I. INTRODUZIONE 
Una giovane donna vestita semplicemente, i capelli biondi sciolti sulle 
spalle, lo sguardo mesto rivolto verso terra e le mani che raccolgono 
pudicamente la veste – per proteggersi, per non far sporcare la veste, forse. ¨ 
lei, Alcesti, colta nella sua solitudine e avvolta in un riserbo che sa di 
1
fierezza. Ha già fatto la sua scelta? Sente l’alito freddo della morte che si 
avvicina? Oppure è appena tornata dal regno dei morti e sta aspettando che 
passi il tempo rituale per parlare di nuovo ai suoi cari? 
Queste sono solo alcune delle domande che il dipinto pone allo spettatore, e 
la scelta di ritrarre Alcesti senza la presenza consueta di Admeto, dei servi in 
lacrime e dei figli attaccati alla veste, fa risaltare ancora di piø l’isolamento 
della sua figura, cristallizzata nel perenne confine tra la vita e la morte. 
Le direttrici lungo le quali scorre la favola – perchØ, prima di essere un mito, 
la storia di Alcesti è soprattutto una favola- sono infatti proprio queste, la 
vita e la morte: desiderio dell’una, paura dell’altra e la continua aspirazione 
umana a superare i limiti imposti dalla fine (basti pensare al mito Orfeo, per 
restare in terra ellenica). 
Tuttavia Alcesti si spinge oltre perchØ, lungo queste linee principali, si 
inserisce un gesto, quell’atto estremo che va contro l’istinto umano e che 
scandalizza, meraviglia, commuove: la decisione di rinunciare alla propria 
vita per qualcun altro, di sacrificare se stessa, i propri affetti, la propria 
giovinezza scegliendo una strada dalla quale – forse – non si può tornare 
indietro. 
Il mito di Alcesti non era una novità, nell’Atene del V secolo. Variamente 
declinato, era presente dalla Grecia all’Armenia, dalla Turchia al Baltico: in 
area mediterranea in particolare, è frequente il tema della sposa fedele che si 
1
 Charles Fairfax Murray, (1849-1919), Alcesti, in www.artnet.com. La storia di Alcesti è 
ritratta in numerosi dipinti, e sicuramente degna di attenzione è anche la ricca produzione di 
fotografie di scena prese dai diversi allestimenti teatrali su o da Alcesti, ma il dipinto 
preraffaellita è uno dei pochi a rappresentare l’eroina da sola, senza gli altri personaggi 
intorno, e soprattutto senza una precisa connotazione temporale. Il solo titolo –Alcesti, 
appunto – dirada per lo spettatore la nebbia dell’incomprensione sul soggetto, così come, in 
seguito, sarà solo una citazione piø o meno indiretta dell’autore a collegare il mito greco con 
le varie rielaborazioni novecentesche. 
3 
sacrifica per il marito. Il sacrificio può essere il dono assoluto della vita – 
come per l’eroina greca – o una piø modesta dilazione tramite l’offerta di 
una parte degli anni assegnati dal destino. 
Ancora nella Grecia moderna ci sono ballate popolari che rivivono il mito 
cantando la storia del povero Gianni, che chiede l’intercessione addirittura di 
san Gregorio per qualche anno in piø. La generosa offerta della giovane 
moglie accontenta il tenebroso Caronte, e la festa di nozze continua come se 
2
nulla fosse successo. 
La ballata, però, così come la favola primordiale, non lascia spazio alla 
discussione, al contrasto: bisognerà aspettare la messa in scena di Euripide 
per vedere che ciò che nella favola, in quanto narrazione fantastica, appariva 
del tutto normale, una volta drammatizzato rivela invece tutta la sua 
ambiguità e contraddizione. 
In Euripide, infatti, definito da Aristotele “il piø tragico dei tragici”, il 
sacrificio di Alcesti pone una serie di interrogativi con i quali il pubblico 
ateniese del V secolo è chiamato a confrontarsi: qual è il prezzo di una vita? 
Ce ne sono alcune che valgono piø di altre? In che modo l’amore coniugale 
può vincere la morte? 
Euripide riprende il racconto popolare, ma lo trasforma, ponendo al centro 
della storia non piø un fato che determina casualmente gli eventi, ma la 
creatura umana, con la sua piena individualità, il suo mondo psichico, i suoi 
sentimenti. L’uomo euripideo è disposto a mettere tutto in discussione, fino a 
quel gesto estremo – il sacrificio della propria vita – che lo spettatore non 
può e non deve accettare senza porsi domande. 
La libertà, l’amore, il senso dell’esistenza umana sono i concetti 
fondamentali della tragedia in Euripide: la mia analisi del testo greco, oltre a 
sviscerare i personali motivi che spingono Alcesti al sacrificio e le reazioni 
che questo scatena negli altri personaggi, si configura come il tentativo di 
2
 Per la ballata neogreca cfr. MARIA PIA PATTONI, Le metamorfosi di Alcesti, dall’archetipo alle sue 
rivisitazioni, ,in Sacrifici al femminile – Alcesti in scena da Euripide a Raboni, a cura di M. P. Pattoni e 
R. Carpani, Comunicazioni sociali – rivista di media, spettacolo e studi culturali, n.3, sett-dic 2004, Anno 
XXVI Nuova Serie, pag 279 ss. 
Ho anche chiesto ulteriori informazioni al professor Franco Fabbri, docente all'Università di Torino, 
chairman della IASPM (International Association for the Study of Popular Music) e redattore di 
"Musica/Realtà" e del comitato scientifico della collana "Le sfere". 
4 
mettere in luce il significato profondo di questo tema mitico, così importante 
da essere ripreso nel corso dei secoli da decine di autori. 
Il mito di Alcesti, infatti, conosce un vero e proprio percorso di riscrittura 
che attraversa, a volte cambiandolo profondamente, tutti i secoli successivi 
ad Euripide, fino ad arrivare al Novecento, con il suo bagaglio di 
interrogativi esistenziali. 
Tra i vari autori Alfieri, Wieland, Browning, Savinio, Wilder, solo per fare 
qualche nome. Autori che hanno ripreso la storia di Alcesti e, 
contestualmente al loro periodo storico e alla loro sensibilità artistica, hanno 
privilegiato degli aspetti a scapito di altri, spesso semplificando la 
complessità della tragedia euripidea in favore di una sostanziale parzialità 
dello sguardo. 
Basti pensare ad Alfieri o Wieland: il primo, nella sua Alceste seconda, 
arrivò a sostenere che, se Euripide avesse potuto, avrebbe sicuramente 
riscritto la tragedia, rendendo piø umano il vile Admeto. 
In entrambi questi autori è vivo il desiderio di “moraleggiare” la storia, 
censurando alcuni versi euripidei come in quanto evidentemente impensabili 
per il gusto dello spettatore dell’epoca: Admeto diventa così un uomo che 
accetta il sacrificio della moglie a sua insaputa, combattendo con lei una gara 
in cui vince chi è piø buono e piø pronto a morire. 
Giustamente Goethe rimprovererà a Wieland l’aver eliminato ogni 
problematicità dal testo euripideo, edulcorandolo in modo tale da renderlo 
noioso e privo di quelle tematiche grandiose che potevano davvero porre 
3
delle domande allo spettatore. 
Gli autori di cui ho scelto di occuparmi, invece, rappresentano quel filone 
che, al di là della stretta fedeltà al testo euripideo – poichØ, in fondo, si tratta 
sempre di riscritture – si mostrano coerenti con l’assunto fondamentale del 
drammaturgo greco, cioè la capacità di interrogare il lettore sul senso 
3
 Per la riscrittura di Wieland e Alfieri, cfr. AGNESE GRIECO Per amore: Fedra e Alcesti, ed. Il 
saggiatore, Milano, 2005, DAVIDE SUSANETTI, Alcesti: sacrificio e resurrezione – elementi di un mito 
con sei variazioni e MARIA PIA PATTONI, Le metamorfosi di Alcesti, dall’archetipo alle sue 
rivisitazioni, entrambi in Sacrifici al femminile – Alcesti in scena da Euripide a Raboni, a cura di M. P. 
Pattoni e R. Carpani, Comunicazioni sociali – rivista di media, spettacolo e studi culturali, n.3, sett-dic 
2004, Anno XXVI Nuova Serie. 
5 
dell’esistenza e chiamarlo a prendere una posizione in merito al 
comportamento dei personaggi. 
L’Alkestis di Rainer Maria Rilke è del 1907, il testo teatrale di Marguerite 
Yourcenar, Le mystère d’Alceste, è composto tra il 1942 e i primi anni ’60, 
mentre Giovanni Raboni scrive Alcesti o la recita dell’esilio nel 2002: il 
Novecento è dunque un secolo in cui il mito della giovane di Fere viene 
ripreso e riscritto con differenti modalità e punti di vista. 
Il poeta praghese dedica alla storia di Alcesti una lirica all’interno dei Neue 
Gedichte. Innovatore nei contenuti e attento alle tematiche esistenziali, Rilke 
prende le mosse dalla tragedia di Euripide per raccontare il passaggio dalla 
verginità all’età matura, cogliendo nel sacrificio di Alcesti la particolare 
metamorfosi – e iniziazione- che la donna subisce nel matrimonio. Per 
questo motivo Rilke sceglie di discostarsi dal dramma di Euripide per rifarsi 
alla fabula antica, collocando il sacrificio della giovane proprio il giorno 
delle sue nozze con Admeto. 
Anche Marguerite Yourcenar, anni dopo, preferirà interrogarsi 
prevalentemente sulle sfumature interne al rapporto di coppia, privilegiando 
una sfera piø intima e personale: il sacrificio di Alcesti diventa così il modo 
per affrontare senza compromessi l’ambiguo legame con Admeto, mettendo 
in risalto la componente sentimentale che il testo euripideo, contestualmente 
4
al periodo in cui fu scritto, non rende troppo direttamente. Seguendo il 
drammaturgo greco, l’Alcesti della Yourcenar muore non piø il giorno delle 
nozze, ma anni dopo il fatale “sì”, quando la donna è già diventata madre di 
due bambini e ha avuto modo di convivere a lungo con il pensiero della 
propria morte. 
Il testo mette in luce tutta l’angoscia, i rimpianti, la nostalgia per una vita 
finita troppo presto: in particolare nel percorso che la riporta verso il mondo 
dei vivi, Alcesti cercherà di comprendere le motivazioni del suo gesto, 
riassumibile nella ricerca disperata di un amore che sia unico e totale. 
4
 Per la “censura” del testo greco cfr. l’introduzione di Guido Paduano, in EURIPIDE, Alcesti, ed. 
Bompiani, Milano, 2008 
6 
L’ultimo dei nostri autori, Giovanni Raboni, riscopre invece il legame antico 
tra verso e teatro, e soprattutto riabilita l’eroina greca sul piano della scelta e 
della responsabilità etica: in lui aleggia, come in ogni moderno, un senso di 
smarrimento e di sgomento che lascia le creature in una solitudine aspra e 
dura, alla mercØ del caso e delle circostanze. Il motore della vicenda è, 
infatti, la Storia stessa, in un contesto di persecuzione che rispecchia da 
vicino la Shoah: costretti a rifugiarsi in un teatro, i tre protagonisti – la 
donna, il marito e il suocero – devono decidere chi dei tre debba sacrificarsi, 
per permettere la salvezza degli altri due. 
Sara-Alcesti non si sacrifica solo per il marito: Raboni sceglie di dare al suo 
gesto un significato piø universale, direttamente connesso alle domande sul 
valore della vita umana che le vicende della Seconda Guerra mondiale 
avevano nuovamente riportato in primo piano. Senza pretendere di dare 
risposte, nØ tantomeno fornire modelli di comportamento, Raboni invita il 
lettore a interrogarsi semplicemente sul perchØ di quel gesto e su quale peso 
abbia la responsabilità individuale di fronte alle strade, apparentemente 
inevitabili, della Storia-Destino. 
¨ esattamente sul senso del sacrificio che si intravede il trait d’union tra i 
nostri autori: l’influsso della tragedia greca nelle opere studiate, infatti, non è 
riducibile solo ai tratti esteriori della trama o della struttura – da cui tra 
l’altro si discostano abbastanza – ma agisce a livello di tema drammatico. 
Attraverso una lettura attenta, e con l’ausilio di testi critici, tenteremo di 
mettere in evidenza il punto di contatto che, con differenti sfumature, lega i 
tre autori alle stesse domande fondamentali, lasciandoci interrogare da quel 
gesto che ha sconvolto gli spettatori di ogni epoca: qual è il confine che 
separa il sacrificio di sØ dal naturale attaccamento alla vita? Che peso ha 
l’amore in una tale scelta? Esiste un’idea superiore e dominante che spieghi 
e giustifichi in qualche modo la morte di uno per la salvezza dell’altro? 
7 
2. LA MIGLIORE DELLE DONNE: 
L’ALCESTI DI EURIPIDE 
5
 “Come si potrebbe mostrare 
maggior rispetto per il marito 
6
che accettando di morire per lui?” 
5
 Busto di Euripide, su http:// www.radnaetika.org 
6
 EURIPIDE, Alcesti, tradotto e commentato da Guido Paduano, ed. Bompiani, Milano, 2008, pag. 67, vv. 
154-155 
8 
Quando ho scelto di occuparmi dell’Alcesti non immaginavo che fosse una 
delle tragedie piø discusse dell’intero corpus euripideo, nØ che avesse dato 
origine a tutta una serie di interpretazioni spesso discordanti, se non 
diametralmente opposte. 
Il primo dibattito riguarda il genere stesso del dramma, poichØ gli studiosi 
ancora oggi sono indecisi se dare al testo lo status di tragedia; in effetti, 
l’Alcesti, rappresentata ad Atene nel 438 a.C., era collocata al quarto posto 
(dopo una trilogia di tragedie), generalmente riservato al genere satiresco. 
Questo problema, però, ai fini della nostra analisi, è di relativa importanza: 
indipendentemente da un effettivo lieto fine o da qualche scena comica, il 
sacrificio di Alcesti resta un momento di altissima tragicità, nel senso 
propriamente teatrale che vuole la tragedia come il luogo privilegiato 
attraverso cui riflettere sul rapporto tra necessità e libertà. 
Piø problematica resta la caratterizzazione dei personaggi, in particolare di 
7
Admeto a cui, però, è inevitabilmente legata la figura di Alcesti. 
Un primo filone critico, rappresentato, tra gli altri, da F. Wieland, P. von 
Lennep, K. von Fritz e – ancora recentemente – S. Di Lorenzo, analizza la 
figura di Admeto screditandolo da ogni punto di vista: il personaggio che 
emerge dalle loro osservazioni è un uomo meschino, miserevole, al limite 
del buon gusto. 
Questa critica, però, come vedremo piø avanti, giudica e condanna Admeto 
sulla base di categorie totalmente moderne, applicando giudizi morali e 
metodi interpretativi, come la psicanalisi, che mettono in primo piano aspetti 
del tutto estranei al pensiero di un greco nell’Atene del V secolo. 
Il fronte opposto, invece, è guidato da Wilamowitz, Di Benedetto, Lesky e, 
in modo piø sfumato, Paduano. Questi studiosi non sfuggono alle difficoltà 
che presenta la figura di Admeto, ma cercano una soluzione che contempli 
l’ambiguità del personaggio senza per forza farlo cadere nel discredito: su 
7
 Per approfondire il dibattito tra i due filoni interpretativi cfr. ALBIN LESKY, La poesia tragica dei 
Greci, Il Mulino, Bologna, 1996, GUIDO PADUANO, La formazione del mondo ideologico e poetico di 
Euripide, Nistri-Lischi Editori, Pisa, 1968, VINCENZO DI BENEDETTO, Euripide: teatro e società, 
Einaudi, Torino 1971. 
9 
questa linea si pone anche la mia analisi, privilegiando una lettura sia 
filologica sia storica dell’Alcesti. 
Credo, infatti, che sia fondamentale leggere quest’opera tenendo ben 
presente non solo le caratteristiche dell’autore, ma anche il particolare 
periodo storico in cui fu scritta: per la prima volta nella cultura occidentale, 
con la tragedia greca, i personaggi non vengono piø semplicemente narrati, 
ma si esprimono in prima persona, in un vero e proprio “teatro della 
relazione” che contempla anche la vita privata, la sfera domestica. 
Non solo. Euripide, anche se pressochØ contemporaneo di Sofocle, si spinge 
oltre: la vita umana non è piø il luogo dell’azione eroica, ma diventa 
debolezza, sofferenza, impotenza. Parallelamente, i protagonisti delle sue 
tragedie non sono piø gli eroi del mito, ma tutte quelle categorie considerate 
tradizionalmente sottomesse nella cultura greca: donne, schiavi, vinti. 
Le donne in particolare, concretamente assoggettate da una cultura 
patriarcale, diventano per il poeta greco degli esseri intraprendenti, con 
grande libertà di azione, capaci di compiere i gesti piø estremi 
nell’impossibilità di domare i propri sentimenti. 
Euripide, però, è un poeta moderno anche e soprattutto nel senso che non 
cerca di risolvere i contrasti, ma insiste nel dubbio, nell’aporia: le sue 
tragedie, anche quelle in cui interviene un deus ex machina, lasciano lo 
spettatore nell’incertezza, cosciente dell’imprevedibilità e dell’instabilità di 
un mondo lontano dagli dei. 
Per quanto riguarda la storia di Alcesti, l’innovazione piø importante di 
Euripide rispetto al mito tradizionale, è sicuramente lo slittamento temporale 
tra il momento della scelta del sacrificio, relegato dal drammaturgo tra gli 
antefatti, e il giorno della morte, che sopraggiunge diversi anni dopo: Alcesti 
è vissuta a lungo accanto ad Admeto, gli ha dato addirittura dei bambini, il 
piø grande dei quali, Eumelo, piangerà a lungo la morte della madre. 
Il rinvio del sacrificio rappresenta una novità importante, che permette ad 
Euripide di dare una maggiore profondità ai suoi personaggi: infatti, se 
Alcesti morisse per il marito in uno slancio passionale, il giorno stesso delle 
nozze, la sua morte avrebbe una minore concretezza drammatica, privando 
sia la donna sia il suo sposo di una reale consapevolezza rispetto a un gesto 
10 
così importante. Ritardare la morte di Alcesti, invece, permette allo 
spettatore di assistere all’evoluzione dei personaggi, alla luce di nuove e piø 
profonde componenti emotive: Admeto ha meditato a lungo sul sacrificio 
della moglie, in un certo senso si è preparato, come spiegherà al coro: 
“questa disgrazie non mi è giunta improvvisa; conoscendola, da tempo mi 
8
consumavo”. Nonostante ciò, tuttavia, il momento in cui potrà cogliere la 
reale portata del gesto della moglie non avverrà che a morte avvenuta, 
quando tutto ormai sembra vanificare la speranza. 
Alcesti, parallelamente, convivendo per anni con l’idea della morte, ha avuto 
modo di apprezzare ancor piø la vita, pur avendo rinunciato ad essa. Il suo 
personaggio, grazie a questa dilatazione temporale, si scinde, interiormente 
frantumato: da un lato, il pathos e l’intensa emozione di chi esprime tutto il 
dolore e il rimpianto per una vita finita troppo presto, dall’altro la lucida 
razionalità con cui da tempo ha predisposto ogni cosa prima della dipartita. 
Come scrive Silvia Di Lorenzo nel suo studio, non sempre condivisibile, 
sull’Alcesti: 
“[Euripide] non solo ha voluto rendere l’eroina piø responsabile della 
sua scelta e piø consapevole dell’enormità del suo sacrificio, ma ha 
dato spessore drammatico alla figura di Admeto, attraverso una 
9
contraddizione e un conflitto che sono maturati negli anni.” 
Cercheremo, nella nostra analisi, di cogliere tutti questi aspetti nel testo di 
Euripide, lasciando da parte alcuni elementi della tragedia, anche se 
interessanti – come il dialogo con Ferete o la presenza di Ercole – per 
concentrarci sul motivo del sacrificio e quindi, inevitabilmente, sulle 
ripercussioni che questo avrà sui due personaggi principali, Alcesti e 
Admeto. 
8
 EURIPIDE, Alcesti,op. cit. pag. 89, vv. 420-421 
9
 SILVIA DI LORENZO, Il teatro della coppia: la relazione d’amore da Euripide ad oggi, ed. Moretti e 
Vitali, Bergamo, 2006 
11 
2. I. “Avrei potuto non morire”: Alcesti 
L’entrata in scena di Alcesti è abilmente preparata da Euripide: prima di lei, 
infatti, parlano Apollo, la Morte, il coro e una serva, in un climax che ha 
l’evidente intenzione di caricare di pathos la scena sublime dell’addio. 
Il prologo, recitato da Apollo e Thanatos, ha la funzione di “antefatto 
profetico”: da un lato, informa lo spettatore di quello che è avvenuto prima 
dell’azione drammatica, mentre dall’altro preannuncia il possibile lieto fine 
della tragedia rivelando al pubblico la sconfitta di Thanatos e il ritorno di 
Alcesti tra i vivi. 
Veniamo così a conoscenza di una complicata serie di vicende tutte legate, in 
qualche modo, al tema della morte e resurrezione: il sacrificio di Alcesti non 
è che l’ultimo anello di una catena che aveva visto già diversi tentativi per 
respingere, o quantomeno ritardare, la morte. 
In primo luogo Apollo: sappiamo, tramite il dio stesso, che egli si trova nel 
palazzo di Admeto per espiare una colpa. Il dio del sole, infatti, aveva ucciso 
i ciclopi, colpevoli a loro volta di aver costruito la folgore con la quale Zeus 
aveva incenerito il figlio di Apollo, Asclepio. Il suo torto? Uno solo, il piø 
terribile agli occhi di una divinità: resuscitare gli uomini grazie all’arte 
medica. Eliminato Asclepio, la morte aveva ripreso il suo corso abituale, ma 
la figura salvifica del medico verrà ricordata piø volte dal coro all’interno 
della tragedia. 
Il secondo motivo è invece legato direttamente ad Alcesti: sappiamo che la 
donna era una delle figlie di Pelia, quel re che, ingannato da Medea, aveva 
creduto di poter recuperare la giovinezza immergendosi nell’acqua bollente, 
dopo essere stato tagliato in pezzi dalle figlie. Ovviamente il re era morto e 
colpevoli dell’omicidio erano, in parte, proprio le figlie, esecutrici materiali 
del folle gesto: in realtà il mito non racconta se anche Alcesti partecipò alla 
carneficina, ma resta importante osservare come questa ricerca di “vita a tutti 
i costi” si presenti, già nel prologo, intimamente connesso al tema della 
resurrezione. 
12