Introduzione 
 
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INTRODUZIONE 
 
Da circa vent’anni si è affacciata la possibilità di utilizzare le piante per la 
produzione di proteine ricombinanti di interesse farmaceutico. Questo approccio, 
generalmente definito molecular farming, considera il sistema vegetale come 
“biofabbrica” per la produzione di proteine di interesse. 
Il molecular farming presenta numerosi vantaggi rispetto ai sistemi convenzionali, 
basati  essenzialmente su colture di cellule batteriche ed eucariotiche: 
 
 la produzione di proteine ricombinanti in planta è più economica rispetto 
all’utilizzo di fermentatori dato che le piante per la loro crescita necessitano 
esclusivamente di acqua, una fonte d’azoto e luce, inoltre non hanno il 
problema del mantenimento di condizioni di sterilità; 
 la tecnologia attualmente disponibile per la raccolta e la lavorazione delle 
piante e dei loro prodotti permette una produzione su larga scala; 
 le piante sono in grado di apportare alle proteine eterologhe prodotte 
modificazioni post-traduzionali tipiche degli eucarioti, fondamentali, in 
alcuni casi, per mantenere intatta la loro attività biologica; 
 le piante non sono attaccate da patogeni animali evitando così il rischio di 
pericolose contaminazioni. 
 
Giddings (2001) stima una riduzione delle spese compresa tra l’80 e il 98% nella 
produzione di proteine ricombinanti in planta rispetto ai sistemi di fermentazione 
microbica e del 99,9% se paragonata alle produzione ottenuta da colture cellulari di 
mammifero. Tali valori dipendono comunque dai livelli di espressione della proteina 
e dai sistemi utilizzati per la purificazione della proteina stessa. 
Nonostante i vantaggi finora illustrati i limiti di questa tecnologia basata su 
"bioreattori vegetali" sono la bassa resa, spesso dovuta alla scarsa stabilità della 
proteina o del suo trascritto, le difficoltà nella lavorazione, che possono 
compromettere la qualità del prodotto finale e la presenza di strutture di glicano 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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atipiche su proteine ricombinanti umane. Sono questi i limiti che hanno, finora, 
ostacolato l’utilizzo su larga scala delle piante per la produzione di sostanze di 
interesse farmaceutico. 
 
SISTEMA DI ESPRESSIONE VEGETALE 
 
La maggior parte delle prime proteine ricombinanti espresse in planta sono state 
prodotte ed estratte direttamente da foglie di piante di tabacco. Tale specie può essere 
tutt’oggi considerata la pianta modello per alcune sue peculiari caratteristiche: la non 
recalcitranza alla trasformazione genetica mediata da A. tumefaciens, la velocità nella 
rigenerazione da callo delle piante trasformate, l’ampia scelta di elementi regolativi 
che controllano l’espressione del transgene e l’elevata produttività sia in semi che in 
biomassa di tessuti verdi (più di 100.000 Kg per ettaro). 
Anche se molte varietà di tabacco presentano un elevato contenuto di alcaloidi 
tossici, esistono varietà caratterizzate da un basso contenuto di questi composti, come 
ad esempio la varietà Lonibow, che possono essere utilizzate per la produzione di 
proteine ricombinanti. È inoltre importante sottolineare che la scelta di un tipo di 
coltura che non viene utilizzata come alimento né dall’uomo né dagli animali, 
minimizza i rischi di contaminazione della catena alimentare. 
Il maggior numero di esperimenti di trasformazione di tabacco riguarda la 
trasformazione nucleare mediata da Agrobacterium per l’espressione di proteine 
ricombinanti in tessuti fogliari. 
In letteratura sono presenti anche alcuni lavori che descrivono metodi per 
l’indirizzamento delle proteine eterologhe nel “pathway” secretorio che determina 
l’essudazione di proteine attraverso le foglie (Borisjuk et al.,1999) o le radici 
(Komarnytsky et al., 2000). Questa strategia risulta particolarmente vantaggiosa in 
quanto non rende più necessaria la raccolta di biomassa. 
Uno dei più grandi svantaggi associati all’utilizzo di piante da foglia in tali 
esperimenti, è che le proteine ricombinanti vengono sintetizzate in un ambiente 
acquoso in cui sono spesso instabili. Inoltre, in seguito alla raccolta si liberano molti 
composti fenolici che determinano una forte proteolisi all’interno della cellula. Per 
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questo è necessario processare le foglie immediatamente per l’estrazione della 
proteina ricombinante oppure, qualora questo non sia possibile, congelarle o seccarle. 
 
METODI DI TRASFORMAZIONE 
 
ESPRESSIONE STABILE 
 
I metodi di trasformazione più utilizzati per la produzione di piante transgeniche 
sono essenzialmente due:  
 metodi di espressione basati sull’utilizzo di Agrobacterium tumefaciens per 
l’infezione di dischi fogliari; 
 metodi bio-balistici, che utilizzano microproiettili rivestiti di DNA per il 
bombardamento di tessuti vegetali.  
Entrambi i metodi presentano vantaggi e svantaggi e la scelta del metodo dipende 
essenzialmente dalla pianta da trasformare. 
Il metodo più utilizzato per la trasformazione genetica di piante dicotiledoni prevede 
l’uso di una forma ingegnerizzata di A. tumefaciens, che permette di ottenere 
un’inserzione genomica casuale e stabile del DNA esogeno. Anche le piante 
monocotiledoni possono essere trasformate con A. tumefaciens, ma tale 
trasformazione è stata ottimizzata esclusivamente per alcune specie modello (Ma et 
al., 2003). 
Il sistema di trasformazione bio-balistico è meno genotipo-dipendente rispetto al 
precedente e rimane il metodo più utilizzato per la trasformazione di cereali, come il 
riso, il frumento e il mais e di leguminose come ad esempio la soia. 
Il bombardamento attraverso particelle è utilizzato anche per la trasformazione del 
genoma di plastidi. 
 
 
 
 
 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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Trasformazione genetica stabile di plastidi 
 
Il primo lavoro in cui è riportata la trasformazione di plastidi di piante di N. tabacum 
risale al 1990 (Svab et al., 1990). In tale lavoro gli autori definiscono pianta 
“transplastomica” una pianta trasformata geneticamente a livello del cloroplasto. 
La trasformazione del cloroplasto utilizza due regioni fiancheggianti ai lati del 
transgene che ne permettono l’inserzione tra regioni spaziatrici di due geni 
cloroplastici attivi. In questo modo, a differenza di Agrobacterium, il transgene viene 
inserito nel genoma cloroplastico in modo sito-specifico tramite ricombinazione 
omologa. Si evita così la variabilità di espressione tipica della trasformazione 
mediata da Agrobacterium. 
La produzione di proteine eterologhe nel cloroplasto risulta, quindi, caratterizzata da 
livelli di espressione meno variabili e soprattutto molto elevati: le copie di gene 
esogeno possono raggiungere le 10.000 unità per cellula, dato l’elevato numero di 
organelli fotosintetici presenti in una cellula vegetale matura. Staub e collaboratori in 
un lavoro pubblicato nel 2000 riportano l’espressione in piante transplastomiche 
della somatotropina nella sua forma biologicamente attiva a livelli pari al 7% delle 
proteine solubili totali. 
Un altro importante vantaggio delle piante transplastomiche è che il genoma del 
cloroplasto ha un’eredità materna, di conseguenza il polline di tali piante non è 
transgenico, ed evita così i rischi legati alla diffusione sessuale del transgene. 
Inoltre, l’espressione di geni esogeni nel cloroplasto riduce l’influenza che tali geni 
possono esercitare sul metabolismo della pianta evitando effetti fenotipici 
indesiderati. Infatti, la ritenzione della proteina ricombinante all’interno di un 
organello ne limita l’eventuale tossicità per la pianta ospite. 
 
ESPRESSIONE TRANSIENTE 
 
I sistemi di trasformazione descritti finora si basano sull’integrazione stabile del 
transgene nel genoma della pianta, ma esistono anche tecniche che permettono di 
ottenere l’espressione transiente di proteine eterologhe. Si tratta di un approccio più 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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veloce, flessibile che può essere utilizzato in tessuti vegetali completamente 
differenziati (Fischer et al.,1999). 
L’espressione transiente in planta di proteine eterologhe è molto più veloce dei 
sistemi di espressione stabile. I sistemi di espressione transiente, infatti, non 
prevedono la rigenerazione dal vitro della pianta. 
 
Agroinfiltrazione 
 
Un sistema di espressione transiente si basa sull’infiltrazione di foglie con 
sospensioni di A. tumefaciens contenente il T-DNA per l’espressione del gene di 
interesse.  
Tale tecnica permette di ottenere l’espressione della proteina di interesse in un 
periodo di tempo breve, generalmente 2-3 giorni dopo l’infiltrazione. Solitamente la 
quantità di proteina ricombinante ottenuta è insufficiente per la produzione su scala 
industriale ma questo sistema risulta molto utile per verificare la capacità della piante 
di esprimere proteine eterologhe. Alcuni lavori pubblicati di recente riportano metodi 
alternativi per aumentare l’efficienza di questo sistema di espressione. In particolare, 
è stato dimostrato che la mancata espressione di proteina ricombinante è 
principalmente causata dal silenziamento genico post-trascrizionale. Infatti, 
l’espressione della proteina p19 del virus del rachitismo cespuglioso di pomodoro, 
noto inibitore del silenziamento genico, porta ad un aumento di cinquanta volte dei 
livelli di espressione di diverse proteine ricombinanti (Voinnet et al., 2003). 
 
Uso di vettori virali 
 
Un altro sistema utilizzato per l’espressione transiente prevede l’utilizzo di forme 
modificate di virus vegetali. Tale sistema ha permesso di ottenere livelli di 
espressione epicromosomale di proteine esogene molto elevati dato che i virus sono 
“naturalmente” in grado di sequestrare l’intero apparato cellulare deputato alla 
traduzione per la propria replicazione (Chapman et al., 1992; Dawson et al., 1989; 
Sholthof  et al., 1993). 
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Il maggior vantaggio derivante dall’impiego di vettori basati su virus vegetali è che 
le piante rappresentano una delle fonti più economiche di biomassa per produzioni 
commerciali su larga scala. Inoltre, i virus vegetali hanno genomi di piccole 
dimensioni, facilmente manipolabili e si possono accumulare in grandi quantità nelle 
piante infette in un periodo di tempo relativamente breve. 
L’espressione epicromosomale mediata da vettori virali, inoltre, non risente dei 
cosiddetti “effetti di posizione”, dato che non si verifica l’inserzione del transgene 
nel genoma vegetale.  
Il problema maggiore associato all’uso di virus come vettori per l’espressione 
genetica è che non è pensabile una loro applicazione in campo per le difficoltà nel 
controllarne la diffusione. 
Per l’espressione transiente si utilizzano come vettori genomi di virus vegetali 
opportunamente ingegnerizzati; il gene di interesse può essere sostituito ad un gene 
virale  o inserito nel genoma virale sotto il controllo di un promotore virale duplicato. 
Il problema maggiore riscontrato con quest’ultima tecnica di ingegnerizzazione 
virale, è che il virus tende ad eliminare il gene esogeno tramite ricombinazione 
omologa. 
Un’altra strategia, ampiamente utilizzata, prevede la fusione della proteina 
ricombinante con la proteina di rivestimento virale in modo che la proteina di fusione 
sia espressa sulla superficie virale. Questo sistema risulta particolarmente utile per 
l’espressione di peptidi (Scholthof et al.,1996). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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COWPEA MOSAIC VIRUS PER LA PRODUZIONE DI 
PROTEINE RICOMBINANTI 
 
Il cowpea mosaic virus (CPMV) è membro del genere Comovirus. Si accumula ad 
alti titoli nel suo ospite naturale, il fagiolo dall’occhio (Vigna unguiculata), 
raggiungendo 1 mg di particelle per grammo di tessuto fogliare infettato. Il CPMV è 
in grado di infettare anche l’ospite sperimentale per eccellenza Nicotiana 
benthamiana. 
Il genoma del CPMV consiste in due molecole di RNA a filamento positivo: RNA1 e 
RNA2, incapsidate singolarmente, di 5889 e 3481 nucleotidi rispettivamente. 
Ciascun RNA contiene un singolo open reading frame (ORF) ed è espresso 
attraverso la sintesi e il successivo processamento da parte di una proteina 
precursore, la proteinasi 24K codificata da RNA1. 
RNA1 codifica per proteine  necessarie e sufficienti per la replicazione virale nelle 
cellule vegetali in quanto codifica per una RNA polimerasi RNA-dipendente, 
coinvolta nella replicazione virale, e per la proteinasi 24K, necessaria per il 
processamento della poliproteina virale.  
RNA2 codifica per le proteine strutturali virali: le proteine del capside (coat protein 
large L e small  S), la proteina di movimento virale (MP) e il cofattore richiesto per 
la replicazione di RNA2 (CR). 
Sono stati testati diversi approcci per sviluppare sistemi in grado di combinare i 
vantaggi dell’espressione transiente e stabile, attraverso l’integrazione di copie di 
cDNA virali nel genoma della pianta ospite. Tali costrutti sono stati definiti 
“ampliconi”  per la loro capacità di replicarsi autonomamente all’interno di una 
cellula vegetale. Questo approccio è stato utilizzato con il genoma del brome mosaic 
virus (BMV) e del potato virus x (PVX) per l’espressione di un gene reporter, 
determinando però bassi livelli di espressione della proteina eterologa e senza la 
manifestazione di sintomi virali. I motivi del basso accumulo della proteina di 
interesse è dovuto al fatto che la replicazione dell’RNA virale induce il meccanismo 
di post transcritional gene silencing (PTGS) da parte della pianta (Angell et al., 
1997). 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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È stato dimostrato che la trasformazione di N. benthamiana con entrambe le copie 
full-length degli RNA genomici del CPMV (RNA1 e RNA2) risultava nello sviluppo 
di una infezione virale  (Liu et al.,2004). Questi effetti venivano ottenuti sia se i due 
RNA venivano agroinfiltrati simultaneamente, sia per incrocio di linee transgeniche 
separate di RNA1 e RNA2. 
L’agroinfiltrazione di piante transgeniche per RNA2 con RNA1 porta all’infezione 
ma questo non avviene nell’esperimento reciproco. Questa complementazione 
assimetrica è stata attribuita al fatto che RNA1 agisce come amplicone i cui effetti 
inducono il post transcriptional gene silencing (PTGS). Questo effetto può essere 
eliminato dalla presenza di un soppressore di silencing virale codificato da RNA2 in 
corrispondenza della regione C-terminale della small (S) coat protein (Canizares et 
al., 2004; Liu et al., 2004). 
Successivamente è stato dimostrato che è possibile inserire sequenze eterologhe nella 
sequenza genica di RNA2 senza influenzarne la capacità di essere replicato da 
RNA1, questo ha reso possibile lo sviluppo di sistemi basati sul genoma bipartito di 
CPMV per l’espressione di proteine eterologhe (Usha et al., 1993; Lomonossoff and 
Hamilton, 1999; Gopinath et al., 2000). Sono stati realizzati diversi esperimenti su N. 
benthamiana utilizzando l’RNA2  full-lenght e versioni delete dello stesso portanti la 
green fluorescent protein (GFP). Piante di N. benthamiana trasformate con una 
versione full-lenght di RNA2 contenente la GFP, presentavano fenotipo identico al 
wild type e non mostravano fluorescenza se illuminate con luce UV. Quando queste 
piante venivano agroinfiltrate con RNA1 esse sviluppavano fluorescenza nell’area 
infiltrata (Canizares et al., 2005). 
Piante di N. benthamiana sono state trasformate con tre differenti costrutti recanti 
forme delete di RNA2, in cui sono state eliminate differenti porzioni 3’ dell’RNA, e 
in cui  è stato inserito il cDNA della GFP. Anche in questo caso le piante trasformate 
presentavano fenotipo identico al wild type e non mostravano fluorescenza se 
illuminate con luce UV. Diversamente dall’esperimento di trasformazione 
precedentemente descritto, in seguito ad agroinfiltrazione con RNA1 di tali foglie 
non si aveva un aumento della fluorescenza emessa. Tale fenotipo è atteso in quanto 
le regioni delete di RNA2 contengono, come descritto precedentemente, il 
soppressore di silencing del CPMV. In mancanza di tale soppressore la replicazione 
                                                                                                                    Introduzione 
 
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di RNA1 avvia un efficiente PTGS che limita drasticamente l’ammontare di replicasi 
disponibile per l’amplificazione dei costrutti basati sull’RNA2 (Liu et al.,2004). 
Questo effetto può essere eliminato agroinfiltrando contemporaneamente RNA1 e un 
soppressore di silencing. Sono stati testati differenti soppressori di silencing di 
origine virale: HcPro (PVY), p38 (TCV), ed è stato dimostrato che HcPro di PVY è 
il più potente. 
Il sistema basato sul CPMV ha quindi il vantaggio che lo stesso costrutto può essere 
utilizzato sia per l’espressione transiente che per la trasformazione stabile. 
Benché l’approccio costitutivo fornisca un elevato ammontare di tessuto fogliare da 
cui la proteina espressa può essere ricavata, l’opzione inducibile permette 
l’espressione di geni estranei anche quando questi hanno effetti negativi sulla crescita 
della pianta e non potrebbero quindi essere espressi ad alti livelli usando il sistema 
costitutivo. 
I sistemi basati sul CPMV offrono quindi un ampio range di opzioni per 
l’espressione di proteine eterologhe in planta, inoltre il fatto di poter utilizzare forme 
delete di RNA2 senza l’espressione della coat protein portanti la proteina di 
interesse, ha il vantaggio che nessuna particella virale viene prodotta e quindi 
vengono eliminati i problemi di contenimento.