INTRODUZIONE 
 
Argomento della presente tesi è la situazione generale dell’etnografia 
sovietica negli anni delle grandi purghe staliniane, vista attraverso gli 
studi sullo sciamanesimo compiuti da due antropologi russi: 
G. I. Ksenofontov e I. M. Suslov. 
Dopotutto, come scrive Znamenski nell’ultimo capitolo del suo “the beauty 
of the primitive”:  
il quadro dello sciamanesimo nell'immaginario moderno non è 
completo senza esplorare come il marxismo sovietico ha visto 
questo fenomeno e cosa è successo con lo sciamanesimo nella sua 
patria classica sotto il comunismo e oltre. 
(Znamenski A. , 2007) 
In modi e per motivi diversi, questi due autori hanno rappresentato due 
diverse facce dell’etnografia russa del secolo passato e pur essendo 
riconosciuti oggi come due autori di grande importanza, essi restano 
ancora non del tutto noti nel mondo accademico italiano; e i loro lavori 
sono in larga parte sconosciuti. 
Di sicuro, va ricordato che, come scrive Andrei Znamenski, che: 
La spiritualità dei nativi siberiani ha condiviso il destino di 
tutte le confessioni religiose nella Russia sovietica, compreso il 
cristianesimo, il buddismo tibetano e l'islam. Come queste e 
altre religioni, anche lo sciamanesimo ha visto il suo
spettacolare ritorno quando il sacro, lo spirituale e l'occulto 
sono entrati nuovamente nella vita russa negli anni '90, dopo il 
crollo del comunismo e della sua ideologia atea. (Znamenski A. 
A., 2007) 
In anni recenti, poi, la caduta dell’Unione Sovietica, ha prodotto 
«un “ritorno” delle popolazioni siberiane sul teatro globale dello 
sciamanesimo» (Botta, 2019) e questo processo sta andando avanti anche 
oggi. Esattamente cento anni fa, però, anche l’etnografia e lo studio delle 
religioni vivevano in Russia un periodo di tragico oscurantismo. 
Oggi è ampiamente riconosciuto, anche dagli autori più specializzati in 
americanistica, per esempio, che la Siberia rappresenta per lo 
sciamanesimo quello che il prof. Botta ha chiamato il suo “locus classicus” 
(Botta, 2019). 
gli sciamani sono un tipo di operatori rituali presenti presso 
diverse culture centro-asiatiche, ma in particolar modo presso i 
Tungusi, una popolazione autoctona della Siberia centro-
orientale (Hoppál, 1994) dal tunguso proviene infatti il termine 
šamān (Botta, 2019). 
Le storie degli etnografi presentati in questo studio gravitano intorno agli 
eventi della storia sociopolitica russa fra il 1927, anno di inizio del terrore 
staliniano, e il 1929, l’anno di maggior recrudescenza delle persecuzioni 
religiose (Montanari & Zakery, 2021). 
Questo lavoro si articola in quattro capitoli, di cui il terzo e il quarto 
costituiscono il fulcro.
Nel capitolo primo sarà presentata un’introduzione alla Russia in 
generale, con un particolare riguardo verso la storia del paese, 
l’espansione a oriente dei monti Urali e l’incontro con le culture autoctone 
dello spazio Siberiano. 
Il capitolo secondo mostrerà brevemente alcuni esempi di ciò che il terrore 
staliniano ha rappresentato per le scienze in generale e per l’etnografia in 
particolare, introducendo il discorso sulla figura di Gavriil Vasil’evič 
Ksenofontov, che sarà argomento del capitolo terzo.  
In relazione a Ksenofontov, in appendice a questo lavoro verranno 
riportate la traduzione di un intero capitolo di quello che fu 
probabilmente il suo principale lavoro: “Uraangkhai-Sakhalar”, così come 
anche quella di un breve brano tratto da “Leggende e racconti sugli sciamani, 
presso gli jakuti, i buriati e i tungusi”. Già in queste poche pagine si vedrà 
come rari siano i veri attacchi portati allo sciamanesimo da questo 
importante Autore e, al contempo, nel capitolo a lui dedicato si cercherà di 
mostrare fino a che punto, invece, la designazione di quest’uomo quale 
“nemico del popolo” non sia realmente dipesa dalla sua posizione 
scientifica ma dalle sue posizioni politiche.  
Ksenofontov fu una figura importante per la Siberia che cercava di 
costruirsi come entità politica. Una entità che però, ha perso senza colpo 
ferire la lotta contro l’entità politica russa che già da secoli si era forgiata 
proprio grazie alle fiamme del confronto culturale con le molte alterità 
siberiane, mongole, turcomanne ed europee. Alla fine, la posizione di 
“poca fede” mostrata da Ksenofontov fu nient’altro che il pretesto per 
porre fine a una storia che dal punto di vista umanistico e culturale era
dissonante con la modulazione sociale di Mosca e che, dal punto di vista 
dell’attivismo politico era invece già stata fin troppo materialistica in senso 
oppositivo a quella stessa visione del mondo. 
Nel quarto capitolo, infine, seguirà una presentazione di Innokentij 
Mikhailovič Suslov partendo dalla narrazione della vita di suo nonno, 
missionario ortodosso di Turukhansk e di suo padre, anch’egli divenuto 
prete missionario.  
Qui si prenderanno in considerazione alcuni articoli di antropologi 
contemporanei, quali ad esempio David G. Anderson e altri in relazione 
alla figura di Suslov e al ruolo a lui spesso associato di uno fra i massimi 
oppositori dello sciamanesimo.  
La domanda che ci si pone è come è perché un autore come Innokentij M. 
Suslov abbia potuto mettere la conoscenza etnografica al servizio 
dell’antropologia politica insita nella mentalità sovietica degli anni 
staliniani.  
In questo lavoro, si cercherà di definire i contorni di una vita che ha dato sì 
la luce a lavori quali “Šamanstvo i bor’ba s nim” [lo sciamanesimo e la lotta 
contro di esso] e “Šamanstvo kak tormoz socialističeskogo stroitelʹstva” 
[Sciamanesimo come freno alla costruzione socialista] ma che, forse, in verità, 
ha creato questi lavori non di propria volontà ma sotto la pressione 
politica in cui questo autore viveva. In questo quarto capitolo, si porterà 
alla luce un documento (conservato negli archivi privati della famiglia 
Suslov) in cui si potrà leggere la dura redazione a un articolo richiesto a 
Suslov a fini propagandistici e si potrà forse capire fino a che punto, anche
alla luce della storia personale e familiare del nostro Autore, questa 
redazione possa essere apparsa allarmante per Suslov stesso. 
L’articolo era stato richiesto dalla redazione della più importante rivista di 
propaganda antireligiosa russa ed è relativa proprio al lavoro che sarebbe 
stato intitolato (da Suslov stesso? Dal redattore? Probabilmente dal 
redattore stesso e dalla sua redazione) “lo sciamanesimo e la lotta contro di 
esso”, passando alla storia come uno dei massimi attacchi allo 
sciamanesimo in quanto sistema di credenze e, soprattutto, in quanto 
funzione sociale.
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CAPITOLO 1 – Russia e Siberia. Etnografia e 
sciamanesimo 
In questo primo capitolo introduttivo daremo uno sguardo alla storia della 
Russia e dell’Unione Sovietica, pur senza focalizzarci troppo sulle dinamiche 
interetniche fra i russi e i popoli siberiani. Vedremo in breve come la Russia 
cristiana sia entrata in contatto con la Siberia e come questa, in definitiva, sia 
stata quasi un’invenzione della cultura russa costruita con specifici intenti 
socioculturali. Fatto brevemente ciò, nel prossimo capitolo parleremo della 
repressione delle scienze durante il terrore staliniano per poi concentrarci 
sull’opera dei due etnografi sui quali questo studio è incentrato: Gavriil V. 
Ksenofontov e Innokentij M. Suslov. 
La Russia cristiana e zarista e la Russia Sovietica 
La storiografia fa risalire la cristianità russa alla conversione di Vladimiro I, 
detto poi “il Santo”, o anche “il Grande”; principe della Rus’ di Kiev che si 
convertì al cristianesimo nel sec. X (probabilmente nel 988), facendo altresì 
battezzare nelle acque del fiume Dnepr la sua famiglia, il corpo delle guardie 
e la popolazione di Kiev. 
La fama di Vladimiro I il Santo è legata principalmente ai suoi 
rapporti con Bisanzio e soprattutto alla sua conversione al 
cristianesimo, che si rivelò di enorme significato, ben più duraturo 
delle contingenze politiche e culturali che l'avevano promossa. 
(Riasanovsky, 2005)
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Bisogna dire che in ogni caso, la chiesa cristiana era già presente nelle terre 
russe da almeno cento anni. Pare infatti che una diocesi russa della chiesa 
bizantina sia esistita già nell'867, benché non tutti gli studiosi siano d’accordo 
sulla data (Riasanovsky, 2005). In ogni caso, secondo antiche testimonianze, 
si sa per esempio che i monaci del “Monastero delle Grotte” a Kiev 
compivano autentici atti di “eroismo ascetico” al fine di mostrare alla 
popolazione la superiorità della fede cristiano-ortodossa e lo facevano spesso 
in diretta competizione con i rappresentanti della fede di rito latina come 
anche del cristianesimo armeno, dell’ebraismo e persino con gli sciamani 
(Bushkovitch, 2012).  
Ovviamente, la cristianità ha un ruolo preminente nella società russa sin 
dalla sua costituzione come entità sociale unica. La “comunità immaginata” 
dai russi del secolo scorso (volendo usare la famosa e potente locuzione di 
Benedict Anderson), come anche quelli di oggi seppur in misura minore, è 
sin dai suoi primordi una società profondamente cristiana. Prima c’erano i 
variaghi del Nord stanziatisi nelle pianure a occidente degli Urali, con la loro 
cultura scandinava; poi, il battesimo di Vladimiro I segnò quell’evento 
seminale che fondò una nuova entità sociale, distinta da quella scandinava.  
Da questo momento in avanti, la cristianità ortodossa russa avrebbe dovuto 
confrontarsi con le fedi dei popoli indigeni precedenti le migrazioni variaghe 
nella stessa misura in cui, a ogni piè sospinto verso oriente i russi si 
imbattevano in lingue, stili di vita e concezioni religiose diverse. Se a 
occidente questi dovevano interfacciarsi con i popoli cristiani dell’Europa 
centrale e orientale e a sud con la cultura greca e bizantina; a oriente essi 
trovavano i popoli nomadi turco-mongoli e poi l’Orda d’Oro.