodo deduttivo, che 
permette di cogliere il particolare dall’universale, e il metodo induttivo che mi 
permetterà di cogliere i principi generali procedendo dal particolare al generale. 
Partirò dal presente, risalirò alla Parola di Dio e al vissuto di essa nella 
Tradizione della Chiesa, poi ritornerò all’oggi. Proprio come fa un sasso che, 
lanciato in alto, toccando il vertice, l’apice della traiettoria, come una parabola, 
scendendo sulla terra  va a duplicare, triplicare ed ancora di più il suo peso, la 
sua azione. In questo procedere a volte mi discosterò un po’ dal metodo, o forse 
no, anzi applicherò il vero contenuto etimologico  del termine “metodo” che 
                                                 
13
 C.C.C…,n.774. 
14
 Ib…., n.662. 
15
 J.M. Prellezo – J.M. Garcìa, Invito alla ricerca, L.A.S Roma 2004, p. 35. 
    
 
8 
deriva dalla composizione della parola greca “metà” – condurre oltre -  e 
«hódos» che significa via.
16
 
Un condurre oltre che permette di percorrere la via “dell’essere” 
sussunta, o per meglio dire «assunta», integrata «dall’essersi»; come afferma 
M. de Biran, integrata in quella onto-fenomenologia dell’essere.
17
 Quindi il 
metodo trascendentale-antropologico e il metodo squisitamente teologico 
saranno i due pilastri su cui poggerà questa “tesi” che, cercando di combinare 
con temperanza, con prudenza, «quell’attività conoscitiva» e «quell’attività 
volitiva»  dell’uomo,  va  ad  esprimere  quella  “Natura Hominis”  che, tradotta  
fenomenologicamente  nell’essere in se - per sé – per altri e per «l’Altro da 
sè»,
18
 inserita in quel “Vinculum” blondeliano
19
  - abbraccio dell’uomo e di 
Dio, - dialogando in quella “Cifra”   jasperiana  (linguaggio simbolico, il cui 
compito è di rendere presente la trascendenza, che per essere tale resta oltre la 
“Cifra”)
20
, nel progetto di Dio, è chiamata ad essere “partner di un dialogo 
con lui” (J. Ratzinger Benedetto XVI). Una relazione fatta di ascolto, di 
risposta, di amore che in Dio si veste d’immortalità. 
Ora sostenuto dal metodo Midali
21
, ma soprattutto da uno degli aspetti di 
esso, cioè l’aspetto empirico, iniziando da una determinata situazione concreta, 
reale, pratica, quale è appunto un piccolo sondaggio tra i giovani, cerco di 
elaborare la “tesi” aprendone i contenuti della domanda e delle risposte a mó di 
ventaglio in modo da abbracciare ogni sorta di discipline, sia esse scientifico-
umanistiche, che teologiche per un primo traguardo gnoseologico.  
                                                 
16
 Ib., pag. 34. 
17
 M. De Biran, Journal intime, La Baconniér,  Neuchâtel 1955, p.399 
18
 K.Jaspers , Metafisica, Mursia, Milano 1972, pp.59-60. 
19
 M. Blondel, Le “Vinculuum Substantiale”, Paris 1930, pp. 135-136. 
20
 K. Jaspers, Cifre della trascendenza, TR. IT. Torino 1974, pp. 75-78. 
21
 M. Midali, Teologia Pastorale o pratica, Roma 1991, p. 21 
    
 
9 
Un «en passant» come dicono i fratelli europei francesi. Ma questo lo 
faccio soprattutto per contenere gli argomenti che, come “logos spermaticos”, 
in cerca di coscienze da fecondare, mi fanno rischiare continui parti 
plurigemellari, con i caratteri diversi, originati o attinti alle singole discipline 
umanistiche.  
 Poi proseguendo alla stregua del metodo ermeneutico percorrerò con 
“dolorosa costernazione” i grandi meandri della morte soffocandone per un 
poco ogni sorta di rivalsa da parte dei “Refaim” (nel pensiero Giudaico erano 
creature umane che continuavano a vivere dopo la morte nello Scheol, come 
ombre)
22
, per poi risalire con Cristo Risorto alla Luce, la quale mi permetterà di 
penetrare, con l’aiuto dello Spirito Santo, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, 
per cogliere quei contenuti di fede che ci avviano ad una comprensione «pre-
pasquale» e «post-pasquale» di Gesù Cristo. 
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, la Seconda Persona della SS. Trinità che, 
nella sua dignità, icona, immagine e somiglianza del Padre ci ha permesso di 
recuperare con la sua morte - risurrezione, nella sua morte-risurrezione, per 
mezzo della sua morte-risurrezione la dignità di «persona umana»
23
 che non 
può essere ridotta a “semplice strumento”, ma deve essere considerata 
“principio di strumentalità”
24
 dove tutti gli strumenti diventano tali in forza di 
un corpo che sia in grado di usarli.  
Il corpo non viene assunto né tanto meno può essere deposto come si fa 
con uno strumento dopo averlo usato, esso (corpo) è ben altro. 
E questo albore del “ ben altro “ lo aveva intuito Origene (morto nel 
253/254 ) le cui affermazioni sono oggetto di discussioni. Comunque egli 
                                                 
22
 N. Tornese sj, Vivi o morti? Napoli, 1987, p. 21. 
23
 C.C.C…,n.1700. 
24
 J. Gevaert,  Il problema dell’uomo, Torino 1973, p. 79. 
    
 
10 
distinse nel corpo dell’uomo sia la materialità sempre in trasformazione, la 
quale neppure per due giorni resta totalmente identica, sia la forma stabile in 
cui l’individuo si esprime in modo inequivocabile. 
 
“ l’identità del corpo di resurrezione non può 
certamente consistere in ciò che pertanto muta 
continuamente, ma in questa “forma“ , in questo 
“carattere“ che l’uomo sviluppa.
25
 
 
 E’ inserito nel meraviglioso, sublime disegno di Salvezza che Dio ha 
preparato per l’intera umanità.  
Inizierei sostituendo alla frase «… ma l’anima non muore» posta di 
frequente all’ingresso dei cimiteri, la scritta  «… ma  l’iconapamor  non 
muore». 
Una sintesi che ho voluto coniare, col permesso delle discipline 
scientifico-umanistiche e teologiche, dall’anagramma di corpo-anima; dove 
quel «trait d’union» quel trattino che li tiene uniti per alcuni, e separati, 
staccati, divisi per altri, in quell’Amore Assoluto sono rimasti e restano 
quell’unica realtà, quell’unità nell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza della 
Unità che, nella Tri-Unità trova il “senso” di quella Via, di quella Verità, nella 
sua vita-Vita immortale.  
Anche se sarà un azzardo l’intento di questa tesi è di giungere ad una 
forma di “ Antropoteologia “, una fusione, pur restando la diversità delle 
discipline, la loro alterità antropologica  e teologica, per sognare nel nostro 
mondo, l’anticipo di quel “ corpo di resurrezione “. 
                                                 
25
 1 Patrologia Greca 12, ed. da J.P. Migne 1093A-1096B cit. in J. Ratzinger Op. Cit., pag.176  
    
 
11 
 CAPITOLO I 
FEDE E RAGIONE TRA DOMANDA E DIALOGO 
 
L’interrogativo che negli ultimi decenni è sorto sulla tematica 
dell’immortalità dell’anima e della resurrezione, trasformando gradualmente 
l’intero panorama della teologia e della religiosità, non potrebbe essere 
formulato più sinteticamente e più drammaticamente di quanto ha fatto Oscar 
Culmann, il quale si è espresso come segue: 
 
“ Domandate ad un cristiano, protestante o cattolico, 
intellettuale o no, che cosa insegni il Nuovo Testamento 
sulla sorte individuale dell’uomo dopo la morte e, salvo 
pochissime eccezioni, avrete sempre la stessa risposta: “ 
l’immortalità dell’anima “. Eppure questa opinione, per 
diffusa che sia, è uno dei più gravi fraintendimenti che 
riguardano il Cristianesimo “
26
.  
 
1. LA  RAGIONE SI FA DOMANDA. 
 
 A voi giovani, mi rivolgo: «Cosa ne pensate della Risurrezione  dei 
morti e cosa ne sarà del corpo?» 
a. Il corpo resterà nella bara, mentre l’anima continua ad affiancarlo e 
secondo me la  risurrezione non esiste; 
b. Il corpo diventerà polvere, l’anima vivrà in eterno; 
c. Il corpo diventa polvere, lo spirito vive in eterno nel silenzio. 
 
                                                 
26
 O. Cullmann, Unsterblichkeit, p. 19, cfr. J. Ratzinger, Op. cit., p.110 
    
 
12 
  Dal mini sondaggio fatto ai ragazzi con età compresa tra i 17-18 anni, 
frequentanti le scuole medie-superiori, emergono in particolar modo due aspetti 
fondamentali: la presenza nell’uomo di un corpo e di una anima due realtà che 
al momento della «sera della vita» si separano;
27
 il corpo per continuare quel 
processo biologico di decomposizione fino ad essere polvere, l’anima per 
vivere in eterno. Ora osservando bene le risposte direi, sia alla luce della 
Risurrezione, che alla luce di una attenta indagine antropologica e teologica, 
notiamo in esse delle verità nascoste che solo nella Verità del Risorto possono 
acquisire senso e significato.  
 Tant’è vero che lo stesso K. Rahner, nel coniugare la Teologia pastorale 
nel concreto della realtà storica dell’uomo, afferma: 
  
   “Bisogna iniziare a guardare con «gli occhi della 
fede»senza escludere la riflessione umana, anzi facendo 
della situazione umana, non qualcosa di esterno alla 
Teologia, ma al contrario, un momento intrinseco ed 
imprescindibile”.
28
 
 
  Al di là di quello che è la sorte del corpo, considerato, a mio avviso, 
nella forma di uno dei suoi aspetti (quello biologico), che tratteremo più avanti 
con maggiore soddisfazione, anche perché il corpo va preso nella sua totalità 
per gustare lo «jussum», il «sugo» il succo che dà sapore alla propria esistenza, 
l’elemento che emerge principalmente è l’eternità dell’anima o dello spirito o 
ancora “l’affiancarmi” dell’anima , che a mio avviso dà inizio ad una 
                                                 
27
 Catechismo della Chiesa cattolica  n.1022. 
28
 K. Rahner, La teologia  pratica nel complesso delle discipline teologiche, Roma 1969, p. 161. 
    
 
13 
bellissima e avventurosa indagine antropologica-teologica-psicologica e anche 
filosofica. 
Proprio colui che ha espresso chiaramente, che la «Risurrezione non 
esiste», ha parlato di «affiancamento dell’anima».  
Ma come fa ad affiancarmi l’anima, e a cosa si affianca se il corpo, come 
lui afferma è restato nella bara? 
 
“ corpo e anima:un problema antico e nuovo della 
filosofia…non è sostenibile né una eliminazione, né una 
riduzione, sia essa reale, sia essa linguistica, di cosa i 
pensa con anima; questo né da una prospettiva filosofica, 
né da una prospettiva epistemologica, né da una 
prospettiva scientifica “
29
 
 
Nella dichiarazione della Congregazione della fede sulle questioni 
dell’escatologia leggiamo: 
 
“ La risurrezione dei morti, per la quale ci dichiariamo 
a favore nel Credo, riguarda “ tutto “ l’uomo: per gli eletti 
questa non è altro che l’estensione agli uomini della 
risurrezione stessa di Cristo.
 30
 
 
 Lo so, tutto sembra ancora in “alto mare”, ma  «gli occhi della fede» 
incastonati nel «cranio della ragione» già iniziano a vedere, in quei pochi 
concetti espressi dai ragazzi, uno spiraglio di luce, appannato forse dal non 
sapere, dal non senso delle domande. Scostiamoci un attimo da questa 
riflessione e diciamo con forza: “Ma ha veramente un significato particolare 
                                                 
29
 Bonn H.M. Baumgartner,  sez. fil. della Gorres-Gesellschaft, cfr. J. Ratzinger, Op. cit., p.246 
30
  Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede cfr. ib idem, p.264 
    
 
14 
porre queste domande oggi? R. Fisichella trattando teologicamente il senso di 
una domanda risponde così: 
“Per alcuni, potrà sembrare una questione ormai 
anacronistica; per altri, la domanda avrà già una sua 
risposta, frutto dell’assunzione di categorie passate che 
permangono valide; per altri ancora la domanda non 
potrebbe avere senso”
31
. 
 
1.1.  DOMANDA DI SENSO. 
 
 Certo che una ragione che avesse rinunciato ad interrogare non avrebbe 
più senso, perché equivale a vivere dell’ovvietà e come tale non potrebbe 
servire la fede. Ma, soprattutto oggi si è nel pieno diritto di domandare perché, 
in un tempo solcato dal cielo dell’indifferententismo, bisogna porre le ragioni 
che veramente sappiano confrontarsi in maniera coerente con gli interrogativi  
e le risposte dei giovani.  
E per fare questo, in primis, la domanda deve attraversare tutto ciò che 
costituisce il nostro essere  persona umana, nella sua totalità, nella sua essenza, 
soprattutto deve attraversare quella «Fides» e quella «Ratio»
32
che come 
afferma Giovanni Paolo II nella stessa enciclica: «sono come le due ali con le 
quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità»
33
. 
Quando, successivamente, avremo, per così dire, chiarito il concetto di 
anima, ma soprattutto di corpo, visto che la tesi è orientata verso questa 
direzione, sostituendo, come in un «rebus da cruciverba» il giusto significato, 
                                                 
31
 R. Fisichella, La teologia tra rivelazione e storia, Bologna 1999, p.16. 
32
  C.C.C…, n.156. 
33
  Fides et Ratio, Introduzione all’enciclica,   p.3 
    
 
15