Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
IV
Parte prima: l’ei)/dwlon)/)/)/ ...  
Per capire che cosa sia un ei)/dwlon, non si può prescindere dallo studio di Jean-
Pierre Vernant che, nel suo libro Mito e pensiero presso i Greci
1
,  dedica un capitolo 
allo studio della “figurazione dell’invisibile e della categoria psicologica del 
doppio”. Egli vuole dimostrare come i Greci abbiano tradotto in una forma 
visibile alcune potenze dell’aldilà, che di per sé appartengono invece al dominio 
dell’invisibile; per fare questo prende le mosse dal kolosso/j, la statua, termine 
che, ricollegandosi alla radice kol-, indica qualcosa di eretto e fissato al suolo: 
infatti la fissazione al suolo, l’immobilità caratterizzano il kolosso/j nella sua 
essenza, una statua-pilastro. 
Questi idoli si possono trovare nelle tombe al posto del cadavere
2
, e in tale caso 
rappresentano il cadavere assente; oppure eretti sopra la tomba vuota, in un 
luogo appartato e deserto
3
, per  celebrarvi attorno i riti di evocazione del morto, e 
in questo caso la funzione del kolosso/j è quella di permettere un contatto fra 
vivi e defunto: attraverso di esso la yuxh/ del morto, quest’ombra che al 
momento della morte abbandona la persona per rifugiarsi nell’Ade, può risalire 
alla luce del giorno e manifestare la sua presenza agli occhi dei vivi, presenza che 
                                                           
1
 VERNANT, Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, trad. it. Torino, Einaudi, 
1970, in particolare pp. 343-358.  
2
 Per esempio a Midea, in un cenotafio del XIII secolo si sono ritrovati, invece di scheletri, due 
blocchi di pietra giacenti al suolo, cfr. VERNANT, Mito e pensiero… cit., p. 344. 
3
 Così a Fliunte e Lebadea, cfr. VERNANT, Mito e pensiero… cit., p. 345. 
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Introduzione. 
 
V
però è anche “il segno di un’assenza: dandosi a vedere sulla pietra, il morto si 
rivela nello stesso tempo come non appartenente a questo mondo”
4
. 
Per meglio comprendere la funzione e il significato simbolico del kolosso/j, 
Vernant cita due iscrizioni ritrovate a Cirene. La prima contiene il testo della 
legge sacra sull’accoglienza dei supplici venuti dall’estero
5
: al paragrafo 18 di 
questa legge è contemplato il caso in cui sia morta la persona dalla quale il 
supplice si dichiara protetto; se il padrone della casa in cui il supplice è accolto 
non sa il nome del mandante, deve pronunciare la formula “Umano, donna o 
uomo che tu sia” e poi, plasmati due kolossoi/, uno di uomo e uno di donna, 
di legno o di terra, accoglierli in casa e alla propria mensa. Compiuto questo rito 
di ospitalità, il padrone di casa deve prendere i kolossoi/ e piantarli nel terreno 
in un bosco non tagliato, lasciando accanto a loro le porzioni di cibo. Questo rito 
permette di mettersi in regola con l’anonimo defunto, che ha inviato il supplice, e 
di allontanarlo in seguito da casa. 
La seconda legge di Cirene citata da Vernant riproduce il testo del giuramento 
che sancisce i reciproci obblighi dei coloni che partono per Cirene e dei 
concittadini che restano a Tera
6
. Il giuramento deve essere praticato in questo 
modo: si plasmano dei kolossoi/ di cera e poi li si getta nel fuoco per farli 
liquefare, pronunciando la formula “colui che non manterrà fede a questi 
                                                           
4
 VERNANT, Mito e pensiero... cit., p. 346. 
5
  SEG, IX, 72. 
6
  SEG, IX, 3. 
 
 
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Introduzione. 
 
VI
giuramenti ma li violerà, si liquefaccia e scompaia come il kolosso/j, lui e la 
sua famiglia e i suoi beni”
7
. Il kolosso/j ha funzione, in questo caso, di 
proiettare i vivi nel mondo dei morti qualora non prestino fede ai  giuramenti. 
Vernant nota che, in entrambi i casi, il kolosso/j appare essere un “doppio”: 
esso è una delle forme che può prendere la yuxh/, l'anima del defunto, quando 
si rende visibile agli occhi dei vivi e presente nel loro mondo. 
Nel rituale dei supplici, infatti, si stabilisce col morto sconosciuto un legame di 
ospitalità: la yuxh/ del morto risale alla luce e tramite il kolosso/j, suo 
“doppio”, si fissa all'interno della casa; una volta terminato il pasto comune si 
allontana da casa la yuxh/, segno della presenza del morto, fissando la statuetta 
alla terra. Nel caso del giuramento, invece, i vivi votano se stessi alla morte se 
saranno spergiuri: i kolossoi/ rappresentano i vivi sotto forma di “doppi”, è un 
simbolo di se stessi che i coloni lanciano nel fuoco. 
 
Entrambi questi fenomeni, kolosso/j e yuxh/, appartengono a una categoria 
più ampia, alla quale si applica il termine di ei)/dwla, immagini, che comprende 
anche l’immagine del sogno (o)/neiroj), l’ombra (skia/) e l’apparizione 
soprannaturale (fa/sma). Tutti questi fenomeni, nella cultura della Grecia arcaica, 
sono percepiti dalla mente nel medesimo modo e hanno lo stesso significato: 
                                                           
7
 SEG, IX, 3, r. 46-48,  to\m mh\ e)mme/nonta tou/toij toi=j o(rki/oij a)lla\ parbew=nta 
katalei/besqai/ nin kai\ katarre\n w(/sper to\j koloso/j, kai\ au)to\n kai\ go/non 
kai\ xrh/mata. 
 
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Introduzione. 
 
VII
“perciò è lecito parlare… d’una vera e propria categoria psicologica, la categoria 
del doppio”
8
. 
Un doppio, un ei)/dwlon, inteso in questo senso, non è dunque né un’entità 
oggettiva né un prodotto soggettivo della mente, ma è una realtà esterna al 
soggetto che, nella sua stessa apparenza, si oppone agli oggetti consueti della vita: 
si rivela, contemporaneamente, presente nella realtà ma estraneo a essa, in quanto 
appartenente a un altro mondo, inaccessibile. 
Un esempio esplicativo di questo tipo di fenomeni si trova nell’Iliade, quando 
Achille vede, mentre sta dormendo, il suo amico defunto
9
. L’immagine che 
Achille vede è, come nel caso del sogno, in piedi sopra la sua testa, ma non si 
tratta di un sogno, bensì della yuxh/ stessa di Patroclo che viene a rimproverare 
l’amico perché trascura i suoi funerali: l’ei)/dwlon è del tutto simile a Patroclo in 
persona, nella statura, negli occhi belli, nella voce e persino nelle vesti, ma 
quando Achille tenta di abbracciarlo si rivela inconsistente come il fumo, come 
un’ombra. 
Vernant cita anche alcuni altri esempi per esplicare la funzione simbolica del 
kolosso/j: nell’Alcesti di Euripide
10
, quando la protagonista si accinge a 
scendere negli Inferi, il marito Admeto promette che si farà costruire un’effigie di 
                                                           
8
 VERNANT, Mito e pensiero… cit., p. 348. 
9
 Iliade,  XXIII, 59-107. 
10
 EURIPIDE, Alcesti, vv. 348-356. 
 
 
 
 
 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
VIII
lei per poterla tenere fra le braccia durante la notte, chiamando il suo nome: 
crederà che lei sia presente, benché assente
11
 e, in questo modo, placherà il suo 
rimpianto; Apollodoro
12
 narra che Laodamia, la moglie di Protesilao, dopo la 
morte del marito, aveva modellato un ei)/dwlon di lui e ogni notte si univa a lui, 
finché gli dei ebbero pietà di lei e fecero risalire il marito dall’Ade per qualche 
tempo. 
In questi esempi, Vernant sottolinea il fatto che sempre il “doppio”, l’ei)/dwlon, 
serve per placare il dolore di un’assenza reale e sempre costituisce un legame, un 
collegamento fra il mondo dei vivi e quello dei morti. 
 
Kolosso/j e  yuxh/, fisso e immobile l’uno, volatile e inafferrabile l’altra, si 
oppongono entrambi al normale stato umano, alla normale andatura che sta nel 
mezzo fra immobilità e volatilità; si oppongono soprattutto, entrambi, al mondo 
umano del “visibile”: il vivo scompare dall’universo luminoso umano e fa il suo 
ingresso, sotto forma di yuxh/, nel buio mondo di Ade, diventando perciò 
invisibile agli altri uomini; il kolosso/j è un blocco di pietra cieco, dagli occhi 
vuoti, incapace di vedere e per questo rappresentante il mondo della notte.    
Kolosso/j e  yuxh/ sono fenomeni dai tratti antitetici: il primo è solido e 
presente nel punto in cui è stato conficcato nel terreno, materiale come il corpo 
umano, non lo rappresenta però nelle sue fattezze: è un doppio che sottolinea la 
                                                                                                                                                                    
 
11
 EURIPIDE, Alcesti, v. 352, kai/per ou)k e)/xwn e)/xein. 
12
 APOLLODORO, Epitome, III, 30. 
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Introduzione. 
 
IX
totale alterità della forma attuale di morto rispetto a quella che aveva il vivo; 
l’altra è invece completamente somigliante alle fattezze del morto, del tutto 
identica a lui, ma totalmente inconsistente e inafferrabile: un doppio perfetto 
dell’uomo, che però è un’ombra. 
Kolosso/j e  yuxh/ sono perciò complementari l’uno all’altra, come rivela il 
rito che li accomuna: conficcando la pietra nel suolo si vuole localizzare e fissare 
questa inafferrabile yuxh/, che è ovunque e in nessun luogo. A questo proposito, 
Vernant cita la storia di Atteone, nella versione che ci offre Pausania
13
: poiché lo 
spettro di  Atteone, morto senza essere stato sepolto, vaga devastando il territorio 
e seviziando la popolazione, l’oracolo di Delfi comanda di costruire un’effigie del 
morto e di attaccarla con catene alla pietra su cui si manifestava la presenza dello 
spettro, per placare, con questo rito, l’anima di Atteone e per privarla della 
possibilità di perseguitare gli uomini, fissandola in un luogo determinato.  
Si vede a questo punto che il kolosso/j ha anche un valore fattuale e operativo: 
serve ad attirare e a fissare un doppio, una yuxh/, che si trova in condizioni 
anormali, permettendo di ristabilire, fra il mondo dei morti e quello dei vivi, dei 
rapporti normali e corretti. 
 
                                                           
13
 PAUSANIA, IX, 38, 5. 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
X
Vernant giunge quindi alla conclusione che il kolosso/j ha una duplice 
funzione: quella di tradurre in forma visibile la potenza e l’anima del morto e, allo 
stesso tempo, quella di inserire tale potenza nell’universo dei vivi, in un modo che 
sia conforme all’ordine. Come ogni segno religioso, il kolosso/j non mira 
soltanto a evocare nella mente degli uomini la potenza sacra alla quale rinvia, ma 
serve anche e soprattutto a stabilire una vera comunicazione con essa, a inserirne 
la presenza nell’ambito umano.  
 
L’ei)/dwlon, con l’aiuto di Vernant, è stato definito come quella categoria di 
fenomeni che hanno la caratteristica di doppi visibili, di immagini di un individuo 
assente, grazie ai quali si riesce a stabilire una comunicazione con esso: anche 
Eschilo, nel suo teatro, mette in scena alcuni ei)/dwla, doppi di personaggi più o 
meno definitivamente assenti. 
L’ei)/dwlon di Dario
14
 viene evocato nei Persiani dalla regina Atossa, affinché 
consigli il popolo persiano nella difficile situazione che sta vivendo: Dario è 
lontano dall’universo umano, è possibile per lui ritornarvi solamente per pochi 
attimi, quando viene evocato, in forma di “doppio”, di fantasma, ombra 
proveniente dall’Ade.  
Allo stesso modo, nelle Coefore, Agamennone
15
 è ormai morto, ucciso con 
l’inganno dalla moglie: anch’egli è assente in modo definitivo dal mondo dei vivi, 
                                                           
14
 Cfr. capitolo 2.1, pp. 23-41. 
15
 Cfr. capitolo 2.2, pp. 42-60. 
 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
XI
ma è possibile per i suoi figli, Elettra e Oreste, pregarne e invocarne l’ei)/dwlon, 
la sua ombra, anche se essa non apparirà effettivamente al di sopra della tomba. 
Clitemnestra
16
 entra in scena, nell’esordio delle Eumenidi, come spettro, per 
rimproverare le Erinni, pigre nel compiere il loro dovere: vendicarsi del suo 
uccisore, il figlio Oreste.    
Questi esempi di ei)/dwla sono accomunati dal fatto di essere tutti doppi di 
personaggi ormai morti, per sempre e definitivamente allontanati dal mondo dei 
vivi, immagini visibili dell’individuo defunto, della sua yuxh/: anche la presenza 
degli ei)/dwla di Elena
17
, ricordati nell’Agamennone, è segno di un’assenza, ma in 
questo caso essa non è definitiva, come nei casi precedenti, poiché Elena non è 
morta, ma soltanto fuggita dal palazzo del marito, non è lontana dal mondo dei 
vivi, dall’universo umano, ma semplicemente si trova in un luogo diverso, lontana 
solamente dall’amore del marito. È proprio la forza di tale amore e del rimpianto, 
del po/qoj che esso porta con sé, a far sì che la casa di Menelao si riempia dei 
doppi della sua sposa assente. 
                                                                                                                                                                    
 
16
 Cfr. capitolo 2.3, pp. 61-72. 
17
 Cfr. capitolo 1, pp. 1-11. 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
XII
Parte seconda: altre forme del doppio e della duplicità. 
Come abbiamo detto, le altre forme della duplicità che Eschilo porta sulla scena 
si relazionano con la realtà, da un lato perché ne sono un’anticipazione, come nel 
caso dei sogni profetici, dall’altro perché sono un modo di rappresentare il “due”, 
come nel caso delle coppie formate dai personaggi. 
I sogni profetici, visioni notturne che appaiono al dormiente, sono una 
duplicazione, in forma allegorica e simbolica, della realtà che avverrà, e questa 
loro funzione premonitoria è molto chiara, ma sono anche intimamente legati alle 
emozioni profonde del dormiente; nel caso di Eschilo, le destinatarie di tali sogni 
sono due donne, due regine, Atossa
18
 e Clitemnestra
19
, che provano emozioni 
angosciose nei confronti della realtà che stanno sognando: le emozioni e i 
sentimenti del sognatore, pur non essendo in grado di creare il sogno, comunque 
proveniente dall’esterno, predispongono il sognatore stesso ad accogliere alcuni 
sogni piuttosto che altri. Il sogno, perciò, si configura anche come duplicazione e 
raffigurazione delle emozioni e delle preoccupazioni del sognatore, le svela nel 
loro significato più profondo. In entrambi i casi, i sogni annunciano che si 
avvereranno le rispettive angosce nel momento stesso in cui i semi di tale 
inveramento sono già stati gettati: il sogno è doppio della realtà non soltanto 
perché la precede, ma anche perché la mostra mentre si sta già predisponendo ad 
avverarsi. Per questo duplice legame, da un lato con il futuro, dall’altro con le 
                                                           
18
 Per il sogno di Atossa, cfr. capitolo 3.1, pp. 80-86. 
19
 Per il sogno di Clitemnestra, cfr. capitolo 3.2, pp. 87-97. 
 
 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
XIII
emozioni, il sogno è in grado di mettere in relazione queste due realtà e di 
dimostrare che esse hanno il medesimo oggetto: l’interpretazione del sogno, che 
sempre si mostra sotto forma allegorica, è vera - e il sogno si avvererà in quella 
direzione - nel momento in cui essa rispecchia e riecheggia la vita emotiva del 
sognatore ed è consonante con essa. 
 
Come abbiamo detto, la coppia è un modo di rappresentare l’essere “due” nella 
realtà, poiché una coppia è formata da due elementi omogenei, che possono 
essere l’uno il doppio dell’altro, ma anche l’uno l’opposto dell’altro. Essi 
rappresentano, reciprocamente, sia l’Identico, ciò che è “uguale a me”, sia l’Altro, 
ciò che è “diverso da me”: i due elementi di una coppia non hanno un’identità 
personale ma, appunto, di coppia; allo stesso tempo, però, è all’interno di un 
insieme composto da due elementi che si sperimenta la diversità, l’Altro, il 
diverso da sé.  
In questo contesto, coppie esplicative di due modi differenti di relazionarsi al 
problema dell’identità nella diversità, sono quelle formate, da un lato, da Eteocle 
e Polinice
20
 e, dall’altro, da Prometeo e Io
21
: la coppia fraterna, infatti, sperimenta 
prima la diversità radicale e poi l’identità completa, senza trovare uno spazio per 
un rapporto che preveda, allo stesso tempo, differenze e somiglianze meno 
radicali e meno letali; Prometeo e Io, invece, formano una coppia che si incontra 
                                                           
20
 Cfr. capitolo 4.1, pp. 122-144. 
21
 Cfr. capitolo 4.2, pp. 145-159. 
 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Introduzione. 
 
XIV
per un breve momento sulla scena eschilea: essi sono simili e, allo stesso tempo, 
diversi; simili sono la loro storia, la loro funzione nell’illustrare e nel sottolineare 
l’importanza delle istituzioni socio-politiche e il loro stato di marginalità, ma sono 
anche, reciprocamente, l’Altro, il diverso da sé. Ed è, come vedremo, proprio 
questo percorso di integrazione e assimilazione nel rispetto delle reciproche 
divergenze, ciò che li porta a alla reintegrazione nella società e alla “saggezza”. 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Capitolo I. 
 
1
CAPITOLO I 
GLI ei)/dwla)/)/)/  DI ELENA NELL'AGAMENNONE. 
 
Il Coro, nel Primo Stasimo dell’Agamennone, dopo aver appreso dalla regina 
Clitemnestra in persona che le fiaccole, segnali della vittoria dei Greci su Troia, 
stanno brillando, ringrazia Zeus per aver punito Paride: egli aveva infatti violato 
la mensa ospitale degli Atridi col ratto della sposa di Menelao, Elena. Il Coro 
ricorda poi le parole dei Profeti della casa, che prendono coscienza prima di tutti 
del disastro che provocherà la fuga di Elena nel momento in cui gli Atridi, che 
ancora l’ignorano, ne saranno informati:  
po/qwi d' u(perponti¿aj        
fa/sma do/cei do/mwn a)na/ssein! 
eu)mo/rfwn de\ kolossw=n            
eÃxqetai xa/rij a)ndri¿,        
o)mma/twn d' e)n a)xhni¿aij             
eÃrrei pa=s'  ¹Afrodi¿ta.             
o)neiro/fantoi de\ penqh/monej                                          
pa/reisi do/cai fe/rou-            
sai xa/rin matai¿an!     
ma/tan ga/r, euÅt' aÄn e)sqla/ tij dokou=nq / o(ra=i, 
paralla/casa dia\     
xerw½n be/baken oÃyij, ou) mequ/steron         
pteroiÍj o)padou=s' uÀpnou keleu/qoij. 
Per il rimpianto di colei che ha varcato il mare, un fantasma sembrerà 
regnare sulla casa. La grazia delle belle statue è odiosa al marito, nel 
vuoto degli occhi se ne va ogni gioia d'amore. 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Capitolo I. 
 
2
Si presentano immagini che appaiono nel sogno, dolorose, che 
apportano un piacere vano: vanamente infatti, quando un uomo crede di 
vedere immagini liete, la visione sfuggendogli tra le mani se ne va, non 
seguendo più le alate vie del sonno. 
(vv. 414-426) 
 
A causa del rimpianto, del desiderio, della nostalgia che Menelao prova da 
quando la sua sposa è fuggita, il palazzo si riempie di ei)/dwla di Elena: essa 
appare come fa/sma che regna sulla casa; appare nei sogni di Menelao, visione 
dolorosa in quanto vana e priva di sostanza; appare nei kolossoi/, che a causa 
della sua fuga hanno perso ogni bellezza agli occhi del marito. 
Si parla qui, dunque, di tre forme di doppio di Elena: tali doppi sono sostituti, per 
Menelao, della sposa fuggita, ma hanno l'effetto di rendergli più sensibile e 
insopportabile il vuoto lasciato da Elena: infatti, nessuna di queste immagini 
sostitutive possiede la consistenza e lo splendore di Elena, manca loro quella 
xa/rij, quella radiosità che fa di Elena una donna vera. 
Fa/sma, kolossoi/, o)neiro/fantoi, tutte queste forme di doppio portano a 
Menelao la delusione di una presenza che si mostra solo per sottrarsi, una 
presenza che è sempre e contemporaneamente segno di una ben più reale 
assenza. 
 
Nell’Introduzione, abbiamo visto come i kolossoi/ servissero da tramite fra il 
mondo dei vivi e quello dei morti: essi hanno la funzione di rendere visibile la 
yuxh/ del defunto nel mondo umano. Nel caso di Elena non si tratta però 
Chiara Ghidelli, matr. 554476. Tesi di Laurea in Lingua e Civiltà greca, “Forme della duplicità nella drammaturgia eschilea”. 
Capitolo I. 
 
3
dell’anima di una persona defunta che venga a riempire di sé la casa nella quale ha 
abitato: sebbene lontana, fuggita con Paride, non presente nella casa del marito, 
Elena è tuttavia viva.  
È interessante, perciò, chiedersi che cosa siano gli eu)/morfoi kolossoi/ del 
verso 416 e che cosa rappresentino. 
Vernant
1
 pensa che il termine possa essere tradotto con “figurine di 
sostituzione”, sottolineando il fatto che tali figurine erano usate dalla magia 
amorosa per evocare l’assente, così come lo erano nei riti di evocazione del 
morto, e riconduce la sua interpretazione a uno studio di Charles Picard
2
. 
Picard sostiene che, in questo passo, Elena appare come una regina scomparsa, 
simile a un fantasma dell'oltretomba: Menelao, dopo la fuga della sua sposa, fece 
costriure delle “effigies qui la remplacent”, delle statue che riproducono le 
fattezze di Elena (dando il senso di “esattamente simile” all’aggettivo 
eu)/morfoj
3
) e che sono presenti nella casa al suo posto; i kolossoi/ sono, 
infatti, un doppio della regina assente, immagini evocatrici della sua yuxh/, come 
un doppio di Alcesti è la statua che Admeto, nell’Alcesti di Euripide
4
, dice di voler 
fare costruire quando la moglie si accinge a scendere nell’Ade, per poter avere 
almeno l’illusione della sua presenza. 
                                                           
1
 Nel capitolo relativo al kolosso/j del suo libro Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia 
storica, trad it. Torino, Einuadi, 1970 (cfr. Introduzione, pp. IV-XI). 
2
 Charles PICARD, “Le cénotaphe de Midéa et les colosses de Ménélas”, in Révue de philologie, 
1933, pp. 341-354. 
3
 Picard ricorda, a questo proposito, che la parola è usata anche al v. 454 relativamente ai cadaveri che 
sono seppelliti “intatti” sotto le mura di Troia. 
4
 EURIPIDE, Alcesti, vv. 348-356.